Interazionismo simbolico
di Margherita Ciacci
Sommario: 1. Introduzione. 2. Breve storia dell'interazionismo
simbolico: a) il contesto storico; b) le premesse teoriche. 3. Assunti
e concetti chiave. 4. Prescrizioni metodologiche. 5. Campi di ricerca.
6. Osservazioni conclusive.
1. INTRODUZIONE
L'interazionismo simbolico è un orientamento teorico affermatosi
nell'ambito della sociologia e della psicologia sociale, soprattutto
negli Stati Uniti, a partire dalla prima metà del Novecento. Il tratto
distintivo di questo indirizzo consiste nel porre al centro
dell'analisi l'interazione sociale e l'interpretazione che di questa
danno quanti vi partecipano.
In tale prospettiva acquistano centralità i processi interpersonali
tramite i quali gli individui si rapportano al proprio modo di pensare
e a quello che presumono essere dell'altro, per scegliere le linee di
condotta da seguire. Al tempo stesso viene dato risalto all'attività di
simbolizzazione svolta dagli individui nel corso dell'interazione e
allo sviluppo di capacità interpretative delle proprie e delle altrui
esperienze. I significati che vengono attribuiti a tali esperienze
derivano dalle definizioni che Ego e Alter danno delle 'situazioni' in
cui sono rispettivamente coinvolti.
Il tipo di rapporto sociale privilegiato da questo approccio è quello
che emerge da un'intensa attività interpretativa e definitoria della
situazione in cui si trovano coinvolti gli attori, tanto che la visione
del mondo che ne scaturisce appare intessuta di continue negoziazioni.
Queste, influenzandosi a vicenda, costruiscono incessantemente nuove
mappe di significato all'interno di processi in cui prevalgono elementi
di contingenza e aleatorietà.
Postulando la natura negoziata, 'costruita' dell'ordine sociale - che
appare quindi fondato sui processi definitori e interpretativi che si
sviluppano nel corso dell'interazione - l'interazionismo simbolico
introduce nell'analisi sociologica un correttivo rispetto al peso
eccessivo dato dalle analisi funzionaliste al determinismo normativo e
agli aspetti strutturali della vita sociale. Questo orientamento
teorico è diventato così il referente privilegiato degli attuali
sviluppi delle analisi microsociologiche, nonché dello studio delle
organizzazioni basato sulla teoria dell''ordine negoziato'.
Per valutare i contributi teorici che l'interazionismo simbolico ha
dato alle conoscenze sociologiche, per individuare i campi di ricerca
in cui il suo apporto è stato più fertile, nonché per cogliere i limiti
che gli sono stati imputati è utile tracciarne una breve storia,
ricordando che le sue premesse si trovano nell'opera di quei 'classici'
americani rimasti a lungo in ombra, cui si deve l'istituzionalizzazione
delle scienze sociali nell'America del primo Novecento.
2. BREVE STORIA DELL'INTERAZIONISMO SIMBOLICO
Il contesto storico
L'espressione 'interazionismo simbolico' (v. Blumer, 1937; v. Ciacci,
1983; v. Plummer, 1991; v. Rose, 1962) appare quale designazione
specifica di un orientamento teorico solo alcuni decenni più tardi
rispetto al suo originario profilarsi attraverso i contributi degli
studiosi riuniti presso l'Università di Chicago nei primi decenni del
Novecento. Essa si pone così ex post quale alveo che raccoglie una
serie di apporti teorici la cui disomogeneità di provenienza e di
contenuti non è mai stata del tutto esplicitata. Tra la formulazione
originaria delle idee di fondo e la loro successiva diffusione esiste
dunque uno sfasamento temporale. Lo stesso è accaduto all'opera di
George Herbert Mead (v., 1934, 1936 e 1938), che può essere considerato
uno dei padri fondatori di questo indirizzo. Tuttavia anche dopo che,
nel 1937, Herbert Blumer - allievo di Mead e autonominatosi suo erede
intellettuale - ebbe coniato questa etichetta, l'interazionismo
simbolico non ebbe per un certo tempo riconoscimenti espliciti. Questi
cominciarono a palesarsi negli anni cinquanta di fronte all''entropia
del funzionalismo' (v. Gouldner, 1970), trovando ulteriore conferma nel
decennio successivo in reazione al diffondersi della sociologia critica
e del marxismo. Sul piano metodologico l'interazionismo simbolico
rappresenta in linea generale il vessillo di tutte quelle sociologie
interpretative che rifiutano di avvalersi di analisi quantitative
(anche se con alcune eccezioni).
