Bacone Francesco

 

Enciclopedia filosofica Bompiani, vol. 2

BACON, Francis. - Filosofo, storico, giurista, saggista e politico, n. a York House, a Londra (nello Strand), il 22 genn. 1561, m. a Highgate (nella residenza del conte di Arundel) il 9 apr. 1626.

Sommario: I. Vita e scritti. - II. «Idola», logica, metodo. - III. Fra magia e scienza. - IV. Storia naturale. - V. La Bibbia, la religione, la scienza. - VI. Scienze galileiane e scienze baconiane. -VII. «New Atlantis». - VIII. L'ambiguità della tecnica.

I. Vita e scritti. - Il padre, Sir Nicholas Bacon, fu per vent'anni Lord guardasigilli della regina Elisabetta; la madre, Anna, era figlia di Sir An­thony Cooke, uno dei precettori di Edoardo VI. Ancora bambino, fu introdotto a corte e a do­dici anni entrò al Trinity College di Cambridge. Nel giugno del 1575 Francis entrò nel Gray's Inn di Londra, una delle scuole di giurispru­denza ove si formavano giureconsulti e avvo­cati. Tre mesi più tardi partì per la Francia al seguito di Sir Amias Paulet, ambasciatore alla corte di Enrico III. Al Gray's Inn, nel 1592, du­rante una festa per il compleanno di Elisabetta fu recitata una device scritta da Bacon: Mr. Bacon's Discourse in Praise of Learning. In quelle poche pagine sono presenti molti dei temi più significativi della filosofia di Bacon: la condan­na della tradizione filosofica e delle vanità dell'alchimia, la consapevolezza che le nuove scoperte geografiche e le nuove invenzioni hanno modificato il mondo, l'esigenza di un metodo nuovo, la richiesta di una collabora­zione, da parte del potere politico, alla riforma delle istituzioni culturali.

Durante il regno di Elisabetta, nonostante le numerose sollecita­zioni, Bacon ottenne soltanto la carica di «Counsel at Law»: una posizione di consulen­te legale che non garantiva né uno stipendio né una posizione stabile. Nel 1584, tuttavia, era stato eletto alla camera dei comuni, ove ri­mase per circa vent'anni. Nel 1596 dedicò a Elisabetta un breve trattato di carattere giuri­dico intitolato Maxims of the Law [Massime del­la legge], nel quale vengono notate le affinità, le divergenze e le contraddizioni fra la legge ci­vile romana e il diritto consuetudinario ingle­se. L'anno seguente vide la luce la prima edi­zione degli Essays che conteneva, oltre a dieci saggi, i Colours of Good and Evil [Colori del bene e del male] e le Meditationes Sacrae.

Agli Essays Bacon lavorò, in varie riprese, per tutto il corso della vita. Nelle edizioni successive del 1612 e del 1625 il numero dei saggi aumenterà rispet­tivamente a 34 e a 58, mentre il contenuto del­le Meditationes (costituite da brevi commenti a passi delle scritture) verrà in parte assorbito nei saggi stessi.

Al periodo compreso fra l'ini­zio del 1592 e il 1601 risale l'amicizia fra Bacon e Roberto Devereux, secondo conte di Essex. Un'amicizia che si concluse tragicamente con la condanna a morte e la decapitazione del fa­vorito della regina, dopo che costui era sceso per le strade di Londra con un gruppo di arma­ti. Nella sua qualità di consulente legale della corona, Bacon aveva avuto parte nella formu­lazione delle accuse di tradimento e di insur­rezione.

Nel 1603 la salita al trono di Giacomo I, che nutriva ammirazione per la cultura e per gli in­tellettuali, accese in Bacon grandi speranze. In un testo di quello stesso anno, intitolato De interpretatione naturae proemium, Bacon svolge una serie di considerazioni di carattere auto­biografico e avanza il progetto di una riforma della cultura che va inserita in un nuovo con­testo storico e politico. Nello stesso giro di an­ni Bacon aveva composto il Temporis partus masculus, che ha un tono fortemente polemi­co: i filosofi dell'antichità e molti pensatori del Rinascimento vengono, l'uno dopo l'altro, chiamati alla sbarra a rendere conto delle loro colpe.

In una numerosa serie di scritti, lasciati inediti, e che furono probabilmente composti fra il 1603 e il 1612 Bacon affronta tutti i temi della sua filosofia: le Cogitationes de scientia humana, il Valerius Terminus or the ìnterpretation of Nature (1603), la Partis ìnstaurationis secundae Delineatio et Argumentum (1607), il Filum Labyrinthi sive formula inquisitionis (in inglese, 1607 circa), i Cogitata et visa de interpretatione naturae sive de scientia operativa (che ne sono la versione latina ampliata, 1607-09), la Redargutio philosophiarum (1608), i Phaenomena universi sive historia naturalis ad condendam philosophiam (1608 circa), la Descriptio globi intellectualis (1612) e il Thema caeli (1612 circa).

Nel 1605 Bacon aveva intanto pubblicato un'opera di vasto respiro intitolata Two Books of Proficience and Advancement of Learning, Human and Divine, che verrà tradotta in latino e gran­demente ampliata nel 1623 e che rappresenta, come scriverà più tardi, una mescolanza di concetti nuovi e antichi. Quell'opera doveva essere abbastanza convenzionale da ottenere favorevole accoglienza e abbastanza vicina al grande progetto di riforma. Oltre che una dife­sa del sapere e della sua crescita l'Advance­ment presentava, nel secondo libro, un'enci­clopedia delle scienze che conteneva sia una classificazione delle conoscenze esistenti sia l'indicazione delle lacune che era necessario colmare. Nella dedica al sovrano Bacon chiari­va che, anche sul piano delle scelte politiche, era necessario affrontare tre problemi: i luoghi della cultura (le università e i collegi), i libri e le biblioteche, gli intellettuali. Consapevole dei rischi ai quali si sarebbe esposto pubblicando i suoi scritti più polemi­ci, Bacon decise di presentare non direttamen­te, ma «sotto il patrocinio dell'antichità e il ve­lo dell'allegoria», la sua polemica contro Pla­tone e contro Aristotele, la sua rivalutazione delle dottrine dei presocratici (con l'adesione alle dottrine di Democrito e ai temi dell'antico materialismo), nonché le sue tesi politiche de­rivanti da Machiavelli: il De sapientia veterum è un'opera legata ai modelli letterari del neopla­tonismo italiano e Bacon si servì ampiamente dell'opera di Natale Conti Mythologia sive explicatio fabularum (Venetiis 1567, ristampa New York 1976). Bacon presenta la sua filosofia at­traverso l'interpretazione dei principali miti dell'antichità. Pubblicato a Londra nel 1609, il De sapientia veterum era la terza opera filosofi­ca (dopo gli Essays del 1597 e Advancement of Learning del 1605) che Bacon, ormai cinquan­tenne, decideva di dare alle stampe.

Intorno al 1608 Bacon inizia pure la stesura del Novum organum, nel quale verranno rifusi molti con­cetti già svolti nelle opere inedite. A questo stesso periodo risale anche la prima redazione della New Atlantis.

Sono anni di straordinaria fecondità intellettuale e insieme di incertezze. Nel 1607, a quarantacinque anni, Bacon, che non aveva alcuna simpatia per il matrimonio e per l'altro sesso, aveva sposato, per ragioni di convenienza, la quattordicenne Alice Bar-nham.

Nello stesso anno, dopo la pubblicazio­ne dell'Advancement, era giunta la sospirata nomina a «General Solicitor» della corona. Ba­con tornò a gettarsi nella politica attiva: nel 1613 fu nominato «Attorney General»; nel 1617 «Lord Keeper» (Lord guardasigilli: il tito­lo che era stato di suo padre); nel gennaio dell'anno successivo «Lord Chancellor» (Lord cancelliere) e barone di Verulamio-, nel 1621 gli fu conferito il titolo di visconte di Sant'Albano.

Attorno al 1620 decise di pubblicare ciò che era riuscito a condurre a termine. L'opera, pubblicata nel 1620, recava nel frontespizio la raffigurazione di un veliero a tre alberi che si accinge a passare, a vele spiegate, attraverso le colonne d'Ercole. Una citazione dal libro di Daniele (12, 4) figura sotto l'illustrazione: «Multi pertransibunt et augebitur scientia» (Molti passeranno e la scienza progredirà). Il volume conteneva una dedica a Giacomo I, che veniva invitato a favorire la compilazione di una grande storia della natura e delle arti; una prefazione generale alla Instauralo Ma­gna, la Distributio operis, che contiene la som­maria descrizione delle sei parti di cui si com­pone l'ìnstauratio, una prefazione particolare al Novum organum e il testo dello stesso in due libri; la Parasceve ad historiam naturalem et experimentalem, che raccoglie il piano della progettata enciclopedia della natura e delle arti.

Le sei parti nelle quali si articola la ìnstau­ratio sono le seguenti: 1) Partitiones scientia-rum-, 2) Novum organum, sive indicia de interpre­tatione naturae; 3) Phaenomena universi, sive hi­storia naturalis et experimentalis ad condendam philosophiam ; 4) Scala intellectus sive filum la­byrinthi; 5) Prodromi sive anticipationes philo-sophiae secundae-, 6) Philosophia secunda, sive scientia activa.

Il titolo di visconte di Sant'Albano fu attribuito a Bacon pochi mesi dopo la pubblicazione dell'Instaurata magna. Sembrava un completo trionfo. Il crollo fu improvviso e imprevisto: tre giorni dopo l'arrivo delle lettere patenti che gli attribuivano il titolo di visconte di Saint Al-bans ebbe inizio la seduta del parlamento che traduceva Bacon in giudizio. Nella primavera del 1621 furono presentate alla camera dei Lords precise accuse di corruzione: si fece ca­rico a Bacon di aver accettato doni dalle parti contendenti, mentre le cause erano ancora in discussione. Dopo alcuni tentativi di difesa, quando si vide abbandonato dal sovrano, Ba­con confessò per iscritto la sua colpa. Fu con­dannato a un'ammenda di quarantamila ster­line, alla detenzione nella Torre a piacimento del re, alla interdizione da ogni ufficio, alla esclusione dal parlamento. Gli era inoltre vie­tato di avvicinarsi a meno di dodici miglia dal luogo di residenza della corte. Nonostante la proposta di alcuni giudici, non gli furono revo­cati i titoli nobiliari. L'ammenda fu presto con­donata e la detenzione durò pochi giorni. Poli­ticamente, Bacon era un uomo finito.

Dal mag­gio del 1621 al giorno della sua morte (9 aprile 1626) si dedicò interamente agli studi. Nel 1622 compose, in pochi mesi, la History of the Reigne of King Henry the Seventh, che è uno dei classici della storiografia inglese, e un opusco­lo intitolato Advertisement Touching an Holy War.

Gli scritti composti o pubblicati da Ba­con dopo il 1620 possono essere per la più parte inseriti nello schema della Distributio operis. Intorno al 1624 Bacon sottopose a revi­sione il testo della New Atlantis (che rimase in­compiuto e fu pubblicato da Rawley nel 1627, di seguito alla Sylva Silvarum); ritornò a medi­tare sui temi del materialismo scrivendo il De Principiis atque Originibus secundum fabulas Cupidinis et Coeli, sive Parmenidis et Telesii et praecipue Democriti philosophia tractata in fabula de Cupidine (pubblicato da Gruter nel 1653); preparò una nuova edizione ampliata dei Sag­gi, che vide la luce nel 1625.

Nel marzo del 1626, in un giorno molto freddo, fece una pas­seggiata in vettura nei dintorni di Londra. Vici­no a Highgate cominciò a nevicare. Bacon sta­va parlando con il dottor Witherborne, medico regale, del fatto che il freddo impedisce la putrefazione. Scese dalla carrozza, comprò un pollo da una contadina e lo seppellì nella ne­ve. Si era troppo esposto al freddo. Non si sen­tì in grado di tornare alla sua residenza al Gray's Inn e si rifugiò nel palazzo del conte di Arundel, che era in quel momento assente. Gli scrisse dopo alcuni giorni, dicendogli che era in casa sua e raccontandogli della perfetta riu­scita del suo esperimento. Morì il 9 aprile del 1626, soffocato dalla bronchite.

II. «Idola», logica, metodo.

La situazione della mente umana di fronte alle cose non è di fatto quella che dovrebbe essere di diritto. Usci­ta dalle mani del creatore, la mente era simile a uno specchio terso, capace di riflettere il mondo; ora assomiglia a uno specchio incan­tato (enchanted glass) pieno di imposture e su­perstizioni. Liberare la mente dagli Idola vuol dire cercare di restaurare quell'originario rap­porto, distruggere le empie costruzioni di una corrotta filosofia che ha costruito mondi fanta­stici, che ha creduto di poter sostituire al su­dore della fronte qualche «goccia di elisir». As­sieme a quei mondi cadranno anche quelle anticipazioni dell'esperienza con le quali si è vo­luto precorrere anziché intendere la stessa esperienza, e verrà meno quell'atteggiamento di arrogante superbia che ha allontanato gli uomini dall'umiltà necessaria di fronte al libro del mondo. Il movimento spontaneo e il pro­cesso nativo della mente vanno dunque tenuti in sospetto, la mente non dev'essere in alcun modo abbandonata a sé, ma perpetuamente guidata.

Gli aforismi 18-68 del primo libro del Novum organum sono dedicati alla famosa dottrina degli idola (che Bacon denomina anche fictions, superstitions, errors, spectra, notiones falsae, volantes phantasiae) dei quali è necessa­rio che gli uomini imparino a liberarsi per giungere a quel sapere che coincide con la po­tenza.

