www.treccani.it
Nome sotto il quale è generalmente noto l'avventuriero Giuseppe Balsamo (Palermo 1743 - San Leo 1795). Fondò una setta massonica di rito egiziano di cui si proclamò capo e che diffuse in Europa, conquistando fama di taumaturgo e chiaroveggente. Arrestato da parte del S. Uffizio, fu condannato a morte (1791), pena poi commutata in carcere perpetuo.
VITA E ATTIVITÀ
Novizio presso il convento dei Fatebenefratelli di Caltagirone (1756), ne fuggì ben presto; dopo un periodo per il quale mancano notizie certe, sposò, a Roma (1768), Lorenza Feliciani, con la quale cominciò a girare l'Europa sotto vari nomi (dal 1776 con quello definitivo di A. C.). Entrato, a Londra (1776), in contatto con alcuni ambienti massonici dediti a pratiche occultistiche, ne concepì l'idea di fondare una nuova setta massonica di "rito egiziano", della quale si proclamò capo (Gran Cofto). Come tale si mise con la moglie di nuovo in giro per l'Europa (1777-1780), ovunque fondando logge della sua setta e creandosi, in virtù del non comune fascino personale e di una notevole forza di suggestione, una vasta fama di taumaturgo e chiaroveggente. Non gli mancarono la stima e l'amicizia di ambienti colti e altolocati, quale, ad esempio, quello che gravitava attorno al cardinale di Rohan, a Parigi.
Coinvolto qui, ingiustamente, nell'affare della collana della regina, fu arrestato e rinchiuso nella Bastiglia, ma ben presto assolto e liberato tra il plauso della folla. Dovette però abbandonare la Francia, rifugiandosi dapprima a Londra e infine, dopo altre peregrinazioni, a Roma (1789), dove fondò una loggia della sua setta.
Arrestato da parte del S. Uffizio, fu sottoposto a processo, conclusosi (17 apr. 1791) con la condanna a morte, commutata poi dal papa in carcere perpetuo. Rinchiuso nel forte di San Leo, vi trascorse alcuni anni di durissima prigionia che lo condussero dapprima alla follia e poi alla morte.
wikipedia
Giuseppe Giovanni Battista Vincenzo Pietro Antonio Matteo Balsamo,
noto con il nome di Alessandro, Conte di Cagliostro o più
semplicemente Cagliostro (Palermo, 2 giugno 1743 – San Leo, 26
agosto 1795), è stato un avventuriero, esoterista e
alchimista italiano.
Dopo una vita errabonda spesa tra imbrogli nelle varie corti
europee, fu condannato dalla Chiesa cattolica al carcere a vita per
eresia e rinchiuso nella fortezza di San Leo.
Biografia
Un'infanzia difficile
Giuseppe Balsamo nacque a Palermo il 2 giugno 1743, figlio di Pietro
Balsamo, un venditore palermitano di stoffe, e di Felicita
Bracconeri, fu battezzato l'8 giugno 1743 con i nomi di Giuseppe,
Giovanni Battista, Vincenzo, Pietro, Antonio e Matteo.
Il padre morì poco tempo dopo la sua nascita e Giuseppe fu
accolto nell'istituto per orfani di San Rocco dove compì i
primi studi, seguito dalla cura degli Scolopi. Da quel collegio
Giuseppe fuggì più volte, a testimonianza di un
carattere giudicato ribelle a ogni educazione: per questo motivo la
famiglia pensò bene di affidarlo, nel 1756, al convento dei
Fatebenefratelli di Caltagirone, affinché vi temperasse
l'indole e vi imparasse un mestiere; così, nel convento, che
era annesso all'Ospedale dello Spirito Santo, Giuseppe si
interessò di erbe medicinali, delle loro proprietà e
delle tisane utilizzate dalla medicina dell'epoca, una conoscenza
che gli tornerà utile negli anni a venire.
Non è chiaro se scappò anche dal convento o se
semplicemente ne fu dimesso; in ogni caso, tornato a Palermo, si
rese responsabile di una truffa ai danni di un fabbro sciocco, avido
e superstizioso di nome Marano, e per sottrarsi ai rigori della
giustizia, sarebbe fuggito a Messina, dove avrebbe conosciuto un
certo Altotas, forse un greco-levante, con il quale avrebbe
viaggiato in Egitto, a Rodi e a Malta, e che Cagliostro
indicò come suo primo maestro, che l'avrebbe introdotto, nel
1766, nell'Ordine dei Cavalieri di Malta; queste notizie furono
tuttavia fornite da Cagliostro in un suo Memoriale del 1786, nel
quale egli intendeva sostenere la leggenda di una sua eccezionale
formazione spirituale e vanno pertanto ritenute altamente
improbabili: quello che è certo, è che sulla figura
dell'Altotas la storia non ha mai fatto alcuna luce.
