Eguaglianza
di Ronald M. Dworkin
ww.treccani.it
Enciclopedia delle scienze sociali (199£)
sommario: 1. Rassegna dei problemi. a) Ambito del concetto. b) Che
cos'è l'eguaglianza economica? c) L'eguaglianza economica
è in conflitto con altri valori? d) Che cos'è
l'eguaglianza politica? e) Perché dovremmo volere
l'eguaglianza? 2. L'eguaglianza economica. a) Risorse o benessere?
b) I costi di opportunità e il test dell'invidia. c) Risorse
e benessere. d) Risorse e ambizioni. 3. L'eguaglianza economica
è in conflitto con la libertà? a) Il ruolo della
libertà nell'eguaglianza. b) Eguaglianza e astrattezza. c)
Eguaglianza e rispetto della morale. 4. L'eguaglianza politica. a)
Eguaglianza orizzontale ed eguaglianza verticale. b) Impatto e
influenza. c) L'eguaglianza di influenza. d) Simbolismo e
facoltà di agire. 5. Perché l'eguaglianza? □
Bibliografia.
1. Rassegna dei problemi
Sebbene per molti secoli l'eguaglianza abbia costituito un potente
ideale politico, tuttavia il problema di darne un definizione
adeguata è stato relativamente trascurato. In quest'articolo
esamineremo le principali problematiche relative a questo tema e
proporremo un argomento a favore di una determinata concezione
dell'eguaglianza.
Cominceremo col distinguere le differenti questioni che deve
affrontare ogni trattazione generale dell'eguaglianza.
a) Ambito del concetto
Politici e filosofi hanno dibattuto i pro e i contro
dell'eguaglianza in differenti ambiti, ad esempio nella sfera
politica e in quella economica. La questione preliminare che deve
affrontare ogni studio dell'eguaglianza, quindi, è se gli
ideali di eguaglianza in queste sfere distinte sono autonomi, oppure
se derivano tutti da un principio egualitario più generale e
astratto, secondo il quale il sistema politico ed economico della
comunità in ogni suo aspetto deve trattare tutti i cittadini
come eguali, vale a dire con eguale rispetto e considerazione.Si
tratta di una questione di importanza cruciale. Attualmente tutte le
democrazie occidentali - e la maggior parte delle altre nazioni
civilizzate - accettano l'idea dell'eguaglianza nella sfera
politica. Sussiste la convinzione che, in linea di principio, nessun
individuo adulto dovrebbe avere un potere politico maggiore degli
altri. Se si rigetta l'idea di un principio di eguaglianza astratto
e generale, si può scegliere tra una serie di aspirazioni
egualitarie che possono anche apparire in conflitto tra loro.
Poiché negli Stati Uniti, ad esempio, la maggioranza si
oppone all'eguaglianza economica, quanti ritengono che l'eguaglianza
politica e quella economica sono ideali indipendenti affermano che
accettare la prima significa rifiutare la seconda, anche come
ideale. Se però si accetta il principio egualitario
più astratto secondo il quale il governo deve trattare tutti
i cittadini come eguali o con eguale considerazione, e si riconosce
che l'eguaglianza politica è una conseguenza di tale
principio astratto, allora se ne dovranno accettare le conseguenze -
quali che siano - anche nella sfera economica.In questo articolo
descriveremo quali conseguenze comporti accettare l'idea di un
principio di eguaglianza astratto e generale. Tratteremo quindi come
problemi di interpretazione le questioni più specifiche
relative alla definizione dell'eguaglianza politica e di quella
economica, e all'eventuale conflitto tra di esse o con altri valori.
Analizzeremo le diverse concezioni dell'eguaglianza politica ed
economica, e individueremo e giudicheremo gli eventuali conflitti
chiedendoci quale di esse fornisca l'interpretazione migliore del
principio egualitario più astratto e quale soluzione dei
conflitti con altri ideali - se ve ne sono - sia più conforme
a tale principio astratto.
b) Che cos'è l'eguaglianza economica?
È necessario stabilire innanzitutto cosa sia l'eguaglianza
economica prima di chiederci se e in che misura essa sia
desiderabile, e se e in che misura sia in conflitto con altri ideali
politici come la libertà, l'efficienza economica e
l'eguaglianza politica. Il criterio per stabilire l'eguaglianza
economica è stato definito in due modi diversi. In un caso si
afferma che l'eguaglianza economica riguarda le risorse di cui
dispongono gli individui, sicché definire l'eguaglianza
significa trovare una definizione dell'eguaglianza di risorse in
termini di ricchezza o di reddito. Si può affermare, ad
esempio, che due individui hanno risorse eguali quando i loro
redditi sono diversi, ma solo perché uno sceglie di lavorare
più dell'altro, o perché pur lavorando allo stesso
modo uno ha preferito dedicarsi al mondo degli affari e l'altro
all'insegnamento universitario? I critici dell'eguaglianza economica
di solito assumono che l'eguaglianza di risorse significhi che tutti
gli individui devono avere la stessa quantità di ricchezza a
prescindere da quanto lavorano o spendono. Presentato in questo modo
il principio di eguaglianza viene ovviamente ridicolizzato, ma
è lecito chiedersi se sia davvero questa l'interpretazione
più adeguata dell'eguaglianza di risorse.Nel secondo caso
l'eguaglianza economica non viene valutata in rapporto alle risorse,
bensì al benessere raggiungibile attraverso le risorse di cui
dispone l'individuo. Se l'eguaglianza economica si identifica con
l'eguaglianza di benessere, occorre specificare in che termini va
definito quest'ultimo: in termini di felicità, per cui due
individui sono uguali sul piano economico quando sono egualmente
felici? oppure in termini di soddisfazione dei desideri, per cui due
individui non sono eguali se non hanno ottenuto ciò che
vogliono nella stessa misura? oppure ancora in termini di
qualità della vita giudicata in base a qualche criterio
oggettivo, sicché una politica rigorosamente egualitaria
potrebbe obbligare gli individui a conformarsi a valori etici che
rifiutano?Occorre stabilire quale di queste due definizioni generali
sia preferibile prima di optare per una delle sue formulazioni
più specifiche. La definizione dell'eguaglianza in termini di
benessere sembra cogliere meglio i reali interessi degli individui,
i quali mirano fondamentalmente al benessere attribuendo alle
risorse un valore puramente strumentale. L'interpretazione
dell'eguaglianza economica come eguaglianza delle risorse appare
convincente per un altro motivo: essa sostiene che la ricchezza e le
altre risorse dovrebbero essere egualmente distribuite tra tutti, ma
che il modo in cui vengono impiegate e la capacità di
costruirsi un'esistenza soddisfacente riguardano esclusivamente la
sfera delle decisioni e delle scelte individuali, non lo Stato.
