Michail Aleksandrovič Bakunin

 

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Michail Bakunin Michail Aleksandrovi? Bakunin (Tver, 30 maggio 1814 - Berna, 1 luglio 1876), grande rivoluzionario e pensatore russo, è considerato uno dei padri fondatori dell'anarchismo moderno. È autore di molti scritti, tra i quali Stato e Anarchia e L'impero germanico.

Biografia

«Dobbiamo prendere possesso della nostra epoca col nostro pensiero. Al pensatore e al poeta è dato d’anticipare il futuro e di edificare un nuovo mondo di libertà e di bellezza sulla dissoluzione putrida e caotica che ci circonda» (Bakunin, Annali franco-tedeschi, febbraio 1844)

La gioventù

Mikhail Bakunin nacque nel piccolo villaggio di Prjamuchino, vicino Tver, il 30 maggio 1814. Figlio di nobili proprietari terrieri, Bakunin frequentò in gioventù la scuola di artiglieria di San Pietroburgo. Completò i suoi studi nel 1832 e due anni dopo fu nominato giovane ufficiale della Guardia Imperiale Russa, così fu mandato a Minsk e Goradnia (ex Lituania, oggi Bielorussia). Quella stessa estate, Michail fu coinvolto in una disputa familiare.

Nel 1835 si trasferì a Mosca per studiare filosofia, passione che coltivò proficuamente anche a Dresda, si appassionò di filosofia e in particolare agli scritti di Fichte, Schelling ed Hegel. Durante gli anni 1839-1840 conobbe Aleksandr Herzen e Nikolái Ogariov, poi anche Visarión Belinski. Nel 1842 raggiunse la Germania, entrando in contatto con i giovani leader del movimento socialista di Berlino.

Il periodo parigino

Dalla Germania raggiunse Parigi nel 1844, dove incontrò Marx, che Venturi ne Il populismo russo descrive in questo modo: «Bakunin era particolarmente vicino allora a quel gruppo che negli ultimi mesi del 1844 stava tentando di trasformare il foglio tedesco pubblicato a Parigi, Worwarts, in un organo del socialismo emigrato, al gruppo cioè di Ruge, Marx, Herweg, Heine. Ma anche nell'atmosfera di quell'ambiente sentì qualcosa che gli impediva di parteciparvi con tutto l'animo. Vi trovava quella costrizione, quell'artificiosità che non gli aveva permesso di accettare l'utopia di Weitling.»

A proposito dell'incontro con i comunisti emigrati a Parigi scrive Bakunin: «Questi signori sono estranei alle esigenze fondamentali della dignità e della libertà umana. Non è forse una cosa triste? ... I comunisti francesi, da questo punto di vista, sono più progressivi, più umani, orgogliosi e liberi, essi sono pieni di dignità e d'amor proprio e perciò apprezzano anche la libertà e la dignità degli altri».

Nel 1844, con Marx, Feuerbach e Ruge (di cui diverrà intimo amico) fondò il giornale Deutsch-Französische Jahrbücher.

Parigi è una città ricca di fermenti culturali e politici, nella stessa capitale parigina ebbe contatti con diversi intellettuali, tra cui Engels, Cabet, il pubblicista tedesco Heinrich Bornstein (fondatore del Vorwarts, nel luglio 1844 ospitò l'anarchico russo in una stanza della sua abitazione) e soprattutto Proudhon.

Tutte queste esperienze fecero maturare definitivamente in lui idee rivoluzionarie e antiautoritarie: «...sono lo stesso, come prima, nemico dichiarato della realtà esistente, solo con questa differenza, ho cessato di essere teorico [...] Io amo, Pablo, amo appassionatamente: non so se posso essere amato come io vorrei esserlo, ma non dispero, - so almeno che si ha molta simpatia verso di me -; devo e voglio meritare l'amore di quella a cui amo, amandola religiosamente, vale a dire, attivamente - è sottomessa alla più terribile ed alla più infame schiavitù - e devo liberarla combattendo i suoi oppressori e accendendo sul suo cuore il sentimento della sua propria dignità, suscitando in lei l'amore e la necessità della libertà, gli istinti della ribellione e della indipendenza, ricordandola a se stessa, al sentimento della sua forza e di suoi diritti. Amare è volere la libertà [...] Abbasso tutti i dogmi religiosi e filosofici -non sono più menzogne-; la verità non è una stupidaggine, se non un fatto, la vita stessa è la comunità di uomini liberi e indipendenti, è la santa unità dell'amore che germoglia dalle profondità misteriose e infinite della libertà individuale.» (Lettera di Michail Bakunin al fratello Paolo, Parigi, 29 marzo 1845)

Nel frattempo, mentre si trovava temporaneamente in Svizzera, il governo russo gli aveva ritirato lo status di nobile e condannato in absentia ai lavori forzati in Siberia. Principalmente Bakunin risedette dal 1844 fino al 1847 in Francia, anno in cui venne espulso per aver scritto un proclama rivoluzionario contro la Russia.

La rivoluzione del 1848-49.

La rivoluzione del febbraio 1848 di Parigi, lo sorprese a Bruxelles. Decise di tornare nella capitale francese, città che raggiunse a piedi dalla frontiera a causa del blocco dei treni. Egli vedeva la rivoluzione come un risveglio dopo un lungo sonno. Preso da l'ebbrezza di quei giorni folli, si rivelò infaticabile: era presente ad ogni convegno, manifestazione, riunione, ecc. La rivoluzione si diffuse a macchia d'olio in tutta Europa, raggiungendo Milano, Venezia, Vienna, Berlino, Paesi Bassi, Danimarca, ecc. Bakunin operò principalmente affinché la rivoluzione raggiungesse la Polonia e la Russia, una terra considerata da lui ed altri rivoluzionari come centrale rispetto all'esplosione della causa rivoluzionaria europea.

L'evento che cambiò radicalmente la sua vita fu però l'insurrezione di Dresda (aprile-maggio 1849), dopo la quale, dopo essere stato catturato dalle truppe tedesche, fu condannato, il 14 gennaio 1850, alla pena di morte, commutata in carcere a vita. Nel 1851 venne trasferito alla Fortezza di Pietro e Paolo di San Pietroburgo. In quella circostanza, su richiesta del conte Orlov, scrisse una confessione allo Zar Nicola I. Nel 1857, la pena fu commutata dall'ergastolo all'esilio a vita in Siberia (nel 1858 si sposò con la giovane polacca Antonia Kwiatkowski), da cui riuscì a scappare, passando per il Giappone e gli Stati Uniti, nel 1861.

L'anno seguente raggiunse Londra, città da cui guardò con profondo interesse al Risorgimento italiano. Entrò in contatti con Mazzini e Garibaldi; c'è da dire che il primo inizialmente guardava con simpatia al socialismo ma in seguito divenne uno dei più acerrimi nemici della Prima Internazionale.

Il soggiorno italiano e La Prima Internazionale.

A Londra, nel 1862, Bakunin entrò in contatto epistolare con Giuseppe Garibaldi: «Il rumore delle vostre nobili e patriottiche imprese scosse la mia apparente inerzia riportandomi tutte le passioni della giovinezza. Del resto non fui il solo a commuovermi…» (Masini-Bovio, Bakunin, Garibaldi e gli affari slavi 1862-63) In seguito, Bakunin inviò a Garibaldi, nel febbraio 1862, la sua prima pubblicazione - Romanov, Pugacev, Pestel, la causa del popolo – facendola seguire da una lettera: «Il nostro scopo è l’abbattimento della centralizzazione moscovita-pietroburghese, l'emancipazione e la completa libertà, l'autonomia e l'indipendenza delle province polacche e di quelle non polacche che costituiscono lo Stato russo».