Il matrimonio
Nel 1768 il Balsamo è a Roma e vi è arrestato per una
rissa nella Locanda del Sole, in piazza del Pantheon: dopo tre
giorni, è rilasciato grazie all'intervento del cardinale
Orsini, il maggiordomo del quale, don Antonio Ovis, aveva nel
frattempo conosciuto. È ancora nel 1768, il 21 aprile, che
Balsamo si sposa nella chiesa di San Salvatore in Campo con Lorenza
Serafina Feliciani, una bella ragazza nata l'8 aprile 1751,
analfabeta, figlia di un fonditore di bronzo. Il certificato di
matrimonio è tuttora conservato e attesta che il Nostro si
chiama effettivamente Giuseppe Balsamo ed è figlio del fu
Pietro, palermitano: non vi è traccia di alcun titolo
nobiliare, né in particolare del nome di Cagliostro.
A Roma il Balsamo, discreto disegnatore, vive falsificando documenti
in complicità con due conterranei, un sedicente marchese
Alliata e un certo Ottavio Nicastro, che morirà impiccato per
aver ucciso l'amante. È proprio quest'ultimo, insieme con il
suocero di Cagliostro, a denunciarlo come falsario e allora Giuseppe
e Lorenza, con il marchese, abbandonano Roma per un lungo viaggio
che li porta fino a Bergamo: qui, continuando la prediletta
attività di truffatori, vengono entrambi arrestati, mentre
l'Alliata riesce ancora a fuggire. Rilasciati, si trasferiscono in
Francia - ad Aix-en-Provence conoscono Giacomo Casanova, che
definisce Balsamo «un genio fannullone che preferisce una vita
di vagabondo a un'esistenza laboriosa» - e ad Antibes, dove
con i proventi della prostituzione di Lorenza, si procurano il
denaro per raggiungere, nel 1769, Barcellona.
Anche qui Lorenza viene spinta dal marito nell'accogliente letto di
ricchi personaggi: insieme con uno di questi, un tale marchese di
Fontanar, raggiungono alla fine dell'anno Madrid: mantenuti nel
palazzo del marchese, cercano intanto di guadagnare l'amicizia di
influenti personalità della capitale spagnola. Cacciati alla
fine di casa, nel 1770 si trasferiscono a Lisbona, dove Lorenza
diviene l'amante del banchiere Anselmo La Cruz.
L'anno dopo la coppia è a Londra: qui Cagliostro cerca
perfino di guadagnarsi la vita onestamente disegnando pergamene, ma
con poco successo e ancor meno profitto; perciò, con la
complicità di un altro sedicente marchese, un siciliano di
nome Vivona, organizza un ricatto ai danni di un ingenuo quacchero
che, spinto ad amoreggiare dalla compiacente Lorenza, viene sorpreso
da Cagliostro che, fingendosi scandalizzato per il tradimento della
moglie, pretende che il suo onore debba essere risarcito soltanto
con un'abbondante somma di denaro. Derubato però dall'infido
complice, il Balsamo, rimasto insolvente con la padrona di casa,
deve fare la conoscenza anche delle galere londinesi; ma il ricco
sir Edward Hales, convinto da Lorenza, lo tira fuori dal carcere
pagandogli i debiti e, illudendosi che Cagliostro sia un bravo
pittore, lo incarica di decorargli alcune sale del suo castello:
naturalmente, veduti i disastrosi risultati dell'improvvisato
affrescatore, lo caccia via, senza immaginare che l'italiano, tra
una maldestra pennellata e l'altra, gli ha intanto sedotto la
figlia.
Seguendo un vecchio copione, emigrano nuovamente: imbarcati il 15
settembre 1772 per la Francia, durante il viaggio conoscono
l'avvocato francese Duplessis, amministratore dei beni della
marchesa de Prie e, sulla traccia di quello stesso copione, giunti a
Parigi e alloggiati nel palazzo de Prie, Lorenza diviene l'amante
prezzolata del Duplessis sotto lo sguardo compiaciuto del disinvolto
marito. Ma questa volta si assiste a un colpo di scena: Lorenza
sembra voler cambiar vita, sistemarsi con quell'avvocato che, oltre
a godere di notevoli rendite, appare perfino innamorato di lei.
Rompe così con Cagliostro e, se pure non convive apertamente
col Duplessis, perché una tale iniziativa, per una donna
legalmente coniugata, avrebbe costituito un reato, va però ad
abitare in un alloggio pagato dall'avvocato e, con l'approvazione
della marchesa, denuncia Cagliostro per sfruttamento della
prostituzione.
A seguito della controdenuncia del Balsamo per abbandono del tetto
coniugale, Lorenza è arrestata e passa quattro mesi nelle
carceri parigine di Sainte-Pelagie; pur di uscirne, nel giugno del
1773, ritira la denuncia e ritorna col Cagliostro. Nuovi viaggi:
Belgio, Germania, Italia, Malta, Spagna e infine, nel luglio 1776,
nuovamente a Londra.
Cagliostro massone, mago, alchimista e guaritore
Anche se adottò definitivamente il nome di Alessandro di
Cagliostro, a Londra la sua vita non mutò: entrò e
uscì dal carcere a causa di diverse truffe consumate -
predizioni sui numeri estratti nel gioco del lotto o sottrazione di
gioielli ai cui proprietari faceva credere di aumentarne il valore
grazie alle proprietà miracolose di una polvere di sua
invenzione - finché, il 12 aprile 1777 decise di iniziarsi,
insieme con la moglie, alla Massoneria, nella loggia
"L'Espérance", sita in una taverna di Soho.
