APORTI, Ferrante Abele

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 Nacque a S. Martino dall'Argine (Mantova) il 20 nov. 1791 da Giuseppe, colto avvocato e repubblicano convinto, che ebbe a soffrire qualche iattura nelle vicende politiche del 1799 e del 184, e da Giuseppa Isalberti. Primo di cinque fratelli, fece gli studi letterari nel ginnasio pubblico di Cremona, dov'ebbe professore il celebre latinista abate Luigi Bellò. Entrato in seminario verso i quindici anni, vi compì i corsi filosofico e teologico, profittando soprattutto delle lezioni di due ex gesuiti spagnoli, Antonio Ludenna e Giuseppe Ruiz, che il vescovo Omobono Offredi vi aveva assunti l'uno a insegnare matematica e fisica, l'altro a professare teologia dommatica. Il 18 febbr. 1815 fu ordinato sacerdote, e l'anno dopo, prescelto a specializzarsi nello studio della S. Scrittura e delle lingue dell'Oriente biblico, fu inviato al Theresianuni di Vienna, istituto di studi ecclesiastici superiori, dove in capo a tre anni venne abilitato all'insegnamento di quelle discipline. La dimora viennese gli procurò l'occasione di ascoltare all'università le lezioni di pedagogia di V. E. Milde, futuro arcivescovo di Vienna, e di conoscere il banchiere e 1 filantropo israelita joseph Wertheimer, del quale ebbe poi modo di utilizzare la traduzione tedesca dell'opera Infant Education di Samuel Wilderspin per il primo esperimento di scuole infantili in Italia.
Tornato nell'estate del 1819 in patria, fu professore di storia della Chiesa e di esegesi biblica, con annesso l'insegnamento dell'ebraico, nel seminario teologico. Quando poi il governo austriaco, applicando gradualmente la riforma degli studi del 1818 al Regno Lombardo-Veneto, fondò a Cremona nel 1821 le scuole elementari maggiori maschili di quattro classi, ne affidò la direzione all'A., autorizzato a cumulare con le mansioni ecclesiastiche la nuova incombenza; e dal 1826 gli commise pure l'insegnamento della metodica per gli aspiranti maestri elementari.

Ormai la sua attività era segnata nel campo scolastico, ed egli vi attese come a un'opera di misericordia; giudicava infatti (Scritti pedagogici,I,pp.6o e 290) con Graziano l'ignoranza quale mater cunctorum errorum,e con i moderni l'istruzione educativa (ivi, pp. 46 e 129-13o) quale mezzo di emancipazione del popolo, mirando anche oltre la classe sociale donde venivano i seminaristi e gli alunni delle scuole elementari maggiori. Cominciò a pensare ai bambini dai due anni e mezzo ai sei, che urgeva sottrarre ai pericoli della strada o all'ignominia delle scolette di custodia; e ne nacque l'istituzione alla quale principalmente è legato il suo nome: la scuola infantile, com'egli la denominò, o l'asilo, come noi siamo usi a dire.

La prima fondazione fu a pagamento, per i bambini di famiglie agiate: aperta in Cremona nell'ultimo bimestre dei 1828 (non del '27, che i documenti escludono), approvata dal governo austriaco il 24 genn. 1829, venne solennemente inaugurata nel marzo successivo. Incoraggiato dai buoni risultati e dal favore dell'opinione cittadina, provvide ai bambini delle famiglie povere, aprendo, con il benestare governativo e con il concorso filantropico dei cremonesi, nell'autunno del 1830 il primo asilo di carità per i maschi, inaugurato il 19 febbr. 1831, dove oltre agli opportuni insegnamenti alternati con sollievi e giochi si dispensava loro a mezzogiorno pane e minestra calda. Con altre risorse ottenute dalla generosità dei concittadini istituì nell'autunno del 1832 il primo asilo di carità per le bambine e l'inaugurava il 15 genn. del 1833. Nello stesso anno fondava una scuola infantile a pagamento per le bambine benestanti, e a quella esistente pei maschi agiati ne aggiungeva una seconda dello stesso tipo. Sicché alla fine del marzo 1833 si contavano in Cremona cinque asili tra gratuiti e a pagamento e nel 1834 se ne creava un sesto, gratuito, per maschi e femmine insieme.

