www.sapere.it
Gerarca del fascismo e aviatore italiano (Quartesana, Ferrara, 1896-Tobruch 1940).
Valoroso ufficiale nella prima guerra mondiale, fu tra i fondatori dell'Associazione Nazionale Alpini. Approdò al fascismo nel 1921, dopo la laurea in scienze politiche conseguita a Firenze. Esponente del fascismo agrario, organizzò l'azione squadristica in Emilia facendo saltare il patto di pacificazione raggiunto da Mussolini con i socialisti. Nell'ottobre 1922 fu quadrumviro della marcia su Roma e, successivamente, comandante generale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale.
Sottosegretario all'Economia Nazionale, nel novembre 1926 approdò all'Aeronautica come sottosegretario e poi ministro (1929-33) e lanciò un programma organico di potenziamento, di cui le crociere collettive (celebre quella del Nord Atlantico del 1933) restano l'aspetto più spettacolare. La sua popolarità suscitò l'invidia del Duce, che lo rimosse dall'incarico di ministro promuovendolo maresciallo dell'aria e nominandolo governatore della Libia.
Moderato, si oppose alle leggi razziali, all'alleanza con i Tedeschi e all'entrata nella seconda guerra mondiale.
Morì il 28 giugno 1940 quando il suo aereo fu abbattuto per errore nel cielo di Tobruch dall'artiglieria antiaerea italiana.
www.treccani.it
DBI
di Aldo Berselli
Nacque a Quartesana (Ferrara) il 6 giugno 1896, da
famiglia di piccola borghesia: il padre, Camillo, era direttore
didattico e liberale moderato. Avviato agli studi ginnasiali, il B.
non fu mai uno studente regolare e disciplinato; la sua formazione
fu dovuta soprattutto alle suggestioni che gli venivano da letture
disordinate, dall'ambiente familiare (il fratello Fausto era
fervente mazziniano, l'altro fratello Edmondo sindacalista
rivoluzionario), e ai contatti che ebbe da adolescente con ambienti
rivoluzionari e repubblicani della Ferrara del tempo, tra cui, in
prima linea, il caffè Milano. Qui conobbe il gen. Ricciotti
Garibaldi, Antonio Giusquiano, Felice Albani, e fu attratto dalle
idee mazziniane; si iscrisse al partito repubblicano e più
tardi entrò nella massoneria. Nel 1910, avuta notizia della
spedizione progettata dal gen. Garibaldi per liberare gli Albanesi
dal giogo ottomano, partì volontario, fuggendo di casa, e
raggiunse un centro delle Marche donde doveva muovere la colonna
liberatrice. Ma la spedizione, come è noto, non ebbe luogo.
Nel 1911 scriveva sulla Voce Mazziniana,foglio ravennate fondato dal
Giusquiano; in seguito collaborò a La Provincia di
Ferrara,giornale democratico radicale ch'eglì
contribuirà poi a sopprimere nel 1922, e a La
Raffica,periodico sindacalista che vide per pochissimi numeri la
luce nel 1913 in Ferrara. Nel 1913, insieme a Giuseppe Ravegnani,
fondò la rivista letteraria Vere Novo:le sue preferenze
letterarie gli fanno giudicare D'Annunzio decadente e il Pascoli
sdolcinato e temperamento quasi femmineo; è attratto dal
Carducci delle Odi Barbare e dai classici. Intanto era alla testa di
tutte le agitazioni studentesche e spesso prendeva la parola in
occasione di manifestazioni irredentistiche. Era, com'egli scrisse,
"un figlio del secolo che ci aveva fatti tutti democratici
anticlericali e repubblicaneggianti; antiaustriaci e irredentisti
esasperati in odio all'Asburgo tiranno, bigotto e forcaiolo"
(Diario1922,p. 26).
Essendo distratto, a causa di questa attività, dagli studi,
il B. fu inviato dal padre a. San Marino, ove conseguì la
licenza liceale nell'estate del 1914. Di nuovo libero, prese parte
attiva alle grandi manifestazioni del tempo: raggiungeva spesso
Milano per presenziare ai comizi irredentisti e colà ebbe il
primo incontro con Mussolini, iniziando, su invito di S. Giuliani,
la collaborazione al Popolo d'Italia con un veemente articolo in
memoria di Oberdan.