Passati in Olanda, i due coniugi sono accolti a L'Aja nella loggia
L'Indissoluble; sembra che il suo lunghissimo discorso, tenuto in
una lingua in cui sono presenti parole di tutta l'Europa senza che
nessuna sia pronunciata correttamente, abbia avuto grande successo e
anche la moglie, che ora si chiama Serafina, contessa di Cagliostro,
è riconosciuta valente massone. Ma era tempo di frequentare
paesi nuovi: nel 1779 sono in Germania e poi in Curlandia, parte
dell'attuale Lettonia, nella capitale Mitau, oggi Jelgava.
Spacciatosi per colonnello spagnolo, tiene riunioni in cui fa
credere di appartenere a una società segreta, organizzata
secondo cinque livelli di elevazione spirituale, di avere e di far
avere visioni mediante l'idromanzia, di evocare spiriti, di essere
un sapiente la cui conoscenza si trovava In verbis, in herbis, in
lapidibus, nella parole, nelle erbe e nelle pietre, il motto della
sua setta. Semianalfabeta e improvvisatore, commette inevitabili
errori di gusto, come quando dichiarò di essere in grado di
soddisfare, con un sortilegio, qualunque desiderio sessuale o quando
sostenne di essere figlio di un angelo.
A San Pietroburgo viene diffidato dall'ambasciatore di Spagna a non
spacciarsi per spagnolo e un suo documento, col quale voleva
attestarsi come un Rosacroce, viene riconosciuto per falso. Si
presenta anche come taumaturgo e ha l'accortezza di non farsi pagare
dai poveri - solo dai ricchi - e se non ottiene nessuna guarigione,
si guadagna simpatia e popolarità; ma basta l'inimicizia o
l'incredulità di un potente per costringere i due italiani a
partire: e così, nel maggio 1780, Cagliostro e Lorenza sono a
Varsavia. Il massone, appassionato di alchimia, principe Adam
Pininsky, lo ospita illudendosi che Cagliostro sia in grado di
trasformare il piombo in oro: a questo scopo gli affianca il
confratello massone August Moszynsky negli esperimenti di
laboratorio. Questi pubblicherà nel 1786 un libretto
sull'esperienze alchemiche del Nostro, riferendo come Cagliostro
ottenesse l'oro dal piombo semplicemente sostituendo il recipiente
contenente il piombo con un altro eguale contenente l'oro.
A questo prevedibile infortunio si aggiunge quello scoperto ai danni
di una ragazza, da lui sessualmente molestata, con la quale si era
altresì accordato per la riuscita di altrimenti improbabili
evocazioni spiritiche. L'esperienza polacca, come consuetudine, si
conclude con la partenza improvvisa, il 26 giugno 1780, per la
Francia. A Strasburgo si accontenta di fingersi medico: se le sue
tisane a base di erbe, la cui ricetta si è conservata, si
rivelano semplici placebo, le guarigioni di cancrene ottenute
bevendo liquori sono naturalmente fantasie propalate da lui stesso,
che ottenevano tuttavia l'unico effetto che realmente gli premesse:
presentarsi al pubblico di tutta l'Europa come l'unico uomo capace
di risolvere - a pagamento - qualsiasi problema. E la sua fama
toccò il culmine proprio in quel decennio del secolo.
Il Rito Egizio
Louis René Édouard de Rohan, creato cardinale il
1º giugno 1778 da Pio VI, ricchissimo e altrettanto prodigo, di
bell'aspetto e molto galante con le donne, di piacevole e leggera
conversazione ma vanesio, di modesta cultura e di scarsa
intelligenza, era stato a lungo ambasciatore di Francia a Vienna
dove commise una grave gaffe diplomatica: descrisse l'imperatrice
Maria Teresa d'Austria come un'insopportabile ipocrita in una
lettera inviata al duca d'Aiguillon, il quale la mostrò alla
sua amante, la duchessa Du Barry, che a sua volta la fece leggere a
Maria Antonietta, figlia di Maria Teresa e prossima regina di
Francia. Così, quando Luigi XVI e Maria Antonietta salirono
sul trono francese, nel 1774, il Rohan perdette il posto di
ambasciatore ma non il consueto buonumore, dal momento che le sue
rendite continuarono ad aumentare ugualmente e le sue avventure
galanti rimasero numerose come prima.
Il cardinale, che passava buona parte dell'anno a Strasburgo, saputo
della presenza in città di Cagliostro, lo invitò a
palazzo e ne fu conquistato. Appassionato di alchimia, credette di
ravvisare in Cagliostro un maestro; ritenendolo un infallibile
medico, lo condusse con sé a Parigi perché si
prendesse cura del cugino, il maresciallo Charles de Rohan, il
quale, per sua fortuna, guarì senza dover ricorrere alle
improbabili medicine dell'italiano.
Anni dopo Cagliostro cercherà di servirsi dell'influenza del
cardinale per far legittimare dal papa, come fosse un qualsiasi
Ordine religioso, il proprio "Rito Egizio", una curiosa specie di
Ordine massonico-religioso, che egli dirà di aver fondato a
Bordeaux nel 1784.