c) L'eguaglianza economica è in conflitto con altri valori?
Secondo un'opinione largamente diffusa, comune a tutti gli
orientamenti politici, l'eguaglianza sarebbe in conflitto con altri
valori sicché la questione più importante, sul piano
pratico, non è se si debba accettare o respingere l'ideale
dell'eguaglianza, bensì in che misura sia legittimo
privilegiare l'eguaglianza a scapito di altri ideali. Secondo i
politici di destra l'eguaglianza si può ottenere solo pagando
un prezzo inaccettabile in termini di libertà, in quanto essa
richiederebbe di limitare la libertà di investimento e di
spesa degli imprenditori. I politici di sinistra accettano la
premessa di fondo di questo argomento, ossia che l'eguaglianza
è in conflitto con la libertà, ma ne respingono le
conclusioni; a loro avviso infatti la libertà è un
valore borghese proprio perché impedisce di realizzare
adeguatamente l'eguaglianza. La tesi secondo cui eguaglianza e
libertà sono in conflitto è accettata anche dai
politici di centro, i quali però rifiutano le soluzioni
radicali di tale conflitto proposte dalla destra e dalla sinistra in
favore di una soluzione di compromesso in cui non viene realizzata
né la piena libertà, né la piena eguaglianza.Ma
è poi fondata questa convinzione condivisa pressoché
da tutti, che eguaglianza e libertà spesso sono in conflitto,
oppure esiste la possibilità di conciliare le due cose in
modo da avere solo i vantaggi comportati da ciascuna? E se è
così, tale conciliazione è solo un caso fortunato e
probabilmente transitorio, oppure i due valori sono così
strettamente connessi che la violazione dell'uno comporta
necessariamente la violazione dell'altro? Per rispondere a tali
questioni è indispensabile analizzare il concetto di
libertà oltre che quello di eguaglianza. Si tratta in ogni
caso di questioni estremamente importanti sul piano pratico.
L'argomento più forte - almeno retoricamente - contro
l'eguaglianza è che la sua piena realizzazione comporta un
grave sacrificio della libertà, e tale argomento richiede una
verifica empirica oltreché filosofica.Secondo un'opinione
largamente diffusa, d'altro canto, l'eguaglianza non sarebbe in
conflitto solo con la libertà, ma anche con importanti valori
politici quali la prosperità, la cultura e la
comunità. È vero, come molti ritengono, che
l'ineguaglianza è indispensabile per garantire agli
investimenti e all'industria gli incentivi economici necessari
all'economia moderna per sopravvivere e per prosperare? È
lecito affermare che l'eguaglianza economica non è
auspicabile in quanto una società che si preoccupa
esclusivamente di eliminare le ineguaglianze economiche avrà
ben poco da investire nell'arte e nella cultura, e inoltre
perché solo una società in cui alcuni sono molto
ricchi può fornire la ricchezza privata e la raffinatezza del
gusto indispensabili alla creatività artistica? È
fondata la tesi dei marxisti e di altri 'comunitaristi' secondo la
quale l'eguaglianza economica distruggerebbe i valori comunitari, in
quanto una società in cui ognuno si preoccupa di valutare la
propria quota di ricchezza o di benessere in base a un presunto
diritto a una distribuzione egualitaria è una società
atomistica formata da individui fondamentalmente egoisti e
scarsamente sensibili agli interessi della comunità nel suo
complesso? È vero, infine, che l'eguaglianza economica
sarebbe antidemocratica in quanto nelle moderne società
sviluppate la maggioranza politica è formata da individui le
cui condizioni economiche sono migliori di quelle delle classi
inferiori, che essi non sono disposti a sostenere economicamente?
d) Che cos'è l'eguaglianza politica?
Problemi analoghi sorgono allorché si cerca di definire
l'eguaglianza politica o la democrazia. È lecito affermare
che l'eguaglianza politica esiste solo quando gli individui hanno
eguale potere politico? E in questo caso, cos'è il potere
politico, e in che modo si può misurare e confrontare il
potere politico di diversi individui? Il potere riguarda l'impatto
generale del singolo sulle decisioni politiche, ossia la sua
incidenza diretta, oppure riguarda l'influenza generale, ossia
l'incidenza che egli ha non in prima persona bensì attraverso
la sua influenza su altri?
Si tratta ancora una volta di problemi di grande rilevanza pratica.