L'iniziativa dell'A., prima assoluta in Italia, anteriore anche al modesto "ricovero" aperto da Tancredi Falletti di Barolo, nel suo palazzo a Torino nell'autunno del 1830, s'inserisce felicemente nella storia delle istituzioni analoghe dell'Europa del tempo.
Esse, in genere, si collegano o direttamente o mediatamente alla fondazione che, ispirata al duplice scopo del ricovero e della educazione, era sorta nel 1816 con intenti laici sotto la denominazione di "Istituto per la formazione del carattere giovanile" a New-Lanark in Scozia ad opera di R. Owen per i bambini degli operai della sua filanda. Da questa derivò, la prima Infant's School inglese, aperta con ispirazione religiosa in Londra nel 1820 e diretta da J. Buchanan, con la collaborazione di S. Wilderspin, che impadronitosi dei metodi ne divenne il fortunato teorico e apostolo. Alle Infant's Schools, che rapidamente si moltiplicarono in Inghilterra e negli Stati Uniti d'America, e che ebbero fortunato seguito in Europa, si riallacciano le Scuole infantili italiane dell'Aporti. Questi nel 1828 aveva ricevuto in omaggio un esemplare della seconda edizione dei volume Ueber d. frahzeitige Erziehung der Kinder und d. englischen Klein-Kinderschulen (Wien 1828), con il quale J. Wertheimer aveva tradotto e arricchito di aggiunte l'opera di Wilderspin On the Importance of Educating the Infant Children of the Poor,ripubblicata più volte anche con altri titoli, tra cui Infant Education;e nella tarda e lunga risposta di ringraziamento, che diresse al traduttore il 29 genn. 1830, gli dichiarava di avere attinto da quel libro l'idea e i metodi della propria istituzione. La sua esplicita confessione trova larghissima conferma nel confronto critico (quale risulta in A. Gambaro, Il primo asilo infantile in Italia,in Il Saggiatore,Torino, gennaio-marzo 1954, pp. 6o-68) dell'originale anglo-tedesco con il suo Manuale di educazione ed ammaestramento per le scuole infantili (Cremona 1833). Ma nel farne l'applicazione, l'A. l'adattò talmente ai bisogni, ai costumi, alla religione e alla lingua nazionale degli Italiani, che l'istituzione parve a R. Lambruschini "non albero esotico trapiantato in Italia, ma produzione nativa del nostro suolo" (Guida dell'educatore del 1836, p. 284).

Appena la stampa periodica di Milano, a mezzo di G. D. Romagnosi e dei suoi discepoli Defendente e Giuseppe Sacchi, ebbe richiamata l'attenzione pubblica sulla benefica novità di Cremona e sul suo creatore, si accese in diverse altre città italiane il desiderio di imitarne l'esempio.