Gli idoli della tribù (idola tribus) hanno la loro origine nella natura stessa della specie umana: gli uomini hanno la naturale tendenza a credere il mondo più semplice di quanto non sia in realtà, a compiacersi di astrazioni in cui fissare arbitrariamente la mutevolezza dell'esperienza, a tener conto solo dei casi fa­vorevoli, a concepire il mondo solo in funzione dell'uomo.

Gli idoli della caverna (idola specus) derivano dagli influssi esercitati dall'ambien­te, dal temperamento, dall'educazione, dagli amici, dalle letture.

Gli idoli del mercato (idola fori) traggono origine dal reciproco contatto fra gli uomini e particolarmente dal linguaggio che, nascendo dall'uso, porta con sé tracce dell'ignoranza e dei pregiudizi.

Gli idoli del te­atro (idola theatri) sorgono e si diffondono con la falsità dei sistemi e delle teorie che si avvi­cendano sulla scena della filosofia.

La logica tradizionale si dimostra un efficace strumento quando gli uomini si limitano a di­scutere, rinunciando a operare sulla natura. Di­viene invece sterile quando si pongano come fini essenziali dell'attività degli uomini sulla terra l'invenzione di nuove arti e di nuove scienze, e la conquista della natura. Bacon ri­conosce esplicitamente l'esistenza di due logi­che differenti: l'una è valida nel campo delle controversie, delle dispute, della conversazio­ne, delle attività professionali, della vita civile; l'altra, la nuova logica, è invece indispensabile nell'ambito della progressiva conquista, da parte dell'uomo, della realtà naturale. La pri­ma di queste due logiche esiste di fatto, fu cre­ata dai greci e in seguito ripresa e perfeziona­ta, la seconda si presenta invece come un pro­getto e un'impresa, come l'apertura di una via mai tentata. Nella logica tradizionale quasi tutto il discorso ha per oggetto il sillogismo.

Rivolti com'erano alla ricerca di formule da im­piegare nelle disputationes, i dialettici si sono scarsamente preoccupati dell'induzione. Quest'ultima si rivela uno strumento assai più opportuno per penetrare nella natura. Ciò comporta che il tradizionale ordine delle di­mostrazioni venga invertito: finora si saltava immediatamente dal senso e dalle cose parti­colari a principi generalissimi che fungevano da «poli fissi» nello svolgersi delle dispute-, da questi principi, mediante proposizioni medie, si ricavavano poi tutti gli altri. Bisogna invece ricavare gli assiomi in modo graduale e quasi insensibile. A questo scopo, occorre riformare la stessa induzione di cui hanno parlato i dia­lettici. Essa, così com'è stata teorizzata, proce­de per enumerazione semplice e conclude in modo precario, essendo sempre esposta al pe­ricolo di un'istanza contraddittoria.

Per Bacon l'induzione non è soltanto generalizzazione, ma dev'essere Interpretatio, scoperta di un principio reale sulla cui base possano essere organizzati i dati dell'esperienza. La induzione vera baconiana procede per esclusione, in base a una scelta ed eliminazione degli elementi che consenta di individuare quelli essenziali. A questa scelta e a quest'opera di eliminazione servono le famose tabulae. Nella tabula presentiae verranno registrati tutti i casi in cui una determinata natura (per esem­pio il calore) si manifesta: i raggi del sole, i di­versi tipi di fiamma, il calore animale ecc. In una tavola delle assenze in prossimità (tabula declinationis sive absentiae in proximo) saranno registrati tutti i casi affini ai precedenti, ma nei quali sia assente il calore: i raggi della luna e delle stelle, i fuochi fatui, i raggi delle comete ecc. Infine in una tavola delle variazioni (tabula graduum) verranno riuniti i fatti nei quali quel­la natura è presente in grado maggiore o mi­nore: le variazioni dei gradi di calore sia in uno stesso corpo in momenti diversi sia in un cor­po paragonato a un altro.

Mediante questo procedimento di successive, graduali elimina­zioni delle forme non corrispondenti alla natu­ra presa in esame Bacon ritiene di poter giun­gere a isolare la forma affermativa o la ipsissima res.

Negli scritti antecedenti al 1620 egli aveva manifestato una spiccata simpatia per il mate­rialismo di Democrito. L'ipotesi atomistica gli era apparsa vera o tale da poter essere util­mente impiegata. Negli scritti facenti parte della ìnstauratio, Bacon tende a sostituire al concetto di atomo quello di natura semplice. Sottoponendo ad analisi i corpi naturali, si po­tranno ottenere quegli elementi semplici e co­me tali misurabili che costituiscono l'alfabeto della natura. Così, ad esempio, l'oro risulta composto da una serie di nature semplici qua­li il colore, il peso specifico, la duttilità, la mal­leabilità. Facendo uso della terminologia degli alchimisti, Bacon ritiene che, attraverso la co­noscenza delle nature semplici, sia possibile rivestire (superinducere) un corpo dato di natu­re nuove: di produrre per esempio un metallo che abbia il colore e l'aspetto dell'oro, o una pietra trasparente, o un vetro resistentissimo oppure un metallo di una durezza insuperabi­le.

Come ha mostrato T. Kotarbinski, esiste in Bacon uno stretto legame tra la formulazione del metodo e gli interessi chimico-alchimisti­ci. Egli intende risolvere un problema specifi­co, quello della attribuzione a un corpo qua­lunque di una proprietà determinata. Scopo del metodo è la ricerca della «forma» di una natura data. Di fronte a una certa proprietà os­servabile o natura dei corpi, si tratta di deter­minare quella struttura interna dei corpi stessi che la costituisce in modo specifico. Nel mo­mento stesso in cui afferma che forma e natura sono associate in modo costante e reciproco, Bacon dichiara di aver adottato il termine for­ma solo perché esso è già entrato nell'uso ed è familiare. La «forma» di cui parla Bacon non è la forma aristotelica: non è quel «qualcosa» a cui l'oggetto tende nel suo sviluppo e che guida la sua costituzione in quanto tale e non altro oggetto determinato. Per «forma» di una determinata natura Bacon intende la struttura o il processo nascosti (non direttamente accessibili ai sensi) delle particelle del corpo, il quale, grazie a quella struttura o processo, è dotato di quella (o quelle) proprietà. Il vero contenuto della forma baconiana è, in qualche modo, fisico-chimico. Si tratta, in ultima istan­za, di trovare quella struttura (che oggi chia­meremmo molecolare) che determina le carat­teristiche esterne di un corpo appartenente a un genere dato. Proprio su questo terreno lin­guistico si muoverà, non a caso, anche il baconiano Robert Boyle. Le proprietà dei corpi ven­gono interpretate come risultati dei movimen­ti delle particelle costitutive dei corpi stessi. Da questo punto di vista Bacon apparve a mol­ti uno dei grandi padri fondatori della cosid­detta filosofia meccanica.

III. Fra magia e scienza. - Bacon è una delle fi­gure centrali della polemica antimagica che caratterizza la cultura del Seicento. La magia naturale «raccoglie credule e superstiziose no­zioni e osservazioni di simpatie e antipatie e proprietà occulte ed esperimenti futili, strani più per l'apparato in cui si presentano che non in se stessi». Essa è tanto lontana dalla scien­za quanto la storia di re Artù è lontana, per la verità storica, dai Commentari di Cesare. Il ma­go dà ali alla sua immaginazione, perde il sen­so delle proporzioni, si ripromette il consegui­mento di oggetti immensi. Se la scolastica è, agli occhi di Bacon, un sapere contenzioso e l'umanesimo è un sapere delicato, la magia è un sapere fantastico o superstizioso. Il rifiuto dell'«iniquo e fallace connubio» tra indagine sulla natura e discorso mistico-religioso è all'origine dell'antipatia di Bacon per il plato­nismo, che gli appare una filosofia «fantastica e tumida, quasi poetica», che blandisce le in­telligenze e attira a sé gli ingegni migliori, e che è necessario combattere perché non v'è nulla di più pericoloso «delle stoltezze capaci di suscitare venerazione».

Nel primo aforisma del primo libro del Novum organum, Bacon ab­bandonava la definizione aristotelica dell'uo­mo e riprendeva alla lettera la definizione dell'uomo «ministro e interprete della natura» che era presente in Cornelio Agrippa e in molti altri testi della tradizione magico-ermetica. Ma, in due righe di testo, riusciva ad accogliere un nucleo importante di quella tradizione (il concetto del sapere come potenza, di una scienza che si fa ministra della natura per prolungarne l'opera e portarla a compimento) e insieme a rifiutare quella immagine di onnipotenza che costituisce l'essenza della tradizione magico-ermetica: «L'uomo, ministro e interprete della natura, opera e intende solo per quanto, con la pratica o con la teoria, avrà appreso dell'ordi­ne della natura: di più non sa né può».

IV. Storia naturale. - La storia naturale è per Bacon una storia della natura «libera» e, insie­me, una storia della natura «modificata e tra­sformata dalla mano dell'uomo». La storia delle arti, secondo Bacon, è stata finora consi­derata in modo così meschino e inutile che es­sa è da collocare fra i desiderata. Gli uomini dotti hanno considerato disonorevole e vergo­gnoso abbassarsi alla ricerca e all'esame delle cose meccaniche. Sull'importanza della storia delle tecniche Bacon insisterà, con particolare efficacia, nelle pagine della Parasceve: anche se tutti gli ingegni di tutte le epoche dovessero riunirsi, anche se tutti gli uomini si dedicasse­ro allo studio della filosofia, anche se il mondo si riempisse di accademie e di collegi, nessun progresso sarebbe possibile senza una storia naturale.

Il Catalogo delle storie particolari, pub­blicato da Bacon di seguito alla Parasceve, comprendeva l'indicazione di centotrenta sto­rie particolari. Alle arti meccaniche era dedica­to largo spazio: tali storie «mostrano le cose in movimento e guidano più direttamente alla pratica»; attraverso di esse è possibile «strap­pare la maschera e i veli che nascondono gli oggetti naturali».

Facendo della storia delle tecniche una parte integrante della storia na­turale, Bacon assumeva un atteggiamento ra­dicalmente nuovo di fronte a quella tradizione, di derivazione aristotelica, che aveva contrap­posto la natura all'arte e i prodotti naturali ai prodotti costruiti dall'uomo. Le impostazioni aristoteliche relative al rapporto arte-natura venivano rovesciate: fra gli oggetti naturali e quelli artificiali non si dà alcuna distinzione di essenza. Il fulmine, che gli antichi negavano potesse essere imitato, è stato di fatto imitato nell'epoca moderna. L'arte non è una «scim­mia» della natura e i prodotti dell'arte non so­no qualcosa di inferiore a quelli naturali. Il progresso della scienza, il miglioramento della condizione umana richiedono, per Bacon, che il sapere dei tecnici venga inserito nel campo - ad esso precluso da una secolare tradizione - della scienza e della filosofia naturale. Solo per questa via la experientia erratica dei mecca­nici, lo sparso insieme di ricerche e di osserva­zioni degli artigiani, le quotidiane fatiche di coloro che trasformano la natura mediante l'opera delle mani, potranno essere sottratte al caso, alla pura empiria, alle ambigue tenta­zioni della magia, e dar luogo a un grandioso corpus, organico e sistematico, di conoscenze.

Si tratta di un progetto grandioso che verrà ri­preso da Leibniz e portato a compimento dagli autori della grande Encyclopédie dell'illumini­smo.

La valutazione baconiana delle arti mec­caniche è fondata su tre punti: 1) esse servono a rivelare i processi della natura, sono una for­ma di conoscenza; 2) le arti meccaniche cre­scono su sé medesime, sono, a differenza di tutte le altre forme del sapere tradizionale, un sapere progressivo, e crescono così veloce­mente «che i desideri degli uomini vengono a mancare prima ancora che esse abbiano rag­giunto la perfezione»; 3) nelle arti meccaniche, a differenza che nelle altre forme della cultura, vige la collaborazione; esse sono una forma di sapere collettivo: in esse confluiscono gli im­pegni di molti, mentre nelle arti liberali gli in­gegni di molti si sottopongono a quello di una sola persona.

V. La Bibbia, la religione, la scienza. - Si è già detto del richiamo al libro di Daniele nel fron­tespizio del Novum organum. La presenza nell'opera di Bacon di una serie di riferimenti al testo biblico, di una simbologia attinta all'Antico e al Nuovo Testamento, è stata sot­tolineata da molti studiosi. Il titolo del Temporis partus masculus, sive ìnstauratio magna im­perii humani in universum, che verrà non a caso ripreso nella maggiore opera del 1620, fa rife­rimento alla grande promessa della Genesi; la terza parte della ìnstauratio, concernente la preparazione della storia naturale, veniva de­signata da Bacon col termine Parasceve, che nel Nuovo Testamento indica il giorno di pre­parazione al sabato ebraico; Bensalem è il no­me dell'isola della Nuova Atlantide, e la grande fondazione che è rivolta allo studio delle opere e delle creature di Dio si chiama Casa di Salo­mone o Collegio delle opere dei sei giorni.

Una delle più evidenti conseguenze dell'oppo­sizione di Bacon all'«iniquo e fallace connu­bio» di scienza e teologia è la polemica contro quella letteratura rabbinica, cabalistica e paracelsiana che cercava di fondare la filosofia na­turale sul primo capitolo della Genesi, sul libro di Giobbe e su altri passi delle scritture.