A conclusione del solito lungo tour che doveva portarlo in
Inghilterra attraverso Napoli, Roma e la Costa Azzurra, giunto a
Bordeaux l'8 novembre 1783, in maggio si ammalò e, forse in
un delirio febbrile, come è scritto nel Compendio del suo
processo, «si vide prendere per il collo da due Persone,
strascinare e trasportare in un profondo sotterraneo. Aperta quivi
una porta, fu introdotto in un luogo delizioso come un Salone Regio,
tutto illuminato, in cui si celebrava una gran festa da molte
persone tutte vestite in abito talare, fra le quali riconobbe
diversi de' suoi Figli Massonici già morti. Credette allora
di aver finiti li guai di questo mondo e di trovarsi in Paradiso.
Gli fu presentato un Abito talare bianco, ed una Spada, fabbricata
come quella che suol rappresentarsi in mano dell'Angelo
Sterminatore. Andò innanzi ed abbagliato da una gran luce, si
prostrò e ringraziò l'Ente Supremo di averlo fatto
pervenire alla felicità; ma sentì da un'incognita voce
rispondersi: Questo è il presente che avrai; ti bisogna ancor
travagliare molto; e qui terminò la Visione».
Grazie a questa visione, che in verità sembra essere stata
inventata lì per lì a uso e consumo dell'inquisitore
che lo interrogava, Cagliostro si sarebbe convinto di avere la
missione di fondare la Massoneria di Rito Egizio - l'Egitto era
allora un paese praticamente sconosciuto e pertanto ricco di un
misterioso fascino esotico - che avrebbe dovuto assorbire ogni
altra. Si elegge Gran Cofto e crea la moglie - ora chiamata
principessa Serafina e Regina di Saba - Grande Maestra del Rito
d'adozione, cioè della Loggia riservata alle donne; fatta
risalire l'origine di tale massoneria ai profeti biblici Enoch ed
Elia, secondo una tradizione che vedeva nell'intervento di quei due
profeti la premessa a un radicale mutamento della vita, con la
successiva venuta di un "papa angelico" o dello stesso Cristo,
Cagliostro sosteneva che scopo del Rito Egizio fosse la
rigenerazione fisica e spirituale dell'uomo, il suo ritorno alla
condizione precedente alla caduta provocata dal peccato originale,
ottenuta, dal Gran Cofto e dai dodici Maestri che lo avrebbero
assistito, con ottanta giorni di attività iniziatiche.
Per i nuovi aderenti, naturalmente, i tempi per raggiungere la
perfezione sarebbero stati molto più lunghi: solo al
dodicesimo anno di appartenenza, sarebbero potuti diventare maestri
e prendersi cura dei nuovi iniziati. Ma solo lui, il Gran Cofto,
rimaneva depositario di un mysterium magnum il cui contenuto
è rimasto effettivamente avvolto nel mistero.
Con questo ambizioso programma Lorenza e Cagliostro, il quale per
l'occasione si fa chiamare conte Phenix, giungono il 20 ottobre 1784
a Lione, dove esistono numerose Logge massoniche; Cagliostro riesce
a procurarsi fra di esse i dodici maestri che gli abbisognavano
subito e, comprato un terreno nell'attuale avenue Morand, provvede a
far costruire la sede della sua Loggia, "La sagesse triomphante". I
lavori erano ancora in corso quando i due coniugi partirono per
Parigi, decisi a raggiungere il traguardo finale: il riconoscimento,
da parte della Chiesa cattolica, del suo Rito Egizio.
Giunti a Parigi il 30 gennaio 1785, prendono un alloggio nel Palais
Royal, di proprietà del duca Luigi Filippo II di
Borbone-Orléans (1747-1793), Gran Maestro della Massoneria
francese e futuro Filippo Egalité, fondano in fretta due
Logge, una per gli uomini e l'altra per le donne, entrambe
frequentate da aristocratici. Tutto sembra andare per il giusto
verso quando un evento inaspettato manda all'aria i suoi piani.
Lo scandalo della collana
È nota la vicenda passata alla storia come lo scandalo della
collana: nel 1774 il gioielliere di corte Boehmer aveva realizzato
una elaboratissima collana di diamanti, del valore di 1.600.000
livres - poco meno di cento milioni di euro - una somma che forse
solo una regina avrebbe potuto spendere, ma Maria Antonietta
rifiutò l'acquisto. A questo punto entrarono in gioco due
avventurieri, il conte e la contessa De la Motte, che organizzarono
una truffa ai danni del cardinale de Rohan, convincendolo ad
acquistarla per farne dono alla regina, riconquistandone così
la sua amicizia - e forse anche altro - perduta dopo la gaffe da lui
commessa nei confronti di Maria Teresa, madre della regina francese.
La collana, consegnata dall'inconsapevole cardinale a un complice
dei due aristocratici imbroglioni, finì nelle mani del conte
De la Motte, che cercò di venderla, smembrata, in Inghilterra
ma la truffa fu scoperta e i colpevoli arrestati: la contessa De la
Motte, per attenuare le sue responsabilità, accusò
Cagliostro di essere l'ideatore del raggiro. Arrestato con la moglie
il 22 agosto 1785, Cagliostro fu incarcerato nella Bastiglia.
