RIVOLUZIONI DEL 1848-1849
Serie di moti, rivolte, insurrezioni che scossero l'intera Europa e
in cui si intrecciarono motivi politici, sociali e nazionali.
Momento di snodo della vita politica europea, il biennio
rivoluzionario 1848-1849, preceduto ovunque da una fase di acuta
crisi economica di tipo congiunturale, ha assunto nel comune
immaginario politico il valore simbolico di grande occasione di
trasformazione sociale ed istituzionale.
Il 12 gennaio 1848 nel Regno delle Due Sicilie insorsero i
palermitani, che scacciarono Ferdinando II di Borbone, restaurarono
la costituzione del 1812 e riaffermarono la volontà separatista
della classe dirigente e del popolo siciliani, uniti nell'avversione
al dominio di Napoli. Manifestazioni liberali, nel frattempo, si
susseguirono nella capitale, Napoli, obbligando il re a concedere la
costituzione.
Questo gesto spinse Carlo Alberto di Savoia in Piemonte, Leopoldo II
di Toscana e il papa Pio IX a Roma, tra il febbraio e il marzo, a
fare altrettanto. Non si trattava, tuttavia, di statuti
particolarmente avanzati: essi ricalcavano, per lo più, la
costituzione francese del 1830.
Mentre in Italia il processo rivoluzionario pareva controllato dalle
monarchie, a Parigi, il 22 febbraio, il popolo rovesciò Luigi
Filippo e proclamò (25 febbraio) la Seconda repubblica. Esplodeva
improvvisamente il primo, serrato confronto fra la borghesia
moderata, titolare del potere politico, e un proletariato operaio
già in via d'organizzazione, appoggiato da gruppi repubblicani e
socialisti. Di colpo, il suffragio divenne universale: gli elettori
passarono da 250.000 a 9 milioni; ma se Parigi era controllata dalle
fazioni più avanzate, la Francia rurale, il 23 aprile, elesse
un'Assemblea costituente dal profilo moderato, che si affrettò a
smantellare con la forza (repressione di Cavaignac, 23 giugno) i
primi opifici nazionali d'ispirazione socialista. I popolani uccisi
furono migliaia, quasi 4000 i deportati. Si chiudeva la fase del
"pericolo rosso". La reazione borghese finiva per portare alla
presidenza della repubblica, il 10 dicembre, Luigi Napoleone
Bonaparte, che era stato capace di raccogliere consensi dai settori
più disparati. Non appena assunto il potere, egli indirizzò
chiaramente l'azione del governo verso destra, rassicurando i
conservatori: decise l'intervento contro la Repubblica romana
nell'aprile 1849, osteggiato dalla sinistra, e il 13 maggio 1849,
nelle elezioni per l'Assemblea legislativa, riuscì a raccogliere
oltre i due terzi dei deputati, costringendo i democratici a
un'estrema manifestazione di dissenso (13 giugno) che, repressa,
condannò i dirigenti dell'opposizione all'esilio.
L'eco dei fatti parigini rimbalzò in Germania, dove, fra il 14 e il
18 marzo 1848, il movimento liberale, affiancato da vasti settori
proletari, promosse vaste manifestazioni di piazza, che fruttarono
la promessa, da parte di Federico Guglielmo IV, della costituzione.
Il 2 aprile, un primo Landtag (dieta) prussiano si pronunciò per le
libertà fondamentali e per il suffragio universale maschile;
Federico Guglielmo IV, il 31 marzo, richiamò le truppe a Berlino,
mentre la borghesia, impaurita dal fantasma incombente del
socialismo, prese a moderare le proprie richieste, orientando
l'assemblea in senso sempre più conservatore, fino a privarla di una
reale carica innovatrice. Il 5 dicembre, il re scioglieva il Landtag
senza suscitare resistenze. Nel resto della Germania le titubanze
del ceto medio furono simili a quelle manifestatesi in Prussia. Il
18 maggio 1848, preceduto da una convenzione preparatoria, si riunì
a Francoforte il Parlamento federale degli Stati tedeschi e
dell'Austria, eletto a suffragio universale. Partita con le migliori
intenzioni (carta dei diritti fondamentali, istituzioni liberali),
l'assemblea si divise fra i seguaci della Grande Germania (con
l'Austria) e quelli della Piccola Germania (senza l'Austria).
