Q1§57

1 In forma di appunti schematici sono qui riassunti gli argomenti più significativi già sviluppati nel saggio del 1926, Alcuni temi della quistione meridionale cit. Per rendere intelligibili gli accenni del testo si riportano, nelle * che seguono, i passi corrispondenti del saggio del 1926.

2 «... già prima della guerra, si era verificato a Torino un episodio che conteneva in potenza tutta Fazione e la propaganda svolta nel dopoguerra dai comunisti. Quando, nel 1914, per la morte di Pilade Gay, rimase vacante il IV Collegio della città e fu posta la quistione del nuovo candidato, un gruppo della sezione socialista, del quale facevano parte i futuri redattori dell'"Ordine Nuovo", ventilò il progetto di presentare come candidato Gaetano Salvemini. Il Salvemini era allora l'esponente più avanzato in senso radicale della massa contadina del Mezzogiorno. Egli era fuori del Partito socialista, anzi conduceva contro il Partito socialista una campagna vivacissima e pericolosissima, perché le sue affermazioni e le sue accuse, nella massa lavoratrice meridionale, diventavano causa di odio non solo contro i Turati, i Treves, i D'Aragona ma contro il proletariato industriale nel suo complesso. (Molte delle pallottole che le guardie regie scaricarono nel '19, '20, '21, '22 contro gli operai erano fuse dello stesso piombo che servi a stampare gli articoli del Salvemini). Tuttavia questo gruppo torinese voleva fare un'affermazione sul nome del Salvemini, nel senso che al Salvemini stesso fu esposto dal compagno Ottavio Pastore recatosi a Firenze per avere il consenso alla candidatura: "Gli operai di Torino vogliono eleggere un deputato per i contadini pugliesi. Gli operai di Torino sanno che nelle elezioni generali del 1913, i contadini di Molfetta e di Bitonto erano, nella loro stragrande maggioranza, favorevoli al Salvemini; la pressione amministrativa del governo Giolitti e la violenza dei mazzieri e della polizia ha impedito ai contadini pugliesi di esprimersi. Gli operai di Torino non domandano impegni di sorta al Salvemini, né di partito, né di programma, né di disciplina al gruppo parlamentare; una volta eletto il Salvemini si richiamerà ai contadini pugliesi, non agli operai di Torino, Ì quali faranno la propaganda elettorale secondo i loro principi e non saranno per nulla impegnati dall'attività politica del Salvemini". Il Salvemini non volle accettare la candidatura, quantunque fosse rimasto scosso e persino commosso dalla proposta (in quel tempo non si parlava ancora di "perfidia" comunista, e i costunii erano onesti e lieti); egli propose Mussolini come candidato e si impegnò di venire a Torino a sostenere il Partito socialista nella lotta elettorale. Tenne infatti due comizi grandiosi alla Camera del Lavoro e in piazza Statuto, tra la massa che vedeva ed applaudiva in lui il rappresentante dei contadini meridionali oppressi e sfruttati in forme ancora più odiose e bestiali che il proletariato settentrionale» (CPC, 141-42).

