Interazionismo simbolico

di Margherita Ciacci


Sommario: 1. Introduzione. 2. Breve storia dell'interazionismo simbolico: a) il contesto storico; b) le premesse teoriche. 3. Assunti e concetti chiave. 4. Prescrizioni metodologiche. 5. Campi di ricerca. 6. Osservazioni conclusive.

1. INTRODUZIONE

L'interazionismo simbolico è un orientamento teorico affermatosi nell'ambito della sociologia e della psicologia sociale, soprattutto negli Stati Uniti, a partire dalla prima metà del Novecento. Il tratto distintivo di questo indirizzo consiste nel porre al centro dell'analisi l'interazione sociale e l'interpretazione che di questa danno quanti vi partecipano.

In tale prospettiva acquistano centralità i processi interpersonali tramite i quali gli individui si rapportano al proprio modo di pensare e a quello che presumono essere dell'altro, per scegliere le linee di condotta da seguire. Al tempo stesso viene dato risalto all'attività di simbolizzazione svolta dagli individui nel corso dell'interazione e allo sviluppo di capacità interpretative delle proprie e delle altrui esperienze. I significati che vengono attribuiti a tali esperienze derivano dalle definizioni che Ego e Alter danno delle 'situazioni' in cui sono rispettivamente coinvolti.

Il tipo di rapporto sociale privilegiato da questo approccio è quello che emerge da un'intensa attività interpretativa e definitoria della situazione in cui si trovano coinvolti gli attori, tanto che la visione del mondo che ne scaturisce appare intessuta di continue negoziazioni. Queste, influenzandosi a vicenda, costruiscono incessantemente nuove mappe di significato all'interno di processi in cui prevalgono elementi di contingenza e aleatorietà.

Postulando la natura negoziata, 'costruita' dell'ordine sociale - che appare quindi fondato sui processi definitori e interpretativi che si sviluppano nel corso dell'interazione - l'interazionismo simbolico introduce nell'analisi sociologica un correttivo rispetto al peso eccessivo dato dalle analisi funzionaliste al determinismo normativo e agli aspetti strutturali della vita sociale. Questo orientamento teorico è diventato così il referente privilegiato degli attuali sviluppi delle analisi microsociologiche, nonché dello studio delle organizzazioni basato sulla teoria dell''ordine negoziato'.

Per valutare i contributi teorici che l'interazionismo simbolico ha dato alle conoscenze sociologiche, per individuare i campi di ricerca in cui il suo apporto è stato più fertile, nonché per cogliere i limiti che gli sono stati imputati è utile tracciarne una breve storia, ricordando che le sue premesse si trovano nell'opera di quei 'classici' americani rimasti a lungo in ombra, cui si deve l'istituzionalizzazione delle scienze sociali nell'America del primo Novecento.

2. BREVE STORIA DELL'INTERAZIONISMO SIMBOLICO

Il contesto storico

L'espressione 'interazionismo simbolico' (v. Blumer, 1937; v. Ciacci, 1983; v. Plummer, 1991; v. Rose, 1962) appare quale designazione specifica di un orientamento teorico solo alcuni decenni più tardi rispetto al suo originario profilarsi attraverso i contributi degli studiosi riuniti presso l'Università di Chicago nei primi decenni del Novecento. Essa si pone così ex post quale alveo che raccoglie una serie di apporti teorici la cui disomogeneità di provenienza e di contenuti non è mai stata del tutto esplicitata. Tra la formulazione originaria delle idee di fondo e la loro successiva diffusione esiste dunque uno sfasamento temporale. Lo stesso è accaduto all'opera di George Herbert Mead (v., 1934, 1936 e 1938), che può essere considerato uno dei padri fondatori di questo indirizzo. Tuttavia anche dopo che, nel 1937, Herbert Blumer - allievo di Mead e autonominatosi suo erede intellettuale - ebbe coniato questa etichetta, l'interazionismo simbolico non ebbe per un certo tempo riconoscimenti espliciti. Questi cominciarono a palesarsi negli anni cinquanta di fronte all''entropia del funzionalismo' (v. Gouldner, 1970), trovando ulteriore conferma nel decennio successivo in reazione al diffondersi della sociologia critica e del marxismo. Sul piano metodologico l'interazionismo simbolico rappresenta in linea generale il vessillo di tutte quelle sociologie interpretative che rifiutano di avvalersi di analisi quantitative (anche se con alcune eccezioni).

