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Studioso di diritto e uomo politico (Sarzana 1902 - Padova 1945). Simpatizzante del fascismo fin dalle sue origini, aderì nel 1925 al manifesto degli intellettuali fascisti. Studioso di diritto pubblico, fu fautore del corporativismo. Si interessò anche di storia del pensiero politico italiano. Prof. di diritto costituzionale e comparato e di dottrina generale dello stato nell'univ. di Sassari (1932), in seguito (1938) si trasferì nell'ateneo di Pisa. Eletto deputato nel 1934, ricoprì varî incarichi finché fu nominato da Mussolini ministro dell'Educazione Nazionale e membro del Gran Consiglio e del direttorio nazionale del partito fascista (1943). Fedele seguace di Mussolini, B. votò contro l'ordine del giorno Grandi nella seduta del Gran Consiglio del 24-25 luglio 1943. Fu quindi posto a capo del ministero della Educazione Nazionale della repubblica di Salò.
Tra le sue opere: La crisi dello Stato e le costituzioni moderne, 1934; La Camera dei Fasci e delle Corporazioni nel nuovo ordinamento costituzionale, 1939; I prmcipî generali dell'ordinamento giuridico fascista, 1942.
DBI
di Danilo Veneruso
Nato a Sarzana il 9 dic. 1902 da Ugo e da Maria Accorsi,
iniziò gli studi liceali presso il liceo Doria a Genova,
interrompendoli per obblighi militari (1922-1924). Nell'ottobre del
1920 aderì alle avanguardie giovanili del fascio di quella
città, e nell'aprile 1925 diede la sua adesione al manifesto
degli intellettuali fascisti. Ma quasi subito si distaccò dal
fascismo militante, al quale non si riaccostò che verso il
1926-1927, quando già frequentava la facoltà di
giurisprudenza dell'università di Genova, dove si
laureò nel 1928.
In sostanza, la partecipazione del B. alla lotta politica, almeno
fino al 1927, avvenne sotto il segno delle posizioni gentiliane e
della costante preoccupazione di conservare un contatto e di aprire
un colloquio con le forze non allineate al fascismo in nome delle
comuni tradizioni culturali.
L'influenza del filosofo siciliano sul B. è del resto
evidente nella concezione "civile" della lotta politica e nella
predilezione per alcuni temi cari alla tematica gentiliana (il
giobertismo e la sua crisi, la meditazione sulla natura dello
Stato).
La tardiva adesione del B. al P.N.F. (la domanda di iscrizione
è del 1º maggio 1928) fu oggetto d'una polemica,
mossagli nel 1934 da alcuni esponenti della federazione fascista
della Spezia, che contestandogli inoltre la collaborazione (1926-28)
alla rivista genovese di chiara intonazione antifascista Pietre, pur
limitata a contributi di carattere meramente tecnico e culturale,
mettevano in dubbio la possibilità di retrodatare la sua
anzianità di militante fascista.
Ottenuta la laurea in giurisprudenza, il B. nel 1929 si
laureò anche in scienze politiche ed amministrative presso
l'università di Torino e quindi ottenne, nel 1930, il diploma
di perfezionamento presso la scuola superiore di scienze corporative
presso l'università di Pisa. Del corporativismo fascista egli
fu uno dei più convinti fautori e studiosi, in connessione
con i suoi prevalenti interessi nel campo del diritto pubblico e
della storia del pensiero politico italiano.
In uno dei suoi primi saggi di diritto pubblico (Il fondamento dei
limiti all'attività dello Stato, Città di Castello
1929), largamente influenzato dalle concezioni gentiliane, il B.
ripudiava ogni integralismo, ogni risoluzione della sfera
dell'individuo in quella della collettività e
l'identificazione del diritto privato con il diritto pubblico.
L'identificazione dello Stato con la società che lo esprime
lo porterà, qualche anno dopo, in uno studio pubblicato negli
Studi sassaresi del 1935 (La realtà dello Stato e i suoi
organi), a respingere l'identificazione dello Stato con i suoi
organi: la polemica contro il formalismo di scuola liberale del
diritto costituzionale sarà poi definitivamente riaffermata
in una rassegna dei più recenti studi di diritto
costituzionale del 1938.
Accanto al filone principale della produzione relativa al diritto
pubblico, costituzionale e corporativo, il B. coltivò sempre
un interesse storico che trovò la sua espressione in indagini
sul pensiero politico e giuridico di Pellegrino Rossi, poi su
Giuseppe Ferrari, e in recensioni alle opere di F. Ercole sul
passaggio dal Comune al principato e di A. Levi su Carlo Cattaneo.
