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Patriota italiano (Genova 1821-Atjeh, mare di Sumatra, 1873).
Entrato nella marina mercantile sarda dopo un'infanzia difficile a causa della perdita prematura della madre, nel 1847 fu uno dei capi del movimento democratico genovese. Volontario, prese parte alla I guerra d'indipendenza durante la quale si trasferì irrequieto da un reparto all'altro e anche nelle truppe pontificie. Accorse nel 1849 alla difesa di Roma, combatté contro Francesi e Borboni, fu ferito e divenne capo di Stato Maggiore nella brigata Marocchetti. Attivo propagandista mazziniano nel 1851, dal 1853 al 1857 tornò in marina. Di nuovo in Italia, operò per costituire forze rivoluzionarie; durante la II guerra d'indipendenza combatté in Valtellina come maggiore nei Cacciatori delle Alpi; nel 1860 fu tra gli organizzatori dell'impresa dei Mille, comandò il vapore Lombardo e combatté valorosamente a Calatafimi, a Palermo e al Volturno, battaglia che lo vide unico e intelligente stratega. Nello stesso anno Bixio soffocò con mano di ferro una sommossa di contadini scoppiata a Bronte.
Passato in seguito all'esercito regolare ed eletto deputato, dimostrò insospettata moderazione e, pur sedendo a Sinistra, risultò essere uomo di mediazione e di ordine. Combatté ancora a Custoza (1866) e nel 1870 fece parte del corpo di operazioni nello Stato Pontificio con il compito di vincere le eventuali esitazioni del Cadorna.
Lasciato l'esercito poco dopo e ripreso dall'antica passione per il mare, morì di febbre gialla in Indonesia. La sua salma venne riportata in patria nel 1877.
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Gerolamo Bixio, detto Nino (Genova, 2 ottobre 1821 – Banda Aceh, 16
dicembre 1873) è stato un militare, politico e patriota
italiano, tra i più noti e importanti protagonisti del
Risorgimento.
Biografia
Ottavo e ultimo figlio di Colomba Caffarelli e di Tommaso, direttore
della Zecca di Genova, a nove anni rimase orfano della madre. Il suo
carattere particolarmente ribelle e la reciproca insofferenza con la
matrigna Maria, della quale il padre era succube, furono tra le
principali cause dei difficili rapporti con la famiglia. Espulso
più volte dalla scuola, a 13 anni fu imbarcato come mozzo a
bordo del brigantino Oreste e Pilade che salpava per le Americhe,
dove per la sua giovane età gli venne affibbiato il nomignolo
di "Nino" che lo accompagnerà per tutta la vita.
Rimase in mare per tre anni e fece ritorno alla città natia
nel 1837, dove per lui la porta di casa a Castelletto era sbarrata e
fu costretto a vivere tra i carrugi, a volte sfamato da una scodella
di minestra passatagli dai fratelli attraverso la finestra. Visto il
suo immutato carattere indocile, la matrigna pensò di
servirsene per surrogare nel servizio militare in marina il fratello
Giuseppe che aveva buone possibilità di entrare nell'ordine
dei gesuiti, come poi avvenne. Nino si oppose e fu dai genitori
denunciato come ribelle all'autorità paterna e fatto
arrestare con uno stratagemma. Dopo molte settimane di carcere, nel
novembre 1837, si rassegnò ad arruolarsi "volontario" nella
marina del Regno di Sardegna, quale surrogante del fratello.
Imbarcato sull'avviso a ruote Aquila, fu preso a ben volere dal
capitano Milelire che gli consentì di studiare e formarsi per
la carriera nella marina militare. Nel 1841 fu allievo pilota a
bordo della nave Gulnara e tre anni dopo, inaspettatamente, Nino fu
a sua volta surrogato da altro marinaio che, dichiarandosi suo
"volontario surrogante", si arruolò restituendogli la
libertà. L'azione surrogatoria era stata organizzata dal
fratello maggiore Alessandro che in Francia era divenuto un
importante funzionario di banca e, non appena avutane la
possibilità, era intervenuto in soccorso di Nino.
Tornato a Genova conobbe la bellissima nipote Adelaide Parodi,
figlia della sorella maggiore Marina. I due s'innamorarono e vissero
un lunghissimo rapporto clandestino, osteggiato dai famigliari,
prima di convolare a nozze, undici anni più tardi.
Durante il servizio nella regia marina, Nino aveva accumulato molte
esperienze, navigando su legni di vario tipo, sulle rotte dei vicini
mari come dell'oceano Atlantico. Non ebbe quindi difficoltà a
trovare nuovo ingaggio in mare, imbarcandosi come capitano in
seconda su un bastimento mercantile diretto in Brasile. Al porto di
Rio de Janeiro, però, gli fu comunicato che l'armatore aveva
ceduta la nave ad altra società che l'avrebbe utilizzata per
il trasporto degli schiavi dall'Africa, offrendogli il comando.