Fu difeso dai migliori avvocati di Parigi, uno dei quali lo
aiutò a scrivere in francese un suo Memoriale, di fatto un
riassunto del tutto inattendibile della sua vita dalla nascita al
suo arresto. Il 31 maggio 1786 il Parlamento di Parigi riconobbe
l'innocenza dei due italiani, insieme con quella del cardinale, ma
una lettre de cachet del re ordinò loro di lasciare Parigi
entro otto giorni e la Francia entro venti; e così, il 19
giugno, Lorenza e Giuseppe s'imbarcarono da Boulogne per Dover.
Il declino
A Londra Cagliostro dovette fronteggiare una campagna di stampa
scatenata contro di lui dal Courier de l'Europe, un giornale
controllato dal governo francese, che per tre mesi rivangò il
burrascoso passato di Cagliostro e Serafina, anzi - il giornalista
Theveneau, l'autore degli articoli, era effettivamente ben informato
- di Giuseppe Balsamo e di Lorenza Feliciani, le sue origini oscure,
l'uso di molti nomi e di molti titoli, i veri e presunti imbrogli e
i non rari arresti; Cagliostro, nel novembre 1786, rispose con la
Lettera del conte di Cagliostro al popolo inglese per servire in
seguito alle sue memorie in cui ammetteva: «non sono conte,
né marchese, né capitano. La mia vera qualifica
è inferiore o superiore a quelle che mi sono state date?
È ciò che forse un giorno il pubblico saprà!
Intanto, non mi si può rimproverare d'aver fatto quel che
fanno i viaggiatori che vogliono mantenere l'anonimato. Gli stessi
motivi che mi hanno indotto ad attribuirmi vari titoli, mi hanno
condotto a cambiare più volte il mio nome [...] Nessun
registro di polizia, nessuna testimonianza, nessuna inchiesta della
polizia della Bastiglia, nessun rapporto informativo, nessuna prova
hanno potuto stabilire che io sia quel Balsamo! Nego di essere
Balsamo!».
Ma intorno a lui si va facendo il vuoto: lasciata Londra per
Hammersmith nel marzo del 1787, dà lezioni di alchimia e
subisce altri infortuni: un suo allievo sostituisce, a sua insaputa,
il metallo che Cagliostro doveva "trasmutare" con del semplice
tabacco e stranamente la trasmutazione si verifica lo stesso, con
gran scandalo dell'allievo che gli rinfaccia la truffa, mentre
intanto i suoi collaboratori massoni di Lione lo rimproverano di
spendere per sé il denaro della Loggia. È nuovamente
tempo di cambiare aria: il 5 aprile 1787, questa volta senza la
moglie, raggiunge Bienne, in Svizzera.
Mentre è ospite del banchiere Sarasin, Lorenza, che è
rimasta a Londra per liquidare i beni lì posseduti, viene
avvicinata dal giornalista del Courier de l'Europe, al quale
raccontò di maltrattamenti subiti dal marito e degli
impedimenti che lui le poneva di professare la religione cattolica.
Una volta raggiunto Cagliostro in Svizzera, Lorenza ritrattò
tutto pubblicamente ma tutto riconfermò in una lettera
spedita ai genitori, a Roma, lettera che verrà mostrata come
prova a carico di Cagliostro durante il processo.
Nello stesso periodo in cui Balsamo era in Svizzera, Goethe, nel suo
lungo viaggio in Italia, il 2 aprile sbarcava a Palermo proveniente
da Napoli; curioso di raccogliere notizie di prima mano sulle
origini del nostro famosissimo avventuriero, contattò il
barone Antonio Vivona, rappresentante legale della Francia in
Sicilia, dal quale prese visione dell'albero genealogico della
famiglia Balsamo e della «perfetta identità di
Cagliostro e Balsamo».
La testimonianza di Goethe
Goethe, che scrive di considerare Cagliostro «un
briccone» e le sue avventure delle «ciurmerie»,
volle rendere visita alla madre e alla sorella, spacciandosi per
«un inglese che doveva portare ai famigliari notizie di
Cagliostro, giunto di recente a Londra».
Johann Wolfgang von Goethe
Abitavano in una misera casa di Palermo, composta di un solo grande
locale, ma pulita, abitata dalla madre, dalla sorella di Giuseppe,
vedova, e dai suoi tre figli. La sorella si lamentò di
Giuseppe, che le doveva da anni una forte somma: da «quando
era partito in gran fretta da Palermo, ella aveva riscattato per lui
certi oggetti impegnati, ma da quel momento non si era fatto
più vivo e non le aveva mandato né denaro né
sussidi di alcun genere sebbene, a quanto si diceva, possedesse
grandi ricchezze e conducesse una vita principesca. Ella chiedeva
perciò se potevo prometterle, tornando in patria, di
rammentargli con garbo quel debito e ottenere che le concedesse un
aiuto finanziario».