L'interazionismo simbolico ha suscitato reazioni contrastanti. Vi sono coloro (v. Meltzer e altri, 1975) che, con una certa arbitrarietà, vorrebbero far rientrare nell'interazionismo simbolico sia l'approccio drammaturgico di Erving Goffman sia l'etnometodologia di Harold Garfinkel. A parere di altri la sociologia fenomenologica di Alfred Schutz e gli sviluppi cui essa ha dato luogo (ad esempio, su versanti diversi, la sociologia della vita quotidiana di Peter Berger e, appunto, la teoria di Garfinkel) si sarebbero tradotti in altrettante occasioni di superamento dell'interazionismo simbolico. Infine, la trattazione sistematica di questa corrente nei più aggiornati manuali universitari di sociologia e di psicologia sociale, nonché la recente costituzione di una Society for the study of symbolic interaction, possono essere interpretati come segnali della persistente vitalità di questa scuola di pensiero sociologico, che giustificano l'ottimismo recentemente manifestato da quanti parlano di una 'rivitalizzazione' dell'interazionismo simbolico (v. Stryker, 1987).

Se questa è la cronaca più recente, vediamo ora di richiamare quella stagione in cui sono maturate alcune delle problematiche teoriche dalle quali sono partiti i padri fondatori dell'interazionismo simbolico. Si tratta di un momento culturale caratterizzato dalla pressoché totale assenza di codici disciplinari specifici e da fruttuose contaminazioni fra tradizioni e discipline diverse. Gli apporti più originali alla sociologia che si andava pionieristicamente sviluppando presso l'Università di Chicago sul finire dell'Ottocento, sotto la guida di Albion Small, provengono dalla psicologia - attraverso gli insegnamenti di William James - e dalla filosofia per il tramite di John Dewey e di G.H. Mead. Quest'ultimo, dopo aver compiuto gli studi ad Harvard con James e con Josiah Royce, e dopo aver frequentato il laboratorio di Wilhelm Wundt in Germania, trascorre un periodo presso l'Università del Michigan, dove incontra Dewey e Charles H. Cooley. Questi occupa una posizione di rilievo tra i 'classici' della tradizione sociologica americana, e alcune delle sue tesi si ritrovano tra gli assunti dell'interazionismo simbolico. Nel 1894 Dewey, passato a dirigere il Dipartimento di Filosofia dell'Università di Chicago, invita Mead a raggiungerlo. Nasce tra i due un sodalizio intellettuale animato da comuni interessi filosofici e intenti di riformismo sociale, che - seppure destinato a interrompersi nel 1904 allorché Dewey si trasferisce alla Columbia University - ha posto le basi di un fecondo dibattito culturale le cui ripercussioni in campo sociologico non tarderanno a manifestarsi.

Il pragmatismo di Dewey, infatti, sarà trasposto in chiave sociologica (v. Mills, 1964) da uno studioso che ebbe un ruolo di primo piano in quella stagione della disciplina: William I. Thomas, il quale a sua volta chiama a Chicago Robert E. Park. Fra il 1910 e il 1920 si raccoglie attorno al Dipartimento di Sociologia dell'Università di Chicago un composito gruppo di studiosi - tra cui Ellsworth Faris e Lewis Wirth - che fanno capo, appunto, alla Scuola di Chicago. Questa, nel corso degli anni venti, diventa una sorta di laboratorio di ricerca permanente e attira anche il giovane Blumer. Agli inizi degli anni trenta, con la morte di Mead, e successivamente con la partenza di Park, il prestigio della Scuola di Chicago comincia a essere offuscato dall'emergente scuola funzionalista (Talcott Parsons pubblica La struttura dell'azione sociale nel 1937). A ciò si aggiunge, soprattutto nel decennio successivo, l'affermarsi di un tipo di ricerca empirica antitetica alla tradizione della Scuola di Chicago. Questa, negli anni cinquanta, perde l'ultimo dei suoi rappresentanti più illustri allorché Blumer si trasferisce in California. Molti allievi lo seguono e quelli che restano a Chicago - i neo-Chicagoans - sviluppano le loro ricerche soprattutto nel campo del comportamento deviante. Terminato così il suo periodo di incubazione a Chicago, l'interazionismo simbolico diventa un indirizzo esplicitamente riconosciuto, che si diffonde attraverso l'opera di studiosi attivi presso numerose sedi accademiche e che dà vita a numerosi filoni di ricerca.