Scoppiata la guerra, si arruolò volontario; sottotenente
degli alpini, fu in prima linea sugli Altipiani. Nell'autunno 1917
seguì un corso di pilota a Torino, interrotto dalle vicende
di Caporetto. Nel gennaio 1918 assunse il comando del reparto arditi
del battaglione "Pieve di Cadore" e combatté fino all'ultima
azione sul Grappa, guadagnando due medaglie d'argento e una di
bronzo. Ancora ufficiale mobilitato s'interessò a
L'Alpino,settimanale nato a Udine il 24 ag. 1919; dopo i primi
numeri, ne assunse la direzione, gli impresse un'intonazione
"combattentistica", iniziando una violenta battaglia contro i
socialisti e l'Avanti!,pubblicò un caldo appello a sostegno
dell'impresa di Fiume, nonostante le sue precedenti scarse simpatie
per D'Annunzio, e contro i "rinunciatari" (21 sett. 1919),
invitò infine gli alpini a partecipare alla lotta elettorale
del '19 per combattere gli antimilitaristi.
Con la smobilitazione raggiunse Firenze, ove condusse a termine gli
studi universitari laureandosi, nell'ottobre del 1920, in scienze
sociali presso l'istituto Cesare Alfieri, con una tesi su "Il
pensiero economico e sociale di Mazzini".
Il Mazzini è sempre al centro del suo interesse: a lui egli
chiede ancora la chiave per risolvere quel problema politico-sociale
che confusamente sente urgente. È interessante anche
ricordare una sua dissertazione orale (tesina), in cui sostenne che
la Società delle Nazioni sarebbe stata non strumento di pace
e di giustizia, bensì di nuove prepotenze e di rinnovate
ingiustizie, provocatrici di nuove guerre.
Tornato a Ferrara nel dicembre dello stesso anno, si diede anima e
corpo alla lotta politica, pur senza un orientamento ben definito,
desideroso però di "una, rivoluzione a qualunque costo". Il
campo di lotta del B., portato per istinto all'azione e alla
violenza, ancora "ardito", dopo l'"eccidio estense" (20 dic. 1920),
diventò inevitabilmente quello contro i "sovversivi" della
città e della campagna: entrato nel Fascio locale, sfruttando
l'esperienza militare di ex-ufficiale degli arditi, guidò le
prime "spedizioni punitive", a Porotto, San Biagio, Denore, ecc. Fu
tra i fondatori e i redattori del Balilla,settimanale del Fascio
ferrarese di combattimento, al quale collaborò con articoli
firmati "Fantasio", nei quali sostenne, in omaggio al "programma di
lotta contro tutti i parassiti", la necessità di spazzar via
"i disertori della vita",... i cosiddetti borghesi", cioè
coloro che "con i rotondi capitali di papà, quale solida
garanzia per l'avvenire",... sorridono con commiserazione dei nostri
entusiasmi" (Snobs, in Balilla, 6 febbr. 1921). Il 13 febbraio era
eletto segretario politico del Fascio ferrarese, e il 12 giugno
segretario provinciale. In questo periodo incominciarono anche le
grosse spedizioni armate a largo raggio: Bologna, Parma, Rovigo,
Ravenna, Venezia, Modena. La cosiddetta "marcia su Ravenna", in
occasione del centenario dantesco, che vide la mobilitazione di
tremila uomini militarmente inquadrati, fu un primo esperimento di
manovrare grandi gruppi come reparti d'esercito e fece intravedere
al B. gli sviluppi futuri di una simile organizzazione, anche al
fine di una conquista violenta del potere.