Giuseppe Mazzini.

Bakunin ebbe contatti epistolari con lui durante il suo periodo londinese (1862). Sempre a Londra, a causa del suo profondo interesse per i moti risorgimentali, aveva inoltre conosciuto Mazzini, presentatogli da Herzen dopo la sua fuga in Siberia. Il 12 novembre 1863 Mazzini scrisse a Federico Campanella: «...dì a Mosto che andrà a cercarlo un mio amico russo con la moglie, che mi preme sia bene accolto dai nostri […] Questo russo…ti darà..una prima lettera russa in francese…E’ un lavoro interessante assai. fa che sia tradotta. La serie delle lettere è primitivamente diretta a un giornale svedese; ma se tu gli chiederai di lasciarti sopprimere il preambolo, tanto che appaia un lavoro dato al “Dovere”, te lo concederà. Intenditi perché ei ti mandi le altre lettere da Firenze» (Romano A., Storia del socialismo in Italia, p. 119)

A dimostrazione della concertazione con Mazzini ed altri italiani in occasione del suo successivo viaggio in Italia, lo stesso Mazzini il giorno dopo scrisse a Giuseppe Dolfi: «Vedrete un amico mio russo, che vi raccomando caldamente insieme alla moglie che è polacca. E prima riceverete da lui – probabilmente da Genova – una lettera nella quale vi pregherà di trovargli una stanza a prezzo modesto a Firenze. Vi prego come amico di fare che vi dirà e vi sarò grato». (Romano A., Storia del socialismo in Italia)

Il soggiorno in Italia cominciò all'inizio del 1864 e si prefiggeva l'obiettivo di difondere Principi e Statuti dell'Internazionale dei Lavoratori: nel gennaio 1864 Bakunin raggiunse Genova, città in cui incontrò Bertani; a Caprera fece visita a Giuseppe Garibaldi (19 gennaio 1864); in seguito giunse a Firenze, incontrò un gruppo di giovani socialisti e mazziniani tra cui Dolfi, Mazzoni, Granelli, Berti-Calura e De Gubernatis; A questo punto Bakunin cominciò a lavorare alacramente per preparare la nascita della Prima Internazionale, che il 28 settembre 1864 svolse a Londra il suo congresso fondativo: nasce la "Prima Internazionale socialista dei Lavoratori”. All'Internazionale aderirono inizialmente tutte le correnti della Sinistra europea, da Karl Marx agli anarchici e fino a Giuseppe Mazzini (1805-1872). L'Associazione diventò fuorilegge, dal 1871, in Francia, Spagna, Germania, Austria-Ungheria e Danimarca, ma si sviluppò, nonostante la repressione, in Spagna, Italia, Belgio.

All'interno dell'Internazionale, i contrasti principali si ebbero tra marxisti ed anarchici riguardo alla funzione dello Stato prima, durante e dopo la rivoluzione sociale (Bakunin, contrariamente a Marx, asupicava ovviamente la sua immediata abolizione).

Negli ultimi mesi dell'anno Bakunin intraprese un nuovo viaggio in Italia con l'intento di diffondere i principi internazionalisti e promuovere la nascita di un organizzazione internazionalista. Nascerà così l'effimera "Fratellanza Internazionale".

In sintesi ecco i momenti più importanti del soggiorno italiano:

Ottobre del 1864: Bakunin è a Napoli per partecipare al XI Congresso delle società operaie mazziniane, durante il quale si decise di inviare una delegazione al previsto I Congresso dell'A.I.L. dell'anno seguente (che non avrà mai luogo).

Novembre 1864: dopo essersi allontanato, Bakunin visita l'Italia per la seconda volta (Genova e Firenze), con l'intento di contrastare l'egemonia mazziniana nel movimento operaio (la rottura con Mazzini è definitiva a causa della visione statalista di quest'ultimo).

Agosto 1865: a Firenze fonda il giornale «Il Proletario», diretto dal proudhoniano Niccolò Lo Savio.

Giugno 1866: Bakunin si trasferisce a Napoli, qui aggrega intorno alla sua figura un gruppo di giovani che saranno i primi internazionalisti: Carlo Gambuzzi, Giuseppe Fanelli, Saverio Friscia, Mileti, Dramis, De Luca e Alberto Tucci.

Ottobre 1866: Bakunin e Tucci curano la pubblicazione de La situazione italiana, un opuscolo in cui si analizza la situazione politica nella penisola e si attacca violentemente lo statalismo mazziniano.

Febbraio 1867: a Napoli nasce il circolo «Libertà e Giustizia» dagli amici italiani di Bakunin: Giuseppe Fanelli, Saverio Friscia, Gambuzzi, Tucci e Caporusso.

Agosto 1867: «Libertà e Giustizia» inizia le pubblicazioni di un giornale socialista e collettivista omonimo.

Settembre 1867: grazie al proficuo lavoro di Bakunin ci furono primi contatti delle società operaie italiane con la Prima Internazionale. Tanari e Stampa partecipano al Congresso di Losanna.

La Comune di Parigi e le attività insurrezionali.

Nel 1867 si stabilì a Ginevra, dove assistette al Congresso inaugurale della Lega per la Pace e la Libertà (in cui militavano i democratici di tutta Europa, tra cui Victor Hugo, Stuart Mill, Louis Blanc e Giuseppe Garibaldi, ma senza alcuna velleità rivoluzionarie), con la speranza di trascinarla su posizioni più radicali, e scrisse Libertà, Federalismo e Anti-teologismo.

Il 25 settembre del 1868, la fazione dei socialisti rivoluzionari si scisse dalla Lega per la Pace e la Libertà, originando l'Alleanza Internazionale dei Socialisti Democratici (sciolta poi nel 1869), aggregandosi all' Associazione Internazionale dei Lavoratori (Bakunin aderì alla sezione ginevrese). Nel 1869 entrò in contatto con il rivoluzionario russo Netchaiev e autore del Catechismo rivoluzionario. Interassotosi ai fermenti rivoluzionari spagnoli, incaricò l'italiano Giuseppe Fanelli di diffondere in Spagna l'idea anarchica e internazionalista.

Nel 1870, fu espulso dall'"Associazione" per essersi dichiarato solidale con la sezione del Giura che si era fatta simbolo dei contrasti tra autoritari e anti-autoritari. In quesi anni Bakunin dovette difendersi dalle accuse infamanti di Karl Marx, che lo considerava una spia del Partito Panslavista.

Durante la guerra franco-prussiana, nel 1871 tentò di fomentare una sommossa popolare a Lione, dove costituì un "Comitato di salute della Francia" che proclamò l'abolizione dello Stato e la federazione dei comuni rivoluzionari (il fallimento dell'impresa lo costrinse a fuggire).

Nel 1871 scrisse La Comune di Parigi e l'Idea di Stato e La teoria politica di Mazzini e l'Internazionale.

Dopo essere stato espulso, il 7 settembre 1872 dall'Internazionale al Congresso dell'Aia, nello stesso anno, a Saint-Imier, organizzò, con le sezioni "ribelli" dell'Internazionale (tra cui quelle del Giura che costituirono la Federazione anarchica del Giura), il primo congresso dell'Internazionale antiautoritaria.