Le premesse teoriche

La vicenda della Scuola di Chicago e la sua importanza per l'interazionismo simbolico non possono essere comprese se disgiunte dalla tradizione filosofica del pragmatismo. Il pragmatismo aveva ricondotto la genesi del pensiero e dell'azione a un unico processo, nutrendo altresì la convinzione che attraverso la conoscenza scientifica si potesse pervenire a forme di governo improntate alla democrazia e alla partecipazione. L'istituzionalizzazione della sociologia come disciplina accademica e come prassi di ricerca ha costituito un tratto della politica culturale del pragmatismo. Tanto Dewey quanto Mead, nelle loro elaborazioni teoriche, subiscono l'influenza dell'opera di James nell'ambito della psicologia sociale - una psicologia vista non più come 'filosofia della mente', bensì come 'scienza di laboratorio' che si prefigge di interpretare tutti i processi psichici nei termini della loro funzionalità alla soluzione dei problemi di condotta del soggetto. Altro retaggio riconoscibile nel pragmatismo è quello implicito in alcuni assunti centrali della tradizione filosofica occidentale derivati dalle posizioni kantiane e romantico-idealistiche: la qualità creativa della mente; l'identificazione del processo dialettico Sé/altro-da-Sé; il suo tradursi in una continuità che lega l'individuo all'universo. Secondo Mead, le forme non sono 'date', ma emergono da tale processo. Per superare l'antico dualismo tra soggetto e oggetto, secondo Dewey, occorre individuare nel processo interattivo un elemento capace di conferire significato agli avvenimenti. L'attribuzione di un ruolo attivo all'intelligenza, nonché la concezione delle idee come strumento dell'organismo, costituiscono altrettanti cardini del pragmatismo. Nelle intenzioni di Mead, di Dewey e di James, nonché di Charles S. Peirce, questo indirizzo filosofico avrebbe permesso di individuare un metodo in grado di spiegare il significato dei costrutti mentali. Il significato di un concetto sarebbe stato ricavato dalle sue conseguenze pratiche (si noti, a questo proposito, la trasposizione sociologica di tale posizione compiuta in seguito da Thomas, allorché afferma che se gli immigrati polacchi si reputano americani allora diventano americani).

In quest'ottica l'attività conoscitiva e il pensiero - che nascono da esperienze sensoriali e vi fanno continuamente ritorno - diventano strumentali all'agire. Né per Dewey né per James si può parlare di un sistema di realtà separato dagli individui, così come non possono darsi pensieri o sistemi di conoscenza antecedenti l'individuo. Al soggetto viene riconosciuto un ruolo attivo nel plasmare il proprio ambiente, attraverso un apparato simbolico che organizza un mondo fisico in un processo di costante adattamento guidato dall'intelligenza. Lo stesso Mead, muovendo da posizioni di antidealismo religioso, è interessato a capire come la mente si formi a partire dal 'mondo là fuori'. Egli concepisce la scienza come frutto di una intelligenza impegnata in situazioni problematiche che richiedono il conferimento di un significato e una soluzione, e concepisce anche la crescita e il mutamento dei gruppi, la comparsa e il ridefinirsi delle istituzioni sociali come risultati di tale attività.In epoca recente è stata avanzata da alcuni studiosi (v. Lewis e Smith, 1980) l'ipotesi che nel pragmatismo convivano due anime: una di stampo 'nominalistico'-soggettivo (quale sarebbe da ravvisare in James, Dewey e Cooley, e poi nello stesso Blumer) e un'altra improntata invece a un 'realismo sociale' (quale sarebbe riscontrabile negli scritti di Peirce, di Royce e dell'allievo di quest'ultimo, G.H. Mead). Tale distinzione consentirebbe di spiegare come dalle posizioni filosofiche del pragmatismo sia approdata alla sociologia un'accentuazione individualistica cui sarebbero ascrivibili in gran parte il 'microsociologismo' e il 'pregiudizio astrutturale' che vengono imputati all'interazionismo simbolico. In altre parole, se gli interessi filosofici di Mead fossero stati 'correttamente' trasposti in chiave sociologica, l'interazionismo simbolico non si sarebbe esposto ad alcune delle critiche che gli sono state mosse e di cui diremo in seguito (v. Alexander, 1984).Va ribadito, infine, come il funzionalismo della psicologia di James abbia costituito una premessa necessaria per poter considerare la mente e il corpo come due elementi del medesimo processo. Ciò permette al comportamentismo sociale di Mead di concentrare l'attenzione su quegli elementi della condotta umana che non sono direttamente osservabili. La condotta individuale viene spiegata nei termini della condotta organizzata entro il gruppo sociale, e può essere definita come "quella condotta che sorge dagli impulsi i cui stimoli specifici si trovano in altri individui" (v. Mead, 1934; tr. it., p. 345). Il processo di costruzione della soggettività, muovendo da elementi istintuali, biologicamente determinati e idiosincratici del comportamento, trova la sua compiutezza, socialmente costruita, nell'appartenenza dell'individuo al gruppo sociale, e si estrinseca nella capacità di simbolizzazione e interpretazione della condotta dell'Altro.

3. ASSUNTI E CONCETTI CHIAVE

Attingendo liberamente alle idee di alcuni autori finora ricordati, vediamo più in dettaglio alcuni degli assunti teorici che hanno caratterizzato nel tempo la tradizione dell'interazionismo simbolico, esponendo sommariamente alcuni concetti presenti nella fase 'classica' e le indicazioni che ne derivano, per passare poi a esaminare i campi di ricerca dove il loro apporto è stato più fruttuoso.