L'interazionismo simbolico ha suscitato reazioni contrastanti. Vi sono
coloro (v. Meltzer e altri, 1975) che, con una certa arbitrarietà,
vorrebbero far rientrare nell'interazionismo simbolico sia l'approccio
drammaturgico di Erving Goffman sia l'etnometodologia di Harold
Garfinkel. A parere di altri la sociologia fenomenologica di Alfred
Schutz e gli sviluppi cui essa ha dato luogo (ad esempio, su versanti
diversi, la sociologia della vita quotidiana di Peter Berger e,
appunto, la teoria di Garfinkel) si sarebbero tradotti in altrettante
occasioni di superamento dell'interazionismo simbolico. Infine, la
trattazione sistematica di questa corrente nei più aggiornati manuali
universitari di sociologia e di psicologia sociale, nonché la recente
costituzione di una Society for the study of symbolic interaction,
possono essere interpretati come segnali della persistente vitalità di
questa scuola di pensiero sociologico, che giustificano l'ottimismo
recentemente manifestato da quanti parlano di una 'rivitalizzazione'
dell'interazionismo simbolico (v. Stryker, 1987).
Se questa è la cronaca più recente, vediamo ora di richiamare quella
stagione in cui sono maturate alcune delle problematiche teoriche dalle
quali sono partiti i padri fondatori dell'interazionismo simbolico. Si
tratta di un momento culturale caratterizzato dalla pressoché totale
assenza di codici disciplinari specifici e da fruttuose contaminazioni
fra tradizioni e discipline diverse. Gli apporti più originali alla
sociologia che si andava pionieristicamente sviluppando presso
l'Università di Chicago sul finire dell'Ottocento, sotto la guida di
Albion Small, provengono dalla psicologia - attraverso gli insegnamenti
di William James - e dalla filosofia per il tramite di John Dewey e di
G.H. Mead. Quest'ultimo, dopo aver compiuto gli studi ad Harvard con
James e con Josiah Royce, e dopo aver frequentato il laboratorio di
Wilhelm Wundt in Germania, trascorre un periodo presso l'Università del
Michigan, dove incontra Dewey e Charles H. Cooley. Questi occupa una
posizione di rilievo tra i 'classici' della tradizione sociologica
americana, e alcune delle sue tesi si ritrovano tra gli assunti
dell'interazionismo simbolico. Nel 1894 Dewey, passato a dirigere il
Dipartimento di Filosofia dell'Università di Chicago, invita Mead a
raggiungerlo. Nasce tra i due un sodalizio intellettuale animato da
comuni interessi filosofici e intenti di riformismo sociale, che -
seppure destinato a interrompersi nel 1904 allorché Dewey si
trasferisce alla Columbia University - ha posto le basi di un fecondo
dibattito culturale le cui ripercussioni in campo sociologico non
tarderanno a manifestarsi.
Il pragmatismo di Dewey, infatti, sarà trasposto in chiave sociologica
(v. Mills, 1964) da uno studioso che ebbe un ruolo di primo piano in
quella stagione della disciplina: William I. Thomas, il quale a sua
volta chiama a Chicago Robert E. Park. Fra il 1910 e il 1920 si
raccoglie attorno al Dipartimento di Sociologia dell'Università di
Chicago un composito gruppo di studiosi - tra cui Ellsworth Faris e
Lewis Wirth - che fanno capo, appunto, alla Scuola di Chicago. Questa,
nel corso degli anni venti, diventa una sorta di laboratorio di ricerca
permanente e attira anche il giovane Blumer. Agli inizi degli anni
trenta, con la morte di Mead, e successivamente con la partenza di
Park, il prestigio della Scuola di Chicago comincia a essere offuscato
dall'emergente scuola funzionalista (Talcott Parsons pubblica La
struttura dell'azione sociale nel 1937). A ciò si aggiunge, soprattutto
nel decennio successivo, l'affermarsi di un tipo di ricerca empirica
antitetica alla tradizione della Scuola di Chicago. Questa, negli anni
cinquanta, perde l'ultimo dei suoi rappresentanti più illustri allorché
Blumer si trasferisce in California. Molti allievi lo seguono e quelli
che restano a Chicago - i neo-Chicagoans - sviluppano le loro ricerche
soprattutto nel campo del comportamento deviante. Terminato così il suo
periodo di incubazione a Chicago, l'interazionismo simbolico diventa un
indirizzo esplicitamente riconosciuto, che si diffonde attraverso
l'opera di studiosi attivi presso numerose sedi accademiche e che dà
vita a numerosi filoni di ricerca.