Già nel 1926 aveva pubblicato alla Spezia uno studio sulla
politica di Augusto in cui, pur nei limiti di un lavoro scolastico e
retorico, veniva posta l'attenzione sui valori e i fondamenti del
principato augusteo. Un posto a sé occupa la Storia inedita
della Conciliazione, pubblicata a Milano nel 1942 per incarico dello
stesso Mussolini, che gli mise a disposizione i documenti ufficiali.
Dopo aver conseguito la libera docenza in diritto costituzionale, il
B. fu incaricato (1932) di diritto costituzionale e comparato e di
dottrina generale dello Stato presso l'università di Sassari,
dove nel dicembre 1936 divenne titolare di diritto costituzionale e
corporativo; nel 1938 si trasferì all'università di
Pisa, di cui, nel 1941, divenne rettore.
In questo periodo collaborò a moltissime riviste scientifiche
(Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1929-1932,Rivista
di scienze politiche e giuridiche: lo Stato, 1930,Archivio di storia
della filosofia, 1932,Archivio di studi corporativi, 1932-1942, di
cui assunse la direzione dopo la sua chiamata all'università
di Pisa,L'economia italiana, 1934,Nuovi studi di diritto,economia e
politica, 1929-1930,Studi sassaresi, 1935-1936,Terra e Lavoro, 1935)
e a riviste politiche di vario orientamento fascista (Dottrina
fascista,L'ordine corporativo,Origini,Politica sociale,La Terra).
Alieno dal partecipare alle lotte di corrente in seno al fascismo,
sia perché convinto della necessità di conservare
l'unità della classe dirigente fascista, sia per la natura
culturale e la matrice gentiliana della propria vocazione politica,
che tendeva al mito della "fedeltà", il B. riuscì a
mantenere sempre buoni rapporti con i maggiori esponenti del
fascismo nazionale delle più varie tendenze e nutrì
un'autentica devozione per Mussolini. Più contrastanti i suoi
rapporti con gli esponenti del fascismo spezzino: alla Spezia, dove
aveva fondato e diretto il locale istituto di cultura fascista,
conferendogli una marcata impronta di centro di studi corporativi,
dal 1931 al 1934 fu membro del direttorio locale del partito, e dal
1932 al 1934 membro effettivo della giunta provinciale.
La sua elezione nel 1934 a deputato per il collegio unico nazionale
dette al B. occasione di allentare i suoi rapporti con l'ambiente
spezzino (ma nel 1938 sarà ancora commissario prefettizio di
Sarzana). Nel 1935 egli fu oggetto di una violenta polemica da parte
del direttore dell'organo locale del partito L'Opinione, C. Danese,
esponente del fascismo più grossolano ed intransigente, che
aveva preso spunto da una conferenza del B., in cui si sosteneva che
il fascismo non costituiva una completa cesura con il liberalismo
(Istanbul, 30 marzo), per attaccarlo. La polemica ebbe una qualche
risonanza e fu portata a conoscenza di Mussolini, che però
non vi diede alcun peso. Non riuscì così ad
influenzare negativamente la carriera nazionale del B., che nel
Parlamento fu nominato membro della corporazione. olearia in
rappresentanza dei lavoratori dell'agricoltura, indi, nel 1937,
membro parlamentare per la riforma dei codici, quindi presidente di
commissione nell'istituto di rapporti culturali con l'estero,
presidente del consiglio direttivo delle scuole superiori del
partito e consulente giuridico del ministero degli Esteri per
l'Albania. Consigliere nazionale nella Camera dei fasci e delle
corporazioni nel 1939, dalla corporazione olearia fu trasferito poi
in quella dei tessili. Ma la carica politicamente più
significativa fu quella di presidente della commissione di mistica
fascista ai littoriali.
Il B. venne così a svolgere, fino a quando non fu chiamato ad
incarichi di maggiore responsabilità, un ruolo eminentemente
tecnico, che ben si congiungeva con la sua formazione ideologica e
politica improntata a un moderato conservatorismo.
Dopo aver partecipato alla campagna d'Africa e a quella di Grecia
(per cui dopo la morte gli fu concessa una medaglia di bronzo), il
19 dic. 1942 il B. assunse la carica di ispettore generale del
Partito nazionale fascista; il 5 febbr. 1943, in occasione del vasto
rimaneggiamento di governo operato da Mussolini, fu nominato
ministro dell'Educazione nazionale, membro del Gran Consiglio e del
direttorio nazionale del partito. In quell'occasione
pronunciò alla radio un discorso sulla gravità della
situazione bellica; e non è da escludere che il suo
incitamento personale abbia avuto qualche peso nello spingere il
Gentile a pronunciare in Campidoglio (2 giugno 1943) l'appello di
difesa nazionale.