Assie­me alla dottrina dell'uomo-microcosmo cade, nella prospettiva di Bacon, anche la concezio­ne del mondo come «immagine vivente» di Dio. La distinzione, ampiamente e sottilmente teorizzata nei testi baconiani, fra la.volontà e la potenza di Dio appare, da questo punto di vi­sta, molto importante. Il salvatore ci propone due libri da studiare, «quello delle Scritture che rivela la volontà di Dio, e quello delle cre­ature che rivela la potenza di Dio». Nelle scrit­ture «scrutate» si rivela la volontà, nelle natu­re «contemplate» si rivela la potenza del Si­gnore. «Coeli enarrant gloriam Dei, atque opera manuum eius indicat firmamentum». questo versetto dei Salmi è più volte citato da Bacon. L'immagine del mondo, subito dopo il Verbo, è indice della divina sapienza e potenza, e tut­tavia le scritture non arrivano ad attribuire al mondo l'onore di esser chiamato «immagine di Dio»; si limitano a considerarlo «l'opera delle sue mani» né esse parlano di altra immagine di Dio che non sia l'uomo. Dio è «simile solo a sé medesimo, al di fuori di ogni metafo­ra», e non ha nulla in comune con le creature. Non è pertanto legittimo attendersi dallo stu­dio delle cose sensibili e materiali una qual­che luce sulla natura e sulla volontà divine. Cristo fu mosso solo dalla carità. Ed è la carità, nella quale non è mai possibile eccedere, che può togliere il veleno infuso dal serpente nella scienza.

Il sapere ha dunque mutato funzione, non è né contemplazione né tentativo di decifrare le strutture ultime. La scienza appare a Bacon come venatio, come caccia, come tentativo di penetrare in territori sconosciuti in vista della fondazione del regnum hominis. Anche questo tema, che costituisce l'elemento centrale del pensiero baconiano, viene collegato da Bacon con il testo della Bibbia. «Gloria Dei est celare verbum, et gloria regis investigare serrnonem»; co­me se Dio si dilettasse del gioco innocente dei fanciulli che si nascondono per farsi scoprire. La gloria della scoperta (a differenza della glo­ria che deriva dal potere politico) è il segno della nobiltà della natura umana. La luce della scienza è pura e senza maleficio. Il suo uso può essere pervertito, gli uomini possono rica­vare strumenti di vizio e di morte dalle arti meccaniche. Da ciò tuttavia la luce della scien­za, in quanto desiderio di scoperta, non può in alcun modo essere macchiata.

VI. Scienze galileiane e scienze baconiane, - Sostituendo alla tradizionale raccolta di luoghi retorici una raccolta di luoghi naturali, piegan­do l'arte della memoria a fini differenti da quelli tradizionali, concependo le tabulae co­me mezzi di ordinamento mediante i quali la memoria prepara una «realtà organizzata» all'opera dell'intelletto, servendosi delle regulae di Pietro Ramo in vista di una determina­zione delle «forme», Bacon aveva in realtà in­trodotto, entro la sua logica del sapere scien­tifico (che egli presentava come radicalmente «nuova»), una serie di elementi attinti alla tra­dizione dialettico-retorica del Rinascimento. È diventato un luogo comune ed è stato ripetuto innumerevoli volte: Bacon ebbe una scarsa consapevolezza della funzione esercitata dalla matematica nell'ambito del sapere scientifico. Ma anche questa incomprensione, che lo con­dusse ad apprezzare di più i «meccanici» come Giorgio Agricola che non i «teorici» come Co­pernico e Galilei, appare connessa alla sua im­magine del metodo come mezzo per ordinare la «selva» naturale, immagine che Galilei e Ke­plero non avevano certo condiviso.

In un pas­so fra i più citati, Galilei aveva scritto che il li­bro dell'universo era scritto in caratteri mate­matici. In un passo meno citato, ma altrettan­to significativo, Keplero aveva scritto che il Creatore «geometrizza eternamente». Espres­sioni di questo tipo sono quanto di più lonta­no possa esserci dalla mentalità di Bacon e valgono a darci, meglio di ogni altra conside­razione, la misura di una differenza radicale. Bacon considerò il «coraggio» delle ipotesi, la violenza fatta ai sensi, le anticipazioni, come un mortale pericolo per la scienza. Vale la pe­na di ricordare una cosa apparentemente ov­via, ma che viene spesso dimenticata: la scien­za del secolo XVII fu insieme galileiana e baco­niana e cartesiana. Come ha messo in luce Thomas Kuhn, il progresso dell'anatomia, dell'embriologia, della botanica, della zoolo­gia, della geologia, della mineralogia moderne fu strettamente legato a un'insistenza, di tipo «baconiano», sull'osservazione e sugli esperi­menti, e soprattutto alla convinzione che l'im­mensa varietà e molteplicità di forme della natu­ra potesse essere ordinata, classificata e de­scritta, anche se ci si rese conto, ben presto, dell'insufficienza di ogni pura descrizione, e della necessità di avanzare, anche qui, conget­ture e ipotesi.

L'identificazione della «scienza» con gli «esperimenti» doveva, senza dubbio, rivelarsi parziale, e tuttavia quel richiamo agli esperimenti e quella diffidenza verso l'audacia delle ipotesi esercitarono una funzione storica di importanza decisiva.

La scienza moderna ha tratto alimento da divergenti e opposte visioni metafisiche; è nata, per vie contorte e difficili, da molteplici e discordanti tradizioni.

VII. «New Atlantis». - Una gran parte della fa­ma di cui gode il Lord cancelliere presso il grande pubblico è affidata alle pagine della New Atlantis, un'opera di piccola mole, scritta negli anni che seguirono la rovina politica di un filosofo che era diventato un uomo politico potente. La New Atlantis è opera di messiani­smo profetico o di sociologia utopistica o (co­me oggi si preferisce dire) di futurologia, ma non è certo un'utopia politica.

In essa, come ha chiarito Enrico De Mas, sono assenti tutti i temi classici dell'utopismo politico: sulla mi­gliore forma del governo, sul ruolo delle magi­strature, sulla funzione della nobiltà, sulla educazione del principe. La civiltà di Bensalem è più antica della penetrazione del cristianesimo, è insieme cristiana e tollerante, anche nei confronti degli ebrei. La serenità dei suoi abitanti è collegata al loro alto livello di vita e a un diffuso benessere. Le feste e le cerimonie, quasi sempre sontuose, vi svolgono un ruolo importante. Dagli uffici è bandita la venalità. Vi è sconosciuta l'omosessualità, vi è condan­nata la prostituzione e la dissolutezza dei co­stumi. Il solo punto sul quale la civiltà di Bensalem viene contrapposta alla civiltà europea (ed è anche il solo punto nel quale la civiltà europea viene aspramente criticata) è relativo all'istituto del matrimonio. Per gli abitanti di Bensalem esso presuppone l'integrità fisica, ha come scopo la procreazione ed è rigida­mente monogamico. Se contratto senza il con­senso dei genitori comporta una pena sul pia­no ereditario. La cortesia, il rispetto, la genti­lezza, la probità e la generosità dei modi carat­terizzano il comportamento dei neoatlantici. Una pacata concordia è il saldo cemento che tiene unita questa società ideale. Essa riesce (questo ai nostri occhi sembra miracoloso) a congiungere insieme il benessere e la ricchez­za con l'austerità dei costumi e la severità del­le norme morali.

Come anche nel saggio Sulla vicissitudine delle cose, Bacon riprende, nella New Atlantis, l'ipo­tesi di una identità fra l'antico continente scomparso e il nuovo continente scoperto da Cristoforo Colombo. Bacon aderisce cauta­mente a una delle tesi più pericolose che si erano affacciate nella cultura dei libertini: quella di un'origine autonoma degli america­ni. Il contrasto fra il monogenismo del raccon­to biblico e il poligenismo di ispirazione natu­ralistica sarà uno dei grandi temi della cultura filosofica e teologica del Seicento e del Sette­cento. Il racconto baconiano riusciva a far coe­sistere due fenomeni in apparenza contraddit­tori: facendo coincidere l'America con Atlanti­de si poteva spiegare l'esistenza delle grandi civiltà peruviana e messicana; la novità di un mondo riemerso da un immane diluvio poteva spiegare, dall'altro lato, le condizioni di arre­tratezza dei «selvaggi americani».

Nella New Atlantis, Bacon si pose anche il pro­blema dei rapporti fra scienza e politica. La so­luzione che prospetta è quella di una netta e forte «separazione». Rispetto al resto della po­polazione gli scienziati neoatlantici vivono in solitudine. Il loro lavoro (e il loro aspetto) ci ri­chiama, da questo punto di vista, qualcosa che assomiglia a un sacerdozio, a un campus tagliato fuori dal resto del mondo, a quieti e fer­vorosi luoghi per la ricerca che non siano tur­bati dal quotidiano affaccendarsi dei comuni mortali. C'è di più: gli scienziati tengono appo­site riunioni per decidere quali fra le scoperte realizzate possano essere rese note al pubbli­co e quali no. Si impegnano, ove la decisione sia negativa, a un giuramento di segretezza. Al­cune delle scoperte che decidono di mantene­re segrete vengono rivelate allo stato. Altre vengono invece tenute del tutto nascoste al potere.

Bacon, si è visto, ritiene che le scelte che riguardano i valori siano di pertinenza dell'etica e della religione. Relativamente al problema degli usi che possono essere fatti delle scoperte scientifiche e tecnologiche non è affatto un ottimista. I sapienti che decidono di tenere nascoste alcune loro scoperte «peri­colose» non vivono infatti nel competitivo e corrotto mondo reale, ma operano all'interno della civiltà neoatlantica che è oltremodo pa­cifica, austera e tollerante.

VIII. L'ambiguità della tecnica. - La crescita del sapere apparve ai grandi esponenti della cultura del Seicento qualcosa di provvisorio che la storia futura può cancellare o smentire. Quando elenca le «ragioni di speranza» che si possono nutrire per il rifiorire delle scienze e il rinnovamento della vita umana, Bacon ritiene sia opportuno adottare un atteggiamento di aprioristica e programmatica diffidenza. Quando elenca in sette aforismi i motivi che possono spingere gli uomini a sperare in un futuro migliore, li qualifica come «le ragioni che debbono preservarci dalla disperazione». Bacon è stato presentato innumerevoli volte come l'entusiasta assertore della tecnica o, addirittura, come il padre spirituale del «tecni­cismo neutro» che caratterizzerebbe tutta la cultura moderna. È vero esattamente il contra­rio.

Esistono nella letteratura del Seicento ben poche pagine sul carattere ambiguo della tec­nica che possano essere paragonate a quelle scritte dal Lord cancelliere nella interpretazio­ne (che risale al 1609) del mito di Daedalus sive mechanicus. La figura di Dedalo è quella di un uomo ingegnosissimo ma esecrabile. Il suo nome è soprattutto celebrato per le «illecite invenzioni»: la macchina che permise a Pasife di accoppiarsi con un toro e di generare il minotauro divoratore di giovani; il labirinto esco­gitato per nascondere il minotauro e per «pro­teggere il male con il male». Dal mito di Deda­lo si ricavano conclusioni di carattere generale: le arti meccaniche generano molti tesori per il servizio della religione, per l'ornamento della vita civile, per il miglioramento dell'inte­ra esistenza. Da quella stessa fonte, tuttavia, derivano strumenti di vizio e di morte, veleni, macchine da guerra che superano per crudeltà e pericolosità lo stesso minotauro.

Il sapere tecnico, agli occhi di Bacon, ha questo di ca­ratteristico: mentre si pone come possibile produttore del male e del negativo, offre, in­sieme e congiuntamente a quel negativo, la possibilità di una diagnosi del male e di un ri­medio al male. Dedalo costruì anche «rimedi per i delitti». Fu autore dell'ingegnoso espe­diente del filo capace di sciogliere i meandri del labirinto: «Colui il quale ideò i meandri del labirinto, ha mostrato anche la necessità del filo. Le arti meccaniche sono infatti di uso am­biguo e possono nel contempo produrre il ma­le e offrire un rimedio al male».

A differenza delle filosofie, le tecnologie appa­rivano a Bacon «come animate da uno spirito vitale», capaci di crescita e di progresso. A dif­ferenza di quanto molti hanno incautamente scritto e molti ancora credono, Bacon non è né un teorico del progresso né un entusiasta esal­tatore della tecnica. Non pensa affatto che la tecnica sia qualcosa di moralmente innocente, tale da esonerare da ogni conflitto morale.

È certo vero, come si è tante volte ripetuto, che a Bacon non può esser fatta risalire nessuna delle scoperte scientifiche che hanno modifi­cato in profondità l'orizzonte della scienza mo­derna. Ma è anche vero che egli dette un con­tributo decisivo alla costruzione dell'immagi­ne moderna della scienza, dei suoi fini, dei va­lori che in essa sono presenti, dei modi in cui essa si pone nei confronti delle altre forme della vita culturale.

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wikipedia

Sir Francis Bacon, dapprima latinizzato in Franciscus Baco(nus) e poi italianizzato in Francesco Bacone (Londra, 22 gennaio 1561 – Londra, 9 aprile 1626), è stato un filosofo, politico e giurista inglese.

Formatosi con studi in legge e giurisprudenza, divenne un sostenitore e strenuo difensore della rivoluzione scientifica sostenendo il metodo induttivo fondato sull'esperienza.

Vissuto alla corte inglese, sotto il regno di Elisabetta I Tudor e di Giacomo I Stuart, ricoprì importanti cariche pubbliche fino a quella di lord guardasigilli (1617) e lord cancelliere (1618). Ottenne il titolo di barone di Verulamio e visconte di Sant'Albano. Nel 1621, dopo essere stato incarcerato per una condanna di peculato da cui comunque fu graziato dal re e scarcerato dopo qualche giorno di prigionia, si ritirò a vita privata dedicandosi esclusivamente ai suoi studi ed alla stesura delle sue opere attraverso le quali esercitò una forte influenza nel mondo politico e culturale.