Le premesse teoriche
La vicenda della Scuola di Chicago e la sua importanza per
l'interazionismo simbolico non possono essere comprese se disgiunte
dalla tradizione filosofica del pragmatismo. Il pragmatismo aveva
ricondotto la genesi del pensiero e dell'azione a un unico processo,
nutrendo altresì la convinzione che attraverso la conoscenza
scientifica si potesse pervenire a forme di governo improntate alla
democrazia e alla partecipazione. L'istituzionalizzazione della
sociologia come disciplina accademica e come prassi di ricerca ha
costituito un tratto della politica culturale del pragmatismo. Tanto
Dewey quanto Mead, nelle loro elaborazioni teoriche, subiscono
l'influenza dell'opera di James nell'ambito della psicologia sociale -
una psicologia vista non più come 'filosofia della mente', bensì come
'scienza di laboratorio' che si prefigge di interpretare tutti i
processi psichici nei termini della loro funzionalità alla soluzione
dei problemi di condotta del soggetto. Altro retaggio riconoscibile nel
pragmatismo è quello implicito in alcuni assunti centrali della
tradizione filosofica occidentale derivati dalle posizioni kantiane e
romantico-idealistiche: la qualità creativa della mente;
l'identificazione del processo dialettico Sé/altro-da-Sé; il suo
tradursi in una continuità che lega l'individuo all'universo. Secondo
Mead, le forme non sono 'date', ma emergono da tale processo. Per
superare l'antico dualismo tra soggetto e oggetto, secondo Dewey,
occorre individuare nel processo interattivo un elemento capace di
conferire significato agli avvenimenti. L'attribuzione di un ruolo
attivo all'intelligenza, nonché la concezione delle idee come strumento
dell'organismo, costituiscono altrettanti cardini del pragmatismo.
Nelle intenzioni di Mead, di Dewey e di James, nonché di Charles S.
Peirce, questo indirizzo filosofico avrebbe permesso di individuare un
metodo in grado di spiegare il significato dei costrutti mentali. Il
significato di un concetto sarebbe stato ricavato dalle sue conseguenze
pratiche (si noti, a questo proposito, la trasposizione sociologica di
tale posizione compiuta in seguito da Thomas, allorché afferma che se
gli immigrati polacchi si reputano americani allora diventano
americani).
In quest'ottica l'attività conoscitiva e il pensiero - che nascono da
esperienze sensoriali e vi fanno continuamente ritorno - diventano
strumentali all'agire. Né per Dewey né per James si può parlare di un
sistema di realtà separato dagli individui, così come non possono darsi
pensieri o sistemi di conoscenza antecedenti l'individuo. Al soggetto
viene riconosciuto un ruolo attivo nel plasmare il proprio ambiente,
attraverso un apparato simbolico che organizza un mondo fisico in un
processo di costante adattamento guidato dall'intelligenza. Lo stesso
Mead, muovendo da posizioni di antidealismo religioso, è interessato a
capire come la mente si formi a partire dal 'mondo là fuori'. Egli
concepisce la scienza come frutto di una intelligenza impegnata in
situazioni problematiche che richiedono il conferimento di un
significato e una soluzione, e concepisce anche la crescita e il
mutamento dei gruppi, la comparsa e il ridefinirsi delle istituzioni
sociali come risultati di tale attività.In epoca recente è stata
avanzata da alcuni studiosi (v. Lewis e Smith, 1980) l'ipotesi che nel
pragmatismo convivano due anime: una di stampo
'nominalistico'-soggettivo (quale sarebbe da ravvisare in James, Dewey
e Cooley, e poi nello stesso Blumer) e un'altra improntata invece a un
'realismo sociale' (quale sarebbe riscontrabile negli scritti di
Peirce, di Royce e dell'allievo di quest'ultimo, G.H. Mead). Tale
distinzione consentirebbe di spiegare come dalle posizioni filosofiche
del pragmatismo sia approdata alla sociologia un'accentuazione
individualistica cui sarebbero ascrivibili in gran parte il
'microsociologismo' e il 'pregiudizio astrutturale' che vengono
imputati all'interazionismo simbolico. In altre parole, se gli
interessi filosofici di Mead fossero stati 'correttamente' trasposti in
chiave sociologica, l'interazionismo simbolico non si sarebbe esposto
ad alcune delle critiche che gli sono state mosse e di cui diremo in
seguito (v. Alexander, 1984).Va ribadito, infine, come il funzionalismo
della psicologia di James abbia costituito una premessa necessaria per
poter considerare la mente e il corpo come due elementi del medesimo
processo. Ciò permette al comportamentismo sociale di Mead di
concentrare l'attenzione su quegli elementi della condotta umana che
non sono direttamente osservabili. La condotta individuale viene
spiegata nei termini della condotta organizzata entro il gruppo
sociale, e può essere definita come "quella condotta che sorge dagli
impulsi i cui stimoli specifici si trovano in altri individui" (v.
Mead, 1934; tr. it., p. 345). Il processo di costruzione della
soggettività, muovendo da elementi istintuali, biologicamente
determinati e idiosincratici del comportamento, trova la sua
compiutezza, socialmente costruita, nell'appartenenza dell'individuo al
gruppo sociale, e si estrinseca nella capacità di simbolizzazione e
interpretazione della condotta dell'Altro.
3. ASSUNTI E CONCETTI CHIAVE
Attingendo liberamente alle idee di alcuni autori finora ricordati,
vediamo più in dettaglio alcuni degli assunti teorici che hanno
caratterizzato nel tempo la tradizione dell'interazionismo simbolico,
esponendo sommariamente alcuni concetti presenti nella fase 'classica'
e le indicazioni che ne derivano, per passare poi a esaminare i campi
di ricerca dove il loro apporto è stato più fruttuoso.