Nel 1873 scrisse la sua unica opera completa, Stato e Anarchia.

Nell’estate del 1873, grazie ai capitali forniti dall'amico Carlo Cafiero, Bakunin poté acquistare un ampio appezzamento a Minusio (nel Canton Ticino, in Svizzera), chiamato "La Baronata", dove fece costruire una nuova abitazione.

Nel 1874 Bakunin fu tra gli organizzatori dell' insurrezione di Bologna, ma il fallimento dell'impresa lo costrinse a fuggire in Svizzera, a Locarno (andò via da "La Baronata" a causa di una serie di incomprensioni con Cafiero, che successivamente vennero riappianate).

Morì a Berna il 1°luglio di quattro anni dopo, nel 1876.

Il pensiero

La libertà

In apparenza asistematico, in quanto mancante di una organicità manifestata dall'assenza di opere compiute al di fuori di "Stato e Anarchia" il pensiero di Bakunin ruota attorno all'idea, fondamentale per lui, di libertà. La libertà è il bene supremo che il rivoluzionario deve cercare a qualunque costo.

Bakunin non ammette che la libertà individuale venga limitata da quella degli altri: «Io non sono veramente libero che quando tutti gli esseri umani che mi circondano, uomini e donne, non sono ugualmente liberi: posso dirmi libero solo in presenza di altri uomini e in rapporto con loro. [...] Io stesso sono umano e libero solo nella misura in cui riconosco la libertà e l’umanità di tutti gli uomini che mi circondano. La libertà degli altri, lungi dall’essere un limite o una negazione della mia libertà, ne è al contrario la condizione necessaria e la conferma. Non divengo veramente libero se non attraverso la libertà degli altri, così che più numerosi sono gli uomini liberi che mi circondano, più profonda e più ampia è la loro libertà, più estesa e più profonda e più ampia diviene la mia libertà. Io intendo quella libertà per cui ciascuno, anziché sentirsi limitato dalla libertà degli altri vi trova al contrario la sua conferma e la sua estensione all’infinito». (Bakunin in Dio e lo Stato)

La libertà può essere realizzata solo se ogni individuo insorge contro la società che «domina con gli uomini, con i costumi e le usanze, con la massiccia pressione dei sentimenti, dei pregiudizi e delle abitudini…la sua azione è molto più potente di quella dell’autorità dello Stato». Ribellarsi contro questi “valori” imposti dalla società, significa ribellarsi contro se stesso, in quanto ogni individuo non è altro che il prodotto della società.

La libertà, come entità infinita, per espletarsi, abbisogna della società: l’uomo, infatti, nella misura in cui è interiormente infinito, immortale e libero, è altresì esteriormente limitato, mortale, debole e dipendente dal mondo circostante. Il riconoscimento della libertà, dunque, avviene nell’organizzazione sociale degli uomini: di più, la società è il nido della libertà e fuori di essa nulla è possibile. Libertà come costitutivo della società, libertà come cifra della civiltà, libertà come bisogno insopprimibile. E, al raggiungimento della libertà, la rivolta contro il dominio è un fatto necessitante. L’organizzazione di questa rivolta individuale contro il principio di autorità, in favore della libertà, non è altro che la rivoluzione, cuore e stigma del pensiero dell’anarchico russo.

La libertà è però irrealizzabile senza l'uguaglianza di fatto (uguaglianza sociale, politica, ma soprattutto economica). Il fenomeno che spinge gli uomini all'ineguaglianza e alla schiavitù è il principio di autorità, esemplificato nella modernità, da soggetti astratti che però si fanno concreti socialmente, schiacciando la libertà: Dio e la religione, lo Stato e il Capitale. Abbattuti questi, grazie a una rivoluzione strettamente popolare, si sarebbe giunti all'Anarchia. Dio e la religione «La religione, ed in particolare il cristianesimo, hanno prodotto “l’annientamento dell’umanità a profitto della divinità”, quindi “se Dio esiste, l’uomo è uno schiavo. Ora l’uomo può, deve essere libero: dunque Dio non esiste». (Bakunin in "Dio e lo Stato")

«E’ evidente che finché avremo un padrone in cielo, non potremo essere liberi in terra. Finché saremo convinti di dovere a Dio un’obbedienza assoluta, e davanti a Dio non è possibile altro tipo di obbedienza, dovremo sottometterci in modo passivo e senza la minima critica alla sacra autorità dei suoi intermediari e dei suoi eletti [...] Dio, o piuttosto la finzione di Dio, è dunque la consacrazione e la causa intellettuale e morale di ogni schiavitù sulla terra; e la libertà degli uomini sarà completa solo quando avrà distrutto la nefasta finzione di un padrone celeste». (Bakunin in Dio e lo Stato)

Bakunin ritiene che ammettere l’esistenza di Dio significa abdicare alla ragione e alla giustizia. Dio priva la libertà all’uomo non solo nel pensiero, ma anche nella vita concreta e reale: obbedire a Dio significa obbedire ai suoi rappresentanti in terra (Stato, Chiesa, preti, vescovi, re, capi di stato ecc.). Infatti ogni tiranno, ogni peggior nemico della libertà, ha legittimato la propria autorità coll’approvazione divina. «Poiché Dio è tutto, il mondo reale e l’uomo sono nulla. Poiché Dio è la verità, la giustizia, il bene, il bello, la potenza e la vita, l’uomo è la menzogna, l’iniquità, il male, la bruttezza, l’impotenza e la morte. Poiché Dio è il padrone, l’uomo è lo schiavo.

Incapace di trovare da sé la giustizia, la verità e la vita eterna, l’uomo non può che arrivarvi per mezzo d’una rivelazione divina. Ma chi dice rivelazione, dice rivelatori, messia, profeti, preti e legislatori, ispirati da Dio stesso; e questi, una volta riconosciuti come rappresentanti di Dio sulla terra, come i santi istitutori dell’umanità eletti da Dio per dirigerla verso la via della salvezza, debbono necessariamente esercitare un potere assoluto. Tutti gli uomini devono loro un’obbedienza passiva e illimitata; perché contro la Ragione divina non c’è ragione umana e contro la Giustizia di Dio non vi è giustizia terrestre che tenga. Schiavi di Dio, gli uomini devono esserlo anche della Chiesa e dello Stato, in quanto quest’ultimo è consacrato dalla Chiesa. [...] l’idea di Dio [...] è la negazione più decisa della libertà umana e comporta necessariamente la servitù degli uomini, tanto in teoria quanto in pratica.» (da "Dio e lo Stato")

L’ateo è comunque solo parzialmente libero; lo è solo spiritualmente. Per completare il proprio percorso deve trovare nella società la completa libertà sociale e individuale.

Lo Stato e il Capitale

La dottrina dello Stato di Bakunin è ciò che differenzia, fin dalla loro formazione, le due correnti del socialismo ottocentesco e novecentesco. Lo Stato, per definizione di ambedue le fazioni, rappresenta quell'insieme di organi polizieschi, militari, finanziari ed ecclesiastici che permettono alla classe dominante (nel caso specifico, la borghesia) di rimanere in possesso dei suoi privilegi. Lo Stato è l'ostentazione della forza, l'amore per la soverchieria, la depredazione di pochi a spese dei molti. L'unico modo per emanciparsi, dice Bakunin, è la distruzione immediata del potere statale e di ogni sua possibile ricreazione.