3 «Nel 1919 si formò l'associazione della "Giovane Sardegna", esordio e premessa di quel che sarà pili tardi il Partito sardo d'azione. La "Giovane Sardegna" si proponeva di unire tutti i sardi dell'isola e del continente in un blocco regionale capace di esercitare una utile pressione sul governo per ottenere che fossero mantenute le promesse fatte durante la guerra ai soldati; l'organizzatore della "Giovane Sardegna" nel continente era un tale professore Pietro Nurra, socialista, che molto probabilmente oggi fa parte del gruppo di "giovani" che nel "Quarto stato" scopre ogni settimana qualche nuovo orizzonte da esplorare. Vi aderivano con l'entusiasmo che crea ogni nuova probabilità di pescar croci, commende e medaglini, avvocati, professori, funzionari. L'assemblea costituente, convocata a Torino per i sardi abitanti nel Piemonte, riusci imponente per il numero degli intervenuti. Era in maggioranza povera gente, popolani senza qualifica distinguibile, manovali d'officina, piccoli pensionati, ex carabinieri, ex guardie carcerarie, ex soldati di finanza che esercitavano piccoli negozi svariatissimi; tutti erano entusiasmati dall'idea di ritrovarsi tra compaesani, di sentire discorsi sulla loro terra alla quale continuavano ad essere legati da innumerevoli fili di parentele, di amicizie, di ricordi, di sofferenze, di speranze: la speranza di ritornare al loro paese, ma ad un paese più prospero e ricco, che offrisse le condizioni di vivere, sia pure modestamente. I comunisti sardi, in numero preciso di otto, si recarono alla riunione, presentarono alla presidenza una loro mozione, domandarono di fare una controrelazione. Dopo il discorso infiammato e retorico del relatore ufficiale, adorno di tutte le veneri e gli amorini dell'oratoria regionalistica, dopo che gli intervenuti avevano pianto ai ricordi dei dolori passati e del sangue versato in guerra dai reggimenti sardi, e si erano entusiasmati fino al delirio all'idea del blocco compatto di tutti i figli generosi della Sardegna, era molto difficile "piazzare" la controrelazione; le previsioni più ottimistiche erano se non il linciaggio, per lo meno una passeggiata fino in questura dopo essere stati salvati dalle conseguenze del "nobile sdegno della folla". La controrelazione, se suscitò una enorme stupefazione, fu però ascoltata con attenzione, e una volta rotto l'incanto, rapidamente, se pur metodicamente, si giunse alla conclusione rivoluzionaria. Il dilemma: siete voi, poveri diavoli di sardi, per un blocco coi signori di Sardegna che vi hanno rovinato e sono i sorveglianti locali dello sfruttamento capitalistico, o siete per un blocco con gli operai rivoluzionari del continente, che vogliono abbattere tutti gli sfruttamenti ed emancipare tutti gli oppressi? - questo dilemma fu fatto penetrare nei cervelli dei presenti. Il voto per divisione fu un formidabile successo: da una parte un gruppetto di signore sgargianti, di funzionari in tuba, di professionisti lividi dalla rabbia e dalla paura con una quarantina di poliziotti per contorno di consenso, e dall'altra tutta la moltitudine dei poveri diavoli e delle donnette vestite da festa intorno alla piccolissima cellula comunista. Un'ora dopo, alla Camera del lavoro era costituito il Circolo educativo socialista sardo con 256 inscritti; la costituzione della "Giovane Sardegna" fu rinviata sine die e non ebbe mai luogo» (CPC, 142-43).

4 «Fu questa la base politica dell'azione condotta fra i soldati della brigata Sassari, brigata a composizione quasi totalmente regionale. La brigata Sassari aveva partecipato alla repressione del moto insurrezionale di Torino dell'agosto 1917; si era sicuri che essa non avrebbe mai fraternizzato con gli operai per i ricordi di odio che ogni repressione lascia nella folla anche contro gli strumenti materiali della repressione e nei reggimenti per il ricordo dei soldati caduti sotto i colpi degli insorti. La brigata fu accolta da una folla di signori e signore che offrivano ai soldati fiori, sigari, frutta. Lo stato d'animo dei soldati è caratterizzato da questo racconto di un operaio conciapelli di Sassari, addetto ai primi sondaggi di propaganda: "Mi sono avvicinato a un bivacco di piazza X (i soldati sardi nei primi giorni bivaccarono nelle piazze come in una città conquistata) e ho parlato con un giovane contadino che mi aveva accolto cordialmente perché di Sassari come lui. 'Cosa siete venuti a fare a Torino?' 'Siamo venuti a sparare contro i signori che fanno sciopero'. 'Ma non sono i signori quelli che fanno sciopero, sono gli operai e sono poveri'. 'Qui sono tutti signori: hanno il colletto e la cravatta: guadagnano 30 lire al giorno. I poveri io li conosco e so come sono vestiti, a Sassari, si, ci sono molti poveri; tutti gli zappatori siamo poveri e guadagnamo 1,50 al giorno'. 'Ma anche io sono operaio e sono povero'. 'Tu sei povero perché sei sardo'. 'Ma se io faccio sciopero con gli altri sparerai contro di me?' Il soldato rifletté un poco, poi mettendomi una mano sulla spalla: 'Senti, quando fai sciopero con gli altri, resta a casa!'"