Se l'eguaglianza politica è solo eguaglianza di impatto, essa
può essere garantita, almeno per quanto riguarda le elezioni
generali, dal suffragio universale e paritario, ossia da un sistema
in cui in via di principio ogni cittadino adulto ha il diritto a
esprimere un voto. Se però l'eguaglianza politica è
anche eguaglianza di influenza, allora essa richiede tra le altre
cose eguale accesso alle informazioni e ai media. L'eguaglianza di
impatto sembra più facile da ottenere, ma fornisce anche
un'interpretazione meno soddisfacente della reale eguaglianza
politica. L'eguaglianza di influenza sembra più adeguata
sotto questo punto di vista, ma quasi impossibile da ottenere. Quale
di queste due interpretazioni è la più adeguata -
ammesso che una di esse lo sia? Oppure dobbiamo respingerle entrambe
in quanto considerano solo l'input - ossia gli aspetti procedurali
dell'eguaglianza politica - trascurando l'output - ossia le
decisioni concrete che scaturiscono dal processo politico? Anche
quando gli individui hanno eguale impatto ed eguale influenza, le
decisioni politiche possono svantaggiare sistematicamente un
determinato gruppo (ad esempio i più poveri, o una minoranza
etnica, razziale o religiosa) che viene costantemente sconfitto alle
elezioni e trattato ingiustamente. È lecito parlare ancora di
eguaglianza politica in una situazione di questo tipo?
e) Perché dovremmo volere l'eguaglianza?
Abbiamo affermato che al giorno d'oggi nessuno, nelle democrazie
occidentali, metterebbe in discussione il principio egualitario
astratto secondo il quale il sistema politico deve trattare tutti i
cittadini come eguali, e i problemi più specifici relativi
all'eguaglianza devono essere considerati problemi relativi
all'interpretazione più adeguata di tale principio astratto.
Supponiamo tuttavia che esso venga messo in discussione. Quali sono
gli argomenti a favore dell'eguaglianza nella sua forma astratta?
Occorre distinguere in proposito due tipi di argomenti, che potremmo
definire 'strumentali' e 'intrinseci'. I primi sono abbastanza noti:
secondo la tradizione utilitarista, ad esempio, l'eguaglianza
è auspicabile perché (e quindi solo se e nella misura
in cui) garantisce un incremento del benessere generale.
L'utilitarismo quindi difende l'eguaglianza politica perché,
tra le altre cose, una consultazione popolare o un referendum in cui
ognuno ha diritto a esprimere un voto rappresenta il sistema
più efficace per assicurare che i rappresentanti eletti
tutelino gli interessi della maggioranza e governino quindi per
realizzare la massima felicità per il maggior numero di
persone. Il principale argomento degli utilitaristi in favore
dell'eguaglianza economica si richiama al principio
dell'utilità marginale decrescente. Se normalmente gli
individui producono un benessere addizionale sempre minore con
incrementi marginali di risorse, allora una anteriore distribuzione
approssimativamente egualitaria delle risorse produrrà
un'utilità media maggiore rispetto a una distribuzione
fortemente diseguale.
Gli argomenti 'strumentali', tuttavia, difficilmente possono essere
argomenti a favore di un'eguaglianza totale, perché nella
maggior parte dei casi è più probabile che si ottenga
lo scopo desiderato consentendo una certa ineguaglianza
anziché insistendo su una distribuzione perfettamente
egualitaria. Secondo gli utilitaristi, ad esempio, gli incentivi
finanziari concessi agli investitori e agli imprenditori in deroga
al principio dell'eguaglianza possono aumentare la produzione
favorendo un incremento di utilità nel lungo periodo. Anche
l'eguaglianza politica, assai più popolare di quella
economica, è stata messa in discussione con argomentazioni di
stampo utilitaristico. Le elezioni potrebbero fornire un profilo
più esatto delle preferenze, tenendo conto della loro
intensità oltre che della loro distribuzione, se i collegi
elettorali fossero organizzati in modo che quanti hanno interessi
particolari in una determinata materia abbiano maggior potere
decisionale in merito rispetto agli altri cittadini sostanzialmente
indifferenti. Un sistema elettorale che desse un potere
sproporzionato agli agricoltori, ad esempio, potrebbe assicurare una
politica agraria di maggior valore utilitario complessivo rispetto a
quella consentita dal sistema 'una persona, un voto'.