Vienna, d'altronde, che non era disposta a rinunciare all'impero e
che temeva un'egemonia prussiana sul mondo di lingua tedesca, finì
per ritirare i propri rappresentanti (5 aprile 1849). Di fronte al
diniego opposto da Federico Guglielmo IV all'ipotesi di accettare la
corona imperiale da un'assemblea rivoluzionaria (28 aprile),
l'assemblea si sfaldò. I moderati l'abbandonarono, mentre i
democratici, nel tentativo di tener vivo il principio della
sovranità popolare, si trasferirono a Stoccarda, cercando consensi
nel ceto medio locale. Una brutale repressione (giugno 1849)
cancellò definitivamente il sogno democratico-repubblicano della
sinistra tedesca.
Nell'impero asburgico i moti ebbero per protagonisti le componenti
nazionali organizzate (cechi, italiani, ungheresi) dopo una prima
manifestazione rivoluzionaria a Vienna (13 marzo 1848) che aveva
provocato la caduta di Metternich e spinto Ferdinando I a promettere
un governo liberale e istituzioni rappresentative. Il Reichstag
(parlamento), eletto a suffragio universale, si riunì il 22 luglio e
abolì le servitù feudali.
Nel frattempo, il 17 marzo era insorta Venezia e il 18 cominciavano
le Cinque giornate di Milano.
A Praga era stato formato un gabinetto nazionale, che aveva promosso
un congresso slavo, entrambi repressi nel sangue dal generale
Windischgrätz fra l'11 e il 17 giugno 1848.
In aprile Kossuth, leader dei liberaldemocratici ungheresi, era
riuscito a organizzare l'elezione a suffragio universale di un
parlamento nel quale i progressisti, favorevoli alla modernizzazione
del paese, avevano la maggioranza. Dopo alcuni mesi d'indipendenza
di fatto dell'Ungheria, in ottobre gli austriaci prepararono
l'intervento militare, ostacolato dal popolo viennese, contro cui
Windischgrätz intervenne duramente (26-28 ottobre). Liberatosi
dell'opposizione interna, l'imperatore (dal 2 dicembre Francesco
Giuseppe) poteva pensare all'Ungheria, che soccombette solo
nell'agosto 1849 (battaglia di Temesvár, 9 agosto), dopo una tenace
resistenza al duplice invasore austriaco e russo.
In Italia, l'insurrezione nel Regno lombardo-veneto aveva spinto
Carlo Alberto a sfidare il governo asburgico (23 marzo 1848),
confortato dall'appoggio del granduca di Toscana, del re di Napoli e
del papa. La guerra per l'indipendenza, dalla quale si ritirò ben
presto Pio IX (29 aprile), imitato da Leopoldo II e da Ferdinando
II, si concluse con la sconfitta piemontese di Custoza (23-25
luglio) e l'armistizio Salasco (9 agosto).
Il Borbone, fra il maggio e l'agosto, provvide a reprimere i moti in
Calabria e in Sicilia, ritirando la costituzione, mentre lo Stato
della Chiesa, in piena crisi istituzionale, subiva in estate
l'intervento austriaco.
Resistevano, estremi ricettacoli di nazionalità, la Repubblica di
San Marco a Venezia (sarebbe caduta solo il 26 agosto 1849, piegata
dalla fame e dal colera) e il gabinetto democratico di Firenze,
costituito in ottobre da Guerrazzi e Montanelli e rafforzatosi poi
il 21 febbraio 1849, dopo la fuga del granduca.
Il 15 novembre 1848, a Roma, era stato assassinato Pellegrino Rossi,
ministro liberale del papa; Pio IX fuggì a Gaeta, lasciando un vuoto
di potere riempito da una Costituente democratica, eletta a
suffragio universale, che il 9 febbraio 1849 proclamò la Repubblica
romana. L'esperimento, guidato da Mazzini, si concluse tragicamente
il 3 luglio, dopo una strenua resistenza all'invasore francese. Nel
frattempo, gli imperiali, che fra il marzo e l'aprile 1849 avevano
domato Brescia, scendevano in Toscana, piegavano Livorno (10-11
maggio) e restauravano il granduca (28 luglio). Questi abrogò
immediatamente lo statuto.