Biografia

Nacque il 22 gennaio 1561, nella York House di Londra, la residenza di suo padre, sir Nicholas Bacon, che nei primi vent'anni del regno d'Elisabetta I Tudor, aveva tenuto il Gran Sigillo. Sua madre era Lady Anna Cooke, cognata di Sir William Cecil, Lord Burghley, che fu Lord Tesoriere della Regina Elisabetta, e uno degli uomini più potenti d'Inghilterra.

A 12 anni iniziò a frequentare il Trinity College di Cambridge, ma dopo tre anni se ne allontanò generando un'accesa ostilità verso il culto di Aristotele volendo allontanare la filosofia dalla disputa scolastica per portarla su campi più pratici per illuminare ed accrescere l'umana felicità.

Nel 1583 fu eletto in Parlamento come rappresentante di Tauton. Nel 1595 il Conte di Essex, suo grande amico, gli fece dono di una proprietà a Twickenham; l'amicizia fra i due si infranse però quando il Conte fu scoperto congiurare contro la Regina Elisabetta e lo stesso Bacone prese parte attiva nell'accusa. Nel 1606 fu fatto Procuratore generale; nel 1613 divenne Avvocato generale e nel 1618 fu nominato Gran Cancelliere d'Inghilterra.

Morì a 65 anni, in pochi giorni, dopo aver contratto la polmonite mentre studiava gli effetti nella neve del congelamento per la conservazione delle carni.

Metodologia scientifica
  
«In tutte le cose, e specialmente nelle più difficili, non ci si deve aspettare di seminare e mietere nel medesimo tempo, ma è necessaria una lenta preparazione, affinché esse maturino gradatamente.» (da Sermones Fideles sive Interiora Rerum, n. XLV)

Nei suoi scritti filosofici si dipana una complessa metodologia scientifica, spesso indicata con il suo nome (metodo baconiano). Sir Francis Bacon è il filosofo empirista della rivoluzione scientifica che ha incentrato la sua riflessione nella ricerca di un metodo di conoscenza della natura che possiamo definire scientifico, nel senso che vuole essere ripetibile, parte dall'osservazione della natura e come la scienza è volto al suo dominio per ricavarne applicazioni utili per il genere umano come erano quelle dell'età industriale.

Riprendendo le idee dei pensatori del '400 italiani (fra i quali Leonardo da Vinci), Francis Bacon teorizza che l'osservazione della natura deve essere praticata compilando una tabula presentiae e una tabula absentiae in proximitate in cui si mettono per iscritto i dati di temperatura, oggetti anche nel dettaglio di sostanze chimiche e altri fattori ambientali presenti e assenti in un dato momento in cui si è ottenuto un fenomeno di cui si cerca di scoprire i fattori favorevoli e poi la causa determinante.

Se il fenomeno si manifesta sia in presenza che in assenza di un dato fattore presunto, allora il fattore che è rilevato nel contesto è ininfluente. Se il fenomeno muta d'intensità, in presenza del fattore, ma si manifesta anche in sua assenza, ciò significa che il fattore condiziona il fenomeno ma non ne è ancora la causa.

L'obiettivo dell'analisi è trovare quel fattore la cui presenza è condizione necessaria (anche se non sufficiente) del fenomeno stesso.

La filosofia naturale si distingue in due parti: quella speculativa, che riguarda la ricerca delle cause dei fenomeni naturali, e quella pratica che si occupa della produzione degli effetti. La parte speculativa, a sua volta, si divide in fisica e metafisica: la fisica "indaga e tratta le cause materiali ed efficienti; la metafisica studia le cause finali e formali".

Senza conoscere una causa sufficiente non si potrà riprodurre il fenomeno e nemmeno conoscerlo: un attributo se sarà presente in un oggetto, non necessariamente diventerà visibile e conoscibile, stimolato l'oggetto con la causa necessaria di quell'attributo; altrimenti se non si manifesta, ciò non vorrà dire che l'oggetto non possiede tale attributo.

Con una causa sufficiente (anche se non necessaria) si può replicare il fenomeno e se non si manifesta nell'oggetto stimolato da quella causa escluderne la possibilità in quel caso. Bacone passò la vita a cercare un esperimento che chiamò "istanza cruciale" (experimentum crucis), tale da interrogare la natura in modo da costringerla a risponderci sì o no, come dicevano i naturalisti italiani.


    «Il dominio dell’uomo consiste solo nella conoscenza: l’uomo tanto può quanto sa; nessuna forza può spezzare la catena delle cause naturali; la natura infatti non si vince se non ubbidendole» (da Cogitata et Visa)

Il suo metodo anticipa quello galileiano che dimostrerò come occorra un approccio quantitativo con equazioni e misure per trovare delle condizioni necessarie e/o sufficienti per conoscere i fenomeni e replicare quelli a noi più utili (e non soltanto qualitativo con tabule presentiae ed absentiae, ancora oggi utilizzate negli esperimenti dove è importante indicare le condizioni ambientali in cui avviene la misura).

Il Nuovo Organo

In quest'opera, Bacone elabora una procedura di lavoro per poter raggiungere una conoscenza certa di un fenomeno. Tale procedura viene definita metodo baconiano che consta di due parti fondamentali: la pars destruens e la pars costruens. Nella pars construens del "Novum Organum", Bacone cerca di fornire una teorizzazione del ragionamento induttivo, più definita e rinnovata rispetto a quella già accennata da Aristotele. Infatti, l'induzione aristotelica, o induzione per enumerazione semplice, passa troppo presto dai casi particolari ai princìpi generali. Conclude, cioè, troppo precipitosamente, procedendo per semplice enumerazione. Ad es., dalle osservazioni particolari che questo cigno è bianco, che quest’altro è bianco, e che quest’altro ancora è sempre bianco, passa subito alla conclusione generale che tutti i cigni sono bianchi. Ma i dati raccolti per enumerazione semplice possono essere sempre falsificati da esempi successivi (per es., nel nostro caso, dalla constatazione futura dell'esistenza di un cigno nero).

Il superamento di questa falsa o impropria induzione passa secondo Bacone per l'instaurazione di una nuova metodologia scientifica che conduca all'induzione vera, non più per enumerazione semplice ma per esclusione degli elementi inessenziali a un fenomeno, e per scelta di quelli essenziali. Quello che Bacone vuole scoprire con l'induzione vera è la legge dei fenomeni. Sennonché questa legge è ancora concepita da Bacone aristotelicamente come "forma" (o "essenza", o "causa", o "natura") del fenomeno studiato, e non, come farà Galileo, come relazione quantitativa, di tipo matematico. In altre parole, la forma di un fenomeno (per es., del calore) è intesa, più o meno alla maniera di Aristotele, come il complesso delle qualità essenziali del fenomeno stesso, ossia come ciò che lo fa essere quello che è. Più precisamente, Bacone intende per forma il principio interno che spiega la costituzione, la struttura del fenomeno, ma che spiega anche il suo sviluppo, cioè la sua generazione e produzione. Il grave limite di Bacone consiste dunque nel fissare la sua attenzione sugli aspetti qualitativi del fenomeno studiato, mentre la scienza moderna si interessa solo dei suoi aspetti quantitativi, di quelli, cioè che, appunto perché quantitativi, possono essere misurati.

Gli Idola: la pars destruens

Nella pars destruens del suo Novum organum sono esposti gli errori da cui dobbiamo liberarci per delineare il metodo della ricerca della verità. Occorre purificare la nostra mentalità da una serie di errori che avevano causato sino ad allora lo scarso progresso delle scienze.

Ma prima ancora di classificare gli errori occorre indicare le cause degli errori:

    * prima causa: l'uomo è più attaccato alle proprie idee che alle cose cioè l'uomo spesso dà più valore alle proprie idee che alla realtà;
    * seconda causa: l'insofferenza per il dubbio;
    * terza causa: attribuire false finalità alla conoscenza. La conoscenza dice Bacone non è né serva né cortigiana ma sposa. Lo scienziato non si deve vendere come la cortigiana né asservirsi al potere di qualcuno ma accudire con amore alla sola scienza.

    «E allora la scienza non sarà più nè una cortigiana, strumento di voluttà, nè una serva, strumento di guadagno, ma una sposa legitima, rispettata e rispettabile, feconda di nobil prole, di vantaggi reali, e di oneste delizie.»
   
Dopo aver parlato delle cause degli errori, Bacone elenca gli errori che chiama idoli poiché l'uomo li onora al posto del vero Dio, della verità:
   

«Gli idoli e le false nozioni che sono penetrati nell'intelletto umano fissandosi in profondità dentro di esso, non solo assediano le menti in modo da rendere difficile l'accesso alla verità ma addirittura (una volta che questo accesso sia dato e concesso) di nuovo risorgeranno e saranno causa di molestia anche nella stessa instaurazione delle scienze: a meno che gli uomini preavvertiti non si agguerriscano per quanto è possibile contro di essi...»

    * Idola tribus, gli errori della tribù, quelli radicati nella specie umana, che è fatta in modo tale che inevitabilmente commette errori. Il fatto stesso di essere uomini ci porta ad errare;
    * Idola specus, cioè gli errori della spelonca platonica, dovuti alla soggettività particolare dell'uomo. Ogni uomo è fatto in modo tale che oltre agli errori che commette in genere come uomo ci sono quelli legati alla sua particolare individualità;
    * Idola fori, gli errori della piazza, delle «reciproche relazioni del genere umano», del linguaggio, che è convenzionale ed equivoco.
    * Idola theatri, gli errori della finzione scenica che Bacone imputa alla filosofia che ha dato rappresentazioni non vere della realtà «favole recitate e rappresentate sulla scena», e come è accaduto con il sistema aristotelico che ha descritto un mondo fittizio non corrispondente alla realtà.

La storia della filosofia allora da quest'ultimo punto di vista può essere suddivisa in tre specie: sofistica, empirica e superstiziosa.

Di filosofia sofistica accusa Aristotele perché cercò di dare più una descrizione astratta delle cose che andare alla ricerca della loro vera realtà.

Una filosofia empirica è quella di Gilbert e degli alchimisti, che spiegano le cose per mezzo di limitati e particolari esperimenti.

La filosofia "superstiziosa", infine, è quella che si fonde con la teologia come la filosofia pitagorica e platonica.

Il metodo delle Tabulae: la pars construens

L'induzione vera proposta da Bacone può anche definirsi la dottrina delle tavole. Secondo Bacone, infatti, quando vogliamo studiare la natura di un certo fenomeno fisico dobbiamo far uso di tre tavole: la tavola della presenza (tabula praesentiae), la tavola dell'assenza (tabula absentiae in proximitate) e la tavola dei gradi (tabula graduum).

    * Nella tavola della presenza sono raccolti tutti i casi positivi, cioè tutti i casi in cui il fenomeno si verifica (per esempio, tutti i casi in cui appare il calore, comunque prodotto, dal sole, dal fuoco, dai fulmini, per strofinamento, ecc.).
    * Nella tavola dell'assenza sono raccolti tutti i casi in cui il fenomeno non ha luogo, mentre si sarebbe creduto di trovarlo (per esempio, nel caso dei raggi della luna, della luce delle stelle, dei fuochi fatui, dei fuochi di Sant’Elmo, ecc.).
    * Nella tavola dei gradi, infine, sono presenti i gradi in cui il fenomeno aumenta e diminuisce (ad esempio, si dovrà porre attenzione al variare del calore nello stesso corpo in ambienti diversi o in particolari condizioni).

Dopo aver effettuato l'analisi e la comparazione dei risultati segnati nelle tre tavole, possiamo senz’altro tentare una interpretazione iniziale o vindemiatio prima (prima vendemmia); in altre parole, le tavole consentono una prima ipotesi sulla forma cercata. Questa prima ipotesi procede per esclusione e per scelta. Lo scienziato esclude (cioè scarta) come forma del fenomeno le caratteristiche mancanti nella prima tavola, presenti nei corpi nella seconda, e che non risultano decrescenti col decrescere dell'intensità del fenomeno, o viceversa. Lo scienziato, invece, sceglie come causa del fenomeno una natura sempre presente nella prima tavola, sempre mancante nella seconda, e con variazioni correlate a quelle del fenomeno nella terza. Nel caso del calore, si può ipotizzare che la causa del fenomeno sia il movimento, non di tutto il corpo, ma delle sue parti, e piuttosto rapido. Il movimento, infatti, si trova quando il caldo è presente, manca quando il caldo è assente, aumenta o diminuisce a seconda della maggiore o minore intensità del calore. La causa del calore non può essere, invece, la luce, perché la luce è presente nella tavola dell'assenza.