Uno dei principali contributi dell'interazionismo simbolico va
individuato in una visione della condotta umana non come semplice
reazione agli stimoli provenienti dal mondo esterno, bensì come frutto
di una mediazione fondata sulle capacità di simbolizzazione e
interpretazione peculiari del genere umano. L'unità di base
dell'analisi di Mead è l'atto sociale (v. Mead, 1934; tr. it., pp. 124
ss.), all'interno del quale si configura la risposta di un organismo al
gesto di un altro organismo. Infatti, il gesto di Ego evoca una certa
risposta da parte di Alter, e questa, a sua volta, costituisce uno
stimolo per Ego. Tale 'conversazione di gesti' sarebbe priva di
significato qualora non intervenisse un processo interpretativo che
suscita implicitamente in chi compie il gesto la stessa risposta che
esso provoca in coloro cui è destinato. Memore della teoria dei segni
elaborata da Peirce, Mead sostiene che il gesto si traduce in simbolo
significante attraverso tale processo interpretativo. La rilevanza
semantica del gesto, cioè, si dà solo quando Alter convalida -
universalizzandolo - il gesto di Ego attraverso quelle attività
organizzative e di elaborazione simbolica rese possibili dalla mente.
Questa, d'altra parte, non costituisce una struttura interna
all'individuo, ma si forma attraverso il dispiegarsi delle capacità di
valutazione di cui dispone Ego per anticipare le reazioni di Alter nei
propri confronti. Ego finisce così per assumere il ruolo di Alter (v.
Mead, 1934; tr. it., p. 170). Si sviluppa in tal modo una conversazione
interiorizzata analoga a quella in cui Alter è impegnato con Ego.
Questi ha così modo di valutare, oggettivandolo, il senso del proprio
gesto, e, avendo preso così le distanze dall'immediatezza della
risposta di Alter, lo tematizza in termini universalistici entro
quell'elemento unificante delle varie immagini che gli altri si formano
di noi e che Mead definisce Altro generalizzato.
Esemplare in proposito risulta l'analisi che Mead (v., 1934; tr. it.,
pp. 168 ss.) compie del gioco infantile: a uno stadio in cui
l'individuo, con erraticità spontanea, assume ruoli distinti e separati
(play) subentra una seconda fase ludica (game) dove i singoli ruoli
vengono organizzati in un ruolo complessivo (l'Altro generalizzato).
Ciò dà modo al soggetto di osservarsi anche dal punto di vista
dell'altro nel rispetto di determinate regole e di tenere
simultaneamente presenti i diversi atteggiamenti di tutti gli altri
giocatori. Il comportamento riflessivo che ne deriva è caratterizzato
sia dall'attivazione di un'istanza (Me) che organizza e incorpora gli
atteggiamenti e le condotte altrui nei nostri confronti, sia dalla
manifestazione delle nostre imprevedibili e idiosincratiche risposte a
essi (Io). A tale dialettica (analoga a quella tra Io e Me postulata da
James) Mead attribuisce la genesi del Sé (v. Mead, 1936, p. 387). Anche
in questo caso si ha dapprima il profilarsi di uno stadio
(particolaristico) di organizzazione degli atteggiamenti specifici di
Ego nei confronti di Alter e di questo nei propri confronti, e in
seguito l'affiancarsi di un'altra fase di strutturazione degli
atteggiamenti sociali dell'Altro generalizzato. Il Sé pertanto emerge
come entità appresa nel corso del processo di role-taking, attraverso
un'oscillante sequenzialità di risposte e indicazioni sedimentate
attraverso il farsi dell'esperienza sociale e attraverso le sue forme
simbolicamente mediate.
Il concetto del Sé come unità di base della personalità ha costituito
il tema centrale anche della teoria più 'mentalistica' di Cooley, per
il quale il Sé è formato da tutto ciò di cui l'individuo riesce ad
appropriarsi: la nozione del proprio corpo, gli oggetti posseduti, i
valori e - non ultime - le immagini che di noi stessi si sono fatti gli
altri (v. Cooley, 1902, pp. 150 ss.). Il Sé, in questa prospettiva, è
una sorta di rispecchiamento dei giudizi altrui, di quell''idea' che
riteniamo gli altri si siano fatta di noi, e ha delle connotazioni
passive che contrastano con quella capacità di adesione attiva al
dispiegarsi dei processi sociali che invece gli attribuiva Mead. In
termini più generali, si può affermare che in Cooley prevale una
visione della società come insieme 'mentale' complessivo basato sulla
comunicazione; tale visione si tinge di connotazioni nominalistiche che
la accomunano a certe posizioni di Dewey e di James. In Mead, al
contrario, prevale una concezione ispirata alle componenti realistiche
del pragmatismo. In quest'ottica la società è vista come precondizione
essenziale non solo del Sé, ma anche della scienza e di ogni tipo di
conoscenza. Lo stesso sorgere del pensiero è reso possibile dalla
presenza di un simbolismo universale che si riproduce attraverso i
processi sociali in atto.