Il fascismo ferrarese del B., come quello degli altri capi (poi
chiamati "ras") del "quadrilatero" (Ferrara, Mantova, Bologna,
Modena), ha la propria forza nelle campagne, nella reazione
antisocialista della borghesia agraria, è, come si suol dire,
"agrario" e assume un atteggiamento di opposizione anche allo stesso
Mussolini. Per il B. e per i fascisti del Balilla,dall'"eccidio
estense" è incominciata la seconda fase del fascismo che da
"aristocrazia" si è trasformato in "democrazia", è
diventato "popolo e massa", si oppone a Mussolini e al fascismo
delle città (Milano, Roma, Genova) rimasto alla fase
"aristocratica", ha scritto sul suo labaro il motto "usque ad finem"
e vuole la distruzione dell'avversario (v. Balilla,28 ag. 1921).
Contro il patto di pacificazione stipulato da Mussolini nell'estate
del 1921 la ribellione è aperta: l'accordo social-fascista
è respinto decisamente in un ordine del giorno sostenuto
anche dal B. e approvato all'unanimità in una riunione tenuta
a Bologna, il 16 agosto, con la partecipazione dei rappresentanti
dei Fasci emiliani è romagnoli.
Il movimento fascista capeggiato dal B., avverso, almeno fino alla
fine del 1921, anche alla trasformazione del movimento stesso in
partito, è rivoluzionario, repubblicano e antiparlamentare.
Il B. continua le sue numerose, ininterrotte "spedizioni punitive",
fra le quali è da ricordare quella che portò
all'incendio e alla distruzione, a Ravenna, dei vasti locali della
Confederazione provinciale delle cooperative socialiste guidate da
Nullo Baldini, base della forza socialista della regione. Egli
è ormai deciso a colpire a morte il movimento sindacale
libero, secondando i fini degli agrari della sua provincia e delle
altre provincie emiliane; tuttavia sembra volere che il fascismo
diventi un movimento di popolo, fondato su una piattaforma
sindacale, e che rappresenti tutte le classi. Per attrarre nella
propria orbita le classi proletarie si occupa, infatti, anche
dell'organizzazione sindacale, affidandone a Ferrara l'incarico a
Edmondo Rossoni. Nel convegno di Bologna (24-25 genn. 1922) sostiene
che l'organismo sindacale, sorto per iniziativa dei Fasci, debba
accogliere nel suo seno tutti i sindacati nazionali, anche se fuori
del partito, e debba assolutamente rimanere indipendente dal partito
stesso. Il 12 maggio 1922, concentra a Ferrara 63.000 rurali della
provincia proclamando lo "sciopero fascista"; la vita della
città è paralizzata e la smobilitazione avviene solo
la mattina del 15, allorché una delegazione di fascisti,
tornata da Roma, assicura che il governo ha accolto tutte le domande
avanzate e che il programma di lavori pubblici, interessante le
varie zone della provincia, verrà subito messo in esecuzione.
Il programma sindacale del B. però resta ancorato agli
interessi degli agrari, pur con qualche giustificazione e
velleità sociale dovute alle sue origini repubblicane. La
mobilitazione dei rurali è compiuta in concorrenza e per
indebolire le organizzazioni socialiste e le leghe bianche, mentre i
fini del movimento non toccano la sostanza delle questioni sociali
della valle padana. Indice sintomatico, lo sbocco delle richieste
verso le opere pubbliche più che verso un nuovo ordinamento
del lavoro nei campi. L'assalto degli squadristi alla sede delle
cooperative socialiste a Ravenna e lo "sciopero" di Ferrara non sono
che due facce della medesima realtà.
