Anelli, Luigi


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Storico e patriota (Lodi 1813 - Milano 1890), sacerdote dal 1835; d'idee repubblicane, nel 1848, come membro del governo provvisorio della Lombardia in rappresentanza di Lodi e Crema, avversò la fusione col Piemonte e restò a Milano fino al 6 ag. 1848, rifugiandosi poi a Nizza. Rientrò dopo il 1859 e, divenuto deputato di Lodi, al parlamento criticò la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia con un discorso così aspro, da essere sconfessato dai suoi elettori. Ritornò pertanto a Nizza restandovi fino al 1872. Notevole, tra le sue opere, la Storia d'Italia dal 1814 al 1850 (2 voll., 1856, poi ampliata); vivacemente polemiche la Storia della chiesa per un vecchio cattolico italiano (2 voll., 1873, anonima, condannata dall'autorità ecclesiastica), I riformatori del secolo XVI (2 voll., 1891, postuma) e I sedici anni del governo dei moderati (1860-76), pubbl. postumo nel 1929 da A. Ghisleri.

DBI

di Franco Della Peruta

ANELLI, Luigi.

Nacque a Lodi il 7 genn. 1813, da Giuseppe ed Anna Maria dei conti Barni di Lodi. Entrato in seminario nel 1825, vi compì studi teologici, filosofici e letterari sotto la guida di Carlo Mancini, lodigiano e autore di tragedie apprezzate dal Monti; ma nella sua formazione influì soprattutto il fratello Carlo Annibale (nato nel 1802), che fu per qualche tempo condiscepolo di C. Cattaneo. Ordinato sacerdote nel 1835, l'A. divenne nel 1839 bibliotecario della Libreria Comunale Carolina (ora Biblioteca comunale), e dal 1842 vice direttore dell'I. R. Ginnasio di Lodi. Nello stesso anno pubblicava la traduzione di 10 orazioni di Demostene (Le orazioni di Demostene volgarizzate, Lodi 1842; 2 ediz., ibid. 1846, accresciuta di altre 13 orazioni, di 6 lettere dall'esilio e di brani del Viaggio d'Anacarsi il Giovane nella Grecia).La prefazione - nella quale, sotto il velo della Grecia, di Filippo e dei Macedoni è trasparente l'allusione all'Italia e agli Austriaci - vale come prima testimonianza del suo orientamento in senso liberale e patriottico.

Negli anni precedenti la rivoluzione del '48 l'A. andò compiendo la sua maturazione politica, in direzione di un repubblicanesimo sul quale influivano le tradizioni dell'antichità classica non meno che la propaganda mazziniana. Così che quando nel '48, dopo le cinque giornate e la liberazione della Lombardia, fu scelto quale rappresentante di Lodi e Crema in seno al governo provvisorio dell'8 aprile, egli fu l'unico elemento di tendenze decisamente repubblicane in quell'organismo, e come tale risolutamente avverso, conformemente all'azione del Mazzini e del Cattaneo, alla fusione della Lombardia con il Piemonte.

Dopo il ritorno degli Austriaci a Milano l'A. (che rimase nella città lombarda fino all'ultimo, per tentare di suscitarvi un'ultima resistenza) si recò in esilio a Nizza, dove si fermò fino al 1859, tenendosi lontano dalla politica militante e dedicandosi prevalentemente agli studi storici.

In quegli anni lavorò in particolare ad una Storia d'Italia dal 1814 al 1850 (2 voll., Torino 1856), ampia ed onesta compilazione, condotta con tono moraleggiante e stile tacitiano, animata però da una viva passione politica e dai suoi ideali democratici, sinceramente vissuti: il "progresso", come legge "inflessibile" dell'umanità; la libertà, principio della vita dei popoli e ragione di ogni fatto politico; il popolo, elemento attivo da educare alla vita politica. In due successive edizioni (4 voll., Milano 1864; 6 voll., ibid. 1868), in cui la narrazione è condotta rispettivamente fino al 1863 ed al 1867, risultano accentuati i motivi polemici antipiemontesi e antimoderati e la coloritura repubblicana dell'opera.

Nel 1859 fu contrario, seguendo la linea del partito d'azione, all'intervento di Napoleone nella questione italiana, giudicandolo pericoloso per l'unità e l'indipendenza, convinto come era che l'Italia dovesse farsi più ad opera del popolo che dei governi.

Tornato a Lodi dopo la guerra, fu portato candidato nel collegio della sua città natale ed eletto deputato il 29 marzo 1860, battendo il La Farina. Alla Camera sedette all'estrema sinistra e vi prese la parola il 29 maggio 1860 per protestare contro la cessione alla Francia di Nizza e della Savoia, definita contraria ai principi della morale, in un discorso che non poté pronunciare integralmente. Il suo atteggiamento sulla questione non fu approvato dai suoi elettori; così, quando la giunta municipale di Lodi inviò al Cavour un indirizzo di adesione alla politica del govemo, l'A. abbandonò di nuovo la vita politica e si ritirò a Nizza (dove rimase fino al 1872, anno in cui si recò a Milano), per coltivare i prediletti studi storici.