Era questo lo spirito della stragrande maggioranza della brigata che contava solo un piccolo numero di operai minatori del bacino di Iglesias. Eppure, dopo pochi mesi, alla vigilia dello sciopero generale del 20-21 luglio, la brigata fu allontanata da Torino, i soldati anziani furono congedati e la formazione divisa in tre: un terzo fu mandato ad Aosta, un terzo a Trieste, un terzo a Roma. La brigata fu fatta partire di notte, all'improvviso; nessuna folla elegante li applaudiva alla stazione; i loro canti se erano anch'essi guerrieri, non avevano più lo stesso contenuto di quelli cantati all'arrivo.

Questi avvenimenti sono rimasti senza conseguenze? No, essi hanno avuto risultati che ancora oggi sussistono e continuano ad operare nella profondità della massa popolare. Essi hanno illuminato per un momento cervelli che non avevano mai pensato in quella direzione e che sono rimasti impressionati, modificati radicalmente. I nostri archivi sono andati dispersi; molte carte sono state da noi stessi distrutte per non provocare arresti e persecuzioni. Ma noi ricordiamo decine e centinaia di lettere giunte dalla Sardegna alla redazione torinese dell'"Avanti!"; lettere spesso collettive, spesso firmate da tutti gli ex combattenti della Sassari di un determinato paese. Per vie incontrollate e incontrollabili, l'atteggiamento politico da noi sostenuto si diffondeva; la formazione del Partito sardo d'azione ne fu fortemente influenzata alla base, e sarebbe possibile ricordare a questo proposito episodi ricchi di contenuto e di significato.

L'ultima ripercussione controllata di questa azione la si ebbe nel 1922, quando, con gli stessi propositi che per la brigata Sassari, furono inviati a Torino 300 carabinieri della legione di Cagliari. Ricevemmo, alla redazione dell'"Ordine Nuovo", una dichiarazione di principio, firmata da una grandissima parte di questi carabinieri; essa echeggiava di tutta la nostra impostazione del problema meridionale, essa era la prova decisiva della giustezza del nostro indirizzo» (CPC, 143-44).

5 «Dopo l'occupazione delle fabbriche, la direzione della Fiat fece la proposta agli operai di assumere la gestione dell'azienda in forma di cooperativa. Come è naturale, i riformisti erano favorevoll. Si profilava una crisi industriale, lo spettro della disoccupazione angosciava le famiglie operaie. Se la Fiat diventava cooperativa, una certa sicurezza dell'impiego avrebbe potuto essere acquistata dalla maestranza e specialmente dagli operai politicamente più attivi, che erano persuasi di essere destinati al licenziamento.

