BALSAMO CRIVELLI Riccardo

 

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Nato a Settimo Milanese il 20 ag. 1874 da una famiglia di piccola nobiltà, trascorse una giovinezza scapata e avventurosa, ma non priva di passioni e di contatti letterari. Nell'ambiente della torinese Gazzetta letteraria,diretta già da V. Bersezio e poi da F. L. Bolaffio, conobbe E. Thovez e G. Giacosa. Più tardi doveva legarsi di affettuosa amicizia con l'altro scrittore milanese C. Linati, del quale divenne compagno fedele di escursioni, spesso molto lunghe, compiute a piedi per le regioni d'Italia, e particolarmente per la Toscana. Vincoli di riconoscenza e di amicizia ebbe anche con B. Croce e F. Flora.

Non c'è dubbio però che l'educazione del B. alla poesia si svolse quasi completamente al di fuori dei fermenti e dei problemi, che si agitavano nei circoli letterari e culturali italiani fra Ottocento e Novecento. Dispregiatore del nuovo fin nei particolari del costume quotidiano, del vestire, del parlare, il B. affettava l'ignoranza più assoluta delle esperienze poetiche moderne. Nel contempo approfondiva sempre di più la sua conoscenza della letteratura italiana del Trecento e del Quattrocento (i secoli dei quali era innamoratissimo), fino ad impadronirsi perfettamente degli strumenti tecnici e linguistici propri di quelle età.

Quando il B., dopo lunga e paziente maturazione, si volse lui stesso alla creazione poetica, non stupisce che ricalcasse modi, temi, lessico e metri degli autori da lui prediletti. Ciò è visibile nella giovanile raccolta di Rime satiriche e burlesche (Milano 1896), specchio del suo carattere arguto e gioviale; ma lo è ancor più nella opera sua maggiore, che doveva dargli la fama e instradarlo definitivamente alle lettere, il poema giocoso in ottave, Boccaccino (Bari 1920). Tra l'una e l'altra di queste due opere trascorsero più di venti anni. Lo scrittore li spese tutti nel raffinamento sempre più squisito della sua inclinazione alla poesia e nella lentissima compilazione del suo poema: nelle confidenze con gli amici, egli affermava di aver composto per molti anni una sola ottava al giomo, limando e rilimando con molta fatica, ma anche con intimo piacere, il materiale già raccolto.

Boccaccino narra la giovinezza di Giovanni Boccaccio a Napoli, da quando lo scrittore del Trecento, ancora fanciullo, aveva dovuto lasciare la casa paterna per contrasti con la matrigna, all'episodio dell'innamoramento per Maria d'Aquino, alla conquista della donna, alla successiva delusione, alla riconquistata fiducia e serenità, dopo gli spasimi quasi tragici del sentimento. Il B. volle cogliere in questa fase della vita del Boccaccio qualche analogìa con la propria adolescenza e giovinezza. Fatto sta che nel poema non mancano i toni affettuosi e sentiti (particolarmente ricordati sono i brani del contrasto tra Giovanni e la matrigna e del primo incontro amoroso fra il poeta e Maria d'Aquino); anche se il più delle volte il lettore rimane colpito e sopraffatto dalla monotonia incessante delle ottave, che si snodano l'una dietro l'altra, tutte egregiamente cesellate e finite, tutte in sé e per sé gustose ed efficaci, ma nel complesso irrimediabilmente piatte e deludenti. La perizia tecnica dello scrittore è notevole; i modelli (che qui sono Boiardo e Pulci e Berni, e gli scrittori dei cantari trecenteschi) vengono arieggiati con innegabile disinvoltura e, quasi sempre, con sobrio buon gusto; il B. stesso non manca di sensibilità e di affetti genuini: eppure tutto ciò non impedisce che il proposito (in partenza assurdo, a pensarci bene, e impossibile a realizzarsi) di ricollegare direttamente la creazione poetica del Novecento a quella delle origini, scavalcando non solo il futurismo e l'ermetismo, ma anche D'Annunzio, Pascoli, Carducci, e il romanticismo, e tutto il resto, produca un frutto inequivocabilmente artificiale, su cui grava un sospetto d'inutilità.