Gli argomenti 'intrinseci' a favore dell'eguaglianza assumono varie
forme. John Rawls, ad esempio, propone una teoria costruttiva della
giustizia secondo la quale i principî di giustizia più
saldi sono quelli che verrebbero scelti, in quanto costituiscono la
struttura fondamentale della società in cui vivono, da tutti
i membri di una collettività ai quali una 'cortina di
ignoranza' impedisse ogni consapevolezza delle proprie convinzioni
etiche, delle proprie capacità e della propria collocazione
nella società. In queste condizioni, secondo Rawls, gli
individui sceglierebbero una teoria della giustizia caratterizzata
da due principî fondamentali. Il primo postula eguale
libertà per tutti, e quindi l'eguaglianza politica, il
secondo una certa forma di eguaglianza economica che ammette solo
quelle ineguaglianze di ricchezza che comportano benefici per i
gruppi più svantaggiati. Ciò si verifica, ad esempio,
allorché si forniscono degli incentivi che incrementano il
benessere generale e quindi migliorano la situazione degli strati
sociali più svantaggiati. Rawls quindi propone una forma di
eguaglianza politica che privilegia l'eguaglianza d'impatto rispetto
a quella di influenza. Egli distingue tra la libertà e il suo
valore - ossia il beneficio che deriva concretamente a qualcuno dal
suo possesso - e sostiene che l'autentica eguaglianza politica
consiste nell'eguaglianza della prima e non del secondo. Rawls
inoltre opta per una forma di eguaglianza economica in cui
l'eguaglianza è valutata in termini di risorse e non di
benessere. Gli strati sociali più svantaggiati infatti non
sono definiti come il gruppo caratterizzato dal minor grado di
felicità o di soddisfazione dei desideri, bensì come
il gruppo che ha la quota minore di 'beni primari', ossia di
determinati tipi di risorse specificati da Rawls.Come lo stesso
Rawls tiene a sottolineare, egli considera l'eguaglianza politica
non già come un postulato fondamentale di moralità
politica, bensì come la conseguenza di una metodologia
costruttivista che non assegna un valore assiomatico
all'eguaglianza. Altri autori attribuiscono all'eguaglianza un
valore più fondamentale; essi sostengono che l'ineguaglianza
è incompatibile col principio della dignità umana, e
considerano quindi il diritto all'eguaglianza un diritto umano
fondamentale. Altri ancora preferiscono una definizione
dell'eguaglianza politica che comprenda anche l'eguaglianza di
influenza oltre che di impatto, mentre per quel che riguarda
l'eguaglianza economica rigettano il principio di differenza di
Rawls in favore di un concetto di eguaglianza più radicale,
secondo il quale ogni ineguaglianza - anche quelle che si traducono
in benefici per gli strati più svantaggiati - è
incompatibile col principio della dignità umana e quindi va
rifiutata. Ciò sembrerà poco plausibile finché
si ritiene che il problema della giustizia sia quello di stabilire
gli interessi di quali gruppi dovrebbero essere favoriti a spese di
altri; per quanti si trovano al fondo della scala sociale infatti
sembra ingiusto che si rifiutino quelle ineguaglianze che si
tradurrebbero in una migliore tutela dei loro interessi. Questo
argomento a favore dell'ineguaglianza tuttavia assume che
l'eguaglianza non rientri tra gli interessi degli individui; esso
rifiuta la concezione platonica secondo la quale la giustizia non
può consistere soltanto nel tutelare o favorire gli interessi
degli individui, perché gli interessi stessi dipendono da
ciò che prescrive il principio di giustizia. In quale maniera
si potrebbe difendere l'eguaglianza se si accettasse una qualche
forma di questa concezione platonica?
2. L'eguaglianza economica
a) Risorse o benessere?
Qual è il metro adeguato dell'eguaglianza economica: il
benessere, le risorse o una combinazione di entrambi? Come abbiamo
già accennato, esiste un argomento apparentemente naturale e
piuttosto convincente a favore del benessere; 'benessere' non
è che un sinonimo di 'star bene', ed è questo che sta
realmente a cuore agli uomini. Le risorse hanno un'importanza solo
strumentale, come mezzi per ottenere il benessere. Di conseguenza
sembra ingiusto mirare a rendere eguali gli individui in ciò
che per essi ha solo un valore strumentale - le risorse che
possiedono o controllano - anziché in ciò che
interessa loro effettivamente, ossia il benessere. A una
considerazione più approfondita però la
plausibilità di tale argomento è solo illusoria: per
poter utilizzare il benessere quale criterio dell'eguaglianza
economica occorre infatti definire un concetto di benessere adatto a
tale scopo, ma una volta adottata una determinata definizione la
tesi secondo cui l'eguaglianza va intesa come eguaglianza di
benessere non è più convincente.Supponiamo, ad
esempio, di adottare la concezione benthamiana del benessere,
secondo la quale questo consiste nel piacere e nell'assenza del
dolore. Gli individui però hanno opinioni assai diverse
sull'importanza del piacere nella loro esistenza: sebbene quasi
tutti apprezzino il piacere e l'assenza del dolore, nessuno in
pratica ritiene che ciò sia l'unica cosa che conta. Alcuni
sono disposti a rinunciare in misura notevole al piacere per
ottenere altre cose cui attribuiscono maggior valore: ad esempio un
lavoro ben fatto, o il rispetto degli amici o dei colleghi.
Poiché gli individui attribuiscono un'importanza diversa al
piacere rispetto ad altre cose, non sembra giusto che la politica
consideri universalmente condiviso un determinato scopo tra gli
altri, sicché gli individui dovrebbero essere uguali rispetto
a esso. Lo stesso discorso vale se si definisce il benessere non in
termini di piacere bensì di soddisfazione di qualsivoglia
desiderio o ambizione. Gli individui infatti attribuiscono diverso
valore anche alla soddisfazione dei propri desideri e ambizioni: a
seconda che la si reputi più o meno importante si
sceglieranno ambizioni più o meno difficili da realizzare.
Ancora una volta, sembra sbagliato adottare come criterio di
eguaglianza il grado di soddisfazione dei desideri degli individui,
dato che essi hanno opinioni del tutto divergenti sull'importanza da
attribuire a tale obiettivo.