Blumer sostiene invece che gli individui agiscono nei confronti del
mondo esterno sulla base dei significati che questo riveste per loro, e
sembra non attribuire al simbolo significante la stessa rilevanza - in
termini di oggettività e di universalità - che gli aveva conferito
Mead. Blumer compie una lettura di quest'ultimo influenzata dai
risultati delle ricerche che negli anni della sua formazione venivano
condotte nell'ambito della Scuola di Chicago. Fra queste è da ricordare
l'opera di W.I. Thomas, che per primo ha tentato di verificare
empiricamente sul piano sociologico alcune delle implicazioni teoriche
del pragmatismo. Nel suo studio sulle determinanti del comportamento
degli immigrati polacchi, Thomas propone un modello interpretativo in
grado di tener conto sia delle capacità di simbolizzazione e di
interpretazione degli individui (atteggiamenti), sia dei loro valori
condivisi (cultura). Il concetto di 'definizione della situazione'
sulla base dei valori e degli atteggiamenti dei diversi gruppi sociali
gli consente di attribuire all'attività mentale una capacità
produttrice di realtà. In una tale prospettiva, non sarà tanto
necessario conoscere i termini della situazione reale per pervenire a
un'interpretazione dell'agire sociale, quanto piuttosto sapere su quale
base di credenze soggettive essa venga a tal punto ritenuta 'reale' da
diventare reale nelle sue conseguenze.
Da questo concetto centrale de Il contadino polacco Blumer ricava
l'assunto che gli individui agiscono nei confronti del mondo e del
proprio Sé partendo non da una cultura e da una struttura sociale date,
ma piuttosto dalle definizioni e dai significati che essi di volta in
volta attribuiscono alle situazioni stesse. Radicalizzando la proposta
di Thomas, Blumer finisce con il conferire all'agire umano una
dimensione autoriflessiva, postulando un processo di autoindicazione
attraverso cui gli individui prendono atto delle interpretazioni delle
reciproche 'mosse' e le collegano alla propria linea di condotta. In
questa prospettiva 'mentalistica' scarso è lo spazio riservato
all'Altro generalizzato: accettare sino in fondo le implicazioni di
questo concetto avrebbe forse consentito a Blumer di postulare
l'esistenza di una società relativamente stabile e dotata di un
patrimonio normativo capace di esercitare gradi di controllo
diversificato sugli attori. Al contrario, nella sua teoria le
dimensioni strutturali della vita sociale non costituiscono elementi
determinanti dell'azione, ma solo uno schema di riferimento entro cui
si sviluppa quel tipo di agire sociale che assume la forma di una
connessione di linee individuali di azione nel corso del processo di
autoindicazione (v. Blumer, 1962).
All'attenzione quasi durkheimiana che Mead manifesta nei confronti
della coercitività della presenza dell'altro, a quella che Randall
Collins definisce 'sociologia del Me', Blumer sostituisce una
'sociologia dell'Io' che presenta dei punti di contatto con la
sociologia fenomenologica, in quanto al pari di essa pone l'accento
sulla intersoggettività e sulla formazione della coscienza; tale
approccio offre spunti utili a quanti si prefiggano di studiare,
attraverso la sociologia della vita quotidiana (v. Douglas, 1971), i
rapporti esistenti tra elementi riflessivi e forme manifeste dell'agire
sociale.
4. PRESCRIZIONI METODOLOGICHE
Raffrontando le posizioni di Mead con quelle di Blumer sotto il profilo
metodologico si può notare come quest'ultimo privilegi un approccio
qualitativo e 'interpretativo' (già suggerito da Cooley e da Thomas),
anziché un metodo oggettivo e sperimentale quale era stato invece
sostenuto da Mead. Secondo quest'ultimo la rilevazione controllata dei
fenomeni osservati permetterebbe all'attività investigatrice di ogni
ricercatore di essere replicata, respinta o integrata in un processo di
accumulazione della conoscenza nel tempo. Mead, infatti, era
interessato a sviluppare una teoria sociale della mente utilizzando
anche i procedimenti propri delle scienze naturali anche se - in quanto
filosofo - non si era preoccupato di accertarne le condizioni di
fattibilità. Si delinea, con Mead, una visione dell'attività umana che
ha i caratteri di un astratto modello epistemologico: se la vita
quotidiana è essa stessa iscritta entro un processo ermeneutico, la
ricerca condotta secondo i principî di un sapere 'comprendente'
permette a chi la svolge di avvicinarsi maggiormente alla complessa
realtà semantica in cui è implicato al pari del proprio 'oggetto' di
studio.