Uno dei principali contributi dell'interazionismo simbolico va individuato in una visione della condotta umana non come semplice reazione agli stimoli provenienti dal mondo esterno, bensì come frutto di una mediazione fondata sulle capacità di simbolizzazione e interpretazione peculiari del genere umano. L'unità di base dell'analisi di Mead è l'atto sociale (v. Mead, 1934; tr. it., pp. 124 ss.), all'interno del quale si configura la risposta di un organismo al gesto di un altro organismo. Infatti, il gesto di Ego evoca una certa risposta da parte di Alter, e questa, a sua volta, costituisce uno stimolo per Ego. Tale 'conversazione di gesti' sarebbe priva di significato qualora non intervenisse un processo interpretativo che suscita implicitamente in chi compie il gesto la stessa risposta che esso provoca in coloro cui è destinato. Memore della teoria dei segni elaborata da Peirce, Mead sostiene che il gesto si traduce in simbolo significante attraverso tale processo interpretativo. La rilevanza semantica del gesto, cioè, si dà solo quando Alter convalida - universalizzandolo - il gesto di Ego attraverso quelle attività organizzative e di elaborazione simbolica rese possibili dalla mente. Questa, d'altra parte, non costituisce una struttura interna all'individuo, ma si forma attraverso il dispiegarsi delle capacità di valutazione di cui dispone Ego per anticipare le reazioni di Alter nei propri confronti. Ego finisce così per assumere il ruolo di Alter (v. Mead, 1934; tr. it., p. 170). Si sviluppa in tal modo una conversazione interiorizzata analoga a quella in cui Alter è impegnato con Ego. Questi ha così modo di valutare, oggettivandolo, il senso del proprio gesto, e, avendo preso così le distanze dall'immediatezza della risposta di Alter, lo tematizza in termini universalistici entro quell'elemento unificante delle varie immagini che gli altri si formano di noi e che Mead definisce Altro generalizzato.

Esemplare in proposito risulta l'analisi che Mead (v., 1934; tr. it., pp. 168 ss.) compie del gioco infantile: a uno stadio in cui l'individuo, con erraticità spontanea, assume ruoli distinti e separati (play) subentra una seconda fase ludica (game) dove i singoli ruoli vengono organizzati in un ruolo complessivo (l'Altro generalizzato). Ciò dà modo al soggetto di osservarsi anche dal punto di vista dell'altro nel rispetto di determinate regole e di tenere simultaneamente presenti i diversi atteggiamenti di tutti gli altri giocatori. Il comportamento riflessivo che ne deriva è caratterizzato sia dall'attivazione di un'istanza (Me) che organizza e incorpora gli atteggiamenti e le condotte altrui nei nostri confronti, sia dalla manifestazione delle nostre imprevedibili e idiosincratiche risposte a essi (Io). A tale dialettica (analoga a quella tra Io e Me postulata da James) Mead attribuisce la genesi del Sé (v. Mead, 1936, p. 387). Anche in questo caso si ha dapprima il profilarsi di uno stadio (particolaristico) di organizzazione degli atteggiamenti specifici di Ego nei confronti di Alter e di questo nei propri confronti, e in seguito l'affiancarsi di un'altra fase di strutturazione degli atteggiamenti sociali dell'Altro generalizzato. Il Sé pertanto emerge come entità appresa nel corso del processo di role-taking, attraverso un'oscillante sequenzialità di risposte e indicazioni sedimentate attraverso il farsi dell'esperienza sociale e attraverso le sue forme simbolicamente mediate.

Il concetto del Sé come unità di base della personalità ha costituito il tema centrale anche della teoria più 'mentalistica' di Cooley, per il quale il Sé è formato da tutto ciò di cui l'individuo riesce ad appropriarsi: la nozione del proprio corpo, gli oggetti posseduti, i valori e - non ultime - le immagini che di noi stessi si sono fatti gli altri (v. Cooley, 1902, pp. 150 ss.). Il Sé, in questa prospettiva, è una sorta di rispecchiamento dei giudizi altrui, di quell''idea' che riteniamo gli altri si siano fatta di noi, e ha delle connotazioni passive che contrastano con quella capacità di adesione attiva al dispiegarsi dei processi sociali che invece gli attribuiva Mead. In termini più generali, si può affermare che in Cooley prevale una visione della società come insieme 'mentale' complessivo basato sulla comunicazione; tale visione si tinge di connotazioni nominalistiche che la accomunano a certe posizioni di Dewey e di James. In Mead, al contrario, prevale una concezione ispirata alle componenti realistiche del pragmatismo. In quest'ottica la società è vista come precondizione essenziale non solo del Sé, ma anche della scienza e di ogni tipo di conoscenza. Lo stesso sorgere del pensiero è reso possibile dalla presenza di un simbolismo universale che si riproduce attraverso i processi sociali in atto.

