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scrittore italiano e medaglia d'oro al valor militare (Firenze 1870-Gorizia 1917). Ufficiale dell'esercito, inviato in Sardegna con la missione di reprimere il banditismo, ricavò da tale esperienza il libro Caccia grossa, scene e figure del banditismo sardo (1900), che, per i suoi accenni alle origini sociali del fenomeno descritto, suscitò violente polemiche. Opere minori, ispirate a episodi di vita militare, sono: La gaia brigata (1904), I racconti di un fantaccino (1906), Il capitano Tremalaterra (1910).
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DBI
di Pino Fasano
Nato a. Firenze il 20 ag. 1870, compì gli studi presso le
Scuole pie di quella città. Tra i suoi insegnanti di liceo
ebbe E. Pistelli che lo ricorderà in un commosso ritratto.
Affascinato dall'esempio di uno zio, Stanislao Bechi, morto nel 1863
con Francesco Nullo in difesa della libertà della Polonia, il
B. entrò nell'esercito. Ma la vita militare doveva recargli
più delusioni e amarezze che gioie: e fin dall'inizio egli
cercò di colmare quest'insoddisfazione con l'attività
di scrittore. Inviato in Africa nell'anno, 1895, visse gli ultimi
due anni dell'infelice campagna coloniale e raccolse materiale per
un volume di "bozzetti e scarabocchi" africani, che pubblicò
nel 1898 a Firenze col titolo Fra il bianco e il nero.L'anno
seguente era in Sardegna, inviato col suo battaglione a collaborare
alla repressione del banditismo. L'esperienza sarda lo
appassionò vivamente e gli dettò l'opera che rimase
poi il frutto migliore del suo incerto talento narrativo.
Cacciagrossa: scene e figure del banditismo sardo, pubblicato a
Milano nel 1900, è infatti, nei suoi limiti bozzettistici, un
libro agile e felice. Il B. non affondò affatto (come volle
far credere) il coltello nella piaga del banditismo sardo: il suo
libro non è nulla più che una riuscita descrizione
d'ambiente, una raccolta d'impressioni vivaci ma superficiali e
disordinate; se qualche volta, sembra sul punto di affrontare "le
questioni grosse" le lascia subito per mostrare al lettore "una
magnifica collezione di facce". E tuttavia bastarono pochi accenni
alle condizioni miserabili dell'isola "dimenticata", alla trama di
collusionì di interessi su cui poggiava il fenomeno dei
banditismo, per scatenare contro il libro del B. una reazione
violentissima. Additato "come calunniatore malizioso della
Sardegna", ricevette querele e sfide a duello: i deputati sardi
protestarono in Parlamento e il ministro della Guerra fini col
condannarlo a due mesi di arresti in fortezza. Così il B. si
acquistò una certa notorietà e il libro esaurì
in breve tempo numerose edizioni.
Nonostante l'ingiustizia patita, e nonostante l'urto provocato nella
sua coscienza, aperta alle nuove idee, dall'impiego dell'esercito
nella repressione dei primi moti socialisti, il B., continuò
a credere nella grandezza della missione del soldato e volle
persistere nella carriera di ufficiale. Alle piccinerie e alle
meschinità della caserma reagì dapprima solo sul piano
dell'humour, descrivendo, in operette giocose di scarso impegno (La
gaia brigata, Milano 1904; I racconti di un fantaccino, ibid. 1906),
episodi di vita militare. Ma presto le difficoltà incontrate
nel chiuso, ambiente militare lo indussero a dedicarsi tutto alla
sua opera di scrittore, col fervore e l'entusiasmo di chi concepiva
anche la letteratura come "milizia". Chiesta un'aspettativa,
tracciò il piano di un'ambiziosa trilogia, che doveva
descrivere e sostenere l'opera di quei pochi "apostoli" dell'ideale
che soli avrebbero potuto condurre "Verso una più grande
Italia". Tale era il titolo della trilogia, che rimase incompiuta.
Uscirono solo Lo spettro rosso (Milano 1909) e I seminatori (ibid.
1914), opere diseguali in cui la fresca vena narrativa dell'autore
di Caccia grossa era soffocata dall'ambizioso intento morale
ispirato ai motivi nazionalisti e tradotto in una forma spesso
retorica. Di questi anni è anche Il capitano Tremalaterra
(ibid. 1910) dove al medesimo intento morale porge migliori
occasioni la satira di un certo militarismo africanista. Ma la
politica riformistica giolittiana e soprattutto l'impresa di Libia
sembrarono placare lo slancio apostolico-letterario nazionale del
Bechi. Riconciliatosi con l'esercito, allo scoppio della guerra
mondiale - nonostante le sue insistenze per essere mandato al fronte
- fu destinato all'ufficio stampa. Nella primavera del 1917,
promosso colonnello, ebbe il comando di un reggimento di giovani, ai
quali si dedicò con slancio. Colpito il 30 ag. 1917 sulle
alture di San Marco, morì dopo trentasei ore di agonia, in un
ospedale di Gorizia. Alla sua memoria fu concessa la medaglia d'oro
al valor militare.