Come ministro egli si proponeva (vedi il suo discorso al Senato del
13 maggio) di accentuare il carattere selettivo della scuola media
diminuendo il numero delle scuole stesse, istituendo il giudizio
globale in luogo della votazione, accrescendo lo studio del latino e
introducendolo in tutte le scuole medie superiori a indirizzo non
puramente tecnico e professionale; queste ultime avrebbero dovuto
essere accresciute; quanto alle università dovevano essere
sfoltite.Quando il 16 luglio 1943 fu chiesta la convocazione del
Gran Consiglio del fascismo, il B. si mostrò diffidente
sull'opportunità di tale iniziativa. Durante la seduta del
24-25 luglio non volle firmare l'ordine del giorno Grandi
contestandone la validità giuridica; rifiutò la tesi
centrale di Grandi di un ritorno puro e semplice allo statuto,
riaffermò il suo lealismo verso Mussolini ed espresse i suoi
dubbi che il gruppo degli oppositori potesse scindere le sue
responsabilità da quelle di Mussolini. Alla confutazione
delle tesi costituzionali del B. il Grandi dedicò una larga
parte della sua replica finale: al momento del voto il B. fu tra i
pochi a schierarsi contro il suo ordine del giorno. Per tutta la
mattinata del 25 luglio egli fu al centro delle frenetiche manovre
politiche tentate da Mussolini per cercare di riprendere il
controllo della situazione.
Da una parte ricevette l'incarico dal capo del governo di redigere
un memoriale per dimostrare l'incostituzionalità e
l'irrilevanza giuridica del voto del Gran Consiglio: con questo
Mussolini si recò nel pomeriggio dello stesso giorno
all'udienza reale. Dall'altra, ricevette l'incarico di ristabilire i
contatti con Grandi, che però rifiutò. Politicamente
assai più interessante appare la notizia riferita dal Tamaro,
secondo il quale Mussolini avrebbe chiesto al B. di appurare se
esistessero le condizioni per un distacco dalla Germania "senza che
questa avesse a dolersene" e di effettuare un discreto sondaggio
presso Orlando che egli riteneva potesse eventualmente assumere il
potere in ore tanto gravi con un programma di conciliazione e di
unità nazionale. Fallite tali manovre, il B. ricevette a
Viareggio, dove si era ritirato, la notizia della caduta di
Mussolini.
Il comportamento del B. durante i quarantacinque giorni di Badoglio
presta il fianco a numerosi interrogativi. Da una parte egli si
affrettò a inviare al re il sentimento della sua devozione,
prima con un telegramma e poi attraverso un colloquio con l'aiutante
del re, generale Puntoni. In questo colloquio spiegava che il suo
voto al Gran Consiglio non aveva affatto il significato di sfiducia
nei confronti del sovrano, ma soltanto quello di sottrarre la corona
a responsabilità tanto difficili in un momento così
delicato. D'altro canto, esiste nelle carte della Segreteria
particolare del duce per il periodo della Repubblica sociale un
diario, o meglio una serie di considerazioni, che il B. avrebbe
steso dal 30 luglio al 14 ag. 1943.
Il documento, dattiloscritto e non firmato, per le idee che esprime
è sicuramente del B.; può sussistere solo il dubbio
sulla data di composizione, se cioè non sia stato scritto a
posteriori per fornire la prova di un assoluto lealismo fascista che
molti, nell'ambiente della Repubblica sociale, mettevano in dubbio,
in questo diario, tutto pervaso di sentimenti di fedeltà e
devozione per Mussolini e in cui il B. ribadiva la propria
concezione del fascismo, erano spiegate anche le ragioni del suo
voto al Gran Consiglio con la considerazione dei "supremi interessi
della patria", indissolubilmente legati con i "rapporti di alleanza
con la Germania".
Dopo l'8 settembre il B. fu, raggiunto a Viareggio, dove abitava con
la famiglia, dall'invito ad entrare a far parte del nuovo governo
repubblicano (21 settembre). In un primo tempo comunicò a
Pavolini il suo rifiuto, affermando che non desiderava essere il
ministro di un "governo fantasma". Poi, in seguito a pressioni
tedesche, cedette, superando l'incertezza che gli derivava dal suo
conservatorismo monarchico-nazionalista, e il 23 settembre divenne
ministro dell'Educazione nazionale.
