Q 8 § 96

3 In realtà il riferimento all'art. 5 dello Statuto è nel discorso pronunciato da Giolitti a Dronero il 12 ottobre 1919 nel corso della campagna elettorale di quell'anno (del resto in un primo tempo nel ms Gramsci aveva dato l'esatta indicazione di Dronero, come già nel precedente § 83 di questo stesso Quaderno). In questa occasione Giolitti aveva detto: «Nei nostri ordinamenti politici interni esiste la più strana delle contraddizioni. Mentre il potere esecutivo non può spendere una lira, non può modificare in alcun modo gli ordinamenti amministrativi, non può né creare né abolire una pretura, un impiego d'ordine, senza la preventiva approvazione del Parlamento, può invece per mezzo di trattati internazionali assumere, a nome del Paese, i più terribili impegni che portino inevitabilmente alla guerra; e ciò non solo senza le approvazioni del Parlamento, ma senza che né Parlamento né Paese ne siano, o ne possano essere in alcun modo informati. (Approvazioni). Questo stato di cose va radicalmente mutato, dando al Parlamento, riguardo alla politica estera, gli stessi poteri che esso ha riguardo alla politica finanziaria ed interna, prescrivendo cioè che nessuna convenzione internazionale possa stipularsi, nessun impegno si possa assumere senza l'approvazione del Parlamento. Così esclusa la possibilità di trattati segreti, il Paese sarà tenuto al corrente della politica estera, e potrà in tempo far sentire la sua voce e far prevalere la sua volontà; e i trattati approvati dalla rappresentanza nazionale presenteranno maggiore sicurezza di essere osservati, poiché alla loro violazione si ribellerebbe la coscienza del Paese. Nel 1848, quando fu sancito l'articolo 5 dello Statuto, il segreto diplomatico era la norma di tutti gli Stati d'Europa e le guerre erano fatte da eserciti professionali; ora invece gli ordinamenti politici degli Stati civili sono profondamente mutati, e le guerre sono diventate conflitti di popoli, che si gettano l'uno sull'altro con tutta la massa della popolazione atta alle armi, con tutti i mezzi di distruzione dei quali possono disporre, e il conflitto cessa soltanto quando una delle parti è in completa rovina. È quindi vera necessità storica che i rapporti internazionali siano ora regolati dai rappresentanti dei popoli, sui quali è giusto che cadano queste terribili responsabilità. (Applausi)» (Giovanni Giolitti, Discorsi extraparlamentari, Einaudi, Torino 1952, pp. 312-13). La questione all'art. 5 dello Statuto era stata poi di nuovo sollevata da Giolitti nell'intervista alla «Tribuna», del 27 maggio 1920, in occasione della crisi del primo governo Nitti: «Il prestigio del Parlamento è profondamente scosso nella pubblica opinione per l'assenza assoluta di qualsiasi attività legislativa, avendo il Parlamento abdicato ai suoi poteri che da molto tempo vengono esercitati dal Governo sotto forma di decreti-legge. A questo sistema incostituzionale e che tolse ogni serietà ai lavori legislativi, si deve rinunziare, e non solamente si deve ridare al Parlamento il pieno esercizio del potere legislativo, il controllo effettivo delle pubbliche spese e sull'ordinamento dei pubblici servizi, ma gli si devono dare, anche nella politica estera, poteri eguali a quelli che gli spettano nella politica interna e finanziaria, modificando l'art. 5 dello Statuto e istituendo nei due rami del Parlamento commissioni permanenti di controllo sulla politica estera» (ibid., pp. 328-29).