Ma il B. è soprattutto l'organizzatore militare delle forze
fasciste. Nei primi giorni del 1922, a Oneglia, insieme col generale
S. Gandolfo, con U. Igliori e D. Perrone Compagni aveva gettato le
basi della trasformazione delle squadre nella milizia fascista e
suddiviso le zone di comando: il B. ebbe la parte più
importante, cioè quella comprendente l'Emilia, la Romagna, il
Mantovano, le Marche, il Veneto, il Trentino, l'Istria e Zara. In
veste di ispettore, appunto, il 5 marzo 1922 si recava, per incarico
del partito, a Fiume, ove il 3 marzo - in seguito a luttuosi
incidenti - il governo presieduto da R. Zanella era stato costretto
a cedere a un colpo di mano di elementi fascisti, ex-legionari e
repubblicani. Con l'allontanamento dello Zanella, rifugiatosi in
territorio iugoslavo, seguito da molti esponenti della maggioranza
dell'Assemblea costituente, si era costituito un Comitato di difesa
nazionale, al quale il B. fu tosto aggregato. Caduta per
l'opposizione del governo italiano la proposta di affidare i poteri
a G. Giuriati, il comitato di difesa intendeva indire un plebiscito,
quando il 15 marzo un consiglio militare, emanazione degli ambienti
legionari e nazionalisti, impediva ogni ulteriore attività al
Comitato di difesa. Il B., visto il mutamento della situazione, in
cui non restava ai fascisti più nulla da fare, sospendeva
l'organizzazione di una spedizione di questi ultimi che avrebbero
dovuto riunirsi a Ravenna e imbarcarsi a Porto Garibaldi per Fiume,
e il 16 lasciava la città. Era sfumata l'occasione per il B.
e per i fascisti di presentarsi a Fiume come difensori del
patriottismo ed eredi dell'impresa dannunziana: il B. tornava a
Ferrara all'organizzazione paramilitare delle squadre d'azione,
conservando anche in seguito una decisa sfiducia nei nazionalisti ed
una chiara avversione alla fusione con loro, accettata poi da
Mussolini.
Con l'aumentare e l'ingrossare delle squadre, si manifestò la
necessità di dare loro quella omogeneità
indispensabile per il caso in cui esse dovessero ubbidire ad un
unico comando; e quest'opera di unificazione e centralizzazione
apparve urgente quando, in occasione della mobilitazione per lo
"sciopero legalitario" dell'agosto 1922, si verificarono ritardi
nelle trasmissioni di ordini, dispersione di forze, iniziative
dannose. In una riunione del Consiglio centrale del partito a Milano
(13 agosto), pochi giorni dopo il fallimento dello sciopero stesso,
il B. insistette sulla necessità di coordinare le forze e di
attuare una disciplina e un ordinamento definitivo delle squadre di
combattimento, denunciò l'insufficienza degli ispettori di
zona e presentò un ordine del giorno, appoggiato anche da M.
Bianchi, per l'istituzione di un organo direttivo centrale. Accolta
la proposta, fu decisa la costituzione di un Comando supremo delle
squadre, al quale venne commessa la compilazione di un regolamento
di disciplina e delle norme per l'impiego delle squadre stesse.
L'indomani, in un lungo colloquio con De Bono e con De Vecchi, il B.
decise di convocare una nuova riunione a Torre Pellice per dare "un
severo ordinamento disciplinare" al nuovo organismo militare da lui
considerato sin d'allora strumento di conquista del potere. Non
poté però recarsi, come De Bono e De Vecchi, a Torre
Pellice il 15 settembre: restò invece a Ferrara a mettere a
punto le sue forze per la grande adunata di Udine (20 settembre).
D'accordo con Mussolini, intanto, pensava ad un'azione radicale
contro Parma. Questa città, "rimasta quasi impermeabile al
fascismo", com'egli scrive (Diario 1922, p. 115), aveva nei primi
giorni d'agosto dimostrato di voler resistere ad oltranza,
organizzata e armata, all'imposizione fascista. Il B., convinto che
la partita che stava per giuocare superava come importanza tutte le
precedenti, aveva mobilitato, il 4 agosto, le squadre delle province
vicine, aveva sviluppato una vera azione militare, senza riuscire a
vincere le resistenze delle forze antifasciste, asserragliate
nell'Oltretorrente, il quartiere popolare. Ora, in settembre, anche
in seguito a preoccupazioni manifestategli da Mussolini, avvertendo
il rischio per i fascisti di restare "imbottigliati proprio nel
cuore della valle padana" (Diario 1922, p. 158), propose
all'adunanza della Direzione del partito (Roma, 29 settembre)
un'azione in grande stile per eliminare l'organizzazione
"sovversiva" e occupare l'Oltretorrente con forze adeguate prima di
procedere a qualsiasi movimento fascista di larga portata in Italia.