Gli consegnarono una lettera per Cagliostro e, nel congedarsi, la
madre lo pregò di dire al figlio «quanto mi hanno resa
felice le notizie che Ella ci ha portato. Gli dica che lo tengo
chiuso nel mio cuore così - e a questo punto spalancò
le braccia e se le strinse al petto - che ogni giorno nelle mie
devozioni prego per lui Dio e la Santa Vergine, che gli mando la mia
benedizione, insieme a sua moglie, e che prima di morire vorrei solo
che questi occhi, che tante lacrime hanno versato per amor suo, lo
potessero rivedere». Lo invitarono a tornare a Palermo per la
festa di Santa Rosalia - «gli mostreremo ogni cosa, andremo a
sederci nel palco per ammirare meglio il corteo; e come gli
piacerà il grande carro e soprattutto la fantastica
luminaria!» e, quando fu uscito, «corsero sul balcone
della cucina che dava sulla strada, mi chiamarono e mi fecero grandi
cenni di saluto».
Goethe non li rivedrà più ma mandò poi, di sua
tasca, la somma richiesta dalla sorella, 14 once d'oro, e
pubblicò un ritratto di Cagliostro nell'opera Der
Grosskophta.
Il ritorno in Italia
Intanto Cagliostro, in Svizzera, litiga con uno degli ultimi amici
rimastigli, il pittore Loutherbourg, che lo accusa di insidiargli la
moglie; si guadagna da vivere facendo il guaritore ma l'ambiente
della cittadina svizzera è troppo angusto per lui, abituato a
ben altri palcoscenici: il 23 luglio 1788 parte con Lorenza per
Aix-les-Bains, di qui vanno a Torino ma ne vengono immediatamente
espulsi e allora si recano a Genova passando, in settembre, per
Venezia, poi per Verona e di qui nei territori imperiali,
soggiornando un mese a Rovereto per poi raggiungere la città
di Trento il 21 novembre.
A Trento è ben accolto dallo stesso principe-vescovo, Pietro
Vigilio Thun, ed egli stesso mostrò grande deferenza nei
confronti della confessione cattolica; giustificò la sua
appartenenza alla Massoneria, spiegando di non averla mai
considerata contraria alla fede religiosa e si dichiarò
pronto ad andare a Roma, purché munito di salvacondotto. E a
Roma, al cardinale Ignazio Boncompagni Ludovisi, il 25 marzo 1789
scrive il vescovo di Trento, sostenendo che Cagliostro si è
ravveduto e che la moglie «se ne vive in continui mentali
spasimi, ardendo da un canto di costì rivedere il cadente
quasi ottuagenario genitore, e dall'altro temendo che l'intollerante
consorte non torni, non esaudito, nel pristino disordine, con
evidente pericolo di perdervi l'anima». E al vescovo trentino
il cardinale rispose il 4 aprile che «non avendo il signor
Cagliostro alcun pregiudizio nello Stato Pontificio, non ha Egli
bisogno del salvacondotto».
Rassicurato da questa lettera e comunque provvisto di un
salvacondotto rilasciatogli dal vescovo Thun, oltre che di lettere
di raccomandazione indirizzate a cardinali romani, il 17 maggio
Cagliostro parte da Trento con Lorenza e dopo dieci giorni sono a
Roma.
Alloggia dapprima in una locanda di piazza di Spagna e poi presso
parenti della moglie a Campo dei Fiori. Se il suo scopo era quello
di ottenere un'udienza dal papa, non fu accontentato e si
comportò inizialmente con molta prudenza, come sapesse di
essere spiato e temesse improvvisi pericoli; pensò anche di
tornare in Francia, e a questo scopo indirizzò un Memoriale
all'Assemblea francese che fu sequestrato, non appena consegnato
alla posta, dalla gendarmeria romana.
Avvicinato un giorno da due spie del Governo pontificio, tali Matteo
Berardi e Carlo Antonini, che gli chiesero di accoglierlo nella
Massoneria, Cagliostro, senza sospettare di nulla, fece loro
compiere le cerimonie iniziatiche, violando così la norma
dello Stato pontificio che vietava, pena la morte, l'organizzazione
di società massoniche. I due iniziati, soddisfatti di quanto
avevano visto e ascoltato, sparirono prima di versare la quota di
adesione. Curiosamente, Cagliostro riuscì ad affiliare alla
Massoneria un frate cappuccino, Francesco Giuseppe da San Maurizio.
Arresto, processo e condanna di Cagliostro
In settembre, la moglie Lorenza denunciò Cagliostro al
parroco di Santa Caterina della Rota, e la denuncia venne trasmessa
il 5 dicembre al Sant'Uffizio: all'ultimo momento, Lorenza si era
rifiutata di firmarla, ma venne ugualmente acquisita; il 27 novembre
il padre di Lorenza, Giuseppe Feliciani e la spia Carlo Antonini
avevano già denunciato Cagliostro. La decisione dell'arresto
di Cagliostro - ma furono arrestati anche la moglie e fra' Giuseppe
- fu presa ai massimi livelli, dopo una riunione del papa Pio VI con
il Segretario di Stato a altri cardinali: nella notte del 27
dicembre 1789 Cagliostro viene rinchiuso in Castel Sant'Angelo,
Lorenza nel convento di Sant'Apollonia a Trastevere e il cappuccino
nel convento dell'Ara Coeli.