La questione problematica si presenta però nell'utilizzo dello Stato durante il periodo rivoluzionario. Per i marxisti, infatti, si sarebbe dovuta presentare una situazione in cui lo Stato sarebbe stato arma in mano al proletariato per eliminare la controrivoluzione. Solo allora, con la dissoluzione dell'apparato statale si sarebbe passati all'assenza di classi.

La posizione di Bakunin (e, con lui, di tutti gli anarchici) è che lo Stato, strumento prettamente in mano alla borghesia, non può essere usato che contro il proletariato: dato che l'intera classe sfruttata non può amministrare l'infrastruttura statale, ci vorrà una classe burocratica che lo amministri. Bakunin temeva l'inevitabile formazione di una "burocrazia rossa", padrona dello Stato e nuova dominatrice. L'uguaglianza e quindi la libertà, secondo il pensatore Russo, non possono esistere nella società marxista. Lo Stato va quindi abbattuto in fase rivoluzionaria, poiché, finché qualcuno detiene il potere, non lo cederà, e chiunque sia investito di un'autorità, si trasforma inevitabilmente in un oppressore e in uno sfruttatore della società.

«I marxisti non si rendono conto di questa contraddizione [...] Dicono che questo gioco dello Stato, questa dittatura (del proletariato, ndA) è una misura transitoria necessaria per poter raggiungere l’emancipazione totale del popolo; l’anarchia o la libertà sono il fine, lo Stato e la dittatura sono il mezzo. E così, per emancipare le masse popolari, si dovrà prima di tutto soggiogarle. [...] Che bella la liberazione!» (da Stato e Anarchia) Se lo Stato è l'aspetto politico dello sfruttamento della borghesia, il Capitale ne è quello economico. Qui le differenze del marxismo sono inesistenti (basti pensare che il primo libro de Il Capitale fu tradotto in Russo proprio da Bakunin).

La differenza tra la concezione marxiana e quella bakuniana del Capitale, è che per Bakunin questo non è elemento fondante dello sfruttamento, ma solo una sua determinazione storica transitoria. Anche se non esplicitato, nella sua opera non viene fatto riferimento alcuno alla concezione materialistica della storia (che prevede l'aspetto economico della società come basilare per l'analisi della stessa).

La rivoluzione

Un aspetto importante del pensiero di Bakunin è l'azione rivoluzionaria. Bakunin ha perseguito per tutta la vita questo scopo e, in alcune parti della sua opera, sono rintracciabili le linee guida della concezione rivoluzionaria del pensatore russo. In primo luogo la rivoluzione deve essere essenzialmente popolare: il senso di questa affermazione va ricercato ancora nel contrasto con Marx. I comunisti credevano in un'avanguardia che dovesse guidare le masse popolari attraverso il cammino rivoluzionario. Bakunin invece prevedeva una società segreta che avrebbe dovuto solamente sobillare la rivolta, la quale poi si sarebbe auto-organizzata dal basso. Il soggetto rivoluzionario, nel caso del marxismo, è la classe che ha sussunto in sé tutte le contraddizioni dell'attuale sviluppo dei mezzi di produzione; Bakunin, invece, apre il campo a tutta la classe degli sfruttati, degli oppressi, dei reietti. Marx, in alcuni suoi scritti, non nega la possibilità che il trionfo del proletariato possa giungere senza spargimenti di sangue. Bakunin è invece categorico su questo punto: la rivoluzione, essendo spontanea e popolare, non può essere altro che violenta, una dura reazione contro il potere.

L'anarchia

Bakunin ha preferito non affrontare approfonditamente il problema del dopo rivoluzione, limitandosi a dare qualche idea di fondo. Se avesse dato indicazioni precise sul funzionamento delle società anarchiche, infatti, avrebbe negato la necessità di autodeterminazione delle stesse, mutandosi in uno di quei socialisti che Marx definiva "utopici".. Innanzitutto, la dottrina anarchica di Bakunin è basata sull'assenza dello sfruttamento e del governo dell'uomo sull'uomo. La produzione industriale e agricola è fondata non più sull'azienda, ma sulle libere associazioni, composte, amministrate ed autogestite dai lavoratori stessi attraverso le assemblee plenarie.

L'aspetto della partecipazione diretta del popolo alla politica, ripresa dal pensiero di Proudhon, è fondata sul cosiddetto federalismo libertario, teoria che prevede una scala di assemblee organizzate dal basso verso l'alto, dalla periferia al centro. La differenza fondamentale tra l'organizzazione anarchica voluta da Bakunin e una concezione autoritaria della società consiste nella direzione delle decisioni. Se dieci libere associazioni (fabbriche, unità territoriali, ecc.) sono federate in un'associazione più grande, quest'ultima non può imporre nulla alle associazioni-membro, in nessun caso. Sono i membri delle associazioni più piccole che, riunendosi assieme, possono decidere forme di collaborazione e di reciproco aiuto, quindi il processo decisionale va dal basso all'alto.

Naturalmente Bakunin non è contrario in senso assoluto alla delega, perciò le assemblee delle federazioni non devono necessariamente essere plenarie; ma il mandato è sempre revocabile e il mandatario deve obbedire all'assemblea che lo ha nominato.

La questione dell'organizzazione anarchica

Michail Bakunin concepisce una struttura organizzativa alquanto rigida fondata sulla separazione dell'attività sindacale da quella politica. Per l'anarchico russo l’organizzazione di massa (sindacato) non doveva reclutare militanti, ma raggruppare tutti gli sfruttati senza altra condizione. Nella sua idea questo compito sarebbe dovuto spettare all’Associazione Internazionale dei Lavoratori; l'organizzazione specifica (organizzazione politica) invece doveva essere separata dal sindacato e lavorare all'interno delle masse per guidarle nello scontro con Stato e capitale. Questa è la funzione che avrebbe dovuto assumere invece l'Alleanza Internazionale dei Socialisti Democratici. È questo il principio fatto proprio dai comunisti anarchici della FdCA con il nome dualismo organizzativo.

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Txt.: Scritti

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Wikipedia

Michail Aleksandrovič Bakunin (Tver', 30 maggio 1814, 18 maggio del calendario giuliano – Berna, 1º luglio 1876), è stato un rivoluzionario, filosofo e anarchico russo, considerato uno dei padri fondatori dell'anarchismo moderno. Autore di molti scritti, tra i quali Stato e anarchia e L'impero knouto-germanico.

Biografia

Bakunin nacque nel piccolo villaggio di Prjamuchino, presso Tver'. Figlio di nobili proprietari terrieri, frequentò la scuola di artiglieria di Pietroburgo. Prima a Mosca e poi a Dresda, si appassionò alla filosofia e in particolare agli scritti di Schelling e Hegel. L'evento che cambiò la sua vita fu però l'insurrezione di Dresda del 1849, o sollevazione di maggio, un evento afferente alla primavera dei popoli, durante la quale gli fu compagno di lotta Wagner. Catturato dalle truppe tedesche, il 14 gennaio 1850 fu condannato alla pena di morte, commutata in ergastolo. Nel 1851 fu trasferito nella fortezza di Pietro e Paolo, in Russia. Ivi, su richiesta del conte Orlov, scrisse una confessione allo zar Nicola I. Nel 1857, la pena fu commutata in esilio a vita in Siberia. Da qui riuscì a scappare, attraverso il Giappone e gli Stati Uniti, nel 1861.