Blumer sostiene invece che gli individui agiscono nei confronti del mondo esterno sulla base dei significati che questo riveste per loro, e sembra non attribuire al simbolo significante la stessa rilevanza - in termini di oggettività e di universalità - che gli aveva conferito Mead. Blumer compie una lettura di quest'ultimo influenzata dai risultati delle ricerche che negli anni della sua formazione venivano condotte nell'ambito della Scuola di Chicago. Fra queste è da ricordare l'opera di W.I. Thomas, che per primo ha tentato di verificare empiricamente sul piano sociologico alcune delle implicazioni teoriche del pragmatismo. Nel suo studio sulle determinanti del comportamento degli immigrati polacchi, Thomas propone un modello interpretativo in grado di tener conto sia delle capacità di simbolizzazione e di interpretazione degli individui (atteggiamenti), sia dei loro valori condivisi (cultura). Il concetto di 'definizione della situazione' sulla base dei valori e degli atteggiamenti dei diversi gruppi sociali gli consente di attribuire all'attività mentale una capacità produttrice di realtà. In una tale prospettiva, non sarà tanto necessario conoscere i termini della situazione reale per pervenire a un'interpretazione dell'agire sociale, quanto piuttosto sapere su quale base di credenze soggettive essa venga a tal punto ritenuta 'reale' da diventare reale nelle sue conseguenze.

Da questo concetto centrale de Il contadino polacco Blumer ricava l'assunto che gli individui agiscono nei confronti del mondo e del proprio Sé partendo non da una cultura e da una struttura sociale date, ma piuttosto dalle definizioni e dai significati che essi di volta in volta attribuiscono alle situazioni stesse. Radicalizzando la proposta di Thomas, Blumer finisce con il conferire all'agire umano una dimensione autoriflessiva, postulando un processo di autoindicazione attraverso cui gli individui prendono atto delle interpretazioni delle reciproche 'mosse' e le collegano alla propria linea di condotta. In questa prospettiva 'mentalistica' scarso è lo spazio riservato all'Altro generalizzato: accettare sino in fondo le implicazioni di questo concetto avrebbe forse consentito a Blumer di postulare l'esistenza di una società relativamente stabile e dotata di un patrimonio normativo capace di esercitare gradi di controllo diversificato sugli attori. Al contrario, nella sua teoria le dimensioni strutturali della vita sociale non costituiscono elementi determinanti dell'azione, ma solo uno schema di riferimento entro cui si sviluppa quel tipo di agire sociale che assume la forma di una connessione di linee individuali di azione nel corso del processo di autoindicazione (v. Blumer, 1962).

All'attenzione quasi durkheimiana che Mead manifesta nei confronti della coercitività della presenza dell'altro, a quella che Randall Collins definisce 'sociologia del Me', Blumer sostituisce una 'sociologia dell'Io' che presenta dei punti di contatto con la sociologia fenomenologica, in quanto al pari di essa pone l'accento sulla intersoggettività e sulla formazione della coscienza; tale approccio offre spunti utili a quanti si prefiggano di studiare, attraverso la sociologia della vita quotidiana (v. Douglas, 1971), i rapporti esistenti tra elementi riflessivi e forme manifeste dell'agire sociale.

4. PRESCRIZIONI METODOLOGICHE

Raffrontando le posizioni di Mead con quelle di Blumer sotto il profilo metodologico si può notare come quest'ultimo privilegi un approccio qualitativo e 'interpretativo' (già suggerito da Cooley e da Thomas), anziché un metodo oggettivo e sperimentale quale era stato invece sostenuto da Mead. Secondo quest'ultimo la rilevazione controllata dei fenomeni osservati permetterebbe all'attività investigatrice di ogni ricercatore di essere replicata, respinta o integrata in un processo di accumulazione della conoscenza nel tempo. Mead, infatti, era interessato a sviluppare una teoria sociale della mente utilizzando anche i procedimenti propri delle scienze naturali anche se - in quanto filosofo - non si era preoccupato di accertarne le condizioni di fattibilità. Si delinea, con Mead, una visione dell'attività umana che ha i caratteri di un astratto modello epistemologico: se la vita quotidiana è essa stessa iscritta entro un processo ermeneutico, la ricerca condotta secondo i principî di un sapere 'comprendente' permette a chi la svolge di avvicinarsi maggiormente alla complessa realtà semantica in cui è implicato al pari del proprio 'oggetto' di studio.