L'ipotesi va poi verificata con gli esperimenti. Bacone propone ben 27 tipi diversi di esperimenti e pone al culmine l'experimentum crucis (esperimento della croce), il cui nome deriva dalle croci erette nei bivi decisionali: quando, dopo aver vagliato le tavole, ci troviamo di fronte a due ipotesi ugualmente fondate, l'esperimento cruciale ci toglie dall'incertezza, perché dimostra vera una delle due ipotesi, e falsa l'altra. Esempi di problemi che richiedono l'esperimento cruciale sono la teoria della rotazione o meno della Terra intorno al Sole, le teorie sul peso dei corpi, ecc. Consideriamo, per esempio, quest’ultimo problema. Ecco il bivio: o i corpi pesanti tendono al centro della Terra per la loro stessa natura, cioè per una qualità intrinseca, come voleva Aristotele, o sono attratti dalla forza della massa terrestre. Se fosse vera la prima ipotesi, un corpo dovrebbe avere sempre lo stesso peso; invece, se fosse vera la seconda ipotesi, un corpo dovrebbe pesare di più avvicinandosi al centro della Terra, e di meno allontanandosene. Ed ecco l'esperimento cruciale: si prendano due orologi, uno con contrappesi di piombo e l'altro a molla. Si accerti che le loro lancette si muovano alla stessa velocità. Si ponga il primo in cima a un luogo altissimo, e l'altro a terra. Se è vera l'ipotesi che il peso dipende dalla forza di gravità, l'orologio piazzato in alto si muoverà più lentamente, a causa della diminuita forza di attrazione terrestre.
L'avallo delle deportazioni in Virginia [modifica]

Dopo la privatizzazione delle terre, come uomo politico concettualizzò la scienza del terrore assecondando e sostenendo le deportazioni di massa dei diseredati e dei poveri nelle colonie americane della Virginia. Tra le altre cose è necessario ricordare che nel 1619 il Consiglio Privato, di cui a quel tempo Bacone faceva parte, violando apertamente la legge inglese, e per assecondare la volontà delle Virginia Company, costrinse alla deportazione nelle colonie americane ben 165 bambini, provenienti dal Bridewell Palace. Di quei 165 bambini (di età compresa tra gli 8 e i 16 anni) nel 1625 a seguito dei maltrattamenti subiti nelle piantagioni ne rimasero in vita solo 12. Le deportazioni continuarono coinvolgendo altri millecinquecento bambini nel 1627 e ulteriori quattrocento, di origine irlandese, nel 1653[6].

Influenze del pensiero baconiano

Per studiare le idee di Bacone, un gruppo di 12 scienziati inglesi fondò la Società Reale, divenuta in seguito l'accademia nazionale inglese delle scienze. Ispirò profondamente il pensiero ed il lavoro di Hobbes e di Locke.

Durante l'Illuminismo francese, l'Encyclopédie è stata dedicata a Bacone; D'Alembert chiamò Bacone il massimo, il più universale e più eloquente filosofo. La Convenzione Nazionale pubblicò le opere di Bacone a spese dello Stato.
    «Se siamo riusciti nel nostro intento, ne siamo debitori al Cancelliere Bacone. Diderot»
   
Opere

    * 1595 - Maxims of the Law
    * 1597 - Religious Meditation
    * 1605 - Pensieri e conclusioni sull’interpretazione della natura o sulla scienza operativa
    * 1605 - Sull’avanzamento e sul progresso del sapere umano e divino
    * 1620 - Novum Organum, ossia nuovi indizi sull’interpretazione della natura
    * 1623 - Sulla dignità e sul progresso delle scienze (De dignitate et augmentis scientiarum)
    * 1624 - La nuova Atlantide (New Atlantis)
    * 1625 - Saggi morali e civili

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da http://www.homolaicus.com/teorici/bacone/bacone.htm

di Angelo Papi

QUADRO STORICO

L'Inghilterra di Elisabetta I

L'Inghilterra, dopo aver subito un grossolano tentativo di ricattolicizzazione per opera di Maria Tudor e del cardinale Pole, ed un tentativo di unione politica con la Spagna attraverso Filippo II, negli anni "60 si distacca nuovamente dal mondo cattolico e dalla politica filoasburgica. Con l'ascesa al trono di Elisabetta I (1558) in concomitanza con una fase estremamente favorevole del commercio inglese, e con l'apertura di nuove vie transeuropee ed atlantiche, l'Inghilterra riprendeva la propria vicenda autonoma, di sviluppo interno e di politica internazionale, parte dell'Europa ma un po' discosta, influenzata dal continente ma capace di produrre un'identità propria.

La nuova regina Elisabetta (1558-1603) si fece interprete della decisa opposizione nazionale antispagnola e antiromana, che s'era manifestata nel paese, e si affrettò a restaurare la confessione riformata come unica religione di stato, sicché ancora una volta la Chiesa anglicana risultò sottratta al controllo del Papato. La lotta politico-religiosa in Inghilterra s'inasprì a seguito dell'atteggiamento intransigente assunto dal pontefice Pio V, il quale nel 1570 lanciò una bolla di scomunica e di deposizione contro la regina Elisabetta, i cui diritti di successione non erano mai stati legittimati dalla Chiesa romana, essendo ella nata dal matrimonio di Enrico VIII con Anna Bolena, ritenuto canonicamente invalido.

L'opposizione cattolica: Maria Stuart

L'opposizione cattolica interna contrappose ad Elisabetta la candidatura al trono della cattolica Maria Stuart, regina di Scozia e pronipote di Enrico VII, educata alla corte francese.

Nel 1568, per la crescita del calvinismo in Scozia, la regina Maria Stuart è costretta ad abdicare e si rifugia nel nord dell'Inghilterra. Qui ottiene il sostegno degli aristocratici cattolici, che promuovono la ribellione nell'intento di difenderne la persona e di ottenere il riconoscimento come erede. La rivolta viene repressa e Maria Stuart imprigionata, che solo dopo la scoperta di due complotti contro la regina Elisabetta, verrà condannata e decapitata (1568).

La guerra anglo-spagnola

L'esecuzione di Maria Stuart offrì al sovrano spagnolo l'occasione per venire allo scontro armato diretto e decisivo. Filippo II, infatti, si decise di dare esecuzione al progetto da tempo maturato di tentare l'invasione dell'Inghilterra, che tuttavia si concluse con una clamorosa sconfitta della sua Invincibile Armata (1588).

L'ascesa della "gentry"

Le grandi riforme di Enrico VIII avevano portato alla ribalta della vita politica inglese una nuova classe sociale di proprietari terrieri (la "gentry") che si era affermata a detrimento del clero e di quell'aristocrazia feudale che si era suicidata nella Guerra delle due rose. Costoro rappresentarono la base sociale più consapevole del consenso monarchico durante il regno di Elisabetta, dato che vedevano nel consolidamento del potere centrale una salvaguardia tanto alle rivendicazioni dell'aristocrazia feudale quanto alle pressioni del basso.

Il padre di Bacone apparteneva a questa generazione di uomini nuovi. Erano i primi statisti di professione che producesse l'Inghilterra; cresciuti in mezzo alle sottili controversie teologiche erano, in quanto protestanti, all'avanguardia della vita intellettuale, ma lontani da ogni forma di zelo e fanatismo religioso. Riformarono la chiesa inglese non con impeto da teologi, ma con tranquilla sicurezza di statisti; si appoggiarono all'opinione pubblica, decisamente anticattolica, e giocarono le loro fortune sul trionfo del protestantesimo in Europa; la loro politica abile e prudente gettò le basi della potenza inglese.

Elisabetta I andò a prendere i suoi consiglieri fra gli uomini nuovi, figli di yeomen (proprietari terrieri) o di mercanti, notevoli non per la loro nascita, ma per la loro intelligenza.

Guidata da questa nuova classe sociale di uomini di legge e gentiluomini di campagna l'Inghilterra vide accrescere straordinariamente, sotto il regno di Elisabetta, la sua prosperità: operai, industriali e commercianti, provenienti soprattutto dalla Francia e dai Paesi Bassi sconvolti dalle guerre di religione, si rifugiarono in Inghilterra portando nella nuova patria capitali, capacità tecniche, spirito di iniziativa.

Nascevano nuove industrie e l'Inghilterra andava trasformandosi da nazione agricola e pastorale in uno stato industriale e mercantile.

Nei cento anni che seguirono la chiusura dei monasteri decretata da Thomas Cromwell, consigliere di Enrico VIII, l'Inghilterra attuò la sua prima rivoluzione industriale.

Fra il 1575 e il 1642 essa divenne il primo paese di Europa per quanto riguardava le miniere e l'industria pesante. La manifattura della lana, che prima veniva spedita nelle Fiandre per la lavorazione, si diffuse rapidamente nelle città e nelle campagne. Il sorgere di compagnie commerciali che armavano nuove flotte per il traffico, per i viaggi di scoperta, per la pirateria, dava all'Inghilterra nuova ricchezza e potenza.

L'artigiano, il mercante, il banchiere sono i tre tipi umani dominanti nell'ambiente di allora, pieno di fermenti, proteso verso il futuro e verso la ricerca di nuove tecniche capaci di consentire all'uomo un sempre più ampio dominio sul mondo. Per vie del tutto differenti si accostava a questo mondo dell'azione anche la religiosità puritana; essa era ben lontana dal risolversi in contemplazione: solo attraverso un duro, continuo assoggettamento della realtà l'uomo può muovere alla conquista di Dio. Di qui nasceva l'idealizzazione religiosa del lavoro e la concezione di una conoscenza concepita come strumento della volontà.

QUADRO CULTURALE

F. Bacon visse, fra il 1561 e il 1626, in un ambiente politico e culturale ricco di contrasti, in un'età cruciale per la storia inglese. Di molte delle idee che furono espresse in quella cultura è certo possibile andar rintracciando le origini e le fonti nella cultura inglese ed europea delle età precedenti. E' ormai un risultato acquisito che le prime origini della nuova problematica culturale che si afferma nel secolo XVII vanno ricercate nell'empirismo della scuola di Occam, nell'identificazione occamista della conoscenza con l'esperienza, nel nominalismo.

D'altra parte la rinascita delle letterature classiche, la rivolta antiecclesiastica e il sorgere di una nuova filosofia della natura contribuiranno in seguito ad accentuare questo distacco della cultura inglese dalla teologia sistematica e dalla disciplina peripatetica. La critica degli umanisti inglesi alle forme "barbariche" dell'erudizione teologica e il loro interesse per un rinnovamento religioso che accentuasse i valori "pratici" del messaggio evangelico, in opposizione alle pretese definitorie della teologia, implicavano un radicale mutamento di attitudini verso il corpus delle dottrine metafisiche.

Resta tuttavia il fatto, innegabile, che l'intellettuale inglese degli inizi del secolo XVII era "medievale" più che a metà e, intorno al 1660, era più che a metà un uomo "moderno.

Il mondo culturale inglese che sta a cavallo fra il Rinascimento e l'età moderna si presenta complesso e denso di contraddizioni, ancora pieno degli echi della cultura e della mentalità medievale.

La posizione storica di Bacone

Nonostante la sua febbrile attività, la sua quasi affannosa partecipazione alla vita politica e culturale del tempo, Bacone rimase, almeno come "filosofo", una figura relativamente isolata perché ciò che più di ogni altra cosa lo aveva interessato - la lotta in favore di un ideale cooperativo della scienza e il progetto di una serie di grandi istituti scientifici - si risolse, durante gli anni della sua vita, in un pieno insuccesso. Il successo venne più tardi, durante la seconda metà del secolo XVII.

Infatti, la consapevolezza dell'importanza sociale della ricerca scientifica, la coscienza che i fini della scienza sono il progresso e il rinnovamento delle condizioni di vita dell'umanità, la collaborazione organizzata e pianificata fra ricercatori sono fenomeni della vita culturale posteriori a Bacone e che si richiamano esplicitamente al suo nome e al suo insegnamento.

ITER BIOGRAFICO E INTELLETTUALE

+ 1561 Nasce a Londra da Sir Nichol Bacon, Lord Guardasigilli della regina Elisabetta.

+ 1575 Termina gli studi all'università di Cambridge. Compie un viaggio in Francia.

+ 1584 Viene eletto alla Camera dei Comuni, dove restò per circa vent'anni. Finché visse la regina Elisabetta, non potè ottenere nessuna carica importante.

+ 1597 Pubblica la sua prima opera: i Saggi, sottili ed erudite analisi di vita morale politica nelle quali la sapienza degli antichi è ampiamente utilizzata.

+ 1602 Scrive il Parto maschio del tempo: uno scritto molto polemico contro i filosofi sia antichi sia medievali sia rinascimentali. Tutti questi filosofi, ad avviso di Bacone, sono moralmente colpevoli di non aver avuto il debito ossequio per la natura e il necessario rispetto per quell'opera del Creatore che va ascoltata con umiltà ed interpretata con la necessaria cautela e pazienza. La filosofia del passato è sterile e verbosa. Una siffatta critica della cultura tradizionale tornerà a più riprese nelle successive opere di Bacone.

+ Nel 1603 salì al trono Giacomo I, uomo amante della cultura e protettore di intellettuali. E sotto Giacomo I la carriera di Bacone divenne rapida e brillante, fino ad essere nominato nel 1618 Lord Cancelliere.

+ 1605 Scrive Della dignità e il progresso del sapere umano e divino. Questo lavoro, che verrà ampliato nel 1623, è una specie di difesa e di elogio del sapere; si prospetta una enciclopedia del sapere distinto in storia (fondata sulla facoltà della memoria), poesia (basata sulla fantasia), e scienza (fondata sulla ragione).