In questi anni al centro degli interessi dell'A. fu la storia del cristianesimo. Egli compose infatti, dandola alle stampe anonima, una Storia della Chiesa, per un vecchio cattolico italiano (2 voll., Milano 1873), nella quale la narrazione, di andamento annalistico, delle vicende del cristianesimo, dalle origini fino ai tempi più recenti, si articola intorno ai motivi ispiratori rappresentati dalle convinzioni cristiano-evangeliche e democratiche dell'autore.

Il Vangelo, secondo l'A., sarà sempre la luce eterna del mondo, e la Chiesa starà incrollabile per quanto papato e clero tralignino; la forza del progresso conduce incessantemente avanti l'umanità, e il cristianesimo, tornando alla purezza delle origini evangeliche, deve trovare l'accordo con questo movimento progressivo della storia; fede e ragione, cristianesimo e scienza, anziché opporsi, è necessario arrivino a conciliarsi, perché dalla loro armonia dipende l'ulteriore sviluppo pacifico della civiltà.

Si comprende come, nell'ambito di queste idee riformatrici, la Storia concentri la sua attenzione soprattutto sulle epoche di "corruzione" della Chiesa, cioè sui periodi in cui essa, allontanandosi dallo spirito evangelico, si era, a giudizio dell'A., eccessivamente mondanizzata, venendo meno alla sua missione spirituale (IX secolo, feudalesimo, Riforma, inquisizione, secolo XIX). L'opera, posta poi all'Indice, fu praedamnata,e l'A., per non uscire dalla Chiesa, accettò la proscrizione.

Di questo stesso spirito è permeata anche l'opera su I riformatori del secolo XVI (postuma, 2 voll., Milano 1891), la cui tesi centrale è che la Riforma, pur non mutando le basi del cristianesimo, fu uno dei momenti più importanti nella storia dell'umanità, perché diede il primo avvio alla conciliazione tra la libertà dei pensiero e la rivelazione, tra la scienza e la fede, tra le pretese della Chiesa e quelle dello Stato moderno.

Dell'interesse sempre vivo dell'A. per la vicenda politica dell'Italia contemporanea è testimonianza uno scritto composto nel 1880 e pubblicato soltanto nel 1929 a Como per cura di A. Ghisleri con il titolo I sedici anni del governo dei moderati (1860-1876). Egli dava sfogo, in queste pagine, ai sentimenti di delusione, di insoddisfazione comuni, nei primi decenni post-unitari, a molti uomini della sinistra radicale e del vecchio partito d'azione per quello che essi giudicavano un tradimento degli ideali risorgimentali, uno scadimento del costume politico, un abbassamento morale del paese.

La storia del sedicennio moderato era per l'A. una storia di "falli, colpe, vergogne"; i governanti moderati erano "bassi, vili, partigiani", uomini in cui non era più traccia della tempra morale di un d'Azeglio o dell'arte di governo di un Cavour; essi spegnevano la libertà politica, facendo loro strumento essenziale la polizia; dissestavano l'amministrazione e l'economia dell'Italia, alienavano, con il carabiniere e l'esattore, i popoli dallo Stato. Nella sua impostazione polemica, nella sua natura moraleggiante, nell'andamento tenuto volutamente su di un piano astratto, rifuggente dal fare nomi di persone e di cose (uniche eccezioni gli arresti dei repubblicani a Villa Ruffi nel 1874 e l'esposizione della situazione politica e sociale in Romagna e in Sicilia) lo scritto, anche se eccessivo nelle accuse, coglieva, però, alcuni aspetti della vita italiana di quegli anni: certo esclusivismo del ceto politico dirigente moderato; il distacco tra governanti e governati; la pressione fiscale gravante eccessivamente sui ceti popolari; lo scontento delle classi non abbienti esplodente nel brigantaggio.

Inoltre nell'opera l'A. dava espressione in forma più completa ai suoi ideali democratici e repubblicani, nei quali si sente l'influenza del federalismo del Cattaneo e del Ferrari, specie nella critica alla unità amministrativa, alla francese, ripugnante alla particolarità di vita dei popoli della penisola, e nell'attenzione per la "questione sociale" e in certa vaga simpatia per il socialismo (ma non per l'Internazionale, criticata, anzi, aspramente). Sono inoltre ribadite nei Sedici anni le idee di riforma della Chiesa, che l'A. voleva resa più popolare e democratica con il ritorno all'elezione dei vescovi ad opera dei popolo e con l'amministrazione delle sostanze ecclesiastiche da parte dei fedeli.

Della vocazione di moralista dell'A. sono infine documento alcuni suoi scritti pedagogici: La morale ai giovani ossia l'uomo educato alla virtù (Milano 1877), dedicata al mutuo soccorso nelle campagne, e Verità e amore, considerazioni filosofiche e morali (Milano 1883). All'A. si deve anche una monografia sul pittore Giovanni Moriggia (Treviglio 1879).
Morì a Milano il 19 genn. 189o.