Bixio rifiutò e scese a terra con tre compagni italiani, ben
sapendo che quel diniego, nonostante il nobile motivo, avrebbe
troncata sul nascere la sua carriera di capitano mercantile.
Nuovamente a Genova, con gli amici Parodi e Tini, fu ingaggiato come
secondo nostromo sul bastimento guidato dal capitano quacchero
Baxter e diretto nei mari della Malesia per raccogliere un carico di
pepe da portare negli Stati Uniti. Un viaggio talmente avventuroso
da poter essere definito romanzesco, condito da innumerevoli episodi
che iniziarono con l'abbandono della nave di Bixio e dei due
compagni a bordo di una scialuppa, per un furibondo litigio con il
comandante. La scialuppa naufragò sugli scogli e nel
tentativo di raggiungere a nuoto la terraferma, i tre furono
attaccati dagli squali. Parodi fu sbranato, mentre Tini
impazzì per lo spavento. Catturati dagli indigeni, Bixio
rifiutò di convolare a nozze con la regina di quella
popolazione e i due furono ceduti a dei mercanti di schiavi.
Fortunatamente furono acquistati dallo stesso capitano Baxter che
dopo averli riscattati li riprese a bordo, sbarcandoli nel porto di
Salem, da dove raggiunsero Anversa, nell'ottobre 1846. Bixio
imbarcò l'amico per Genova e, gravemente percorso da febbri,
raggiunse il fratello Alessandro a Parigi. I due si incontravano per
la prima volta.
Rimase ospite del fratello nei mesi di convalescenza, durante i
quali conobbe Giuseppe Mazzini che ebbe su Nino una grande influenza
politica nell'iniziarlo all'idea di un'Italia unita e repubblicana,
conquistandolo alla causa della Giovine Italia, l'associazione
mazziniana che auspicava l'unione e l'indipendenza di tutti gli
stati d'Italia. Mazzini, esule in Francia, era protetto da
Alessandro Bixio, data la grande amicizia che aveva unito le loro
madri. Al suo ritorno in Patria, Nino Bixio partecipò
attivamente ai fervori che precedettero la Primavera dei popoli. La
sera del 4 novembre 1847, durante una manifestazione in piazza Carlo
Felice a Torino, fermò il cavallo di Carlo Alberto di Savoia
afferrandolo per le briglie e gli disse: «Sire, passate il
Ticino e siamo tutti con voi».
Nel 1848 partecipò alla prima guerra di indipendenza,
combattendo a Governolo, a Verona e a Treviso. Poi raggiunse Roma,
al seguito di Giuseppe Garibaldi, dove tentò invano di
difendere la neonata Repubblica Romana dall'attacco restauratore dei
francesi. Condusse a termine varie azioni dimostrando una
determinazione e un'audacia che rasentavano la temerarietà.
Il 3 giugno 1849, respingendo l'assalto francese, si distinse
guidando personalmente diversi contrattacchi alla baionetta. Per due
volte i colpi francesi gli uccisero la cavalcatura e infine fu
ferito in modo serio. La sua condotta gli valse una medaglia d'oro
decretata dalla Repubblica Romana ed ebbe il personale elogio di
Garibaldi che lo promosse sul campo al grado di maggiore. Venne
sommariamente curato da Pietro Ripari e Agostino Bertani, riuscendo
poi a raggiungere Genova, dove finalmente fu possibile estrarre la
pallottola, rimasta conficcata nel fianco sinistro. Contro ogni
previsione, venne accolto e amorevolmente curato dalla matrigna.
La sua ultima azione da carbonaro della Giovane Italia fu, nel 1852,
il tentativo di rapire l'imperatore Francesco Giuseppe, nel corso
della sua visita a Venezia e Milano, sventato dalla polizia
austriaca. Dopo aver inutilmente atteso la caduta delle monarchie
europee teorizzata da Mazzini, nel frattempo riprendendo gli studi
nautici e conseguendo la patente di capitano mercantile per la
navigazione illimitata, prese le distanze dagli ambienti mazziniani
e nel gennaio 1853 riprese l'attività marinara. Nel 1855,
dopo anni di scontri in famiglia e ottenuta la necessaria dispensa
papale, riuscì finalmente a sposarsi con la nipote Adelaide,
dalla quale ebbe poi i figli Giuseppina, Riccarda, Garibaldi e
Camillo.
Durante la seconda guerra di indipendenza fu nuovamente al fianco di
Garibaldi nei Cacciatori delle Alpi, combattendo a Malnate nella
battaglia di Varese e poi difendendo strenuamente il passo dello
Stelvio, tanto da essere insignito della Croce Militare di Savoia.
L'anno successivo fu tra gli organizzatori della spedizione dei
Mille alla conquista del Sud Italia. Data la sua esperienza
marinara, fu Bixio ad impadronirsi delle navi Piemonte e Lombardo,
quest'ultima da lui comandata nel viaggio da Quarto a Marsala.