Nella trasposizione in chiave sociologica compiuta da Blumer, invece, i presupposti metodologici dell'interazionismo simbolico vengono esplicitati in maniera tale da deludere quanti vi cercassero un'impostazione in grado di offrire sia definizioni operative dei concetti che ipotesi specifiche da verificare. Già le prime ricerche empiriche condotte a Chicago (valga per tutte il ricordato caso de Il contadino polacco di Thomas e Znaniecki) si erano più o meno esplicitamente avvalse di un procedimento di induzione analitica per pervenire a quell'esauriente esame di singoli casi che permettesse la formulazione di generalizzazioni causali. Quanti hanno aderito a tale programma metodologico hanno prescelto unità di analisi che rivelano una preferenza per gli aspetti 'micro' della vita sociale. Lo studio del 'caso' è stato affrontato: attraverso la raccolta di materiale 'qualitativo' (lettere, documenti personali, storie di vita), arricchito in anni più recenti da materiale audiovisivo; il ricorso a interviste non direttive e in profondità, capaci di rendere al meglio gli aspetti soggettivi e i motivi dell'attore; la pratica meticolosa dell'osservazione partecipante, che possiamo considerare conseguenza delle indicazioni implicite nel concetto di role-taking. Infatti, una volta accertato che nel comportamento umano sono presenti elementi sia manifesti che latenti e simbolici, il ricercatore - se vuole sfuggire al rischio di attribuire la propria interpretazione ai soggetti 'studiati' - dovrà cercare di afferrare il "processo di interpretazione attraverso cui quelli costruiscono le proprie azioni" (v. Blumer, 1966, p. 541). In questo contesto le operazioni di ricerca implicano uno scambio di gesti esplorativi tra chi la svolge e il proprio Alter, attraverso un rapporto di empatia che permetta di percepire i ruoli altrui e quelli propri in un comune processo dialettico.

Le definizioni concettuali, sostiene Blumer, emergeranno come conseguenza dell'indagine: in tal modo viene tracciata la strada per gli sviluppi dell'empirismo radicale che si è affermato più recentemente con le ricerche condotte secondo i principî della grounded theory. In questo caso il ricercatore ha solo apparentemente il compito di formalizzare i resoconti degli attori. La diffidenza per ogni tipo di apriorismo nonché per il condizionamento che schemi teorici elaborati in precedenza possono esercitare nei confronti di 'chi va sul campo' suggeriscono infatti a Blumer (entro una prospettiva rispettosa della 'natura' della realtà sociale) di fare un uso flessibile di concetti 'sensibilizzanti' (v. Blumer, 1954, p. 8). Questi permetteranno lo studio di un universo empirico complesso nella sua dimensione sociale quotidiana, umanamente 'partecipata' e in evidente antitesi con la spersonalizzazione 'oggettivista' della survey research. È stato però obiettato che dando risalto alle capacità intuitive del ricercatore viene di fatto ridotta la possibilità che altri studiosi-osservatori pervengano sia alla ricostruzione del fenomeno indagato, sia alla formulazione di predizioni più generali del comportamento.

Per ovviare in parte a questi limiti sono state avanzate proposte metodologiche alternative da quegli autori che - pur riconoscendosi nelle concettualizzazioni di Mead - hanno considerato inadeguate le prescrizioni metodologiche di Blumer. Lo sviluppo della teoria dei ruoli e le ricerche empiriche sui 'gruppi di riferimento' hanno consentito una traduzione operativa in senso 'positivistico' delle proposte teoriche dell'interazionismo simbolico. Fra quanti si sono cimentati in questa operazione sono da ricordare Manfred Kuhn e il suo gruppo, anche se occorre precisare che essi hanno modificato a tal punto le formulazioni originarie che appare arbitrario continuare ad annoverarli tra gli esponenti dell'interazionismo simbolico. Lo stesso Kuhn, del resto, definisce self-theory il proprio indirizzo. Suo scopo principale è stato quello di tradurre i concetti chiave dell'interazionismo simbolico in caratteri oggettivamente quantificabili. Il Twenty Statements Test (TST), messo a punto da Kuhn e collaboratori (v. Kuhn e McPartland, 1954), rappresenta non solo il più noto tentativo di quantificazione delle implicazioni teoriche dell'interazionismo simbolico, ma anche un esempio di accentuazione degli elementi normativamente strutturati dell'identità sociale, di contro alle qualità negoziate ed 'emergenti' proprie della formulazione di Blumer.