Nel 1865 iniziò il suo soggiorno a Napoli, dove fondò il giornale "Libertà e giustizia" e organizzò la sezione del movimento denominato Lega Internazionale dei Lavoratori.

Sono di questo periodo gli articoli contro la visione statalista di Mazzini, suo grande avversario. Sempre nel 1868, partecipò al primo congresso della Lega per la Pace e la Libertà, illudendosi che il socialismo rivoluzionario avrebbe fatto breccia nell'associazione. Il 25 settembre del 1868, la fazione dei socialisti rivoluzionari si scisse dalla lega per la pace e la libertà, aggregandosi all'Associazione Internazionale dei Lavoratori. Nel 1870 fu espulso dall'Associazione per essersi dichiarato solidale con la sezione del Giura che si era fatta simbolo dei contrasti tra autoritari e anti-autoritari. Durante la guerra franco-prussiana, nel 1871 tentò di fomentare una sommossa popolare a Lione. Nel 1872, a Saint-Imier, organizzò, con le sezioni "ribelli" dell'Internazionale, il primo congresso dell'Internazionale anti-autoritaria. Nel 1873 scrisse la sua unica opera completa, Stato e anarchia. Morì il 1º luglio 1876.

Il pensiero

« E' sulla finzione di questa pretesa rappresentanza del popolo e sul fatto concreto del governo delle masse popolari da parte di un pugno insignificante di privilegiati, eletti o no dalle moltitudini costrette alle elezioni e che non sanno neanche perché e per chi votano; è sopra questa concezione astratta e fittizia di ciò che s'immagina essere pensiero e volontà di tutto il popolo, e della quale il popolo reale e vivente non ha la più pallida idea, che sono basate in ugual misura e la teoria dello Stato e la teoria della cosiddetta dittatura rivoluzionaria. »
(Michail A. Bakunin, Stato e anarchia, pag.162-163.)

In apparenza asistematico, il pensiero di Bakunin ruota attorno a due idee fondamentali, quella di natura (come materia) e quella di libertà. La natura è per lui la sintesi di vita, solidarietà, causalità portati all'universalità; essa, quindi, unisce l'inorganico, l'organico e il vivente, con l'uomo al suo vertice. Nel 1871 in Il sistema del mondo egli scrive che: "La Causalità universale, la Natura, crea i mondi. Essa ha determinato la configurazione meccanica, fisica, chimica, geologica e geografica della nostra terra e, dopo avere rivestito la sua superficie di tutti gli splendori della vita vegetale e animale, continua a creare, nel mondo umano, la società con tutti i suoi sviluppi passati, presenti e futuri" (Considerazioni filosofiche, La Baronata, Carrara 2000, p. 17).

Il materialismo di Bakunin è monistico e deterministico, egli ha dell'universo una concezione armonicistica e unitaria, secondo la quale tutto si concatena e progredisce insieme, dove le leggi che governano la materia bruta sono armonizzate con quelle che promuovono lo sviluppo dello spirito umano. E quindi ne deriva che: "Le leggi dell'equilibrio, della combinazione e dell'azione reciproca delle forze e del movimento meccanico; le leggi del peso, del calore, della vibrazione dei corpi, della luce, dell'elettricità, come quelle della composizione e scomposizione chimica dei corpi, sono assolutamente inerenti a tutte le cose che esistono, comprese le diverse manifestazioni del sentimento, della volontà e dello spirito. Queste tre cose, costituenti propriamente il mondo ideale dell'uomo, non sono che funzioni totalmente materiali della materia organizzata e viva, nel corpo dell'animale in generale e in quello dell'animale umano in particolare. Di conseguenza, tutte queste leggi sono leggi generali, a cui sono sottomessi tutti gli ordini conosciuti e ignoti dell'esistenza reale del mondo" (cit. p. 18).

Questo determinismo radicale contrasta ed è parzialmente incoerente con un'idea di libertà umana che appare simile a quella degli Stoici, una libertà di fare ciò che è già scritto nel destino delle leggi della materia. Perciò Bakunin incoerentemente "stacca" l'uomo" dalla cieca natura in base al fatto che l'uomo "ha bisogno di conoscere", e allora da questo bisogno nasce un'istanza di libertà. L'uomo nasce e vive nel bisogno, in quanto animale, ma in quanto essere pensante è libero di progredire indipendentemente dalla natura materiale che lo fonda. La spinta intima a voler conoscere sé e il mondo fa dell'uomo, necessitato per natura, un essere che si fa libero di determinare il proprio destino.

Il massimo della libertà umana sta nel fare la rivoluzione e cambiare il sistema umano ingiusto che si è determinato nella storia passata. La libertà dalle contingenze e dagli abusi è il bene supremo che il rivoluzionario deve cercare a qualunque costo, e Bakunin dice allora: "l'uomo [...] deve conoscere tutte le cause della propria esistenza e della propria evoluzione, affinché possa comprendere la propria natura e la propria missione...". L'uomo quindi ha una missione da compiere, e tale missione, non potendo per un materialista essere Dio ad affidargliela, non può che essere la Natura.

La Natura però è a sua volta necessitata dalle leggi fisiche, e perciò non libera. Ma Bakunin sorvola su tutti questi problemi e incoerenze, concludendo che ciò è possibile per l'uomo nuovo e rivoluzionario: "Affinché, in questo mondo di cieca fatalità, egli possa inaugurare il mondo umano, il mondo della libertà". Se sul piano filosofico le manchevolezze sono evidenti Bakunin trova una certa coerenza spostandosi sul piano sociologico, sulla base del principio di natura e negativo per cui: "Nel mondo naturale i forti vivono e i deboli soccombono, e i primi vivono solo perché gli altri soccombono" (cit. p. 29).

Nella guerra crudele dei forti per dominare e per sfruttare i deboli l'uomo giusto, il rivoluzionario, ha la "missione" inderogabile di cambiare le cose e controbilanciare l'arroganza dei forti e dei potenti. Il mondo della libertà umana è perciò un mondo basato sull'eguaglianza, che è la condizione prima di ogni umanità armonica e giusta. La libertà dal bisogno è infatti irrealizzabile senza l'uguaglianza di fatto (uguaglianza sociale, politica, ma soprattutto economica). I fenomeni che spingono gli uomini all'ineguaglianza e alla schiavitù sono due: lo Stato e il Capitale. Abbattuti questi, grazie a una rivoluzione strettamente popolare, si giunge all'Anarchia, ma essa è foriera di un nuovo ordine sociale più avanzato, senza classi.

Ma per conseguire la libertà dai ciechi meccanismi della natura bisogna "agire". L'azione diventa perciò per Bakunin il corrispettivo umano del movimento degli enti e dei sistemi fisici e biologici. Il produrre progresso e il fare giustizia nel mondo umano è il progetto attivistico che viene proposto anche in queste parole: "La natura intima o la sostanza di una cosa non si conosce soltanto dalla somma o dalla combinazione di tutte le cause che l'hanno prodotta, si conosce ugualmente dalla somma delle sue diverse manifestazioni o da tutte le azioni che essa esercita all'esterno. Ogni cosa è ciò che fa [...] il suo agire e il suo essere sono tutt'uno" (cit. p. 143).