+ 1608 Verosimilmente in quest'anno Bacone inizia il Novum Organum, in cui riprende anche i concetti elaborati nelle opere precedenti e non pubblicate e che è da lui inteso in contrapposizione al vecchio Organum aristotelico. A quest'opera, pubblicata nel 1620, Bacone lavorò per quasi dieci anni e la presentò come la seconda parte della Instauratio Magna (Grande rinnovazione), un progetto non realizzato il cui piano era il seguente:

1) partizione delle scienze: doveva dare la somma della scienza e del sapere dell'umanità;

2) Novum Organum, ossia Principi di interpretazione della Natura: era destinato alla elaborazione di un nuovo e migliore metodo per l'indagine della realtà, che Bacone definiva interpretazione della natura (in contrapposizione alle anticipazioni sulla natura, sommarie generalizzazioni tipiche delle filosofie dogmatiche). Tale metodo doveva concretarsi in una nuova logica;

3) Fenomeni dell'universo, ossia storia naturale e sperimentale per la fondazione della filosofia: doveva comprendere "la raccolta delle esperienze di tutti i generi, quella storia naturale che può servire a fondare la vera filosofia";

4) Scala dell'intelletto: doveva predisporre i modelli della ricerca e della scoperta secondo il nuovo metodo, anticipandone esempi evidenti e vari;

5) Prodromi, o Anticipazioni della filosofia seconda: doveva contenere quanto noi abbiamo scoperto verificato o aggiunto;

6) Nuova filosofia o scienza attiva: si apriva il campo della filosofia preparata e diretta dal nuovo metodo.

Di questa opera Bacone considerò il Novum Organum come la seconda parte e il De dignitate et augmentis scientiarum (1623) come la prima parte. Quest'ultimo scritto è la traduzione e l'ampliamento di uno scritto del 1605. La terza parte dell'Instauratio è rappresentata Storia naturale e sperimentale per la fondazione della filosofia ovvero i fenomeni dell'universo (1622-3).

+ 1624 Rivede il testo della Nuova Atlantide (pubblicato postumo ne 1627), in cui vuole dare l'immagine di una città ideale, ricorrendo al pretesto, già adoperato da Tommaso Moro nell'Utopia, della descrizione di un'isola sconosciuta. Bacone la immagina come un paradiso della tecnica in cui siano portati a compimento le invenzioni e i ritrovati di tutto il mondo. L'isola della Nuova Atlantide è descritta come un enorme laboratorio sperimentale, nel quale gli abitanti cercano di conoscere tutte le forze nascoste della natura "per estendere i confini dell'impero umano ad ogni cosa possibile". I numi tutelari dell'isola sono i grandi inventori di tutti i paesi; e le sacre reliquie sono gli esemplari di tutte le più rare e grandi invenzioni.

ASPETTO ANALITICO E SISTEMATICO

Il significato culturale delle arti meccaniche

L'attenzione per i procedimenti della tecnica e delle arti meccaniche, il riconoscimento della loro utilità per il progresso del sapere, l'insistenza sul loro valore "educativo" caratterizzano in larghissima parte la cultura dei secoli XVI e XVII. I procedimenti quotidiani degli artigiani, degli ingegneri, dei tecnici, dei navigatori, degli inventori vengono elevati a dignità di fatto culturale e uomini come Bacone, Harvey, Galileo riconoscono esplicitamente il loro "debito" verso gli artigiani.

Da questo nuovo contatto fra sapere scientifico e tecnico deriverà in primo luogo un notevolissimo arricchimento delle quantità di "verità empiriche" che fu decisivo per l'affermarsi di molte scienze.

In secondo luogo da questo riconoscimento della dignità del lavoro artigianale e tecnico e dalla presa di consapevolezza degli atteggiamenti e dei presupposti metodologici che ne erano alla base uscirà enormemente rafforzato il concetto che una teoria debba essere "applicata ai fatti" per poter essere qualificata giusta o verificata. Seguire più da vicino di quanto non si fosse mai fatto per il passato i procedimenti delle arti meccaniche volle dire per molti rendersi conto del distacco esistente, nella tradizione culturale, fra la struttura concettuale delle scienze e la loro capacità di servire concretamente ad usi umani, di render conto di "nuovi fatti".

L'interesse di Bacone per le "arti meccaniche" nasce dal fatto che esse gli appaiono in grado di rivelare i processi effettivi della natura ed egli vede in esse quella capacità di produrre invenzioni ed opere di cui è privo il sapere tradizionale.

Infatti, la sua protesta contro la "sterilità" del spere tradizionale appare fondata, in Bacone, su un ripetuto appello al carattere di progressività delle arti meccaniche che, a differenza della filosofia e delle scienze intellettuali, non vengono adorate come perfettissime statue, ma appaiono continuamente vitali così da trasformarsi da informi in sempre più perfette in relazione ai mutati bisogni della specie umana.

Il fatto che gli ingegni di molti abbiano collaborato a un unico fine gli appare la causa principale di questi progressi. Nelle arti meccaniche non c'è posto per il potere "dittatoriale" del singolo, ma solo per un potere "senatoriale" che non esige affatto che i seguaci rinuncino alla loro piena libertà facendosi perpetuamente schiavi di una sola persona. Così il tempo lavora a favore delle arti e contribuisce invece alla distruzione degli edifici, inizialmente perfetti, costruiti dai filosofi.

Solo sull'analisi umile e accurata dei procedimenti delle varie tecniche può invece fondarsi per Bacone la nuova filosofia ed essa avrà il compito non solo di lavorare per il trasferimento del metodo di un'arte nel campo di altre arti e per far sì che il progredire delle tecniche non sia affidato al caso, ma anche per condurre al livello e al metodo della tecnica quelle "scienze liberali" che non hanno ancora raggiunto tale livello.

Il carattere di collaborazione e di progressività delle arti meccaniche fornisce dunque a Bacone un modello di cui egli si serve da un lato per intendere le caratteristiche della ricerca tecnico-scientifica e per differenziarla dalla magia e dall'altro lato per fornire una serie di valutazioni dell'intero campo del sapere umano in tutti i suoi settori.

La valutazione baconiana delle arti meccaniche e la concezione baconiana della scienza sono strettamente legate alla posizione assunta da Bacone nei confronti della tradizione magico-ermetica del pensiero rinascimentale, tenuto conto della continua mescolanza di tecnica e magia, di alchimia e filosofia naturale che è l'elemento tipico di molta filosofia inglese ed europea del Cinque e Seicento.

L'eredità della magia

In Bacone è rilevabile la presenza di una serie di temi e motivi che derivano dalla tradizione magico-alchimistica. A questa tradizione, così come essa venne configurandosi nell'età del Rinascimento, sono infatti legati due concetti centrali della filosofia di Bacone che stanno alla base della sua concezione della natura, dell'uomo e dei rapporti fra l'uomo e la natura. Questi concetti sono:

1) l'ideale della scienza come potenza e opera attiva volta a modificare la situazione naturale ed umana;

2) la definizione dell'uomo come "ministro e interprete della natura" che Bacone sostituiva alla veneranda definizione dell'uomo come "animale ragionevole".

Ciò che accoglie quindi dalla tradizione magica è il concetto di un sapere come potenza e di una scienza che si fa ministra della natura per prolungarne l'opera e portarla a compimento, che giunge infine a farsi padrona della realtà e a piegarla, quasi per astuzia e attraverso una continua tortura, a servizio dell'uomo.

La condanna della magia e l'ideale della scienza

Un concetto centrale dell'opera baconiana di riforma del sapere è che nella scienza si possono raggiungere solidi ed effettivi risultai solo mediante una successione di ricercatori e un lavoro di collaborazione fra gli scienziati. I metodi e i procedimenti delle arti meccaniche, il loro carattere di intersoggettività forniscono il modello per la nuova cultura.

La scienza, così come Bacone la concepisce, deve abbandonare il terreno dell'incontrollata genialità individuale, del caso, dell'arbitrario, della sintesi affrettata e procedere sulla base di uno sperimentalismo fondato sulla consapevolezza della natura strumentale delle facoltà conoscitive.

In una cultura di questo tipo non c'è posto per una ragione capace di cogliere, in solitaria comunione, la verità razionale. La verità si configura come un ideale da raggiungere e la logica baconiana vuol essere appunto lo strumento di conquista di verità nuove invece che il mezzo di trasmissione di verità già acquisite.

Ma la conquista di verità nuove non può essere per Bacone opera del singolo, ma solo di una collettività di scienziati organizzata a questo scopo.

La lotta in favore di una collettività organizzata di scienziati finanziata dallo stato o da altri enti di pubblica utilità e il tentativo di creare una specie di internazionale della scienza furono perseguiti da Bacone, con estrema coerenza durante tutto il corso della sua vita. Egli, tuttavia, non riuscì a realizzare nessuno di questi suoi progetti, anche se nel 1603, alla salita al trono di Giacomo I, le sue speranze si erano riaccese. Nell'Advancement of Learning (1605) Bacone si volgeva nuovamente al potere sovrano. Egli tendeva non solo alla creazione di nuove istituzioni culturali, ma alla riforma delle principali organizzazioni di questo genere esistenti: le università. Anche se durante la sua vita questi progetti fallirono, questi restarono per i fondatori della Royal Society e poi per gli enciclopedisti l'atto di nascita di quell'umanesimo scientifico al quale si ispirerà la parte più progressiva del pensiero europeo.

Questa riforma del concetto, della pratica e degli ideali della scienza è senza dubbio il contributo più rilevante che il pensiero di Bacone abbia offerto alla cultura europea. Solo chi tenga presente il peso che ebbe ad esercitare l'atteggiamento assunto da Bacone potrà rendersi conto delle origini precise del "compito" e della "funzione" che gli enciclopedisti assegnarono all'uomo di cultura. Infatti, con la loro estrema considerazione delle arti e delle tecniche si ponevano, consapevolmente, come gli eredi e continuatori della riforma avviata da Bacone.

La valutazione baconiana delle arti meccaniche comportava, in ultima analisi, il rifiuto di quel concetto di scienza che, pur da mille parti incrinato, era rimasto operante per secoli: una scienza che nasce solo quando già sono state apprestate le cose necessarie alla vita umana e che si volge quindi a una disinteressata ricerca e contemplazione della verità. Questo concetto di scienza, che ha in Aristotele la sua espressione più coerente, appare fondato sulla struttura economica di una società schiavista dove l'abbondanza di "macchine viventi" rende inutile o superflua la costruzione e la utilizzazione di macchine tendenti a sostituire il lavoro umano e dove il disprezzo che si prova per chi esercita l'attività manuale si estende a quell'attività medesima che appare l'ultima nella gerarchia dei valori sociali ed esclusa dall'ambito di quelli culturali. Su queste basi gli artigiani non hanno diritto alla piena cittadinanza nelle Leggi di Platone mentre Aristotele nega che gli operai meccanici possano essere ammessi nel novero dei cittadini e li differenzia dagli schiavi solo in base al fatto che i primi attendono ai bisogni e alle necessità di più persone, mentre i secondi hanno cura di una sola persona. Gli ideali di vita dell'artigiano e del commerciante appaiono ad Aristotele "ignobili e contrari alla virtù" perché il loro genere di attività è privo di ogni nobiltà e nessuna delle loro occupazioni richiede una particolare eccellenza. L'opposizione tra schiavi e liberi tende così a identificarsi con l'opposizione tra tecnica e scienza e fra conoscenza "pratica" e conoscenza "razionale". Questa identificazione, salvo brevi parentesi, è comune ad una larga parte del pensiero europeo durante l'età classica e il medioevo.

Le arti meccaniche appaiono invece a Bacone un nuovo, grande fatto culturale e, in base a questa valutazione del loro significato e della loro importanza per la vita associata e per la ricerca scientifica, egli può rivalutare gli ideali di vita che ad esse sono legati e rovesciare, radicalmente, alcune impostazioni che Aristotele aveva dato al problema dei rapporti fra la natura e l'arte.

Quando Bacone considera la historia artium come una sezione della storia naturale e polemizza nei confronti della contrapposizione arte-natura egli rompe, decisamente e consapevolmente, con una tradizione secolare. Per questa tradizione (che risale anch'essa ad Aristotele) l'arte è solo un tentativo di imitare la natura e di contraffarla nei suoi movimenti; quest'ultima ha al suo interno il principio di un movimento indefinito, mentre i prodotti dell'arte, mossi da un principio esteriore, sono soltanto dei tentativi, necessariamente destinati a fallire, di imitare la spontaneità del moto naturale.

Questa dottrina, chiarisce Bacone, è legata alla teoria aristotelica delle specie in base alla quale un prodotto della natura (albero) è qualificato come avente una forma primaria mentre a un prodotto artificiale (tavolo) compete solo una forma secondaria. Per Bacone la forma ed essenza, nelle cose naturali e in quelle artificiali, sono dello stesso identico tipo.

L'aver invece affermato l'eterogeneità fra natura ed arte ha condotto la filosofia a concepire l'arte come una mera aggiunta alla realtà naturale e ha rischiato di togliere agli uomini la speranza nella possibilità di una radicale trasformazione della natura e della vita umana.

La scienza ha dunque per Bacone carattere pubblico, democratico, collaborativo; è fatta di contributi individuali in vista di un successo generale che è patrimonio di tutti. L'affermazione di questo ideale di scienza e la realizzazione di questo tipo di cultura implicavano evidentemente, per Bacone, anche la rinuncia all'immagine dello scienziato come vivente incarnazione della infinita sapienza o come solitario custode di segreti successi dovuti alla genialità della sua mente individuale. Ciò che veniva a cadere era l'antica e veneranda immagine del sapiente come "illuminato" e il concetto, a questa immagine connesso, della collaborazione fra gli uomini di scienza come collaborazione fra "illuminati" che dà luogo a risultati che vanno mantenuti segreti.

Questo, della distinzione fra homo animalis e homo spiritualis, fra illuminato e comune mortale, è un concetto che attraversa tutta la cultura europea dai pitagorici agli gnostici, da Averroè a Marsilio Ficino. Questo motivo di un sapere segreto, di una sapienza di cui pochissimi son degni e che va quindi accuratamente occultata, è presente in tutta la sterminata letteratura magico-ermetica che, soprattutto dalla fine del secolo XII, invase il mondo occidentale e contro la quale Bacone polemizza aspramente.