5. CAMPI DI RICERCA

Uno dei tratti distintivi dell'interazionismo simbolico è una concezione della società umana come insieme di individui dotati di un Sé-individui, cioè, in grado di dotarsi di indicazioni relative alla realtà esterna in vista della elaborazione della propria condotta. Questa infatti non si configura come semplice reazione, ma è il frutto di una mediazione che si sviluppa attraverso il dispiegamento e l'impiego di apparati simbolici. Poiché il Sé, rendendo significativo l'ambiente circostante, risulta a sua volta trasformato nel momento in cui ne elabora nuove definizioni, assume rilevanza la qualità processuale della vita sociale, mentre passano in secondo piano i condizionamenti normativi e strutturali. Più in generale l'interazionismo simbolico, nel tentativo di elaborare una teoria formale dell'agire sociale, concentra l'attenzione sul divenire della condotta più che sui suoi contenuti, sul farsi della società e delle identità sociali più che sulle loro strutture, sui processi più che sulle situazioni storiche e politiche entro cui questi si sviluppano. Per questo motivo l'interazionismo simbolico è stato spesso accusato di non essere in grado di proporre schemi teorici che rendano compiutamente conto delle dinamiche del conflitto e dell'esercizio del potere. In questo senso l'ordine sociale proposto sembra dipendere più o meno direttamente dal combinarsi delle varie 'definizioni della situazione' offerte di volta in volta ai partecipanti all'interazione e dalle linee di comportamento che ne risultano entro quella che Blumer chiama 'azione congiunta'.

Le aree di ricerca privilegiate dagli esponenti dell'interazionismo sono state quelle che offrono la possibilità di tematizzare gli aspetti processuali del rapporto individuo-società. Questi, estrinsecandosi nell'attività comunicativa, danno vita al Sé (all'interazionismo simbolico si deve infatti la specifica sensibilità per gli aspetti del comportamento verbale e non verbale che ha caratterizzato le scienze sociali americane). Particolare attenzione è stata data alle trasformazioni cui il Sé è esposto nel corso della vita dell'individuo attraverso una serie di ridefinizioni derivate dalla mutevole posizione che esso occupa all'interno dei gruppi sociali di appartenenza e di situazioni specifiche. Le direttive dell'interazionismo simbolico sono state utili per l'elaborazione della teoria dei ruoli (v. Turner, 1956), per lo studio dei processi di socializzazione (v. Denzin, 1977) e, più in generale, per l'analisi di quei processi che implicano una qualche ridefinizione dell'identità individuale. Vanno segnalati in proposito gli studi di sociologia del lavoro e delle professioni (v. Hughes, 1958; v. Hughes e altri, 1961), gli studi sulla 'carriera' dei malati di mente (v. Goffman, 1969), sulla costruzione di identità devianti (v. Becker, 1963; v. Matza, 1969) e di identità collettive (al pionieristico studio di Thomas si sono aggiunte numerose altre analisi dei rapporti multietnici, nonché una serie di studi sul comportamento collettivo e sui movimenti sociali).

In tutte queste ricerche viene sempre dato largo spazio all'attività creativa dell'individuo nel forgiare il proprio universo significante. Riprendendo la tesi di Mead, secondo il quale il significato dell'oggetto è dato dai modi in cui l'individuo vi si rapporta, Howard Becker (v., 1963) osserva nel suo studio sui consumatori di marijuana come l'uso di tale sostanza sia funzione della concezione che l'individuo ha di essa e degli usi che può farne. Nell'adozione del punto di vista del soggetto ritroviamo quel processo di role-taking che permette al ricercatore di cogliere i significati elaborati dall'individuo 'studiato'. Inoltre nella distinzione tra devianza 'primaria' e 'secondaria' (v. Lemert, 1962) si può ritrovare il rilievo dato al momento interpretativo e al processo interattivo che coinvolge sia coloro che definiscono la persona come deviante sia quanti subiscono quella definizione ('etichetta') e le sue conseguenze.

Al processo interattivo viene attribuita particolare importanza anche da un altro filone di ricerca nel campo della sociologia del lavoro e delle professioni, il cui iniziatore può essere considerato Everett C. Hughes, forse il più originale allievo di Robert E. Park. In questa prospettiva l'occupazione non viene più vista come insieme più o meno complesso di attività che risponde alle esigenze avanzate dal sistema, ma piuttosto come quella dimensione del Sé che collega l'individuo a un sistema di attività e che viene continuamente ridefinita all'interno della cosiddetta 'scena' del lavoro. Avvicinare la nozione di occupazione a quella di status consente a Hughes di considerare l'esercizio delle funzioni a questo connesse in termini di ruolo, introducendo il concetto di 'carriera' intesa quale sequenza temporale di una serie di ruoli. La carriera rappresenterebbe in tal senso una prospettiva mobile a partire dalla quale ognuno osserva la propria vita come un insieme, interpretando il significato delle proprie azioni e dei propri attributi e ridefinendo di conseguenza la propria linea di azione. Celebri le analisi condotte dagli allievi di Hughes soprattutto nel campo delle professioni medico-ospedaliere, che mettono in luce le tattiche e le strategie che i soggetti attuano per costruire i propri ruoli, distanziandosi così dalle prescrizioni normative manifeste derivate da una divisione del lavoro rigidamente strutturata.

