BELLONCI Goffredo

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Critico letterario e giornalista italiano (Bologna 1882-Lido di Camaiore 1964). Redattore del Giornale d'Italia dal 1907 al 1952 e collaboratore di vari quotidiani e riviste, fu tra i più assidui critici e scrittori della “terza pagina”. Formatosi alla scuola carducciana e alieno dallo storicismo crociano, fondò il suo metodo critico sull'analisi del linguaggio poetico nella sua peculiare “sintassi”.

Fra le sue opere sono da ricordare: Pagine e idee (1929), Introduzione alla letteratura d'oggi (1932), Sette secoli di novelle italiane (1954).

 

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DBI


di Arnaldo Bocelli

Nato a Bologna il 5 sett. 1882 da Giuseppe, ordinario di embriologia e istologia in quella università, e da Argia Facchini che morì dandolo alla luce, a sei anni rimase orfano anche del padre, e venne affidato alla tutela dello zio Cesare Facchini, insegnante di lettere e letterato di un certo nome, la cui biblioteca fu la prima fonte per le sue letture. A Bologna si laureò in lettere e filosofia, avendo avuto a maestri il Carducci, F. Acri e G. B. Gandino; iniziò anche gli studi di economia politica, proseguendoli, durante un soggiorno in Svizzera, con V. Pareto e quindi, stabilitosi a Roma, con M. Pantaleoni. A Roma entrò, nel 1907, al Giornale d'Italia diretto da A. Bergamini. Aveva già collaborato. con novelle e poesie, a qualche quotidiano e periodico, specie dell'Emilia.

Nel Giornale d'Italia cominciò con vari "servizi" (sul terremoto di Messina, sugli scioperi della Valle Padana, ecc.), scrivendo articoli di fondo, di politica interna ed estera, cronache vaticane, e conducendo "campagne" a illustrazione del sindacalismo e del modernismo. Cominciò anche ad occuparsi di critica letteraria, in quella "terza pagina" creata appunto dal Bergamini, e che il B. contribuirà a sviluppare chiamando a collaborarvi i maggiori nomi della letteratura e della cultura. E se quella dell'articolista politico fu un'attività che egli riprese anche più tardi, come capo della redazione politica romana dei Resto del Carlino, allora diretto da M. Missiroli, e come inviato a vari congressi internazionali; quella del critico letterario fu la sua vocazione, asecondata e integrata dall'interesse per le arti, specie figurative, che ebbe assai vivo fin dagli anni bolognesi.

Nella critica letteraria militante - che allora, per effetto del fervore suscitato dall'opera del Croce e dalla filosofia idealistica in genere, veniva elevando il proprio tono, e da informativa o garbatamente discorsiva o estetizzante tendeva a diventare "estetica", e a puntualizzarsi in giudizi di valore - il B. portò, sebbene al suo gusto non fosse estraneo un certo dannunzianesimo, l'insegnamento della scuola carducciana. Cioè, oltre all'amore per i classici e la serietà del metodo storico-filologico, un acceso senso di italianità (che prima sboccherà, politicamente, nel nazionalismo, poi, superata questa posizione politica, rimarrà come costante difesa della cultura italiana, o rivendicaziorne di certi suoi primati).

E in quell'ambito giornalistico il B., con "elzeviri" e con "colonnine" dedicate ai libri, attese ad attuare una critica umanistica, attenta al fatto letterario dell'arte, ma rapportato alla coscienza, propria di un dato momento culturale, delle esigenze di una nuova spiritualità. Una critica disposta ad intendere ogni corrente, ogni scuola, purché rispondenti a queste esigenze, non formalistica, ma con una sua accademica gravità, testimoniante anche in certe particolarità del linguaggio la sua derivazione assai più dal Carducci, che dal Croce o dal De Sanctis. Negli anni di trionfante crocianesimo il B. prese infatti posizione, se non direttamente verso il Croce, contro i suoi seguaci, come certi scrittori della Voce: con i quali entrò in aspre polemiche. Non che egli non giungesse a una discriminazione della poesia dalla non-poesia: ma sempre per la via del raffronto della forma singola con le forme proprie del -tempo ad essa coevo.