Nella trasposizione in chiave sociologica compiuta da Blumer, invece, i
presupposti metodologici dell'interazionismo simbolico vengono
esplicitati in maniera tale da deludere quanti vi cercassero
un'impostazione in grado di offrire sia definizioni operative dei
concetti che ipotesi specifiche da verificare. Già le prime ricerche
empiriche condotte a Chicago (valga per tutte il ricordato caso de Il
contadino polacco di Thomas e Znaniecki) si erano più o meno
esplicitamente avvalse di un procedimento di induzione analitica per
pervenire a quell'esauriente esame di singoli casi che permettesse la
formulazione di generalizzazioni causali. Quanti hanno aderito a tale
programma metodologico hanno prescelto unità di analisi che rivelano
una preferenza per gli aspetti 'micro' della vita sociale. Lo studio
del 'caso' è stato affrontato: attraverso la raccolta di materiale
'qualitativo' (lettere, documenti personali, storie di vita),
arricchito in anni più recenti da materiale audiovisivo; il ricorso a
interviste non direttive e in profondità, capaci di rendere al meglio
gli aspetti soggettivi e i motivi dell'attore; la pratica meticolosa
dell'osservazione partecipante, che possiamo considerare conseguenza
delle indicazioni implicite nel concetto di role-taking. Infatti, una
volta accertato che nel comportamento umano sono presenti elementi sia
manifesti che latenti e simbolici, il ricercatore - se vuole sfuggire
al rischio di attribuire la propria interpretazione ai soggetti
'studiati' - dovrà cercare di afferrare il "processo di interpretazione
attraverso cui quelli costruiscono le proprie azioni" (v. Blumer, 1966,
p. 541). In questo contesto le operazioni di ricerca implicano uno
scambio di gesti esplorativi tra chi la svolge e il proprio Alter,
attraverso un rapporto di empatia che permetta di percepire i ruoli
altrui e quelli propri in un comune processo dialettico.
Le definizioni concettuali, sostiene Blumer, emergeranno come
conseguenza dell'indagine: in tal modo viene tracciata la strada per
gli sviluppi dell'empirismo radicale che si è affermato più
recentemente con le ricerche condotte secondo i principî della grounded
theory. In questo caso il ricercatore ha solo apparentemente il compito
di formalizzare i resoconti degli attori. La diffidenza per ogni tipo
di apriorismo nonché per il condizionamento che schemi teorici
elaborati in precedenza possono esercitare nei confronti di 'chi va sul
campo' suggeriscono infatti a Blumer (entro una prospettiva rispettosa
della 'natura' della realtà sociale) di fare un uso flessibile di
concetti 'sensibilizzanti' (v. Blumer, 1954, p. 8). Questi
permetteranno lo studio di un universo empirico complesso nella sua
dimensione sociale quotidiana, umanamente 'partecipata' e in evidente
antitesi con la spersonalizzazione 'oggettivista' della survey
research. È stato però obiettato che dando risalto alle capacità
intuitive del ricercatore viene di fatto ridotta la possibilità che
altri studiosi-osservatori pervengano sia alla ricostruzione del
fenomeno indagato, sia alla formulazione di predizioni più generali del
comportamento.
Per ovviare in parte a questi limiti sono state avanzate proposte
metodologiche alternative da quegli autori che - pur riconoscendosi
nelle concettualizzazioni di Mead - hanno considerato inadeguate le
prescrizioni metodologiche di Blumer. Lo sviluppo della teoria dei
ruoli e le ricerche empiriche sui 'gruppi di riferimento' hanno
consentito una traduzione operativa in senso 'positivistico' delle
proposte teoriche dell'interazionismo simbolico. Fra quanti si sono
cimentati in questa operazione sono da ricordare Manfred Kuhn e il suo
gruppo, anche se occorre precisare che essi hanno modificato a tal
punto le formulazioni originarie che appare arbitrario continuare ad
annoverarli tra gli esponenti dell'interazionismo simbolico. Lo stesso
Kuhn, del resto, definisce self-theory il proprio indirizzo. Suo scopo
principale è stato quello di tradurre i concetti chiave
dell'interazionismo simbolico in caratteri oggettivamente
quantificabili. Il Twenty Statements Test (TST), messo a punto da Kuhn
e collaboratori (v. Kuhn e McPartland, 1954), rappresenta non solo il
più noto tentativo di quantificazione delle implicazioni teoriche
dell'interazionismo simbolico, ma anche un esempio di accentuazione
degli elementi normativamente strutturati dell'identità sociale, di
contro alle qualità negoziate ed 'emergenti' proprie della formulazione
di Blumer.
5. CAMPI DI RICERCA
Uno dei tratti distintivi dell'interazionismo simbolico è una
concezione della società umana come insieme di individui dotati di un
Sé-individui, cioè, in grado di dotarsi di indicazioni relative alla
realtà esterna in vista della elaborazione della propria condotta.