b) I costi di opportunità e il test dell'invidia
Dalle precedenti considerazioni si può trarre la seguente
conclusione: l'autentica eguaglianza si realizza quando gli
individui dispongono di eguali risorse e sono quindi in grado di
decidere essi stessi quali esperienze, ambizioni e obiettivi sono
importanti per loro, e di utilizzare le risorse di cui dispongono
tutti in egual misura per perseguire i propri ideali. Anche in
questo caso tuttavia occorre specificare cosa si intende per
eguaglianza di risorse, individuando un criterio che consenta di
stabilire quale distribuzione delle risorse sia una distribuzione
egualitaria. A nostro avviso il criterio più adeguato
è il seguente: l'eguaglianza distributiva si realizza
pienamente solo quando le risorse di cui dispongono i singoli
individui sono eguali dal punto di vista dei loro costi di
opportunità, ossia del valore che esse avrebbero nelle mani
di altre persone. Nessuna distribuzione delle risorse è
pienamente egualitaria se non supera il 'test dell'invidia', ossia
se non dà luogo a una situazione in cui nessun membro della
comunità invidia l'insieme di risorse possedute da un altro
membro di essa.L'invidia in questo caso rappresenta un fenomeno di
ordine economico, non psicologico: un individuo invidia l'insieme di
risorse possedute da un altro individuo quando preferirebbe avere
quelle risorse anziché le proprie e sarebbe quindi disposto a
fare il cambio. Il test dell'invidia, ovviamente, si applica anche
quando il benessere che le persone raggiungono attraverso le risorse
in loro possesso non è eguale. Se gli obiettivi o le
ambizioni o i progetti di x sono più facili da realizzare di
quelli di y, o se la personalità di y presenta altre
differenze significative al riguardo, y avrà rispetto a x un
livello di benessere assai maggiore. L'eguaglianza delle risorse in
questa concezione non è eguaglianza di benessere.In
determinate condizioni che illustreremo tra breve il test
dell'invidia potrebbe essere superato - e si potrebbe ottenere una
perfetta eguaglianza distributiva - attraverso una sorta di asta
walrasiana in cui tutte le risorse fossero messe all'incanto tra
individui dotati di eguali risorse iniziali per fare le offerte, ad
esempio un'eguale quantità di gettoni utilizzabili solo per
partecipare all'asta. Se una vendita all'asta di questo tipo venisse
ripetuta concludendosi solo allorché non vi fosse più
nessuno che desiderasse continuarla, il test dell'invidia sarebbe
superato: nessuno preferirebbe il pacchetto di risorse che qualcun
altro si è assicurato all'asta, perché altrimenti
avrebbe acquistato quel pacchetto al posto del proprio. Questa
situazione ideale tuttavia non può essere realizzata per le
seguenti ragioni. Le risorse controllate dagli individui sono di due
tipi, personali e impersonali. Le risorse personali sono
rappresentate da quelle qualità fisiche e intellettuali - la
salute fisica e mentale, la forza, le capacità ecc. - che
contribuiscono alla riuscita dei progetti o programmi individuali.
Le risorse impersonali fanno parte dell'ambiente esterno e possono
essere possedute e scambiate: la terra, le materie prime, i beni di
consumo ecc., nonché i diritti e interessi legali variamente
distribuiti relativi a tali risorse. L'asta ipotizzata in precedenza
riguarda solo le risorse impersonali, e poiché al termine
dell'asta le risorse personali resteranno distribuite in modo
ineguale, il test dell'invidia non sarà superato. Anche se le
risorse materiali, impersonali, di x saranno eguali a quelle di y, x
continuerà a invidiare l'insieme di risorse di y che
comprendono anche la sua salute e le sue capacità.
Allorché l'asta sarà terminata, e ognuno
comincerà a utilizzare le proprie risorse iniziali per la
produzione e gli scambi, i vantaggi di alcuni in termini di salute e
di talento finiranno ben presto per distruggere anche l'eguaglianza
iniziale delle risorse impersonali. Conseguenze analoghe avrebbero
le differenze di fortuna: ad esempio, gli investimenti di x possono
aver successo e quelli di y fallire per motivi che nessuno dei due
era in grado di prevedere.
Perché si possa realizzare l'eguaglianza di risorse occorrono
quindi dei meccanismi di compensazione che pongano rimedio nella
misura del possibile alle ineguaglianze relative alle risorse
personali e alla fortuna. Tali ineguaglianze tuttavia non possono
essere compensate totalmente, e di fatto è piuttosto
difficile giustificare i meccanismi di compensazione sulla base del
principio egualitario nella sua forma più ovvia. Supponiamo
che ci si limiti a un trasferimento periodico di ricchezza dai
ricchi ai poveri - diciamo una volta l'anno - finché il test
dell'invidia non venga nuovamente superato in quanto tutti hanno la
stessa ricchezza misurata in termini di costi di opportunità.
Tale politica influenzerebbe la produzione globale della
società nonché i suoi costi, e di conseguenza
inciderebbe sulla condizione di ciascun individuo comportando per
molti - inclusi alcuni tra i più poveri - un peggioramento
rispetto alla condizione precedente. I programmi di compensazione
devono quindi essere giustificati, agli occhi di quanti hanno subito
una perdita per causa loro, con un qualche argomento in grado di
spiegare perché il cambiamento favorisca in ogni caso
l'eguaglianza. Un argomento potrebbe essere il seguente. Esistono
meccanismi di compensazione che utilizzano un sistema di tassazione
e redistribuzione - in fondi o in risorse, come ad esempio
l'assistenza medica - modellato su un ipotetico mercato delle
assicurazioni che potrebbe esistere nella realtà se
l'eguaglianza iniziale fosse più autentica. Se tutti
disponessero di fondi eguali e potessero stipulare polizze
assicurative alle stesse condizioni, con premi stabiliti in rapporto
al concreto tasso di rischio, come accade in qualsiasi mercato
assicurativo, per quale ammontare l'individuo medio si
assicurerebbe, e con quale premio, contro infortuni,
invalidità, disoccupazione o riduzione del reddito? Potremmo
servirci delle risposte a domande di questo tipo per progettare un
sistema fiscale in cui le tasse pagate siano pari ai premi versati
nell'ipotetico mercato delle assicurazioni e la redistribuzione alla
copertura assicurativa totale. Un programma di tassazione
redistributiva di questo tipo non garantirà una perfetta
compensazione (anche se esso fosse realizzato, il test dell'invidia
non verrebbe superato), ma ridurrà senza dubbio
l'ineguaglianza delle risorse.
