Q 14 § 9

1 Nella lettera a Tania del 6 marzo 1933 sono ripresi gran parte dei motivi svolti in queste Note autobiografiche: «ho ancora vivo il ricordo (ciò non sempre mi capita più in questi ultimi tempi) di un paragone che ti ho fatto nel colloquio di domenica per spiegar­ti ciò che avviene in me. Voglio riprenderlo per trarne alcune con­clusioni pratiche che mi interessano. Ti ho detto su per giù così: immagina un naufragio e che un certo numero di persone si ri­fugino in una scialuppa per salvarsi senza sapere dove, quando e dopo quali peripezie effettivamente si salveranno. Prima del nau­fragio, come è naturale, nessuno dei futuri naufraghi pensava di diventare... naufrago e quindi tanto meno pensava di essere con­dotto a commettere gli atti che dei naufraghi, in certe condizioni, possono commettere, per esempio, l'atto di diventare... antropofa­ghi. Ognuno di costoro, se interrogato a freddo cosa avrebbe fatto nell'alternativa di morire o di diventare cannibale, avrebbe rispo­sto, con la massima buona fede, che, data l'alternativa, avrebbe scelto certamente di morire. Avviene il naufragio, il rifugio nella scialuppa ecc. Dopo qualche giorno, essendo mancati i viveri, l'idea del cannibalismo si presenta in una luce diversa, finché a un certo punto, di quelle persone date, un certo numero diviene davvero cannibale.

Ma in realtà si tratta delle stesse persone? Tra i due momenti, quello in cui l'alternativa si presentava come una pura ipotesi teorica e quello in cui l'alternativa si presenta in tutta la forza dell'immediata necessità, è avvenuto un processo di trasfor­mazione "molecolare" per quanto rapido, nel quale le persone di prima non sono più le persone di poi e non si può dire, altro che dal punto di vista dello stato civile e della legge (che sono, d'al­tronde, punti di vista rispettabili e che hanno la loro importanza) che si tratti delle stesse persone. Ebbene, come ti ho detto, un si­mile mutamento sta avvenendo in me (cannibalismo a parte). Il più grave è che in questi casi la personalità si sdoppia: una parte osserva il processo, l'altra parte lo subisce, ma la parte osserva­trice (finché questa parte esiste significa che c'è un autocontrollo e la possibilità di riprendersi) sente la precarietà della propria po­sizione, cioè prevede che giungerà un punto in cui la sua funzione sparirà, cioè non ci sarà più autocontrollo ma l'intera personalità sarà inghiottita da un nuovo "individuo" con impulsi, iniziative, modi di pensare diversi da quelli precedenti.

Ebbene, io mi trovo in questa situazione. Non so cosa potrà rimanere di me dopo la fine del processo di mutazione che sento in via di sviluppo. La conclusione pratica è questa: occorre che per un certo tempo io non scriva a nessuno, neppure a te, oltre le nude e crude notizie sui fatti dell'esistenza. Questo tempo lo si può fissare all'ingrosso nel periodo che è necessario perché si svolga la pratica dall'avvo­cato di cui abbiamo tanto parlato. Se la pratica si svolge favore­volmente, tanto meglio; ci sarà, entro certi limiti, un passato da dimenticare (dato che certe cose possano essere dimenticate, cioè non lascino tracce permanenti). Se la pratica si svolgerà sfavore­volmente, si vedrà ciò che c'è da fare. Nel frattempo, nessuna parola che in qualche modo turbi o complichi la difficile successio­ne delle ore» (LC, 757-58).