Questa infatti non si configura come semplice reazione, ma è il frutto
di una mediazione che si sviluppa attraverso il dispiegamento e
l'impiego di apparati simbolici. Poiché il Sé, rendendo significativo
l'ambiente circostante, risulta a sua volta trasformato nel momento in
cui ne elabora nuove definizioni, assume rilevanza la qualità
processuale della vita sociale, mentre passano in secondo piano i
condizionamenti normativi e strutturali. Più in generale
l'interazionismo simbolico, nel tentativo di elaborare una teoria
formale dell'agire sociale, concentra l'attenzione sul divenire della
condotta più che sui suoi contenuti, sul farsi della società e delle
identità sociali più che sulle loro strutture, sui processi più che
sulle situazioni storiche e politiche entro cui questi si sviluppano.
Per questo motivo l'interazionismo simbolico è stato spesso accusato di
non essere in grado di proporre schemi teorici che rendano
compiutamente conto delle dinamiche del conflitto e dell'esercizio del
potere. In questo senso l'ordine sociale proposto sembra dipendere più
o meno direttamente dal combinarsi delle varie 'definizioni della
situazione' offerte di volta in volta ai partecipanti all'interazione e
dalle linee di comportamento che ne risultano entro quella che Blumer
chiama 'azione congiunta'.
Le aree di ricerca privilegiate dagli esponenti dell'interazionismo
sono state quelle che offrono la possibilità di tematizzare gli aspetti
processuali del rapporto individuo-società. Questi, estrinsecandosi
nell'attività comunicativa, danno vita al Sé (all'interazionismo
simbolico si deve infatti la specifica sensibilità per gli aspetti del
comportamento verbale e non verbale che ha caratterizzato le scienze
sociali americane). Particolare attenzione è stata data alle
trasformazioni cui il Sé è esposto nel corso della vita dell'individuo
attraverso una serie di ridefinizioni derivate dalla mutevole posizione
che esso occupa all'interno dei gruppi sociali di appartenenza e di
situazioni specifiche. Le direttive dell'interazionismo simbolico sono
state utili per l'elaborazione della teoria dei ruoli (v. Turner,
1956), per lo studio dei processi di socializzazione (v. Denzin, 1977)
e, più in generale, per l'analisi di quei processi che implicano una
qualche ridefinizione dell'identità individuale. Vanno segnalati in
proposito gli studi di sociologia del lavoro e delle professioni (v.
Hughes, 1958; v. Hughes e altri, 1961), gli studi sulla 'carriera' dei
malati di mente (v. Goffman, 1969), sulla costruzione di identità
devianti (v. Becker, 1963; v. Matza, 1969) e di identità collettive (al
pionieristico studio di Thomas si sono aggiunte numerose altre analisi
dei rapporti multietnici, nonché una serie di studi sul comportamento
collettivo e sui movimenti sociali).
In tutte queste ricerche viene sempre dato largo spazio all'attività
creativa dell'individuo nel forgiare il proprio universo significante.
Riprendendo la tesi di Mead, secondo il quale il significato
dell'oggetto è dato dai modi in cui l'individuo vi si rapporta, Howard
Becker (v., 1963) osserva nel suo studio sui consumatori di marijuana
come l'uso di tale sostanza sia funzione della concezione che
l'individuo ha di essa e degli usi che può farne. Nell'adozione del
punto di vista del soggetto ritroviamo quel processo di role-taking che
permette al ricercatore di cogliere i significati elaborati
dall'individuo 'studiato'. Inoltre nella distinzione tra devianza
'primaria' e 'secondaria' (v. Lemert, 1962) si può ritrovare il rilievo
dato al momento interpretativo e al processo interattivo che coinvolge
sia coloro che definiscono la persona come deviante sia quanti
subiscono quella definizione ('etichetta') e le sue conseguenze.
Al processo interattivo viene attribuita particolare importanza anche
da un altro filone di ricerca nel campo della sociologia del lavoro e
delle professioni, il cui iniziatore può essere considerato Everett C.
Hughes, forse il più originale allievo di Robert E. Park. In questa
prospettiva l'occupazione non viene più vista come insieme più o meno
complesso di attività che risponde alle esigenze avanzate dal sistema,
ma piuttosto come quella dimensione del Sé che collega l'individuo a un
sistema di attività e che viene continuamente ridefinita all'interno
della cosiddetta 'scena' del lavoro. Avvicinare la nozione di
occupazione a quella di status consente a Hughes di considerare
l'esercizio delle funzioni a questo connesse in termini di ruolo,
introducendo il concetto di 'carriera' intesa quale sequenza temporale
di una serie di ruoli. La carriera rappresenterebbe in tal senso una
prospettiva mobile a partire dalla quale ognuno osserva la propria vita
come un insieme, interpretando il significato delle proprie azioni e
dei propri attributi e ridefinendo di conseguenza la propria linea di
azione. Celebri le analisi condotte dagli allievi di Hughes soprattutto
nel campo delle professioni medico-ospedaliere, che mettono in luce le
tattiche e le strategie che i soggetti attuano per costruire i propri
ruoli, distanziandosi così dalle prescrizioni normative manifeste
derivate da una divisione del lavoro rigidamente strutturata.
