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Henri Barbusse (Asnières-sur-Seine, 17 maggio
1873 – Mosca, 30 agosto 1935) è stato uno scrittore,
giornalista e attivista politico comunista francese.
Si fece notare per la prima volta nel 1908 con un romanzo
naturalista, L'Enfer (L'inferno). Giunse alla fama con la novella Le
Feu (Il fuoco), del 1916, basata sulle sue esperienze durante la
Prima guerra mondiale, che mostrava il crescente odio dell'autore
per il militarismo e si attirò dure critiche al tempo per il
forte realismo. Il libro vinse il Premio Goncourt.
I suoi lavori successivi, Manifeste aux Intellectuels, Elevations
(1930), ed altri, mostrano un punto di vista più
definitivamente rivoluzionario. Di questi Le Couteau entre les dents
(Il coltello in mezzo ai denti), del 1921, segnò
l'avvicinarsi di Barbusse al bolscevismo e alla Rivoluzione russa;
si unì al Partito Comunista Francese nel 1923, e in seguito
si recò in Unione Sovietica.
Barbusse fu un convinto stalinista, ed autore nel 1935 di una
biografia di Joseph Stalin, intitolata Staline. Un monde nouveau vu
à travers un homme (Stalin. Un nuovo mondo visto attraverso
un uomo). Il libro fu un equivalente occidentale del culto della
personalità sovietica, e Barbusse condusse una violenta
campagna di stampa contro il suo ex amico Panait Istrati, uno
scrittore rumeno che aveva espresso critiche nei confronti dello
Stato sovietico.
Barbusse riposa nel cimitero Père Lachaise di Parigi.
www.sapere.it
Romanziere, polemista e poeta francese (Asnières 1873-Mosca
1935). Del 1895 è la sua prima raccolta di poesie, Les
pleureuses (Le piangenti), che comprende liriche d'amore
elegiache. Del 1903 è il romanzo Les suppliants (I
supplici), studio psicologico sullo stato d'animo dei giovani. Il
romanzo L'enfer (1908; L'inferno) e la raccolta di novelle Nous
autres (1914; Chi siamo) rivelano una vena satirica nella
critica sociale e una notevole violenza nella negazione della idea
di divinità e di patria.
Nel 1916 B. suscitò grande scalpore con il romanzo Le
feu, Journal d'une escouade (Il fuoco, Diario di un
drappello), una delle più tragiche e realistiche
rappresentazioni degli orrori della guerra che assurdamente viene
fatta da coloro che non la vogliono.
Nel 1919 pubblicò il romanzo Clarté (Chiarezza)
e fondò la rivista dallo stesso titolo che si
trasformò rapidamente in un movimento alla ricerca di una
possibilità di coesione tra mondo intellettuale e mondo
operaio.
Le opere che seguirono rivelano istanze politiche sempre più
forti: La lueur dans l'abîme (1920; Il chiarore
nell'abisso), Le couteau entre les dents (1921; Il coltello
fra i denti), Les bourreaux (1926; I carnefici), Les
Judas de Jésus (1927; I traditori di Gesù).
Sempre più interessato all'ideologia comunista, B.
fondò nel 1933 La commune (La comune) cui aderirono Gide e R.
Rolland. Dal 1930, fino alla morte, compì frequenti viaggi in
Unione Sovietica. Scrisse una biografia di Stalin: Staline
(1935).
da http://coaloalab.altervista.org/henri-barbusse-fuoco-bellico/
Nell’estate del 1914, quando l’esercito francese si mobilita per la
guerra, Henri Barbusse (nella foto a sinistra) ha quaranta
anni. Sposato, con una figlia del poeta Catulle Mendès,
è un rispettato "homme de lettres". Il suo stato di salute lo
dispensa da qualunque obbligo militare. Le sue idee pacifiste
dovrebbero indirizzarlo verso l’astensionismo, ma sceglie di
arruolarsi nel 231° reggimento di fanteria. Starno destino di un
pacifista, ma Henri non era il solo a pensarla così allora:
molti volevano affrontare il pericolo in prima fila e finirla per
sempre con la guerra.
Henri combatte, ottiene due citazioni al merito, ma dopo un anno,
sfinito dalla malattia, deve lasciare l’esercito. Immediatamente
scrive Le feu (Journal d’une escouade), che esce come
feuilleton nel 1916.
L’opera è pubblicata in tempo per essere presentata al
Goncourt e ricevere il premio. Le feu è stampato dall’editore
Flammarion e ha un grandissimo successo, sconvolgendo la Francia
perché racconta il suo dramma quotidiano, così
com’è: soldati "dans la terre" che muoiono in maniera atroce.
E’ un ritratto diretto delle miserie dell’esercito francese: gli
eredi d’Enrico IV, Condé, Turenne e Bonaparte , non sono
descritti come lo spavaldo esercito dai calzoni rossi, ma come una
massa di poveri diavoli.
Ora l’editore Kaos ripubblica l’importante opera di Barbusse. Il
fuoco, era apparso nel 1917, nella bella traduzione di Giannetto
Bisi per l’editore Sonzogno, e poi non ebbe fortuna. L’unica nota
critica da segnalare è l’assenza, in questa nuova edizione,
di un’introduzione storica a Barbusse e a Il Fuoco, autore e opera
poco noti in Italia.
da
http://www.artegrandeguerra.net/2011/06/lattacco-di-henri-barbusse-da-il-fuoco.html
L'attacco di Henri Barbusse (da "Il fuoco")
Siamo pronti. Gli uomini si allineano, in silenzio, con le coperte a
tracolla. Il sottogola dell’elmetto in posizione, appoggiati ai
fucili. Guardo le loro facce contratte, pallide, concentrate.
Non sono dei soldati: sono degli uomini. Non sono degli
avventurieri, dei guerrieri fatti per il macello umano: né
macellai né bestiame. Sono contadini e operai. Sono dei
civili sradicati. Aspettano il segnale della morte e dell’omicidio.
[…]
Avanti. Le voci hanno una strana risonanza. La partenza è
stata velocissima: inopinata, si direbbe, come in un sogno. Niente
sibili nell’aria. In mezzo all’enorme rumore del cannone, risalta
questo straordinario silenzio delle pallottole intorno a noi…
Scendiamo sul terreno scivoloso e accidentato con movimenti
automatici, aiutandoci a tratti con il fucile, allungato dalla
baionetta. Lo sguardo si fissa meccanicamente su qualche dettaglio
del pendio, sulle devastazioni del terreno, sui rari paletti scarni
e appuntiti, sui resti sparsi in fondo alle buche.
[…]
Davanti a noi si sollevano delle fiammate improvvise che sconvolgono
l’aria con spaventose deflagrazioni […]. D’un tratto devo mollare il
fucile: lo spostamento d’aria di un’esplosione mi ha scottato le
mani. Lo raccolgo come posso e riparto a testa bassa nella tempesta
di bagliori fulvi, nella pioggia battente di lava, sferzato da getti
di polvere e fuliggine.
[…]
Il maggiore si ferma, alza la sciabola, la lascia cadere e
s’inginocchia: a scossoni il corpo si piega all’indietro, l’elmetto
gli cade sui talloni, e resta lì. Non vediamo più
nemmeno il tenete.
E allora, niente più comandanti…
La massa umana che percorre l’inizio dell’altipiano esita. In mezzo
allo scalpiccio dei piedi, si sente il soffiare rauco dei pomoni.
«Avanti!» grida un soldato qualunque.
Riprende la corsa in avanti, verso l’abisso.