Le imputazioni contro Cagliostro sono gravissime: consistono
nell'esercizio dell'attività di massone, di magia, di
bestemmie contro Dio, Cristo, la Madonna, i santi, contro i culti
della religione cattolica, di lenocinio, di falso, di truffa, di
calunnia e di pubblicazione di scritti sediziosi: se provate,
comporterebbero la pena di morte. Esse sono fondate in gran parte
sulle dichiarazioni della moglie e su scritti e dichiarazioni
rilasciate nel corso degli anni da Cagliostro; la linea difensiva
dell'avvocato di Cagliostro, Carlo Costantini, consiste nel far
considerare il suo assistito un semplice ciarlatano, in modo da
eliminare tanto ogni credibilità che ogni serietà su
quanto Cagliostro avesse mai scritto e sostenuto, relativamente
almeno alle sue posizioni ideologiche, che sono quelle considerate
di maggiore gravità, dal momento che esse pongono Cagliostro
nella posizione di eresiarca; per il resto, occorre far passare
Lorenza come una prostituta, una donna immorale e pertanto
inattendibile: lei, «moglie, complice impunita e prostituta
non può sicuramente somministrare non già una prova,
ma nemmeno un indizio per aprire l'inquisizione», dal momento
che, secondo la difesa di Cagliostro, ella intenderebbe accusare il
marito per ricrearsi un'innocenza che non può appartenerle
perché, se fosse vero quanto sostiene, anch'ella sarebbe
colpevole quanto il marito.
Stabilito che gli ordinari rituali massonici sono di per sé
suscettibili dell'accusa di eresia, quelli della Massoneria Egizia
di Cagliostro sono giudicati certamente eretici e a conferma di
questo assunto, negli interrogatori Cagliostro viene trascinato in
discussioni teologiche: l'ignoranza di Cagliostro intorno alle
nozioni più elementari di catechismo finisce per aggravare,
agli occhi dei giudici del Sant'Uffizio, la sua posizione.
Consapevole della situazione disperata in cui si trova, il 14
dicembre 1790 Cagliostro scrive al papa:
« Beatissimo Padre,
Giuseppe Balsamo, proteso ai piedi della S. V., reo di essere
fondatore di una società massonica (senza però che
sapesse che sì fatte società fossero proibite dalla
Santa Sede) alla quale società diede una Costituzione non
composta da lui, ma cavata da un libro manoscritto che gli venne
alle mani in Inghilterra, sotto il nome di Giorgio Cofton, purgato
da lui, come credette da tutto ciò che vi era di cattivo, e
ben si persuadeva di averlo fatto quanto bastasse perché,
data da leggere la detta costituzione al cardinal di Rohan e
all'arcivescovo di Bourges, non fu da essi avvertito che vi fosse
dentro qualche cosa di male, ma fu soltanto dal secondo consigliato
a levarvi le due quarantene per la rigenerazione fisica e morale
come due inezie, delle quali due pratiche perciò non ne ha
mai fatto uso.
Ora, istruito dal P. Contarini che nella costituzione suddetta vi
sono cose cattive e contrarie alla S. Fede Cattolica, da lui
ritenuta mai sempre fermamente nel cuore, egli le detesta e si
protesta disposto ad abiurarle tutte nella maniera che gli
sarà imposta dal S. Tribunale, ed a subire quelle pene che
merita il suo gravissimo fallo; e pentito di vero cuore ne domanda
umilmente perdono al Signore e lo spera dalla sua infinita
misericordia, benché se ne riconosca indegno.
Indi, rivolto alla Paterna clemenza della Santità Vostra,
implora con calde lagrime pietà solamente per l'anima sua,
supplicandola di da rimedio allo scandalo gravissimo da lui dato al
Mondo, ancorché questo si debba fare con lo strazio
più crudele e pubblico della sua persona.
Della Santità Vostra indegnissimo figlio Giuseppe Balsamo
peccatore pentito. »
Il 7 aprile 1791 il Sant'Uffizio emise la sentenza:
« Giuseppe Balsamo reo confesso e respettivamente convinto di
più delitti, è incorso nelle censure e pene tutte
promulgate contro gli eretici formali, dommatizzanti, eresiarchi,
maestri e seguaci della magia superstiziosa, come pur nelle censure
e pene stabilite tanto nelle Costituzioni Apostoliche di Clemente
XII e Benedetto XIV contro quelli che in qualunque modo favoriscono
e promuovono le società e conventicole de' Liberi Muratori,
quanto nell'Editto di Segreteria di Stato contro quelli che di
ciò si rendano debitori in Roma o in alcun luogo del Dominio
Pontificio.
A titolo però di grazia speciale, gli si commuta la pena
della consegna al braccio secolare nel carcere perpetuo in una
qualche fortezza, ove dovrà essere strettamente custodito,
senza speranza di grazia. E fatta da lui l'abjura come eretico
formale nel luogo della sua attual detenzione, venga assoluto dalle
censure, ingiungendogli le dovute salutari penitenze.