L'uomo può divenire il campione dell'azione etica di cambiare il mondo per renderlo più giusto ed equo. Però, per arrivare a questo, non è sufficiente solo pensare bene e proporre idee innovative e giuste: bisogna agire. Ma agire significa anche produrre il nuovo: "Siccome ogni cosa in tutta l'integrità del suo essere non è altro che un prodotto, le sue proprietà o i suoi diversi modi di azione sul mondo esterno, che come abbiamo visto costituiscono tutto il suo essere, sono anch'essi necessariamente dei prodotti" (cit., p. 150). L'uomo di Bakunin, agendo, produce ciò che intende diventare, e ciò che l'uomo è e sarà è il "prodotto" del suo agire nel rimodellare un mondo dominato da una cieca necessità che produce ingiustizia. L'uomo può quindi prendere il posto di un Dio che non esiste, e "ricreare" un mondo migliore secondo la sua volontà.

Lo Stato e il Capitale

La dottrina dello Stato di Bakunin è ciò che differenzia, fin dalla loro formazione, le due correnti del socialismo ottocentesco e novecentesco. Lo Stato, secondo entrambe le fazioni, è l'insieme degli organi polizieschi, militari, finanziari ed ecclesiastici che permettono alla classe dominante (la borghesia) di perpetuare i suoi privilegi. La differenza sta nell'utilizzo dello Stato durante il periodo rivoluzionario. Per i marxisti, infatti, vi è una fase del processo rivoluzionario in cui lo Stato è nelle mani del proletariato che lo usa per eliminare la controrivoluzione. Solo dopo tale fase, si avrà la dissoluzione dell'apparato statale, ormai privo della sua funzione, e si potrà giungere a una società priva di classi sociali. Secondo Bakunin (e secondo tutti gli anarchici) invece lo Stato in quanto strumento della borghesia non può che essere usato contro il proletariato. Non essendo infatti possibile che l'intera classe sfruttata amministri l'infrastruttura statale, ci vorrà una classe burocratica ad hoc.

Bakunin temeva l'inevitabile formazione di una "burocrazia rossa", padrona dello Stato e nuova dominatrice. L'uguaglianza e quindi la libertà, secondo il pensatore russo, non possono esistere nella società marxista. Lo Stato va quindi abbattuto in fase rivoluzionaria. Se lo Stato è l'aspetto politico dello sfruttamento della borghesia, il Capitale ne è quello economico. Qui le differenze dal Marxismo sono inesistenti (basti pensare che il primo libro de Il Capitale fu tradotto in Russo proprio da Bakunin). La differenza tra la concezione marxiana e quella bakuniniana del Capitale, è che per Bakunin questo non è elemento fondante dello sfruttamento. Anche se non esplicitato, nella sua opera non viene fatto riferimento alcuno alla concezione materialistica della storia (che prevede l'aspetto economico della società come basilare per l'analisi della stessa).

La rivoluzione

Un aspetto importante del pensiero di Bakunin è l'azione rivoluzionaria. Bakunin ha perseguito per tutta la vita questo scopo e, in alcune parti della sua opera, sono rintracciabili le linee guida della concezione rivoluzionaria del pensatore russo. In primo luogo la rivoluzione deve essere essenzialmente popolare: il senso di questa affermazione va ricercato ancora nel contrasto con Marx. I comunisti credevano in un'avanguardia che dovesse guidare le masse popolari attraverso il cammino rivoluzionario. Bakunin invece prevedeva una società segreta che avrebbe dovuto solamente sobillare la rivolta, la quale poi si sarebbe auto-organizzata dal basso.

Altra differenza con il marxismo è l'identificazione del soggetto rivoluzionario. Se Marx vedeva nel proletariato industriale la spina dorsale della rivoluzione (mettendolo in contrapposizione con una classe agricola reazionaria), Bakunin credeva che l'unione tra il ceto contadino e il proletariato fosse l'unica possibilità rivoluzionaria. Marx, in alcuni suoi scritti, non nega la possibilità che il trionfo del proletariato possa giungere senza spargimenti di sangue. Bakunin è invece categorico su questo punto: la rivoluzione, essendo spontanea e popolare, non può essere altro che violenta.

L'anarchia

Bakunin ha preferito non affrontare approfonditamente il problema del dopo rivoluzione, limitandosi a dare qualche idea di fondo. Se avesse dato indicazioni precise sul funzionamento delle società anarchiche, infatti, avrebbe negato la necessità di autodeterminazione delle stesse. Innanzitutto, la dottrina anarchica di Bakunin è basata sull'assenza dello sfruttamento e del governo dell'uomo sull'uomo. La produzione industriale e agricola è fondata non più sull'azienda, ma sulle libere associazioni, composte, amministrate e autogestite dai lavoratori stessi attraverso le assemblee plenarie. L'aspetto della partecipazione diretta del popolo alla politica, ripresa dal pensiero di Proudhon, è fondata sul cosiddetto federalismo libertario, teoria che prevede una scala di assemblee organizzate dal basso verso l'alto, dalla periferia al centro.

La differenza fondamentale tra l'organizzazione anarchica voluta da Bakunin e una concezione autoritaria della società consiste nella direzione delle decisioni. Se dieci libere associazioni (fabbriche, unità territoriali, ecc) sono federate in un'associazione più grande, quest'ultima non può imporre nulla alle associazioni-membro, in nessun caso. Sono i membri delle associazioni più piccole che, riunendosi assieme, possono decidere forme di collaborazione e di reciproco aiuto, quindi il processo decisionale va dal basso all'alto. Naturalmente Bakunin non è contrario in senso assoluto alla delega, perciò le assemblee delle federazioni non devono necessariamente essere plenarie; ma il mandato è sempre revocabile e il mandatario deve obbedire all'assemblea che lo ha nominato.

Il maestro comune di una generazione di rivoluzionari: Hegel

Alla morte di Bakunin risulta molto significativa una lettera che Friedrich Engels inviò a Charles Rapaport nella quale il filosofo, dopo aver sintetizzato gli elementi che distinguevano il suo pensiero (e quello di Marx) da quello di Bakunin, con cui aveva polemizzato per mezzo secolo senza cedimento alcuno, alla fine concludeva con queste parole: «Ma bisogna rispettarlo - ha capito Hegel». Il filosofo tedesco infatti è stato la sorgente a cui ha attinto un'intera generazione di rivoluzionari che attraverso la negazione della negazione hanno dato del filo da torcere alle nuove classi dominanti e al sistema di gestione dell'economia capitalistica proponendo l'alternativa di una società a direzione anarco-comunista. Engels era consapevole dell'importanza di Hegel e per questo motivo,nonostante le divergenze, vedeva in Bakunin un interlocutore rispettabile.

Stato e anarchia - Analisi critica

Il testo

Questo è il testo più noto di Bakunin, in cui egli espone la sua posizione rispetto al mondo a lui contemporaneo: l'Europa della fine dell'Ottocento, dal punto di vista di un pensatore russo e anarchico. Della Russia traspare l'interesse alle sorti del mondo slavo e la preoccupazione della contrapposizione tra pangermanesimo e panslavismo. Ma il suo interesse è rivolto generalmente a tutto il mondo, con particolare attenzione a quella Europa in fermento sociale. I movimenti operai, l'Internazionale e la Rivoluzione sociale incombente sono le condizioni storiche e sociali che fanno da contorno alla sua visione dello Stato. Il testo in sé non ha una struttura individuabile, ma si presenta come una lunga serie di dissertazioni concatenate tra loro, sui più svariati argomenti di storia, politica, riflessione sociale e filosofia, oltre che di polemica con i marxisti e contro tutte le istituzioni esercitanti una qualche autorità. In questo discorso si manifesta l'anarchia come modello sociale ideale ma, come ogni dottrina politica votata alla azione, considerato veramente realizzabile.