Quando egli ripetutamente afferma che il metodo della scienza da lui progettato non lascia gran parte al genio singolo ed eguaglia in qualche modo le intelligenze, intende prendere posizione contro il carattere di eccezionalità dei metodi impiegati nelle ricerche magico-alchimistiche. Qui il risultato appare affidato, in ultima analisi, alla applicazione di un procedimento "segreto" dovuto alla capacità di un individuo.

In questi atteggiamenti di Bacone verso la magia e l'alchimia, appare evidente la sua distanza dai filosofi scienziati e maghi del Rinascimento, che rimanevano sostanzialmente legati ad una concezione esoterica del sapere che egli apertamente condannava.

La rottura con la tradizione e la confutazione delle filosofie

Un tema dominante nell'opera baconiana è il tentativo di sostituire a una cultura di tipo retorico-letterario una cultura di tipo tecnico-scientifico. Questa idea, di sostituire alla tradizionale "filosofia delle parole" una "filosofia delle opere", accompagnò Bacone sin dalla giovinezza.

La consapevolezza che la mutata funzione attribuita al sapere comportava una decisa rottura con una millenaria tradizione appare infatti evidente fino dai primissimi scritti baconiani e il Temporis partus masculus (composto certamente prima del 1603) dà espressione precisa a questa volontà di rottura e di rifiuto.

Il presupposto fondamentale della critica baconiana alla filosofia tradizionale è che nella storia della razza umana si sia iniziata un'epoca nuova. Di fronte a questo nuovo destino che attende gli uomini e che gli uomini devono costruirsi è colpevole cercare di richiamare in vita la scienza dalle tenebre dell'antichità, invece che dalla luce della natura.

Ciò di cui Bacone accusa i filosofi dell'antichità e quelli del Medioevo e del Rinascimento non è una serie di errori di carattere teorico. Queste filosofie possono essere sullo stesso piano, sono degne delle stesse accuse e partecipi dello stesso destino perché sono espressione di un atteggiamento moralmente colpevole. Ciò che si tratta di sostituire a quelle filosofie non è dunque una nuova "filosofia" che pretenda di rimpiazzarle muovendosi sul loro stesso terreno, accettando i loro principi, le loro argomentazioni e le lor dimostrazioni, ma un atteggiamento nuovo dell'uomo di fronte alla natura che implica diversi principi, argomentazioni e dimostrazioni: richiede cioè un nuovo concetto di verità, una nuova moralità, una nuova logica.

La condanna morale di Bacone si appunta sul fatto che la tradizione filosofica ha sostituito al rispetto per l'opera del creatore che va umilmente ascoltata e interpretata, a)"le astuzie dell'ingegno e l'oscurità delle parole" o b)"una religione adulterata" o c)"le osservazioni popolari e le menzogne teoriche fondate su certi famigerati esperimenti". Degenerazioni queste, che derivano tutte da quel peccato di superbia intellettuale che ha reso la filosofia sterile di opere trasformandola in uno strumento di prevalenza nelle dispute.

Bacone dirige la sua polemica contro tre obbiettivi precisi e le forme di filosofia di cui egli parla corrispondono storicamente:

a) alle esercitazioni logiche di tipo scolastico;

b) alle varie teologie razionali di ispirazione aristotelica e ai temi religiosi presenti nelle correnti platoniche o platonizzanti;

c) alle metafisiche della natura elaborate da alchimisti, maghi e filosofi del Rinascimento.

Riguardo a Platone, queste sono le critiche che Bacone muove alla sua filosofia:

1) Platone ha falsamente asserito che la verità abita naturalmente, fin dalla nascita nella mente dell'uomo e non proviene dall'esterno;

2) egli si è servito inoltre, per puntellare le sue spregevoli teorie, dell'appoggio della religione. In tal modo da un lato ha distolto gli uomini dalla realtà facendo volgere i loro occhi verso l'interno dell'anima e orientandoli verso la contemplazione, e dall'altro ha favorito quella mescolanza di scienza e teologia che si rivela esiziale sia al progresso della scienza sia alla vita religiosa.

Aristotele, dal canto suo,

1) ha cercato di rendere gli uomini "schiavi delle parole" entusiasmandoli per inutili sottigliezze e vani sofismi. La sua filosofia è da porre alla origine di quel verbalismo abbondantemente ripreso dalla scolastica.

2) Costruendo su pochi fatti affrettate teorie, Aristotele ha dato inizio a quel tipo di scienza che si illude di aver determinato le cause dei fenomeni quando in realtà ha costruito soltanto vane ragnatele teoriche.

Le ragioni per le quali Bacone ritiene che sia inevitabile una radicale rottura con tutta la tradizione filosofica sono riconducibli alle seguenti:

1) la filosofia ha distolto gli uomini dalle indagini sulla natura e si è trasformata da una riflessione sulle cose in una riflessione sulla interiorità; ha posto la contemplazione al posto delle opere, è diventata una scuola di rassegnazione invece che uno strumento di possibilità nuove per il genere umano;

2) questa incapacità di affrontare i problemi dell'esperienza e della realtà è legata a tre atteggiamenti che caratterizzano questa millenaria tradizione:

a) la sostituzione di soluzioni verbali a soluzioni reali,

b) la pretesa di costruire dottrine concepite come "sistemi" e quindi capaci di esaurire una volta per sempre nel loro ambito tutti i problemi e tutta la realtà,

c) la confusione continua fra cose divine e cose naturali, fra religione e scienza.

Negli anni fra il 1603 e il 1608, con gli scritti Cogitata et visa del 1607 e Redargutio philosophiarum del 1608, Bacone inizia una discussione di carattere storico critico che investe le premesse politico-sociali e i risultati delle filosofie tradizionali. Questo lavoro di approfondimento viene svolto in una duplice direzione: da un lato egli cerca, attraverso un'analisi di carattere storico, di determinare le "cause" del fallimento della filosofia tradizionale; dall'altro cerca di indicare e di elaborare dei criteri (i "segni") che possano dare indicazioni sulla validità o non-validità delle varie posizioni filosofiche.

Critica della logica tradizionale e nuova logica

I progetti relativi ad una riforma della logica contraddistinguono tutto lo sviluppo del pensiero baconiano fino alla pubblicazione del Novum Organum (1620) e del De augmentis (1623). Tali progetti sono legati da un lato al ripudio della tradizione filosofica e dall'altro alla constatazione della necessità di una radicale riforma del sapere. In tutte le opere baconiane le formulazioni date al progetto di una riforma del metodo appaiono organicamente connesse ad una ricerca di carattere "storico" e ad una indagine tendente a diagnosticare i limiti e le insufficienze del presente status della cultura.

La riforma dell'induzione scientifica è solo un aspetto e una "sezione" della rifoma della logica e questa, a sua volta, è solo un aspetto e una "sezione" della restaurazione del sapere che Bacone ha in animo di realizzare.

La logica, secondo Bacone comprende quattro parti denominate arti intellettuali47. Queste si distinguono tra loro in base ai fini che la logica si propone di realizzare: l'uomo a) trova ciò che ha cercato; b) giudica ciò che ha trovato; c) ritiene ciò che ha giudicato; d) trasmette ciò che ha ritenuto. Siamo quindi in presenza di quattro arti: della ricerca o invenzione, dell'esame o giudizio, del ritenere o memoria, del parlare o della trasmissione.

Bacone riscontra le maggiori deficienze della logica tradizionale soprattutto nel primo settore, quello della ricerca o invenzione. La sua riforma del metodo induttivo vuol appunto ovviare a questa situazione fornendo ai procedimenti un nuovo organo o strumento capace di consentire all'uomo di impadronirsi della realtà e di piegarla ai suoi fini. Ma la stessa arte dell'invenzione che si riferisce all'invenzione delle scienze comprende due parti: la cosiddetta experientia literata e la interpretatio naturae.

Quest'ultima è la "logica nuova" che Bacone tratta nel secondo libro del Novum Organum. Qui la formulazione della dottrina dell'induzione scientifica si presenta come inseparabile da quella dottrina dell'emendazione dell'intelletto che ha il compito di liberare la mente umana dagli idola. Infatti, secondo Bacone, l'intelletto umano può giungere ad impadronirsi dello schema induttivo, di cui far uso nell'invenzione scientifica, solo liberandosi contemporaneamente dai limiti, storici e naturali, che lo caratterizzano e lo condizionano.

Il Temporis partus masculus, che comprende di fatto solo una critica delle filosofie tradizionali, è in realtà il frammento di un più vasto progetto concernente una riforma della "logica". A tale scopo è necessario per Bacone non solo liberare le menti dai pregiudizi in esse scolpiti, ma trovare il mezzo di "persuaderle" e di penetrare in esse. Proprio a questo proposito egli introduceva la nozione di idola.

In Bacone due ordini di problemi si intrecciano:

1) quello di una logica capace di attingere la realtà delle cose e di condurre al contatto, al "connubio" con le cose;

2) quello di una logica capace di portare la luce nelle menti, di penetrare in esse e di liberarle dai pregiudizi che le assediano e le ostruiscono.

Il primo problema coincide con quello di un nuovo organo della scienza (interpretatio naturae) che porrà in grado di conoscere le forme e di effettuare una serie infinita di operazioni naturali, e che il secondo problema coincide con quello di un emendamento dell'intelletto umano (expurgatio intellectus) che richiede speciali tecniche di esposizione, di persuasione e di trasmissione.

Ma da dove deriva per Bacone l'insufficienza della logica tradizionale? Dipende dal fatto che essa ha rinunciato ad essere di giovamento alle arti meccaniche e liberali, alle scienze, alla scoperta degli assiomi. Invece la nuova logica, a differenza di quella tradizionale, ha per scopo l'invenzione delle arti invece dell'invenzione degli argomenti; non vuole insegnare agli uomini a riportare la vittoria nelle discussioni, ma vuole metterli in grado di dominare la realtà naturale.

La dottrina degli "idola"

Nel Novum Organum e nel De augmentis gli idola sono ripartiti in quattro gruppi:

1) gli idola tribus nascenti dalla natura generale della mente umana;

2) gli idola specus caratteristici dell'individuo singolo;

3) gli idola fori derivanti dai rapporti sociali e dal linguaggio;

4) gli idola theatri che van fatti risalire all'influsso delle opinioni filosofiche e agli errati procedimenti dimostrativi.

Bacone traccia una chiara distinzione tra idoli acquisiti e idoli innati: i primi penetrano nella mente "dalle sètte dei filosofi o dalle cattive forme delle dimostrazioni". Questo tipo di idoli è eliminabile con difficoltà; gli altri non sono in alcun modo eliminabili: resta soltanto la possibilità di indicarli, di descriverli, di prendere consapevolezza di queste forze insidiatrici della mente umana.

Alla radice della teoria baconiana degli idola sta la convinzione che la situazione della mente umana di fronte alle cose non sia di fatto quella che dovrebbe essere. Questa convinzione è strettamente legata agli atteggiamenti assunti da Bacone in sede religiosa e allo stretto legame sussistente fra la sua concezione del cristianesimo e la sua riforma del sapere.

L'opera di liberazione delle menti coincide in tal modo, per Bacone con una riforma dell'atteggiamento dell'uomo di fronte al mondo e si inserisce non soltanto in un tentativo di riforma della conoscenza, ma in quello, assai più vasto, di una radicale modificazione della moralità e dello spirito religioso. La lotta contro le false immagini presenti nella natura umana appare un mezzo per realizzare la divina promessa e per condurre a compimento l'opera della redenzione. Bisogna che l'uomo sia nuovamente in grado di "ricevere le immagini delle cose".

Da questo punto di vista, è allora possibile comprendere come le più importanti tematiche dell'opera baconiana, come il fine di utilità pratica attribuito alla scienza, la valutazione delle opere e delle arti sia strettamente connessa ad una ispirazione religiosa e nasca sul terreno di un anglicanesimo imbevuto di spirito calvinistico.

Il primo tipo di idola, quelli della tribù, è fondato sulla costituzione stessa della natura umana. Questi errori derivano dalla debolezza dei sensi, dalla limitatezza dell'intelletto, dall'influsso degli affetti, dal modo di ricevere le impressioni dagli oggetti, dall'atteggiamento di fronte alle concezioni già accettate.

Gli idoli della spelonca hanno origine dalla natura particolare del singolo individuo, dalla sua costituzione, dall'educazione, dall'abitudine e da circostanze accidentali. Qui Bacone si rifà esplicitamente al mito della caverna, considerando il nostro corpo come un involucro attraverso cui viene rifratta la luce naturale delle cose. Le quattro fonti di questi idola sono per Bacone: l'attaccamento ad un particolare tipo di ricerca; la tendenza eccessiva all'analisi o alla sintesi; la predilezione per un particolare periodo della storia umana; la considerazione esclusiva degli elementi semplici o dell'insieme della realtà naturale.

La descrizione degli idola fori è strettamente connessa in Bacone sulla convinzione che il linguaggio, come del resto gli altri prodotti dello spirito umano, costituisca o possa costituire un ostacolo, del quale tuttavia in quanto creature umane non si può fare a meno, alla autentica comprensione della realtà, sia, in altri termini, qualcosa che si frappone fra l'uomo e i fatti reali o le forze della natura. Per "avvicinarsi alle cose" è necessario rifiutare i nomi che non corrispondono a cose reali e imparare a costruire parole che rispondono alla realtà effettiva delle cose. Gli idoli che si impongono all'intelletto sono di due generi: o sono nomi di cose che non esistono, o sono nomi di cose che esistono, ma confusi, mal definiti e astratti dalle cose in modo affrettato e parziale.

