§68 Machiavelli. Centralismo
organico e centralismo democratico. Sono da studiare i reali
rapporti economici e politici che trovano la loro forma
organizzativa, la loro articolazione e la loro funzionalità
nelle manifestazioni di centralismo organico e di centralismo
democratico in una serie di campi: nella vita statale (unitarismo,
federalismo ecc.), nella vita interstatale (alleanze, forme varie
di costellazioni politiche internazionali), nella vita dei partiti
politici e delle associazioni sindacali economiche (in uno stesso
paese, tra paesi diversi ecc.).
Le polemiche sorte nel passato (prima del 1914) a proposito del
predominio tedesco nella vita di alcune forze politiche
internazionali. Era poi reale questa predominanza o in che cosa
essa realmente consisteva? Mi pare si possa dire: 1°) che
nessun nesso organico e disciplinare stabiliva un tale predominio,
il quale pertanto era un mero fatto di influenza culturale e
ideologica astratta; 2°) che tale influenza culturale non
toccava per nulla l’attività pratica effettiva, la quale
viceversa era disgregata, localistica, senza indirizzo d’insieme.
Non si può parlare in tal caso di alcun centralismo,
né organico né democratico, né d’altro genere
o misto. L’influenza culturale era risentita e subita da scarsi
gruppi intellettuali, senza legami con le masse e appunto questa
assenza di legame caratterizzava la situazione. Tuttavia questo
stato di cose è degno di studio perché serve a
spiegare il processo che ha portato alle teorie del centralismo
organico, che è appunto una critica unilaterale e da
intellettuali di quel disordine e dispersione di forze.
Occorre intanto distinguere appunto nelle teorie del centralismo organico tra quelle che velano un preciso programma politico di predominio reale di una parte sul tutto (sia questa parte costituita da uno strato come quello degli intellettuali, sia costituita da un gruppo territoriale privilegiato) e quelle che sono una pura posizione unilaterale (anch’essa propria d’intellettuali), cioè un fatto settario o di fanatismo, immediatamente, e che, pur nascondendo un programma di predominio, è però meno accentuato come fatto politico cosciente.
Il nome più esatto è quello di centralismo
burocratico: l’organicità non può essere che del
centralismo democratico, il quale appunto è un
«centralismo in movimento» per così dire,
cioè una continua adeguazione dell’organizzazione al
movimento storico reale ed è organico appunto perché
tiene conto del movimento, che è il modo organico di
manifestarsi della realtà storica. Inoltre è
organico perché tiene conto di qualcosa di relativamente
stabile e permanente o per lo meno che si muove in una direzione
più facile a prevedersi ecc.
Questo elemento di stabilità negli Stati si incarna nello
sviluppo organico della classe dirigente così come nei
partiti si incarna nello sviluppo organico del gruppo sociale
egemone; negli Stati il centralismo burocratico indica che si
è formato un gruppo angustamente privilegiato che tende a
perpetuare i suoi privilegi regolando e anche soffocando il
nascere di forze contrastanti alla base, anche se queste forze
sono omogenee di interessi agli interessi dominanti (esempio nel
fatto del protezionismo in lotta col liberismo).
Nei partiti rappresentanti gruppi socialmente subalterni l’elemento di stabilità rappresenta la necessità organica di assicurare l’egemonia non a gruppi privilegiati: ma alle forze sociali progressive, organicamente progressive in confronto di altre forze alleate ma composte e oscillanti tra il vecchio e il nuovo.
In ogni caso ciò che importa notare è che nelle
manifestazioni di centralismo burocratico spesso la situazione si
è formata per deficienza d’iniziativa, cioè per la
primitività politica, delle forze periferiche, anche quando
esse sono omogenee con il gruppo territoriale egemone.
Specialmente negli organismi territoriali internazionali il
formarsi di tali situazioni è estremamente dannoso e
pericoloso.
Il centralismo democratico è una formula elastica, che si
presta a molte «incarnazioni»; essa vive in quanto
è interpretata continuamente e continuamente adattata alle
necessità: essa consiste nella ricerca critica di
ciò che è uguale nell’apparente disformità e
distinto e opposto nell’apparente uniformità, e
nell’organizzare e connettere strettamente ciò che è
simile, ma in modo che tale organizzazione e connessione appaia
una necessità pratica «induttiva»,
sperimentale, e non il risultato di un procedimento
razionalistico, deduttivo, astrattistico, cioè appunto
proprio di intellettuali «puri».
Questo lavorio continuo per sceverare l’elemento «internazionale» e «unitario» nella realtà nazionale e localistica è in realtà l’operazione politica concreta, l’attività sola produttiva di progresso storico. Essa richiede una organica unità tra teoria e pratica, tra strati intellettuali e massa, tra governanti e governati. Le formule di unità e federazione perdono gran parte del loro significato da questo punto di vista: esse invece hanno il loro veleno nella concezione «burocratica», per la quale in realtà non esiste unità ma palude stagnante superficialmente calma e «muta», e non federazione ma sacco di patate, cioè giustapposizione meccanica di «unità» singole senza rapporto tra loro.