Il B. si recava il 7 ottobre a Borgo San Donnino a studiare da
vicino i particolari dell'operazione, ma l'11 ottobre un ordine
improvviso lo chiamava a Milano, ove il 16 in una riunione dei capi
fascisti veniva deciso quel movimento insurrezionale, nella cui
effettuazione egli ebbe un peso decisivo.
Mentre De Vecchi e De Bono ritenevano le forze fasciste impreparate,
il B., garantendo il perfetto inquadramento e l'efficienza, anche
dal punto di vista degli armamenti, delle legioni dell'Emilia e
della Toscana, propose, appoggiato da M. Bianchi, di agire
immediatamente. Il 18 ottobre a Bologna il B. studiava
minuziosamente con De Vecchi e De Bono i piani dell'insurrezione: il
24 era a Napoli con i suoi fedeli; nella sera prendeva parte alla
riunione (che verbalizzò in pochi appunti) nella quale
Mussolini comunicava il piano d'azione e, per quel che lo
riguardava, voleva che si procedesse alla mobilitazione immediata.
Il 27 era a Perugia, al "quartier generale" (albergo Brufani), e vi
restava, salvo una rapida escursione a Firenze, fino all'indomani,
allorché, nell'incertezza della situazione, dietro preghiera
di De Bono e De Vecchi, decideva di partire per Roma, non senza
prima aver firmato un foglio proposto da De Bono nel quale i
quadrumviri, depositari di tutti i poteri del Partito e della
Milizia, si impegnavano a non posare le armi fino al giorno in cui
non si fosse giunti ad un governo fascista presieduto da Mussolini.
Compiuta la sua missione a Roma - missione sulla cui natura non si
hanno precise notizie ma che pare sostanzialmente una presa di
contatti con elementi amici nella capitale - il 28, ripartì
la notte stessa per Perugia e raggiunse il quartiere generale. Qui
il 29 giungeva la notizia che il re aveva dato a Mussolini
l'incarico di formare il governo. L'indomani, mentre le colonne
fasciste radunate nell'Umbria si dirigevano verso la capitale,
ritornò a Roma.
Dopo l'insediamento fascista al governo, il B. ritornò a
Ferrara, dove fondò nel 1923 Il Corriere Padano che diresse
per qualche tempo conferendogli la solita impronta personale, che
talvolta era anche di fronda, continuata poi anche dal suo
successore Nello Quilici. Nello stesso anno, comandante generale
interinale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, in
sostituzione del De Bono, esponeva in un discorso, tenuto a Milano
il 21 aprile, le ragioni dello squadrismo e della sua trasformazione
in milizia. Continuava però a rappresentare l'estremismo e
l'illegalismo fascista. Nel clima di caccia all'avversario, da lui
ancora promosso nel Ferrarese, fu preparata dai fascisti locali
l'aggressione che portò all'uccisione di don Giovanni Minzoni
ad Argenta (23 ag. 1923). Della aggressione il B. era stato ritenuto
dagli avversari politici il responsabile morale; l'accusa di
responsabilità fu sostanzialmente rimossa dalla sentenza del
processo, da lui intentato nel 1924 contro La Voce Repubblicana,per
diffamazione, sentenza che pure assolveva il giornale repubblicano
dall'intento diffamatorio. Il contenuto della sentenza era
riconfermato dalla Corte d'Assise di Ferrara nel nuovo procedimento
contro i presunti autori del delitto nel 1947 (cfr. Querele e
sentenze intorno al processo per gli uccisori di Don Minzoni,
1925-1953, Ferrara s. d.). Il B. tuttavia nel 1924 era stato
egualmente costretto a dimettersi dal comando generale della
Milizia, poiché nel novembre di quell'anno era stata diffusa
dalla stampa non fascista, durante lo svolgimento del processo
contro La Voce repubblicana,una sua lettera scritta l'anno
precedente al Beltrani, segretario della Federazione provinciale
fascista di Ferrara, nella quale il B. ordinava ai suoi gregari
ferraresi bandi e bastonature "di stile". A Ferrara però fu
accolto dai suoi fascisti come un trionfatore e continuò
anche a godere, in realtà, della solidarietà e
dell'appoggio di Mussolini; venne nominato, infatti, sottosegretario
di stato all'Economia Nazionale.