Prese parte alla battaglia di Calatafimi comandando la 1ª
Compagnia e successivamente all'insurrezione di Palermo, guidando
l'assalto al ponte dell'Ammiraglio. Nei combattimenti riportò
una ferita alla clavicola causata da una palla vagante.
Dopo una breve convalescenza, fu incaricato di guidare la 1ª
Brigata della Divisione Turr verso Corleone e Girgenti, trovandosi
ad espletare incarichi di polizia militare, su disposizioni di
Garibaldi che temeva altri eccidi come quello accaduto a Partinico.
Intervenne con decisione a Santa Croce Camerina, dove erano stati
trucidati i marinai di un bastimento svedese e a Bronte per fermare
la celebre rivolta: erano stati saccheggiati diversi edifici e
trucidati sedici uomini. Per ristabilire l'ordine, Garibaldi vi
inviò il fidato generale Bixio, che applicò lo stato
d'assedio e pesanti sanzioni economiche alla popolazione. Costituito
un tribunale di guerra, in poche ore vennero giudicate circa 150
persone e di queste 5 furono condannate all'esecuzione capitale.
Promosso Maggiore Generale con decreto del 15 agosto, gli venne
affidato il comando della 15ª Divisione, con la quale
sbarcò a Melito di Porto Salvo e, nella notte del 21 agosto,
prese d'assalto la città di Reggio Calabria, conquistandola
nella battaglia di Piazza Duomo. Durante i combattimenti il suo
cavallo fu abbattuto da 19 pallottole, mentre Bixio se la
cavò con una ferita al braccio sinistro.
Il 2 ottobre dello stesso anno i garibaldini sconfissero
definitivamente il grosso delle truppe borboniche nella battaglia
del Volturno, in cui il genovese si ruppe una gamba. Poco dopo il
famoso incontro tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II,
passato alla storia come Incontro di Teano, Bixio organizzò i
plebisciti che sancirono l'annessione dell'Italia centro-meridionale
al Regno di Sardegna. Un anno dopo venne eletto deputato per conto
del seggio dislocato a Genova: egli sedette tra le file della
destra.
Alle elezioni politiche italiane del 1861 si presentò
candidato nel 2º collegio di Genova, risultando eletto
deputato. Più volte rieletto, dedicò la sua
attività parlamentare nel promuovere ogni possibile azione
per liberare Venezia e Roma, nel vano tentativo di riconciliare le
posizioni di Cavour e Garibaldi, soprattutto per quanto concerneva
la questione romana: mentre lo statista piemontese professava una
soluzione diplomatica, il nizzardo era disposto a passare all'azione
anche in prima persona. Inoltre si prodigò nell'incitare
continuamente il governo italiano ad intensificare i traffici
commerciali con il Medio ed Estremo Oriente, creando basi marittime
sul Mar Rosso e in Cina, come già facevano Francia, Gran
Bretagna e Stati Uniti d'America.
Incapace nel fare andare d'accordo i due più grandi esponenti
del Risorgimento, Bixio tornò nel campo di battaglia nel 1866
tra le file del Regio esercito come generale comandante la 7ª
Divisione al fine di combattere la battaglia di Custoza nell'ambito
della Terza guerra d'indipendenza: la sconfitta italiana sul campo
non pregiudicò il crollo militare dell'Austria, che dovette
cedere il Veneto.
Il 3 novembre 1867 alla battaglia di Mentana Bixio fu fatto
prigioniero da un battaglione transalpino, ma riuscì a
sfuggire e ricevette dal re Vittorio Emanuele II di Savoia una
medaglia d'oro al valor militare.
Fatto senatore il 6 febbraio del 1870, si avvicinò al Partito
d'azione garibaldino e il 20 settembre dello stesso anno
partecipò alla Presa di Roma, anche se per prevenire azioni
derivanti dal suo dichiarato anticlericalismo, la sua divisione fu
incaricata di espugnare la cittadella fortificata di Civitavecchia
che capitolò con pochi scontri, dopo un ultimatum in perfetto
"stile Bixio":
«Ho dodicimila uomini di terra, dieci corazzate, cento cannoni
sul mare. Per la resa non accordo un minuto di più di
ventiquattro ore altrimenti domani mattina si chiederà dove
fu Civitavecchia. »
(Nino Bixio, ultimatum alla fortezza di Civitavecchia, 15 settembre
1870)
Alle ore 7 del 16 settembre la corazzata Terribile faceva il suo
ingresso in porto e alle 10 alcuni battaglioni dell'esercito
italiano entravano in città, prendendone possesso.
Successivamente Bixio iniziò una carriera di
imprenditore-esploratore insieme a Salvatore Calvino, ma morì
di febbre gialla il 16 dicembre 1873, durante una traversata
commerciale delle isole della Sonda, a Banda Aceh, nell'isola di
Sumatra, a quel tempo colonia olandese.
La salma fu portata a Genova nel 1877.