c) Risorse e benessere
Si tratta ora di stabilire in che modo questa concezione
dell'eguaglianza delle risorse risponda all'obiezione formulata in
precedenza, secondo la quale le risorse hanno per gli individui un
valore puramente strumentale per il conseguimento del benessere, e
chiunque sia interessato alle risorse in se stesse, solo per il
gusto di possederle, è un feticista patologico. In questa
prospettiva, sarebbe irrazionale cercare di rendere gli individui
eguali sul piano delle risorse, che essi desiderano solo in quanto
strumenti, ignorando la distribuzione del benessere cui invece
attribuiscono un valore intrinseco. Tuttavia la tesi secondo la
quale l'eguaglianza economica consiste nell'eguaglianza delle
risorse non nega che gli individui abbiano a cuore il proprio
benessere, ma si basa piuttosto su una concezione particolare del
rapporto tra eguaglianza e benessere. Secondo tale concezione, la
giustizia è parte integrante del benessere e di conseguenza
è necessaria una definizione dell'eguaglianza che non dipenda
da considerazioni relative al benessere, ma sia anteriore a esse, in
modo che gli individui possano scegliere il tipo di vita che
realizza il loro benessere in base a una qualche nozione di equa
distribuzione delle risorse. La teoria dell'eguaglianza di risorse,
in altre parole, riprende la concezione platonica secondo la quale
giustizia e benessere sono così strettamente connessi che non
è possibile il benessere senza far riferimento alla
giustizia.
Come abbiamo già accennato, la teoria che individua nel
benessere il criterio dell'eguaglianza perde la sua
plausibilità allorché si specifica un determinato
concetto di benessere. Se però si accetta l'idea che
giustizia e benessere sono interdipendenti, vi sono ulteriori
ragioni per sostenere che, sebbene gli individui attribuiscano
un'importanza fondamentale al benessere mentre considerano le
risorse solo come strumenti, tuttavia l'eguaglianza va espressa in
termini di risorse e non di benessere. In primo luogo il
procedimento contemplato dall'eguaglianza di benessere, per cui
l'individuo deve stabilire in che cosa consista il proprio benessere
prima di poter determinare quale distribuzione assicuri un eguale
benessere per tutti, è logicamente inconsistente e
inservibile; chi ritiene che il proprio benessere dipenda dal fatto
di vivere in condizioni di eguaglianza non può servirsi di
una teoria o di una concezione dell'eguaglianza che utilizza il
benessere come criterio di una distribuzione egualitaria.In secondo
luogo, se si sostiene che spetta allo Stato assicurare l'eguaglianza
di benessere, si compromette o si snatura il compito etico
rappresentato dal vivere. Parte di tale compito etico che ogni
individuo deve affrontare - per certi versi la parte più
importante ed esaltante - consiste nell'individuare quale dei
possibili modelli di vita sia realmente il migliore per lui. Le
procedure che lo Stato deve utilizzare per creare l'eguaglianza di
benessere sminuiscono questo compito, in quanto il governo deve
assicurare che gli individui vivano nel modo migliore possibile a
prescindere dalle scelte di vita che essi compiono. Probabilmente si
tratta di un'impresa destinata al fallimento in quanto i governanti
commetteranno vari errori, in primo luogo nel decidere quale sia il
tipo di vita 'migliore' per differenti individui. In questo caso
tale tentativo avrebbe effetti rovinosi anziché migliorare la
qualità della vita, perché i governanti
trasferirebbero risorse per favorire degli errori. Ma anche se essi
riuscissero a migliorare la qualità della vita di tutti i
cittadini, ciò avverrebbe a prezzo della
responsabilità individuale; il singolo, alla fine, non
sarà in alcun modo responsabile della progettazione della
propria vita, che sarà egualmente buona indipendentemente
dalla sua sensibilità etica.In sintesi, la teoria
dell'eguaglianza delle risorse sostiene non che gli individui siano
feticisti, ma che benessere e giustizia sono dinamicamente
interrelati. Nello scegliere il modello di vita che ritiene
migliore, chi considera il benessere in questi termini si
baserà su una serie di intuizioni o di assunti relativi alla
nozione di equa distribuzione e alle connessioni e ai rapporti tra
la propria vita e quella degli altri. Compito del governo
sarà allora quello di creare i presupposti in base ai quali
gli individui possono decidere automaticamente quale modello di vita
sia migliore per loro. Questa formula ovviamente lascia aperte una
serie di questioni; ad esempio non stabilisce se sia più
opportuno che il governo sensibilizzi i cittadini alle diverse
virtù dei vari modelli di vita possibili, o se sia
preferibile invece che sostenga, attraverso sovvenzioni o altri
mezzi, forme di vita che si sono dimostrate altamente pregevoli per
altri. Adottare la concezione dell'eguaglianza basata sull'eguale
distribuzione delle risorse non significa necessariamente accettare
l'idea di uno Stato indifferente e noncurante.
d) Risorse e ambizioni
Consideriamo ora un'altra obiezione alla concezione dell'eguaglianza
sopra delineata, correlata alla prima e basata su una distinzione
assai netta ed evidente tra personalità e circostanze. Per
quanto possibile gli uomini dovrebbero possedere o controllare
eguali risorse, sia impersonali che personali. Queste ultime
però non includono i gusti, i progetti, le ambizioni e altri
aspetti della personalità in virtù dei quali un
individuo può considerare la propria vita migliore o peggiore
di quella di un altro che dispone di risorse identiche. Nessuno
quindi ha diritto a una maggiore quantità di risorse solo
perché i suoi gusti sono più dispendiosi, le sue
ambizioni più rischiose, o perché è più
esigente verso se stesso. In caso contrario infatti la teoria
dell'eguaglianza delle risorse verrebbe a coincidere con quella
dell'eguaglianza di benessere. La distinzione tra personalità
e circostanze è quindi di estrema importanza per l'intera
teoria dell'eguaglianza delle risorse.