Dal 1926 al 1929 ricoprì l'incarico di sottosegretario prima,
e poi, dal 1929 al 1933, di ministro dell'Aeronautica. Già
nel 1923, in seguito alla decisione del Gran Consiglio, aveva dato
le dimissioni dalla massoneria insieme con G. Acerbo, A. Dudan, C.
Rossi e A. Torre.
Intanto il B. aveva abbandonato il suo estremismo fascista quasi
volgendosi ad una "evoluzione filocostituzionale" (L.
Salvatorelli-G. Mira, Storia d'Italia nel periodo fascista,Torino
1956, p. 479).
L'opera del B. nel settore aeronautico fu iniziata e condotta
innanzi con un entusiasmo derivante dal suo carattere, desideroso di
affermarsi in nuovi campi, quasi come evasione all'incasellamento
burocratico nella vita del partito e dell'amministrazione.
Inserendosi abilmente nella tradizione di pionierismo aeronautico,
aperta da G. Douhet prima, con le sue contrastate teorie sulla
guerra aerea, e dal F. De Pinedo poi, con le sue trasvolate, il B.
si dedicò allo studio della tecnica e dell'impiego, civile e
militare, dell'aviazione, tenendo conto delle esperienze compiute
all'estero, e parallelamente compì esperimenti di grandi
azioni aeree di massa. Guidò personalmente lunghe crociere di
squadre di velivoli che, oltre ai risultati tecnici, offrivano
l'occasione di compiere opera di propaganda dell'Italia fascista
all'estero: maggiore risonanza ebbero nel 1928 una crociera nel
Mediterraneo occidentale con 61 idrovolanti da ricognizione ed una
crociera nell'Europa settentrionale fino a Berlino e Londra con 24
apparecchi da caccia terrestre; nel 1929 due crociere di massa a
grande distanza nel Mediterraneo orientale; nel dicembre 1930 la
prima crociera atlantica con meta Rio de Janeiro, nella primavera
del 1933 la seconda con meta Chicago. Al termine di questa seconda
il B., che già aveva il grado di generale di squadra (10 ag.
1929), venne nominato maresciallo dell'aria. Ma la sua politica
militare, richiedente un maggiore impulso all'aeronautica rispetto
alle altre forze armate, "posto il carattere prevalentemente aereo
della guerra futura", incontrava resistenze nei critici
tecnico-militari che il B. riteneva ancorati al passato. Nel 1933 il
bilancio dell'aeronautica venne ridotto e il B., ormai in posizione
critica rispetto all'organizzazione offensiva e difensiva del paese,
fu dimesso dal posto di ministro.
Nel gennaio 1934 il B. venne nominato governatore della Libia, al
posto di Badoglio. Anche nella nuova carica il B. svolse un'opera
instancabile per lo sviluppo civile, economico e militare della
colonia. Fece costruire in un anno (dal 1935 al 1936) la strada
litoranea libica che si stende per 1820 km dalla Tunisia all'Egitto;
diede ulteriore sviluppo anche a imprese archeologiche, a Leptis
Magna, e a Sabratha. Riordinò l'Ente per la colonizzazione
della Cirenaica, estendendone il campo d'azione alla Tripolitania,
togliendo di mezzo impacci e sovrastrutture, e chiamando a
collaborare, con identici intenti, l'Istituto Nazionale della
Previdenza Sociale, con lo scopo di preparare così le basi
per realizzare un nuovo tipo di "colonizzazione demografica
intensiva" che doveva rìspondere, oltre che a criteri di
economia agraria, a necessità politiche, militari e sociali.