Al Boccaccino è collegato, nonostante i caratteri arcaicizzanti dell'opera, un episodio del dibattito critico del Novecento. È noto, infatti, che l'opera venne pubblicata dalla casa editrice Laterza per indicazione di B. Croce, che l'aveva letta manoscritta, e che più tardi diede sul B. un giudizio assai più lusinghiero di quanti altri si pronunciarono nei suoi confronti negli stessi anni. Potrebbe apparire strana questa predilezione del grande pensatore per il chiuso misoneista, rifacitore di modi antichi e di temi sorpassati. In realtà il giudizio del Croce si colloca coerentemente all'interno della valutazione negativa che egli diede di tutta o quasi tutta la poesia postcarducciana. L'opera del B. gli serviva infatti a dimostrare che i moduli della poesia decadente non erano necessariamente gli unici che il Novecento potesse da sé generare, e, nello stesso tempo, comprovava la possibilità che una poesia potesse manifestarsi libera e sovrana, per forza propria autogenerantesi, indipendentemente da tutte le condizioni (strutturali, linguistiche, ideali) imposte da una determinata età.

La benevola approvazione del Croce permise comunque al B. di superare molti degli ostacoli, editoriali e letterari, frapposti alla sua tardiva entrata nel mondo della poesia. Dal 1920 fino alla sua morte il B. pubblicò un numero grandissimo di raccolte poetiche, di romanzi, racconti, novelle, descrizioni di viaggi, rivelandosi di una fecondità insospettata.

Nel Rossin di Maremma (Milano 1922) apparvero alcune belle liriche in morte della madre e della sorella; nella Fiaba di Calugino (Bari 1925) il B. tentò la strada dell'autobiografia allegorizzata; nel Poema di Gesù (ibid. 1928), quella della sacra rappresentazione medievale, nella quale riuscì più artificioso che nei poemi giocosi popolareschi; in Vocialte e fioche (ibid. 1937) trovò accenti di più intima tristezza, non del tutto discordanti dalla sua natura, allegra sì, ma anche riflessiva e, come vedremo, tendente talvolta al pessimismo. Altre raccolte poetiche: La canzone del fiume,Milano 1932; Avele ammainate,ibid. 1934.

Quasi nessuno dei molti romanzi e racconti del B. (fra i tanti: La bella brigata,Milano 1926; La chioccia - Il rudero,ibid. 1928; Vengan quattrini,ibid. 1929; Putacaso,ibid. 1931; Postumi: Scommetto il ciuco, ibid. 1939; La pietra al collo,ibid. 1946) raggiunge l'eccellenza di alcune fra le sue pagine dì poesia. Nella prosa egli fu spesso sciatto ed affrettato, quanto accurato e puntiglioso nella poesia. Basti dire che la maggior parte di questa produzione è dovuta a motivi di ordine commerciale, ai quali il B. dovette cedere per le disagiate condizioni economiche soprattutto nell'ultima parte della sua vita. Non mancano neanche in queste opere narrative brani di una certa efficace originalità: sono in genere quelli in cui lo scrittore riesce a fondere, in descrizioni di un dolce-amaro umorismo, gli impulsi del suo carattere allegro e bizzarro con quelli apparentemente contrastanti di una visione pessimistica della realtà e del destino dell'uomo.

Più freschi e spontanei i suoi ricordi di viaggio (Cammina... Cammina...,Milano 1926; Asalti e sbrizzi,ibid. 1929), nei quali riversa il suo grande amore per la terra e la storia d'Italia, di cui s'è già detto a proposito dei vagabondaggi compiuti con il Linati.

Al B. si debbono inoltre libri per ragazzi, traduzioni dal francese ed edizioni di classici italiani.

Morì a Bordighera il 31 dic. 1938.