Innumerevoli articoli, saggi, note e recensioni, dedicati per lo più a scrittori italiani contemporanei, il B. venne pubblicando nel corso degli anni, oltre che sul Giornale d'Italia e su L'Epoca di F. S - Nitti e da ultimo su Il Messaggero.anche nelle principali riviste; con un metodo che sempre più esplicitamente - a partire dal 1925 circa - si fonderà sulla identificazione del principio essenziale dell'arte con la "sintassi", cioè con l'intima capacità dello scrittore di trasfigurarè la lingua e il lessico comuni o tradizionali, in linguaggio proprio, perennemente nuovo, corrispondente a una nuova "sintassi del reale". Identificazione nella quale non furono certo senza influsso le teorie di G. Bertoni intorno a lingua e linguaggio, a loro volta derivanti, con adattamenti all'idealismo, da quelle del De Saussure e del Bally. Ma il B. la formulerà in modi propri, assumendola a fulcro di quel Disegno della letteratura italiana che si legge a principio dell'unica raccolta di scritti da lui pubblicata, Pagine e idee (Roma 1929), e che fra l'altro rivendica all'Italia di aver dato inizio, con il Tasso, cioè in anticipo di due secoli sugli altri paesi, al moto romantico (tesi, naturalmente, molto discussa e discutibile).

Questo metodo e questi modi improntano anche il più noto, forse, dei suoi saggi: quella Introduzione alla letteratura di oggi (pubblicata nel 1932 come estratto della rivista Scuola e cultura), che in certo senso viene a contrapporre una visione obiettiva e unitaria al "panorama" - di A. Gargiulo, scritto in, quegli anni, e rigorosamente ragionato, ma parziale perché condotto dal punto di vista della poesia pura e della prosa d'arte. E informano lo studio su Il teatro del Novecento, compreso nel volume collettivo Storia del teatro italiano, a cura di Silvio d'Amico, Milano 1936 (di teatro il B. si occuperà anche negli ultimi anni, quale presidente del Centro italiano di ricerche teatrali e dell'Istituto internazionale per la storia del teatro): studio additante in Pirandello, e nelle tendenze teatrali che a lui siricollegano, il rinnovamento della "sintassi scenica"; come informano l'ampio saggio introduttivo all'antologia compilata dallo stesso B., Sette secoli di novelle italiane (voll.2, Roma 1953), il quale è un vero e proprio disegno storico della novellistica italiana, dalle origini fino al trapasso dall'Otto al Novecento, quando la novella - come la narrativa in genere - assume, per il prevalere del lirismo, tutt'altro carattere. Ma è pur vero che, talora, quel suo punto di vista spinse il B. a rischiose comparazioni tra fatti letterari inoderni e antichi: come quella fra il "mondo della memoria" del Petrarca e la Recherche proustiana.

Il B. si tenne, insomma, su posizioni diverse sia da quelle storicistiche sia da quelle della più recente critica. linguistica, sebbene con esse interferenti; e nella critica "giornaliera" - che fu il suo campo specifico - introdusse procedimenti e toni, come egli stesso rilevava con compiacimento, da rivista di cultura, non trascurando però mai le esigenze del lettore e la necessità, anzi il dovere, di parlargli con la maggiore chiarezza possibile, a costo di riuscire qualche volta didascalico. Rimase indipendente da gruppi letterari e politici, e, nello stesso salotto letterario della moglie, la scrittrice Maria (nata Villavecchia), e nell'ambiente del connesso "Premio Strega", un appartato: ma nel senso migliore, di una distaccata presenza. Morì a Lido di Camaiore (in prov. di Lucca) il 31 agosto 1964.