Agli sviluppi di questo tipo di analisi va ascritto il recente tentativo di spostare l'attenzione dallo studio delle professioni a quello delle 'organizzazioni professionali'. Infatti, dopo aver constatato che all'interno degli ospedali l'adozione di modelli organizzativi di stampo funzionalista è risultata insoddisfacente, diversi ricercatori preferiscono optare per una concettualizzazione di tali organismi in termini di 'perduranti sistemi di negoziazione' (v. Strauss, 1979). In tale prospettiva le organizzazioni non appaiono determinate dalla strutturazione di regole definite, ma piuttosto costituiscono il risultato di una perenne opera di 'ricostruzione' che si compie attraverso il perseguimento di finalità mai del tutto esplicitate, secondo il farsi e il disfarsi di accordi pro tempore di validità limitata, frutto di processi definitori reciproci e di incessanti attività negoziali. Tenendo fede ad alcuni assunti dell'interazionismo simbolico, la prospettiva dell''ordine negoziato' consente di estendere l'analisi anche ad altre sfere della vita sociale - come la politica (v. Hall, 1972), il mercato (v. Faberman, 1975) e le organizzazioni sociali (v. Hall, 1987) - che tradizionalmente non sono state considerate di competenza di questo indirizzo. Esse vi vengono tuttavia ricomprese ogniqualvolta venga dato risalto al ruolo di intermediazione svolto dai processi interpretativi che accompagnano le attività collettive. Ciò era già avvenuto peraltro negli studi sui gruppi etnici di Thomas e poi di Park, o nelle analisi condotte da Blumer e poi da Lofland (v., 1973) nonché da Shibutani (v., 1970) sul comportamento collettivo e sui movimenti sociali.

Su un altro versante quanti hanno criticato l'interazionismo simbolico per non aver dato sufficiente spazio al ruolo delle emozioni (in quanto elemento presimbolico) nel processo interattivo possono registrare diversi tentativi di ricerca che si prefiggono di ovviare a tale limite (v. Shott, 1979; v. Hochschild, 1983).

6. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

La trasposizione in ambito sociologico delle idee di Mead ha indotto diversi studiosi a rimarcare l'eccessiva nota individualistica che ha contraddistinto questo indirizzo, la quale appare peraltro in sintonia con certi tratti della cultura americana contemporanea. Nella 'sociologia dell'Io' di Blumer, ad esempio, scarsa sembra essere l'attenzione per gli aspetti strutturali della vita sociale, nonché per le determinanti normative dell'azione. Alla distinzione fra 'atteggiamenti' e 'risposte' postulata da Mead subentra in Blumer una riduzione degli uni alle altre che rende difficile integrare gli elementi della creatività e della contingenza con quelli dell'ordine e della struttura sociali. Del resto una delle principali critiche rivolte all'interazionismo simbolico è che esso non è in grado di elaborare una compiuta teoria dell'agire sociale, in quanto a tal fine non è sufficiente lo studio delle componenti della vita sociale e delle sue modificazioni attraverso il perpetuo rincorrersi dei processi interattivi.

Sono da segnalare inoltre alcune apparenti contraddizioni interne ai postulati dell'interazionismo simbolico. Anzitutto le immagini dell'attore sociale che esso delinea, se da un lato ne rivelano una ricchezza di capacità creative e progettuali tale da svincolarlo dalla rigidità deterministica di aspettative di ruolo specifiche, dall'altro indicano (meno ottimisticamente) come nelle elaborate fasi della negoziazione sarà pur sempre con le dimensioni dell'ordine sociale che l'attore dovrà fare i conti.Inoltre l'aver caratterizzato le istituzioni sociali come un insieme di 'risposte comuni' e come un amalgama di Altri generalizzati permette all'analisi interazionista di ipotizzare - con ampia dose di arbitrarietà - che l'inevitabile competizione tra l'Altro generalizzato individuale e le diverse forme istituzionali verrà risolta (semplicemente) attraverso un processo di role-taking. Questo processo permetterebbe il costituirsi di un Altro generalizzato individuale capace di riassorbire i particolarismi della fase precedente e di ristabilire l'equilibrio. Da questo accenno alle ipotesi sviluppate intorno alle dinamiche del mutamento sociale connesse a quelle della personalità è possibile rendersi conto di come, malgrado l'insistenza dell'interazionismo simbolico sugli aspetti dinamici della vita sociale, non sia stato fatto alcun tentativo per delineare una teoria del mutamento sociale.

Al di là di queste e di altre facili obiezioni, l'interazionismo simbolico ha comunque svolto un ruolo decisivo nel focalizzare l'attenzione dei sociologi sulle dinamiche interpersonali, anticipando gli sviluppi più recenti di certa sociologia americana che sottolineano l'importanza della microunità interattiva quale elemento dell'ordine 'macrosociale'.