L'interpretazione della natura

Nella determinazione di che cosa sia verità della conoscenza gli uomini si sono finora fondati su prove insoddisfacenti. La scoperta di nuove opere e di attive direzioni prima non conosciute è l'unica prova che può essere accettata. Non si tratta di andar cercando la produzione di cose concrete che sono infinite di numero e transitorie, ma di muovere alla ricerca di nature astratte che sono poche e permanenti, simili alle lettere dell'alfabeto o ai colori della tavolozza del pittore dalla cui mescolanza si fa derivare l'infinita varietà dei volti e delle figure. Il fine operativo al quale deve tendere il sapere scientifico non dev'essere però confuso con quel tipo di operatività che è "legato alle congetture dell'arte e alla lunghezza dell'esperienza". L'arte e l'esperienza immediata conducono soltanto alla conoscenza delle cause delle cose particolari; compito del metodo scientifico è invece quello di condurre a contatto con le nature astratte dalla cui combinazione risulta la realtà naturale.

Contrapponendo il concetto di natura astratta a quello di cosa concreta, ed escludendo che la ricerca scientifica debba occuparsi di quest'ultima, Bacone mette in rilievo da un lato la riducibilità dei fenomeni naturali alla combinazione di un numero finito di elementi semplici e dall'altro la radicale diversità fra l'esperienza comune e quella scientifica. Le nature astratte (o nature semplici) sono le qualità semplici e irriducibili che possono essere riscontrate presenti in un qualsiasi contesto sensibile e dalla cui mescolanza e composizione tale contesto è costituito. Il problema che si tratta di risolvere è che "ogni particolare che produce un qualsiasi effetto è una cosa composta... di diverse singole nature... e non appare a quale di queste singole nature l'effetto debba essere riferito". Il metodo richiede quindi un'analisi e un'opera di sezionamento dei particolari, in modo da mettere in luce il rapporto di corrispondenza esistente fra una determinata natura e l'effetto che si intende ottenere: alla presenza o all'assenza di una determinata natura corrisponderà necessariamente la presenza o l'assenza dell'effetto che si vuole realizzare.

Per dare luogo ad effetti reali bisognerà seguire una direzione. Quest'ultima dovrà, secondo Bacone obbedire a due criteri fondamentali: quello della certezza e della libertà.

La direzione per essere certa deve essere infallibile, cioè una direzione certa dovrà indirizzare a "qualcosa" che, se presente, l'effetto cercato debba necessariamente seguirne. Il "qualcosa" di cui parla Bacone è la natura astratta alla cui scoperta e determinazione deve tendere la conoscenza.

Si ha invece libertà quando la direzione non è limitata ad alcuni mezzi già definiti, ma comprende tutti i possibili mezzi e le possibili vie. La direzione, per essere libera deve essere fondata sulla reciproca implicanza e convertibilità dell'effetto e della direzione. Ogni volta che l'effetto è presente la direzione deve essere stata soddisfatta; ogni volta che è presente un certo tipo di direzione, seguirà da essa un determinato effetto. In altri termini: ogni caso nel quale una determinata natura è prodotta può essere considerato come una direzione in vista della sua riproduzione artificiale.

Attraverso la nozione di direzione libera Bacone giunge a gettare le basi di un procedimento di esclusione che ha per fine la scoperta della forma.

Giova chiarire i termini di questa scoperta con un esempio:

Fra "la bianchezza quale appare ai sensi" e la "bianchezza inerente alle cose" è presente una netta distinzione. La prima può essere determinata da un esame di tipo "fisico" tendente ad accertare la presenza di certe condizioni di fatto e la loro traducibilità in operazioni che le riproducano. La seconda richiede un tipo di esame diverso ("metafisico") che tenda, mediante una serie di esclusioni e "liberazioni" successive a stabilire che cosa sia sempre presente ogni volta che è presente il bianco, indipendentemente dalla materia, dal mezzo nel quale appare il bianco o dalla particolare azione o causa che lo fa apparire. Il primo è per Bacone uno studio "fisico" delle cause efficienti delle cose concrete, mente il secondo è un esame "metafisico" inteso come conoscenza delle forme delle nature semplici.

Si può così facilmente osservare come in Bacone convergano ricerca della direzione libera e ricerca della forma o causa formale.

Risulta evidente inoltre che "la bianchezza inerente alle cose" dipende da una certa struttura delle parti dei corpi e da loro determinate condizioni di tipo geometrico-meccanico.

Le proprietà dei corpi, così come appaiono ai sensi, non hanno carattere oggettivo; superando il piano della sensibilità e facendo uso di opportuni strumenti e tecniche logiche è possibile individuare quei processi meccanici di elementi forniti di proprietà geometriche che costituiscono la struttura della realtà oggettiva e materiale. Queste due tesi costituiscono il "presupposto" o l'"ipotesi di tipo meccanicistico" destinata a sorreggere l'intera struttura della nuova induzione baconiana.

Il fine che si propone il nuovo metodo della scienza teorizzato da Bacone è la scoperta delle forme o, con più precisione, la determinazione delle forme delle nature semplici. Queste ultime sono qualità irriducibili presenti in differenti contesti sensibili.

Causa materiale e causa efficiente di una determinata natura simplex sono: l'orientamento delle particelle materiali (schematismus latens) e la serie di movimenti infinitesimali che costituiscono i movimenti sensibili (processus latens). Il compito di determinare queste cause in relazione ad una data materia (nella quale si può osservare quella determinata natura) spetta alla fisica. Ma chi conosce le cause materiali ed efficiente può giungere ad effettuare nuove invenzioni solo in una materia particolare, mentre chi conosce le forme può giungere ad abbracciare l'unità della natura in ogni materia. Alla metafisica, che per Bacone è una scienza naturale generalizzata fondata sulla storia naturale, interessa invece scoprire le forme: cioè determinare, prescindendo dalle materie particolari, i rapporti fra gli schematismi latentes e i processus latentes che costituiscono una certa natura.

La forma si presenta come una relazione di naturae simplices; essa è dal punto di vista dell'uomo una definizione che consente di scoprire tutti gli schematismi e i processi che portano alla realizzazione della natura semplice in questione, dal punto di vista della natura è la relazione che lega quei processi e quegli schematismi. La forma è causa come essenza; e questa non è trascendente alle cose, ma immanente come l'aristotelica; ma a differenza di essa è pensata in senso non logico-concettuale, bensì geometrico-meccanico, e così mostra la sua derivazione dal pensiero democriteo.

Senza dubbio la ricerca sulla natura si presenta a Bacone come una ricerca di essenze e di qualità assolute e non come un'indagine tendente a determinare rapporti quantitativi in vista della risoluzione del "fenomeno" in un sistema di relazioni.

Le "tavole" baconiane

A queste tavole spetta, secondo Bacone, un compito preciso: di fronte alla infinita varietà dei contenuti della storia naturale l'intelletto umano si trova come smarrito: le tabulae devono organizzare e ordinare tali contenuti in modo da consentire all'intelletto di agire su di essi. Bacone parla, usando un termine giuridico, di "citazione" di fronte all'intelletto, che viene effettuata mediante le tavole.

Nella ricerca della forma del calore, esposta da Bacone nel secondo libro del Novum Organum, la tabula pesentiae raccoglie tutti i fatti conosciuti nei quali si trova presente quella natura di cui si cerca la forma. La forma, per Bacone, è infallibilmente presente o assente, quando la natura è presente o assente.

La seconda tavola, la tabula absentiae, deve riunire i casi nei quali la natura data è assente. Tali casi sarebbero evidentemente infiniti; la tavola ha il compito, limitato e quindi possibile, di considerare le "assenze della natura" solo nelle sostanze che hanno maggiore somiglianza con quelle nelle quali la natura è presente. Poiché la forma è la cosa nella sua essenza, vera forma di una natura può essere considerata solo quella che aumenta o diminuisce in correlazione con questa. La terza tavola, la tabula graduum raccoglie i fatti in cui la natura studiata è più o meno presente.

L'intelletto si trova ora di fronte ad una collezione ordinata di fatti e su questo fondamento ha inizio quel procedimento che Bacone chiama nuova induzione. L'induzione vera, a differenza di quella tradizionale, per enumerazione, fa uso di un procedimento di esclusione e solo dopo aver completato il processo di esclusioni si potrà giungere ad una affermazione.

Il vero e perfetto principio operativo nella scoperta delle forme, è per Bacone il seguente: che la direzione sia certa, libera e diretta all'azione. Il fatto che la presenza della forma determini necessariamente quella della natura è la garanzia della certezza della direzione, la libertà di quest'ultima consiste in quella liberazione dall'inessenziale che si raggiunge attraverso successive esclusioni.

Il metodo per Bacone è un mezzo di ordinamento e di classificazione della realtà naturale. Non per caso esso si presenta come un filo capace di guidare l'uomo entro quella caotica selva e quel complicato labirinto che è la natura. zi limiti maggior del metodo baconiano derivano senza dubbio dal fatto che Bacone ebbe scarsa o nessuna consapevolezza della funzione esercitata dalla matematica nell'ambito del pensiero scientifico. Ma questa incomprensione era profondamente connessa a quella sua immagine di logica come mezzo per ordinare la selva naturale, immagine che Galileo non aveva certo condiviso, con la sua idea di un universo "scritto in lingua matematica".

Le immagini galileiane tipicamente platoniche di un mondo a strutture matematiche e razionali, di un Dio geometra che compone il mondo secondo numero, peso e misura, saranno senza dubbio più feconde, negli sviluppi della scienza moderna, dell'immagine baconiana della natura come selva e labirinto. In Galileo e nello stesso Newton, pur così profondamente legato a certe posizioni baconiane, si troverà energicamente riaffermato quel principio che Bacone relegò ai margini della sua teoria della realtà: quello della semplicità della economia e della inesorabilità della natura.

Proprio nell'ambito di quella impostazione platonica e di quell'affermazione della "semplicità" della natura (che ritonerà anche nella prima delle quattro regole newtoniane) si giunse ad un tipo di interrogazione della realtà naturale assai diverso e più fecondo di quello baconiano che funzionava sulla base di modelli retorici. L'interrogazione di Galileo tende non alla determinazione delle forme essenziali o delle proprietà comuni a più fenomeni, ma alla individuazione degli "elementi della struttura di un fenomeno che possano concepirsi come assolutamente validi e tali da costituire la legge di tutti i fenomeni analoghi". La funzione delle ipotesi o dei modelli teorici veniva qui esplicitamente teorizzata e riconosciuta: "fatto" non è per la scienza che ciò che viene raggiunto in base a precisi criteri di carattere teorico. Si apriva in tal modo una possibilità che veniva radicalmente disconosciuta all'interno del metodo baconiano: quella di una interpretazione dei dati sulla base di tesi prestabilite, che pone cioè quelle tesi anche alla base di quei risultati dell'esperienza che si "discostano" da esse e interpreta quei risultati come "circostanze disturbanti".

Nell'ambito del sapere scientifico, secondo Bacone, si tratta solo e sempre di giustificare e garantire la validità dei principi e il lavoro scientifico, dal suo punto di vista, sembra esaurirsi nella formulazione di una serie di procedimenti atti a indirizzare alla scoperta di tali principi. Quando egli rifiuta il metodo deduttivo affermando che le nozioni (di cui constano le proposizioni) sono solo "etichette delle cose" e dichiara che si tratta di ricavare in modo non grossolano tali nozioni dalle cose particolari, si lascia sfuggire la funzione dell'ipotesi nell'ambito del sapere scientifico e non a caso, nell'ipotesi, vede solo una illegittima e arbitraria anticipazione della natura. In questa opposizione ad ogni procedimento di tipo deduttivo (e così pure nel rifiuto dell'ipotesi) si è visto giustamente uno dei limiti maggiori del metodo baconiano della scienza.

E'da tener presente tuttavia, il significato storicamente determinato della protesta baconiana contro la deduzione e il sillogismo e il valore che tale protesta venne ad assumere nell'orizzonte della cultura moderna. Le affermazioni di Bacone in tal senso mostrano appunto come egli mirasse a colpire, in nome di una discussione capace di investire l'intero ambito della conoscenza umana, proprio la connessione che si era di fatto andata istituendo fra metodo deduttivo e tendenza ad accettare senza discussione principi o dottrine fornite dalla tradizione o dalla autorità.

Newton, in opposizione a Galileo e Cartesio, vedrà nella matematica non la "regina delle scienze", ma un metodo e uno strumento di chiarificazione dell'esperienza, rifiuterà la visione platonica di una natura in sé matematica e parlerà di uno sconosciuto e infinito oceano che è compito della scienza esplorare: egli farà rivivere, anche su un diverso piano, alcune tipiche esigenze "baconiane".

In conclusione si può dire evidente che Bacone non può essere considerato in alcun modo, a causa della cosiddetta scoperta del metodo induttivo, come il fondatore della scienza moderna. Infatti, la fecondità della scienza moderna è stata assicurata non da uno sperimentalismo empirico di tipo baconiano, ma dal metodo galileiano fondato su un'analisi quantitativa e meccanica che non mira a ordinare e purificare il mondo dei dati in vista di una scoperta delle forme, ma tende alla scoperta della legge mediante la sola considerazione dell'ordine misurabile delle cose naturali. Inoltre, le definizioni e gli assiomi, di cui farà uso la ricerca scientifica, non nasceranno, come voleva Bacone, da una induzione che "ascenda gradatamente verso sempre più estese generalizzazioni", ma si presenteranno come modelli necessari alla stessa determinazione del campo di ricerca.