La prima fu Pisa, dove nel gennaio 1833 Luigi Frassi, dopo avere interpellato l'A., aprì un asilo di carità per bambine, e qualche mese più tardi fecero altrettanto Livorno e Prato; seguì nel '34Firenze, stimolata dalla calda parola del Lambruschini, che già nel '33era entrato in corrispondenza con l'A.; e nel '35Siena. Ma la propaganda nel Lombardo-Veneto, benché non così tempestiva, riuscì ancora più fruttuosa, specialmente dopo che lo slancio con cui Milano, auspice l'A., rispose all'appello della carità educativa fondando nel solo 1836ben tre asili aportiani, un quarto nel '37,un quinto nel '38e altri in seguito, dette un forte impulso alle iniziative di molte città lombarde, come avvenne per Venezia rispetto alle città venete. Né minore premura si ebbe nel Regno Sardo, da quando Maurizio Farina, consultato più volte l'A., istituiva nel 1837a Rivarolo Canavese la prima scuola infantile di tipo aportiano, alla quale tennero dietro con ritmo crescente le fondazioni di Torino, di Genova e delle altre città del Piemonte e della Liguria, con la partecipazione diretta di uomini altamente rappresentativi, quali C. Boncompagni, R. d'Azeglio, Camillo Cavour, i due Cadoma, Lorenzo Pareto. In pari tempo l'esempio trovava seguito negli Stati Parmensi, nel ducato di Lucca, a Napoli e, con l'avvento di Pio IX, nello Stato Pontificio. I rispettivi istituti che sorgevano erano retti secondo i metodi che l'A. aveva esposti nel Manuale,nella Guida per le scuole infantili di carità (Milano 1836)e in altri scritti; e come egli stesso era per lo più richiesto di lumi e spesso dell'invio di maestre per le singole fondazioni, o invitato a giudicarne dì presenza l'ordinamento intemo, ciò spiega l'abbondante suo carteggio e i frequenti suoi viaggi pedagogici.
Le vedute educative dell'A. non erano originali: egli si formò un sistema eclettico, in cui a principi della filosofia scolastica si giustapponevano principi desunti dall'empirismo e dal sensismo. Partendo dalla teoria sensistica che originariamente l'anima umana è solo ricettiva, egli affermava la convenienza dei metodi informativi per i primi anni di vita, e sulla scia del Comenio e del Pestalozzi applicava alle varie forme educative, da svolgere armonicamente, il metodo intuitivo. Ma l'educazione morale, non esente da una certa influenza dell'edonismo sensistico, l'A. voleva fondata sulla religione, purificata però da superstizioni e legata alla pratica della vita. in tutti gli insegnamenti e i procedimenti didattici l'A. prescriveva l'uso della lingua nazionale, come il mezzo più adatto a stringere in unità gli animi del medesimo ceppo etnico. Il vizio degli asili stava nel programma d'istruzione fissato dall'A., programma che per la sua pletoricità contaminava l'educazione infantile con la scuola elementare, e che facilitò la decadenza da cui la scuola infantile italiana fu colpita, vivo ancora il suo fondatore.

Il solerte apostolato e il carattere modesto, generoso e pieno di comprensione gli acquistarono immensa popolarità in Italia e fuori, e gli permisero di accostare gli Italiani più in vista e di contrarre preziose armclzle, che contribuirono anche a orientare la graduale sua maturazione politica verso la sfera ideale a cui si appuntavano le aspirazioni della coscienza nazionale. In tal senso furono più efficaci le relazioni che strinse in Piemonte, fortemente rinsaldate nell'estate del 1844, allorché il governo di Carlo Alberto, avendo creato nell'università di Torino una Scuola superiore di metodo normale, invitò l'A. a inaugurarla con un corso ufficiale di lezioni da tenersi dal 26 agosto a tutto settembre. Il nuovo indirizzo della politica scolastica del regno e l'intervento dell'abate cremonese accesero più veementi contro di lui le ire e le calunnie dei reazionari, e provocarono un contrasto insanabile tra H re e l'arcivescovo L. Fransoni, noto avversario degli asili infantili. Ma il corso dell'A. non venne disdetto: ebbe, anzi, uno sceltissimo uditorio e "fece epoca" imprimendo al moto rinnovatore della scuola primaria una spinta d'intensa efficacia.

L'A. s'interessò pure delle scuole festive di Lombardia, dell'educazione dei ciechi, dell'istruzione dei contadini, di vari istituti filantropici, delle scuole magistrali, della preparazione delle maestre. Si preoccupò di aprire il mondo della cultura ai sordomuti della sua provincia, e, dopo essersi inteso con il p. Ottavio Assarotti e il suo fedele discepolo Luigi Boselli, fondò nel 1829 a Cremona un istituto per quei minorati del quale egli era il direttore e il giovane sacerdote Giuseppe Soldi istitutore. Concepì un piano ben articolato d'istituto tecnico-agrario, e lo mise in esecuzione nel 1844 a S. Martino dall'Argine, occupandosene sempre attivamente. Formulò, alla vigilia delle Cinque Giomate, un progetto completo di riforma scolastica, dagli asili all'università e alle Accademie, che fu molto apprezzato dal Cattaneo. Con arditezza di vedute trattò del riordinamento degli studi del clero, perché fossero messi m armoma con i progressi della cultura e con le esigenze del ministero sacro. E tutta questa multiforme attività, che traeva lume e forza dall'ispirazione religiosa, non allentava lo zelo con cui egli attendeva ai suoi diversi impegni didattici e direttivi di Cremona.