Agli sviluppi di questo tipo di analisi va ascritto il recente
tentativo di spostare l'attenzione dallo studio delle professioni a
quello delle 'organizzazioni professionali'. Infatti, dopo aver
constatato che all'interno degli ospedali l'adozione di modelli
organizzativi di stampo funzionalista è risultata insoddisfacente,
diversi ricercatori preferiscono optare per una concettualizzazione di
tali organismi in termini di 'perduranti sistemi di negoziazione' (v.
Strauss, 1979). In tale prospettiva le organizzazioni non appaiono
determinate dalla strutturazione di regole definite, ma piuttosto
costituiscono il risultato di una perenne opera di 'ricostruzione' che
si compie attraverso il perseguimento di finalità mai del tutto
esplicitate, secondo il farsi e il disfarsi di accordi pro tempore di
validità limitata, frutto di processi definitori reciproci e di
incessanti attività negoziali. Tenendo fede ad alcuni assunti
dell'interazionismo simbolico, la prospettiva dell''ordine negoziato'
consente di estendere l'analisi anche ad altre sfere della vita sociale
- come la politica (v. Hall, 1972), il mercato (v. Faberman, 1975) e le
organizzazioni sociali (v. Hall, 1987) - che tradizionalmente non sono
state considerate di competenza di questo indirizzo. Esse vi vengono
tuttavia ricomprese ogniqualvolta venga dato risalto al ruolo di
intermediazione svolto dai processi interpretativi che accompagnano le
attività collettive. Ciò era già avvenuto peraltro negli studi sui
gruppi etnici di Thomas e poi di Park, o nelle analisi condotte da
Blumer e poi da Lofland (v., 1973) nonché da Shibutani (v., 1970) sul
comportamento collettivo e sui movimenti sociali.
Su un altro versante quanti hanno criticato l'interazionismo simbolico
per non aver dato sufficiente spazio al ruolo delle emozioni (in quanto
elemento presimbolico) nel processo interattivo possono registrare
diversi tentativi di ricerca che si prefiggono di ovviare a tale limite
(v. Shott, 1979; v. Hochschild, 1983).
6. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
La trasposizione in ambito sociologico delle idee di Mead ha indotto
diversi studiosi a rimarcare l'eccessiva nota individualistica che ha
contraddistinto questo indirizzo, la quale appare peraltro in sintonia
con certi tratti della cultura americana contemporanea. Nella
'sociologia dell'Io' di Blumer, ad esempio, scarsa sembra essere
l'attenzione per gli aspetti strutturali della vita sociale, nonché per
le determinanti normative dell'azione. Alla distinzione fra
'atteggiamenti' e 'risposte' postulata da Mead subentra in Blumer una
riduzione degli uni alle altre che rende difficile integrare gli
elementi della creatività e della contingenza con quelli dell'ordine e
della struttura sociali. Del resto una delle principali critiche
rivolte all'interazionismo simbolico è che esso non è in grado di
elaborare una compiuta teoria dell'agire sociale, in quanto a tal fine
non è sufficiente lo studio delle componenti della vita sociale e delle
sue modificazioni attraverso il perpetuo rincorrersi dei processi
interattivi.
Sono da segnalare inoltre alcune apparenti contraddizioni interne ai
postulati dell'interazionismo simbolico. Anzitutto le immagini
dell'attore sociale che esso delinea, se da un lato ne rivelano una
ricchezza di capacità creative e progettuali tale da svincolarlo dalla
rigidità deterministica di aspettative di ruolo specifiche, dall'altro
indicano (meno ottimisticamente) come nelle elaborate fasi della
negoziazione sarà pur sempre con le dimensioni dell'ordine sociale che
l'attore dovrà fare i conti.Inoltre l'aver caratterizzato le
istituzioni sociali come un insieme di 'risposte comuni' e come un
amalgama di Altri generalizzati permette all'analisi interazionista di
ipotizzare - con ampia dose di arbitrarietà - che l'inevitabile
competizione tra l'Altro generalizzato individuale e le diverse forme
istituzionali verrà risolta (semplicemente) attraverso un processo di
role-taking. Questo processo permetterebbe il costituirsi di un Altro
generalizzato individuale capace di riassorbire i particolarismi della
fase precedente e di ristabilire l'equilibrio. Da questo accenno alle
ipotesi sviluppate intorno alle dinamiche del mutamento sociale
connesse a quelle della personalità è possibile rendersi conto di come,
malgrado l'insistenza dell'interazionismo simbolico sugli aspetti
dinamici della vita sociale, non sia stato fatto alcun tentativo per
delineare una teoria del mutamento sociale.
Al di là di queste e di altre facili obiezioni, l'interazionismo
simbolico ha comunque svolto un ruolo decisivo nel focalizzare
l'attenzione dei sociologi sulle dinamiche interpersonali, anticipando
gli sviluppi più recenti di certa sociologia americana che sottolineano
l'importanza della microunità interattiva quale elemento dell'ordine
'macrosociale'.