Il libro manoscritto che ha per titolo Maçonnerie
Égyptienne sia solennemente condannato come contenente riti,
proposizioni, dottrina e sistema che spiana una larga strada alla
sedizione, ed è distruttivo della religion cristiana,
superstizioso, blasfemo, empio ed ereticale. E questo libro stesso
sia pubblicamente bruciato dal ministro di giustizia insieme
cogl'istromenti appartenenti alla medesima setta. Con una nuova
Costituzione Apostolica si confermeranno e rimuoveranno non meno le
Costituzioni de' Pontefici Predecessori, quanto anche l'accennato
Editto di Segreteria di Stato proibitivi delle Società e
Conventicole de' Liberi Muratori, facendosi nominatamente menzione
della Setta Egiziana, e dell'altra volgarmente chiamata degli
Illuminati, con stabilirsi contro tutti le più gravi pene
corporali e segnatamente quelle degli eretici contro chiunque o si
ascriverà o presterà a favore di tali sette. »
Il cappuccino Francesco Giuseppe di San Maurizio è condannato
a dieci anni, da scontare nel suo convento dell'Ara Coeli; Lorenza,
la cui testimonianza è stata determinante per la condanna di
Cagliostro, è assolta: rimase tuttavia per quindici anni
nello stesso convento di Sant'Apollonia. Dal 1806 fu la portinaia
del Collegio Germanico di piazza Sant'Apollinare, dove morì
d'infarto l'11 maggio 1810.
Prigionia e morte
Dopo aver abiurato il 13 aprile 1791, Cagliostro venne trasferito a
San Leo, nell'Appennino tosco-romagnolo, per esservi rinchiuso nella
storica Rocca (progettata nel XV secolo da Francesco di Giorgio
Martini per conto di Federico da Montefeltro). Vi arriva il 20
aprile e l'11 settembre viene trasferito dalla già misera
cella cui era stato assegnato, nella peggiore che si fosse potuta
ricavare: chiamata il Pozzetto, perché priva di porta - il
detenuto fu calato da una botola del soffitto - di dieci metri
quadrati, munita di una finestrella appena più larga di una
feritoia, con una triplice serie di sbarre da cui si poteva vedere a
stento un fazzoletto di cielo.
Probabilmente per impietosire e acquisirsi la nomea di pentito,
mostrò all'inizio della prigionia grande devozione, espressa
da continue preghiere e frequenti digiuni: dipinge sul muro immagini
religiose e ritrae se stesso, che si batte il petto in segno di
contrizione e tiene nell'altra mano un crocefisso; disegna anche una
Maddalena in penitenza. Ma iniziò presto a dare segni di
instabilità psichica, segnata da violente ribellioni e da
crisi mistiche, nella tremenda solitudine di quel buco oscuro ed
umido. Il mondo è tutto nella vaga immagine del guardiano che
dal soffitto gli cala il cibo due volte al giorno, nel tavolaccio
dove sta sdraiato quasi tutte le ore di un giorno che poco o nulla
si differenzia dalla notte, nella finestrella a cui a volte si
aggrappa e urla una disperazione a cui è negata ogni
pietà. Quando ha di questi sfoghi, si materializzano i
guardiani dal soffitto: scendono, e sono pugni, calci, bastonate,
grida, lamenti e pianti. Forse, gli stessi ricordi dei successi
mondani, della ricchezza pur sordidamente acquistata e facilmente
dissipata, delle celebrità frequentate, che dovevano spesso
tornargli nella mente, potevano soltanto acuire la desolazione della
presente miserabile condizione.
Dalla disperazione all'ebetudine, dalla rabbia all'apatia e alle
illusioni: nel dicembre del 1793 ottiene il permesso di scrivere al
Papa. Spera di convincerlo del suo pentimento, ma vi scrive di avere
visioni che lo fanno ritenere un santo, scelto da Dio perché
predichi al mondo la necessità di un generale ravvedimento.
Naturalmente, non viene preso sul serio e continua a dipingere, ora
immagini devote, ora blasfeme, seguendo le diverse ispirazioni della
speranza e della rabbia impotente.
Solo la morte può liberarlo dal carcere e quella, finalmente,
giunge pietosa: il 23 agosto 1795 è trovato semiparalizzato
nel suo tavolaccio. Scrive il cappellano della fortezza, fra'
Cristoforo da Cicerchia: «Restò in quello stato
apoplettico per tre giorni, ne' quali sempre apparve ostinato negli
errori suoi, non volendo sentir parlare né di penitenza
né di confessione. Infine de' quali tre giorni Dio benedetto
giustamente sdegnato contro un empio, che ne aveva arrogantemente
violate le sante leggi, lo abbandonò al suo peccato ed in
esso miseramente lo lasciò morire; esempio terribile per
tutti coloro che si abbandonano alla intemperanza de' piaceri in
questo mondo, e ai deliri della moderna filosofia. La sera del 26 fu
tolto dalla sua prigione per ordine de' suoi superiori, e fu
trasportato al ponente della spianata di questa fortezza di S. Leo,
ed ivi fu sepolto come un infedele, indegno dei suffragi di Santa
Chiesa, a cui non aveva quell'infelice voluto mai credere».
Cagliostro morì dunque il 26 agosto 1795, verso le 22,30; fu
sepolto senza cassa, nella nuda terra e senza alcuna indicazione, ma
del luogo si conservò memoria per qualche tempo: le truppe
polacche, alleate dei francesi, che nel dicembre del 1797
conquistarono senza incontrare resistenza la Rocca, liberando i
prigionieri, scoprirono anche il cadavere, dandogli forse una
più decorosa sepoltura e forse anche conservando qualche
reliquia.