Non reca perciò meraviglia che il governo sardo, quando durante la fase vittoriosa della guerra del '48 ebbe a provvedere alla sede arcivescovile di Genova, abbia pensato all'A. come all'insigne realizzatore della carità cristiana sotto forma educativa e come possibile mediatore dell'unione tra il Lombardo-Veneto e il Piemonte, che si riteneva prossima.
La sua nomina ebbe luogo il 16 giugno 1848 e comunicata a Roma incontrò dapprima buona accoglienza. Ma tosto giunsero alla S. Sede, specialmente da Genova, relazioni sfavorevoli; e in più nel libro Il Messia predetto dai profeti è venuto,che l'A. aveva inviato manoscritto a Pio IX con la preghiera che si degnasse accettamela dedica, si constatò che parecchi testi messianici erano resi nella traduzione del Diodati, condannata dalla Chiesa. Il papa si persuase allora di dover rifiutare la conferma della nomina; ma non volendo con un rifiuto aperto screditare il candiclato, gli suggerì il 28 agosto, per il tramite del prelato G. Corboli Bussi, di rinunzìare alla designazione. Ottenuta subito il 3 settembre la rinunzia, il papa si mostrò sempre renitente a tutte le richieste affacciate per un anno dal governo sardo in favore dell'A., che, nonostante la rinunzia, rimaneva il suo candidato. L'ultimo tentativo fatto dall'inviato speciale Cesare Balbo ritrovò Pio IX fermamente incrollabile nella negativa, non solo per i motivi che conosciamo, ma anche "per cose che il padre comune non poteva dire", come riferì il Balbo nel rapporto diplomatico dei 3 luglio 1849 da Mola di Gaeta. Né sarebbe presunzione supporre che tra le cose taciute dal papa fossero gli stretti legami dell'A. con il Gioberti e con molti liberali laici e preti, la sua avversione ai gesuiti e al monopolio ecclesiastico dell'istruzione, la sua qualità di profugo politico dal 30 luglio 1848, che l'Austria escluse dall'amnistia; non si conosceva invece il suo Indirizzo a Pio IX, dato da Torino il 20 luglio 1849, firmato "Più di cinquecento sacerdoti", nel quale, tra gli altri rilievi sgraditi alla corte pontificia, notava stridente contraddizione tra il Vangelo e l'allocuzione di Gaeta del 29 aprile precedente, definita a ragione da A. M. Ghisalberti (in Roma da Mazzini a Pio IX, Milano 1958, p. 17) "lontano preambolo del Sillabo",che per i cattolici liberali significava la più cocente delusione.

Frattanto fin dal 19 dic. 1848 l'A. era stato nominato senatore; non prese tuttavia parte ai dibattiti pubblici, tanto meno a quelli sulle leggi Siccardi, e si limitò a recare il contributo di consiglio e di buon senso nelle commissioni di cui fece parte. Il 7 sett. 1849 era nominato presidente del Consiglio universitario di Torino e della Commissione permanente per le scuole secondarie che ne dipendevano; e per otto anni resse l'importante ufficio con fermezza e con vigile coscienza delle nuove finali à della scuola media e dell'istruzione superiore, pur senza obliare l'educazione infantile, come dimostrano le statistiche, da lui compilate, degli asili esistenti negli Stati Sardi alla fine dei '49 e alla fine del '53. Collocato in aspettativa il 29 ag. 1857 per soppressione d'impiego, accettò volentieri la carica d'ispettore generale degli asili di Torino e avvicendava le nuove funzioni con quelle di direttore della scuola infantile che nel 1854 aveva aperta nei pressi della sua abitazione, lieto di dedicare il tempo consentitogli dalla malferma salute alla causa che fu costante passione della sua vita. Morì il 29 nov. 1858, lasciando per testamento lire duemila a beneficio degli asili della sua seconda patria.