In sostanza questo testo può essere visto come una sorta di breviario di “epistemi”, una fonte di slogan e concetti forti espressi all'interno di un discorso sullo Stato come fonte di oppressione, un manuale del rivoluzionario anarchico che trova buona parte della sua forza persuasiva nella sua struttura anch'essa anarchica, senza divisione in capitoli e ragionata come un flusso di coscienza, di cui l'argomento ricorrente è lo Stato oppressore e la necessità da parte del proletariato di liberarsene.

La concezione dello Stato

« Insomma lo Stato da una parte e la Rivoluzione Sociale dall'altra, tali sono i due poli il cui antagonismo rappresenta l'essenza stessa della attuale vita pubblica in tutta l'Europa »
(M. Bakunin, Stato e anarchia, Feltrinelli, Milano 1968, p. 32)

In questo passaggio è chiara la posizione che Bakunin assume nei confronti dello Stato il quale se non verrà abolito non ha alcuna via di scampo che di instaurarsi "nella sua forma più sincera oggi possibile, e cioè sotto la forma della dittatura militare o di un regime imperiale" (ibidem).

Ossia, nel momento storico di grande fermento sociale e di esperienze rivoluzionarie da poco passate e destinate a ripresentarsi l'indomani della Grande guerra, la lotta tra bene e male è la lotta tra l'istituzione statale e quindi lo spirito reazionario della classe borghese e la Rivoluzione, strumento della classe proletaria oppressa. Lo Stato in quanto tale e solo perché emanazione e strumento dell'esercizio di una autorità è la fonte della dominazione che la borghesia perpetra ai danni del popolo, difendendo la disparità sociale e la divisione del lavoro, in cui il vero sforzo è sostenuto dal proletariato e di cui i profitti sono intascati dai padroni, in cui l'autorità, per mezzo della violenza, è esercitata sempre da una classe a dispetto dell'altra in ogni campo, anche grazie alla cultura, mal distribuita ugualmente e utilizzando giustificazioni di ogni sorta, morali tra le più disparateper ottenere sempre lo stesso risultato anche nello stato repubblicano. Infatti dice ancora Bakunin:
« Nessuno stato, per quanto democratiche siano le sue forme, foss'anche la repubblica politica più rossa, popolare solo nel suo falso significato noto con il nome di rappresentanza del popolo, sarà mai in grado di dare al popolo quello che vuole, e cioè la libera organizzazione dei suoi interessi dal basso in alto, senza nessuna ingerenza, tutela o violenza dall'alto, perché ogni Stato, anche lo stato pseudo-popolare ideato dal signor Marx, non rappresenta in sostanza nient'altro che il governo della massa dall'alto in basso da parte della minoranza intellettuale, vale a dire quella più privilegiata, la quale pretende di sentire gli interessi ideali del popolo più del popolo stesso »

È forse questo un passaggio tra i più originali dell'autore, che si scaglia, prima ancora che contro la disparità economica, contro la cultura alta, contro l'idealismo di cui continuano dopotutto a essere figlie le teorie di Marx ed Engels, ma anche un altro noto pensatore della socialdemocrazia tedesca, Wilhelm Liebknecht, dei quali, oltretutto è messa in evidenza la sostanziale corrispondenza di interessi con lo Stato autoritario e al limite con il nazionalismo, nella partecipazione alla vita politica del Reich tramite le forme classiche del partito politico (il partito socialdemocratico, appunto) "partito niente affatto popolare dato che per tendenze, finalità e mezzi di lotta è un partito puramente borghese" (ibidem, p. 65).

La polemica con i marxisti toccò direttamente lo stesso Marx, di cui troviamo una serie di appunti proprio intorno a questo testo e nei quali è possibile notare la forte distanza tra due visioni che si interessano del potere da prospettive contrapposte: per Marx l'inizio della rivoluzione sociale avviene con la distruzione delle condizioni economiche del capitalismo, padre di ogni disparità di classe, mentre Bakunin è preoccupato delle conseguenze più immediate di una rivoluzione finalizzata al dominio da parte del proletariato di tutta la società, poiché ogni sottomissione a uno Stato non cambierebbe la condizione del proletariato, che continuerebbe a essere dominato. Un altro punto fondamentale riguardo allo Stato è:
« lo Stato significa violenza, dominazione mediante la violenza »

In questo breve passaggio, che sembra poter davvero assumere la forma dello slogan, si ritrova quello che è un concetto che ritornerà più volte nella teoria politica di molte epoche, non da ultimo la teoria giuridica, in cui lo Stato è visto come l'unico autorizzato all'esercizio legittimo della forza.

Marx, sempre attivo nel polemizzare con Bakunin, lesse un suo opuscoletto ("Stato e anarchia"), e vi scrisse dei commenti. Eccone uno stralcio:

    Bakunin: «Il suffragio universale tramite il quale il popolo intero elegge i suoi rappresentanti e i governanti dello Stato - questa è l'ultima parola dei marxisti e della scuola democratica. Tutte queste sono menzogne che nascondono il dispotismo di una minoranza che detiene il governo, menzogne tanto più pericolose in quanto questa minoranza si presenta come espressione della cosiddetta volontà popolare»
        Marx: «Con la collettivizzazione della proprietà, la cosiddetta volontà popolare scompare per lasciare spazio alla volontà reale dell'ente cooperativo»
    Bakunin: «Risultato: il dominio esercitato sulla grande maggioranza del popolo da parte di una minoranza di privilegiati. Ma, dicono i marxisti, questa minoranza sarà costituita da lavoratori. Si, certo, ma da ex lavoratori che, una volta diventati rappresentanti o governanti del popolo, cessano di essere lavoratori»
        Marx: «Non più di quanto un industriale oggi cessi di essere un capitalista quando diventa membro del consiglio comunale»
    Bakunin: «E dall'alto dei vertici dello Stato cominciano a guardare con disprezzo il mondo comune dei lavoratori. Da quel punto in poi non rappresentano più il popolo, ma solo se stessi e le proprie pretese di governare il popolo. Chi mette in dubbio ciò dimostra di non conoscere per niente la natura umana»
        Marx: «Se solo il signor Bakunin avesse la minima familiarità anche solo con la posizione di un dirigente di una cooperativa di lavoratori, butterebbe alle ortiche tutti i suoi incubi sull'autorità»

L'anarchia

Dato che ogni forma di Stato è una forma di dominio di classe (non importa quale sia la classe, borghesia, aristocrazia dell'intelletto o monarchia o quant'altro) viene spontaneo da chiedersi, quale sia allora la società ideale per Bakunin. In genere il suo interesse è per una forma di autogoverno, una amministrazione di se stessi e della società che vada dal basso verso l'alto nella convinzione che solo in questo modo si possa dare libertà al popolo di decidere veramente per se stesso che cosa sia meglio, essendo il popolo l'unico in grado di sapere veramente che cosa sia questo meglio. Tuttavia non è assente un progetto politico di organizzazione della società che sia alternativa allo Stato:
« Innanzitutto l'abolizione della miseria, della povertà, e la completa soddisfazione di tutte le necessità materiali per mezzo del lavoro collettivo, obbligatorio e uguale per tutti; e poi l'abolizione dei padroni e d'ogni specie di autorità, la libera organizzazione della vita, del paese in relazione alle necessità del popolo, non dall'alto in basso secondo l'esempio dello Stato, ma dal basso in alto, curata dal popolo stesso al di fuori di ogni governo e dei parlamenti; la libera unione delle associazioni dei lavoratori della terra e delle fabbriche, dei comuni, delle province, delle nazioni; e infine in un domani non lontano, la fraternità di tutta l'umanità trionfante sulla rovina di tutti gli Stati »
(M. Bakunin, Stato e anarchia, Feltrinelli, Milano 1968, p. 45)