Un'ovvia obiezione a tale distinzione è che i gusti e le
convinzioni sfuggono al nostro controllo non meno delle
capacità o della fortuna; poiché la teoria
dell'eguaglianza delle risorse annovera quest'ultima tra le
circostanze, e quindi in linea di principio come un ambito in cui
dovrebbe sussistere l'eguaglianza, è incoerente non
considerare allo stesso modo anche gusti e convinzioni. È
vero che i gusti possono essere in qualche misura educati: ci si
può sforzare ad esempio di imparare ad amare la musica
classica o lo sci. Tuttavia gli sforzi in questo senso dipenderanno
dalla convinzione che sia desiderabile essere una persona con i
gusti in questione, e non si può scegliere di acquisire tale
convinzione - o qualsiasi altra credenza che esprime la nostra
personalità - così come non si è scelto di
avere le convinzioni che si hanno. Occorre quindi trovare un'altra
risposta all'obiezione.
La tesi dell'eguaglianza delle risorse non parte dal presupposto che
preferenze o ambizioni si scelgano così come si sceglie una
cravatta, bensì sostiene che esse siano oggetto di una
riflessione in base alla quale si decide quali di esse perseguire e
in che modo. Questa riflessione presenta inoltre una certa
struttura: la distinzione tra handicaps e capacità da un lato
e gusti e convinzioni dall'altro è una distinzione interna a
tale struttura, e proprio per questo è essenziale per
l'eguaglianza. In questa prospettiva l'eguaglianza mira a rendere
eguali gli individui rispetto alle circostanze, intese come
l'insieme di opportunità e limitazioni che il singolo
incontra nell'individuare e nel perseguire il modello di vita che la
riflessione gli indica come il più adatto.È chiaro che
capacità e handicaps sono circostanze in questo senso, ed
è altrettanto chiaro che convinzioni e preferenze non lo
sono. Sarebbe incoerente da parte di un individuo considerare le
proprie convinzioni - ad esempio la persuasione che il suo unico
scopo nella vita è quello di creare monumenti - come una
limitazione della buona qualità della vita che può
condurre. Se egli è convinto che edificare monumenti sia
essenziale per condurre una buona vita, dovrà ritenere
essenziale anche avere tale convinzione; essa non può essere
un limite, in quanto definisce il concetto di 'vita buona' per
quell'individuo. La distinzione tra handicaps e personalità
quindi è tanto poco arbitraria quanto l'etica stessa, ed
è importante nella politica in quanto è al centro
della nostra vita etica come individui. La teoria dell'eguaglianza
delle risorse vuol essere in armonia con le riflessioni
dell'individuo eticamente consapevole, offrendogli una concezione
della giustizia che può essere utilizzata sul piano etico sia
nella vita privata, in una prospettiva personale, sia nella vita
pubblica in una prospettiva politica. Se gli individui non possono
considerare le proprie convinzioni come limitazioni, allora non
possono accettare una teoria della giustizia che non distingua tra
handicaps e convinzioni.
3. L'eguaglianza economica è in conflitto con la
libertà?
a) Il ruolo della libertà nell'eguaglianza
Come abbiamo già accennato, è assai diffusa la
convinzione che per poter realizzare una genuina eguaglianza
economica sia necessario limitare determinate libertà, ad
esempio la libertà contrattuale e di scambio, o la
libertà di ricorrere a istituti di istruzione privati. Tale
argomento è stato utilizzato sia dalla sinistra per sostenere
l'illegittimità di tale libertà, sia dalla destra per
condannare l'eguaglianza in quanto minaccia per la libertà.
Se però si accetta l'eguaglianza distributiva, le
libertà rilevanti dal punto di vista etico - la
libertà di espressione, di religione e di opinione, o la
libertà di scelta nella sfera personale - diventano
condizioni necessarie dell'eguaglianza anziché essere, come
spesso si crede, ideali politici indipendenti potenzialmente in
conflitto con essa. Lo stesso non si può dire per tutte le
concezioni dell'eguaglianza, poiché molte di esse definiscono
l'eguaglianza distributiva servendosi di criteri che non tengono in
alcun conto la qualità distintiva e il valore della
libertà. Per la teoria che identifica nel benessere - inteso
come soddisfazione dei gusti e delle preferenze - il criterio
dell'eguaglianza, ad esempio, è egualitaria quella
distribuzione in cui le preferenze degli individui sono egualmente
soddisfatte, ma poiché è una circostanza del tutto
contingente in che misura essi preferiscano la libertà ad
altre risorse che si potrebbero ottenere rinunciando ad essa,
è assai dubbio che la tutela delle libertà eticamente
importanti possa essere sempre legittimata in quanto favorisce
l'eguaglianza di benessere. La teoria dell'eguaglianza di risorse
invece offre un'interpretazione assai più sensibile al
carattere e all'importanza speciali della libertà, in quanto
fa dipendere un'equa distribuzione non già da un mero
risultato misurabile direttamente - come la soddisfazione di
preferenze o desideri - bensì da un processo di decisioni
coordinate in cui gli individui che si assumono la
responsabilità delle proprie ambizioni e dei propri progetti,
e accettano come parte integrante di tale responsabilità
l'appartenenza a una comunità di eguali, sono in grado di
valutare i costi reali che tali progetti e ambizioni comportano per
gli altri, e riformulano costantemente tali progetti in modo da
utilizzare solo un'equa quota delle risorse che in via di principio
sono a disposizione di tutti.