In questa luce si spiegano alcuni episodi salienti della sua
attività ministeriale. Tra i primi atti fu il mantenimento in
carica dei rettori nominati dal governo Badoglio e la sua presenza
al discorso d'inaugurazione dell'anno accademico
dell'università di Padova tenuto dal rettore C. Marchesi. La
cosa fece scalpore e Pavolini ottenne da Mussolini l'immediato
allontanamento del Marchesi dal rettorato (6 dicembre). Con decreto
20 dic. 1943il B. sottopose a revisione i ruoli degli insegnanti
universitari e liberi docenti che avevano ottenuto i loro titoli per
motivi esclusivamente politici durante il ventennio e ottenne che
gli insegnanti fossero esonerati dal giuramento di fedeltà
alla Repubblica sociale. Con ordinanza ministeriale del 18giugno
1944modificò l'ordinamento degli studi medi richiamandosi
alla legge Gentile (si veda il suo appello del 1944 Agli uomini
della scuola e la circolare Valori tradizionali nella scuola
italiana). La scuola media veniva soppressa e sostituita da tre
classi di ginnasio, dopo le quali si poteva accedere direttamente al
liceo classico, scientifico, artistico e magistrale, tutti di cinque
anni, eccetto quello magistrale. Particolarmente notevole
l'introduzione di un serio corso di lingue straniere in tutte le
classi del liceo classico e la possibilità di accedere ai
quattro licei provenendo anche dall'avviamento mediante un semplice
esame integrativo. In tutti i licei, compreso l'artistico, che fino
a quel momento ne era stato privo, sarebbe stato introdotto
l'insegnamento della lingua latina.
Il B. cercò inoltre di salvare il patrimonio artistico e
industriale nazionale esposto alle offese belliche e ancor
più alla cupidigia dei Tedeschi (vedi la protesta dell'8
marzo 1944contro le autorità tedesche, del 3luglio a
Mussolini per i permessi di esportazione delle opere d'arte,
nonché il memoriale del 4genn. 1945sull'amministrazione
tedesca della Venezia Giulia e Tridentina, seguito da un colloquio
del 15febbr. 1945a Venezia con l'alto commissario tedesco F. Reiner,
per definire la questione della sovranità italiana in materia
scolastica).
Una simile attività nel campo della scuola incontrò
ostilità da parte degli elementi più oltranzisti del
partito fascista: in un rapporto del servizio disciplina del Partito
repubblicano fascista del 12sett. 1944venivano trasmesse a Mussolini
le lamentele di coloro che non riuscivano a concepire l'opposizione
del B. a ogni forma di giuramento da parte dei docenti. Ma una
critica completa della sua azione politica nel campo della scuola
è in una lettera scrittagli da Pavolini del 3genn. 1945,
nella quale lo accusava di debolezza e complicità morale con
i nemici della Repubblica sociale e del fascismo.
Il B. venne, così, ad essere un esponente della cosiddetta
ala "conciliativa" del governo, dietro alla quale stava, neppure
troppo mimetizzato, lo stesso Mussolini che, appoggiandola,
intendeva mediare e talvolta neutralizzare le posizioni dei gruppi
più intransigenti e l'invadenza dei Tedeschi; da Mussolini
egli ebbe l'incarico di redarre un progetto di costituzione della
Repubblica sociale che fu però giudicato troppo
"garantistico".
In questo quadro vanno collocati i rapporti che il B. ebbe con G.
Silvestri e con il gruppo di E. Cione (il B. appoggiò ad
esempio il progetto di costituire il Centro nazionale italiano di
studi sociali, genn. 1945), le cui iniziative, pur distinte e
diverse, tendevano ad attenuare la radicalizzazione della guerra
civile e a cercare di stabilire un rapporto con elementi non
fascisti e perfino con esponenti della Resistenza: dal luglio al
dicembre 1944il B. partecipò a Milano, insieme con il
ministro Pisenti, con Silvestri ed altri, a contatti, che non ebbero
poi nessun esito, con elementi, peraltro poco rappresentativi, della
Resistenza. Da questi tentativi nacque, il 14 febbr. 1945, con il
consenso di Mussolini e del B. il "raggruppamento nazionale
repubblicano-socialista", che peraltro incontrò subito
l'ostilità dei Tedeschi che ne imposero lo scioglimento e la
soppressione del suo organo di stampa,L'Italia del popolo.
Alla fine di aprile la liberazione sorprese il B. a Padova, sede del
suo ministero, dove, anche per la protezione degli autorevoli
antifascisti che aveva contribuito a salvare, riuscì a
superare la fase più critica. Minato da un male inguaribile,
dovette però rifugiarsi, sotto il falso nome di professor De
Carlo, all'ospedale di Padova, dove morì il 19 nov. 1945.