Suo obiettivo, infatti, era anche la definizione della Libia quale
"parte integrante dei territorio nazionale", novus ordo che si
sarebbe dovuto basare sull'immigrazione di grandi masse di italiani
e sulla concessione della cittadinanza italiana ai nativi. Migliaia
di famiglie contadine (venete, romagnole, lombarde) partirono da
Genova e da Napoli, fra il 1938 e il 1939, avviate verso la "quarta
sponda" e accolte in villaggi già preparati. Con decreto del
9 genn. 1939 veniva concessa ai musulmani la "cittadinanza speciale
italiana".
In questi anni intanto si andava accentuando un nuovo
"dissidentismo" del B., che pur fino al 1934 circa aveva, per quel
che concerne la politica estera, interpretato le idee di Mussolini.
Nel 1927 a Londra aveva riaffermato l'inalterabile amicizia
italo-inglese; nel 1930 a Genova aveva tenuto un bellicoso discorso
antifrancese; nel 1932 aveva scritto sul Popolo d'Italia contro la
Società delle Nazioni. Aveva avuto rapporti con ambienti
militari spagnoli, specie dell'aeronautica, ostili alla repubblica;
nel 1932 aveva curato la spedizione di armi e munizioni destinati
agli insorti capeggiati dal gen. J. Sanjurio; nel marzo del 1934 era
stato presente ad un colloquio fra Mussolini e i capi della
Comunión Tradicionalista e dell'Acción
Española, colloquio nel quale furono promessi aiuti di armi e
denaro per un rovesciamento del regime. Ora, invece, l'opposizione
alla politica di Mussolini si faceva sempre più manifesta e
palese. La sua ostilità si appuntava soprattutto su due fatti
capitali: la politica dell'"asse" e i provvedimenti antisemiti.
Circa l'alleanza con la Germania nazista manifestò in
più occasioni la propria opposizione, anche con Ciano, che
peraltro lo teneva in dispregio sospettando in lui l'ambizione di
voler essere il deuteragonista e il successore di Mussolini.
Ugualmente aperto fu l'atteggiamento del B. in difesa degli ebrei,
tanto che in taluni ambienti fu ritenuto un "semitofilo". Egli aveva
avuto nel 1922 aiuti da parte degli ebrei ferraresi ed era amico di
molti ebrei che detenevano posizioni economiche e
politico-amministrative importanti nella sua città. Nel 1934
il Corriere Padano,polemizzando con il Tevere,aveva affermato: "una
questione ebraica in Italia non esiste, il Tevere la vuol far
nascere per forza". Più tardi, in occasione della visita del
re in Libia, sollevando il problema dei ventilati provvedimenti
antisemiti, aveva esortato a non imitare i Tedeschi; nel giugno del
1938 aveva espresso con Ciano lo stesso punto di vista. Ma fu
soprattutto nella seduta del Gran Consiglio del fascismo del 6
ottobre che il B. si oppose ai provvedimenti razziali, non solo per
discriminare tutti gli ebrei decorati di croce al merito di guerra,
ma anche per ottenere l'ammissione alle scuole dei bambini ebrei.
Approvata la legge, il B. aiutò generosamente gli ebrei che
erano stati suoi collaboratori.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale il B. era favorevole ad
una politica di neutralità filo-occidentale. Entrata l'Italia
in guerra, tuttavia, si impegnò per un esito vittorioso della
lotta: assunto il comando di tutte le forze armate della Libia,
avanzò insistenti richieste, ufficiali e personali, per
ottenere mezzi adeguati di difesa e di offesa, ma i suoi appelli
rimasero inascoltati. Cadde nel cielo di Tobruk, colpito per errore
dall'antiaerea italiana, il 28 giugno 1940.
Dopo la sua morte circolò la voce che l'aereo del B. fosse
stato abbattuto per sabotaggio: in realtà, anche da
accertamenti ufficiali, risultò che si trattava di un vero
errore. Mussolini nominò anche una commissione d'inchiesta
per appurare se corrispondesse a verità l'accusa che il B.
avesse accumulato enormi ricchezze: l'esito dell'indagine fu
negativo.wikipedia