La sezione socialista guidata dai comunisti intervenne energicamente nella quistione. Fu detto agli operai: una grande azienda cooperativa come la Fiat può essere assunta dagli operai, solo se gli operai sono decisi a entrare nel sistema di forze politiche borghesi che oggi governa l'Italia. La proposta della direzione della Fiat rientra nel piano politico giolittiano. [...]. Giolitti vuole addomesticare gli operai di Torino. Li ha battuti due volte: nello sciopero dell'aprile scorso e nell'occupazione delle fabbriche con l'aiuto della Confederazione generale del lavoro, cioè del riformismo corporativo. Ritiene ora di poterli inquadrare nel sistema borghese statale. Infatti, che avverrà se le maestranze Fiat accettano le proposte della direzione? Le attuali azioni industriali diventeranno obbligazioni, cioè la cooperativa dovrà pagare ai portatori di obbligazioni un dividendo fisso, qualunque sia il giro degli affari. L'azienda Fiat sarà taglieggiata in tutti i modi dagli istituti di credito, che rimangono in mano ai borghesi, i quali hanno l'interesse a ridurre gli operai alla loro discrezione. Le maestranze necessariamente dovranno legarsi allo Stato, il quale "verrà in aiuto agli operai" attraverso l'opera dei deputati operai, attraverso la subordinazione del partito politico operaio alla politica governativa. Ecco il piano di Giolitti nella sua piena applicazione. Il proletariato torinese non esisterà più come classe indipendente, ma solo come una appendice dello Stato borghese. Il corporativismo di classe avrà trionfato, ma il proletariato avrà perduto la sua posizione e il suo ufficio di dirigente e di guida; esso apparirà alle masse degli operai più poveri come un privilegiato, apparirà ai contadini come uno sfruttatore alla stessa stregua dei borghesi, perché la borghesia, come ha sempre fatto, presenterà alle masse contadine i nuclei operai privilegiati come l'unica causa dei loro mali e della loro miseria.

Le maestranze della Fiat accettarono quasi all'unanimità il nostro punto di vista e le proposte della direzione furono respinte» (CPC, 145-49).

6 «Reggio Emilia era sempre stato il bersaglio dei "meridionalisti". Una frase di Camillo Prampolini: "L'Italia si divide in nordici e sudici", era come l'espressione più caratteristica dell'odio violento che tra i meridionali si spargeva contro gli operai del Nord. A Reggio Emilia si presentò una quistione simile a quella della Fiat: una grande officina doveva passare nelle mani degli operai come azienda cooperativa. I riformisti reggiani erano entusiasti dell'avvenimento e lo strombazzavano nei loro giornali e nelle riunioni. Un comunista torinese si recò a Reggio, prese la parola nel comizio di fabbrica, espose tutto il complesso della quistione tra Nord e Sud, e si ottenne il "miracolo": gli operai, a grandissima maggioranza, respinsero la tesi riformista e corporativa. Fu dimostrato che i riformisti non rappresentavano lo spirito degli operai reggiani; ne rappresentavano solo la passività e altri lati negativi. Erano riusciti a instaurare un monopolio politico, data la notevole concentrazione nelle loro file di organizzatori e propagandisti d'un certo valore professionale, e quindi a impedire lo sviluppo e l'organizzazione di una corrente rivoluzionaria; ma era bastata la presenza di un rivoluzionario capace, per metterli in iscacco e rivelare che gli operai reggiani sono dei valorosi combattenti e non dei porci allevati con la biada governativa» (CPC, 149-50).

7 Cfr Giovanni Zibordi, Saggio sulla storia del movimento operaio in Italia. Camillo Prampolini e i lavoratori reggiani, 2a ed., Laterza, Bari 1930 [FG, C. carc., Turi II].

8 II riferimento riguarda il libro di Guido Dorso, La rivoluzione meridionale cit.; per il giudizio sui comunisti si veda il capitolo XII della parte IL Anche questo accenno a Gobetti e a Dorso rinvia al saggio del 1926 sulla questione meridionale (cfr in particolare CPC, 156-57).

9 Vi è qui un'allusione a un articolo di Gramsci del 1919, Agnelli e conigli (ora in SG, 350-52), in polemica con la politica protezionistica del municipio di Torino ai danni della Sardegna. Sembra che di questo episodio Gramsci si sia anche servito nella sua propaganda tra i soldati della Brigata Sassari; cfr in questo senso un accenno della lettera a Tania del 30 aprile 1928: «A Torino ho fatto, nel 1919, una larga inchiesta, perché il Municipio boicottava gli agnelli e i capretti sardi a profitto dei conigli piemontesi: c'erano a Torino circa 4000 pastori e contadini sardi in missione speciale e io volevo illuminarli su questo argomento» (LC, 205).

La sigla B. S. nel testo allude quindi alla Brigata Sassari. Meno chiaro appare invece il riferimento a «miniere-ferrovie».