Come giustificare la presenza di un obbligo per tutti di lavorare senza una autorità garante? Un modo per risolvere la apparente contraddizione è quello di considerare la visione di Bakunin nell'ottica del populismo, che aveva buon seguito nella Russia di quegli anni, grazie al quale Il Capitale di Marx entrò in quel paese a soli 5 anni dalla sua prima edizione in Germania. Del populismo, Bakunin sembra condividere l'esaltazione della vita dei contadini, della loro superiorità rispetto al proletariato urbano più corrotto e interessato all'accentramento sul modello statalista. Il contadino in definitiva ignorante e puro, che vive nella Mir, comunità agricola tipica della Russia, che si può immaginare ancora come una "Gemeinschaft", dalla quale possa poi emanare quell'autorità necessaria a garantire l'obbligatorietà del lavoro, che è lavoro manuale, per tutti. Oppure bisogna ipotizzare che per Bakunin l'uomo sia naturalmente buono, non aggressivo e viva di imperativi categorici. Questa seconda visione non sembra condivisibile tenendo soprattutto conto della sua visione della Rivoluzione Sociale (vedi di seguito). A chiarire il problema interviene bene quest'altro passaggio:
« Non abbiamo l'intenzione né la minima velleità di imporre al nostro popolo oppure a qualunque altro popolo, un qualsiasi ideale di organizzazione sociale tratto dai libri o inventato da noi stessi ma, persuasi che le masse popolari portano in se stesse, negli istinti più o meno sviluppati della loro storia, nelle loro necessità quotidiane e nelle loro aspirazioni coscienti o inconsce, tutti gli elementi della loro futura organizzazione naturale, noi cerchiamo questo ideale nel popolo stesso; e siccome ogni potere di Stato, ogni governo, per la sua medesima essenza e per la sua posizione fuori del popolo o sopra di esso, deve necessariamente mirare a subordinarlo a una organizzazione e a fini che gli sono estranei noi ci dichiariamo nemici di ogni governo, di ogni potere di Stato, nemici di una organizzazione di Stato in generale e siamo convinti che il popolo potrà essere felice e libero solo quando organizzandosi dal basso in alto per mezzo di organizzazioni indipendenti assolutamente libere e al di fuori di ogni tutela ufficiale, ma non fuori delle influenze diverse e ugualmente libere di uomini e di partiti, creerà esso stesso la propria vita. »
(M. Bakunin, Stato e anarchia, Feltrinelli, Milano 1968, p. 167-168)

Critiche

Bakunin è stato accusato di essere un autoritario criptico. Nella sua lettera a Albert Richard, scrisse che "esiste un unico potere e una dittatura la cui organizzazione è salutare e flessibile: è quella dittatura collettiva e invisibile di coloro che sono alleati nel nome del nostro principio". Tuttavia, i seguaci di Bakunin affermano che questa "dittatura invisibile" sia usata in senso metaforico e non sia una dittatura nel senso convenzionale della parola. Bakunin fu infatti attento nel precisare che i suoi membri non avrebbero esercitato alcun potere politico ufficiale: "questa dittatura sarà molto più salutare ed efficace non essendo abbigliata da alcun potere ufficiale o personaggio intrinseco".

Lo storico anarchico Max Nettlau descrive il panslavismo di Bakunin come il risultato di una psicosi nazionalista dalla quale pochi sono esenti.

Rivoluzionario e attivista durante le sollevazioni in seno alla primavera dei popoli, in seguito della rivolta di Dresda del maggio 1849, Bakunin venne arrestato, internato prima nella fortezza di Pietro e Paolo di San Pietroburgo, e poi trasferito in Siberia, riuscendo a fuggire nel 1861. La pubblicazione di Confessione del 1851, scritta, o estorta, come facilmente si può intuire, nella prima parte dei suoi dodici anni di prigionia zarista, venne usata per attaccare Bakunin poiché in tale testo egli chiedeva grazia all'Imperatore per i suoi peccati e lo supplicava di porsi a guida degli slavi sia come padre sia come redentore.

Bakunin era un convinto oppositore del potere economico in mano a famiglie di tradizione ebraica, e ciò gli ha procurato accuse di antisemitismo. Bakunin fece uso di questi suoi sentimenti nel dibattito con Karl Marx; affermò infatti che il comunismo Marxiano, insieme ai cartelli bancari internazionali associati con la famiglia Rothschild, fosse parte di un'organizzazione ebraica di sfruttamento globale:

"Questo mondo ebraico, consistente in un'unica setta sfruttatrice, una razza di persone succhia sangue, un genere di parassita collettivo distruttore organico, che va non solo oltre le frontiere degli Stati, ma [anche] dell'opinione politica, questo mondo è ora, perlomeno in buona parte, al servizio di Marx da una parte, e dei Rotschild dall'altra...ciò potrebbe sembrare strano. Cosa può esservi in comune tra il socialismo e una banca centrale? Il punto è che il socialismo autoritario, il comunismo Marxista, richiede una forte centralizzazione dello stato. E dove c'è la centralizzazione dello Stato deve esserci necessariamente una banca centrale, e dove tale banca esiste, potrà essere trovata la parassitaria nazione ebraica, nell'atto di speculare sul Lavoro del popolo".

L'antisemitismo di Bakunin potrebbe a sua volta derivare da quello di Proudhon, considerando la notevole influenza che il pensatore francese esercitò su Bakunin.

Allo stesso modo, però, vi è da sottolineare come lo stesso Karl Marx si espresse in tal senso, dove nelle lettere personali parlò di “Ramsgate piena di pulci e di ebrei”, così come moltissimi pensatori fondamentali dell'epoca moderna, quali Kant (“l’ebraismo non costituisce una confessione ma una Repubblica a parte”, Critica della Ragion Pratica, o nell’Antropologia definì i “palestinesi che vivono tra di noi” come “imbroglioni”), o Hegel, che si limitò a teorizzare “l’inferiorità dell’ebraismo rispetto al cristianesimo” e di Arthur Schopenhauer ( “l’ebraismo e la Bibbia rappresentavano il polo errato” ). Probabilmente tali espressioni sono da inserire in un generale contesto di identificazione fra ebraismo e classi dominanti.

Il suo eurocentrismo si manifestò in un auspicio verso la creazione degli Stati Uniti d'Europa, nel suo supporto per il colonialismo Russo, in particolare per quello praticato dal suo parente e protettore il conte Nikolay Muravyov-Amursky, e nella sua indifferenza verso il Giappone e i contadini giapponesi durante e dopo la sua breve permanenza a Yokohama (Il Giappone era riconosciuto come la nazione asiatica più predisposta alla rivoluzione in seguito al Rinnovamento Meiji del 1866-1869). Questi aspetti del suo pensiero tuttavia risalgono a un periodo precedente alla scrittura dei suoi lavori più importanti, e a quattro anni dopo il suo viaggio in Giappone.