Per una società reale, di conseguenza, la possibilità
di realizzare l'eguaglianza distributiva dipende dall'adeguatezza
della procedura di discussione e di scelta che essa stabilisce a
tale scopo. Perché un processo del genere risulti adeguato
occorre un alto grado di libertà, in quanto i costi effettivi
che comporta per gli altri il fatto che un individuo disponga di
determinate risorse e opportunità possono essere accertati
solo se le ambizioni e le convinzioni delle persone sono autentiche
e le loro scelte e decisioni commisurate a esse. La libertà
quindi è necessaria all'eguaglianza, secondo tale concezione,
non sulla base della dubbia e assai fragile ipotesi che gli uomini
considerino le libertà fondamentali più importanti di
altre risorse, ma perché la libertà - a prescindere
dal fatto che gli individui la valutino o meno al di sopra di ogni
altra cosa - è essenziale per ogni processo di definizione e
di realizzazione dell'eguaglianza. Ciò non significa rendere
la libertà strumentale all'eguaglianza distributiva, o
viceversa; i due concetti piuttosto si fondono in una descrizione
più adeguata di una regola di distribuzione egualitaria sul
piano procedurale, ossia tale da riservare un eguale trattamento a
tutte le persone.
La teoria dell'eguaglianza delle risorse, di conseguenza, ci impone
di considerare in modo diverso certe controversie politiche - ad
esempio quelle relative all'istruzione e all'assistenza sanitaria
privata - che secondo un'opinione largamente diffusa impongono una
scelta tra libertà ed eguaglianza. Se limitare la
libertà di scelta nel campo dell'istruzione e dell'assistenza
sanitaria contribuisse davvero ad assicurare l'eguaglianza delle
risorse - come avverrebbe ovviamente con l'introduzione di
determinate limitazioni - nessun ideale di libertà
difendibile risulterebbe compromesso, e i liberali non avrebbero
obiezioni. Tuttavia non tutte le restrizioni della libertà
che si presume promuovano l'eguaglianza distributiva agiscono
effettivamente in questo senso, e limitare quelle libertà
fondamentali dal punto di vista morale la cui tutela sta
maggiormente a cuore ai liberali può contribuire raramente,
se mai vi riesce, a promuovere l'eguaglianza così intesa. La
teoria dell'eguaglianza delle risorse offre una spiegazione delle
nostre convinzioni intuitive sull'importanza della libertà
assai più persuasiva di quella proposta da tutte quelle
teorie che considerano libertà ed eguaglianza come valori
indipendenti e talvolta in conflitto tra loro.
b) Eguaglianza e astrattezza
Secondo la concezione dell'eguaglianza economica delineata in
precedenza, un'asta delle risorse in cui ogni partecipante parta con
eguali capacità di offerta determinerà una
distribuzione egualitaria. Ciò però avverrà
solo se i beni saranno messi all'asta in una forma opportunamente
astratta. Supponiamo che alcuni partecipanti all'asta vogliano
associarsi per comprare un'area sufficientemente estesa da potervi
costruire uno stadio. Il prezzo che essi dovranno pagare
dipenderà tra le altre cose dalle dimensioni dei lotti messi
all'asta. Se il banditore vende lotti di dimensioni non inferiori a
quelle necessarie alla costruzione di uno stadio (e supponendo che
la legge vieti di rivendere tali aree dopo averle suddivise una
volta terminata l'asta), il prezzo pagato dai costruttori di stadi
in questo caso sarebbe sicuramente inferiore a quello che
pagherebbero se il banditore offrisse lotti di varie dimensioni,
maggiori o minori a seconda delle esigenze dei compratori e
ciò pregiudicherebbe l'eguaglianza per le seguenti ragioni.
Secondo la teoria dell'eguaglianza delle risorse ogni individuo
dovrebbe ricevere una quota eguale di risorse, misurata in base al
costo che hanno per i progetti e i piani degli altri le scelte
compiute da ciascuno in base ai propri gusti e alle proprie
preferenze. È questa la concezione dell'eguaglianza
distributiva propria di tale teoria, l'interpretazione che essa
propone del modo in cui l'organizzazione della proprietà
privata di una comunità può garantire l'eguale
trattamento di tutti i suoi membri. Se si accetta tale
interpretazione, si deve riconoscere che un'asta è più
equa - ossia assicura una distribuzione realmente egualitaria -
quando offre maggiori opportunità di scelta e quindi tiene
maggiormente conto della varietà dei progetti e delle
preferenze individuali. Se si deve pagare lo stesso prezzo per la
terra, sia che si desideri possedere solo un piccolo cottage, sia
che si intenda amministrare una vasta tenuta, queste preferenze non
influiscono sulle restanti disponibilità per l'investimento
in altre risorse, e questa mancanza di duttilità del mercato
incide non solo sulle scelte del singolo, ma di riflesso anche su
quelle degli altri. I tifosi di calcio, ad esempio, pagano un prezzo
differente per i biglietti dello stadio - e di conseguenza competono
con gli altri per altri beni in termini diversi - da quello che
pagherebbero se le risorse di ognuno rispondessero con maggior
precisione alle dimensioni delle sue preferenze. La mancanza di
flessibilità costituisce un difetto generale del programma di
eguaglianza delle risorse. Sono preferibili quindi aste più
astratte, non perché i costi di determinate risorse sarebbero
in questo modo maggiori o minori, o perché si avrebbe un
benessere generale maggiore o più egualitario, bensì
perché l'obiettivo principale della concezione
dell'eguaglianza basata sulle risorse - rendere la distribuzione il
più rispondente possibile alle scelte compiute dai diversi
individui nel formulare i propri piani e progetti - può
essere conseguito meglio attraverso la flessibilità
assicurata dall'astrattezza. È questa la giustificazione del
principio di astrattezza, secondo il quale il reale costo di
opportunità di qualunque risorsa trasferibile è il
prezzo che altri pagherebbero per esso in un'asta che offrisse le
risorse nella forma più astratta possibile, vale a dire nella
forma che permette la maggior flessibilità nel sintonizzare
le offerte ai piani e alle preferenze individuali. È
necessario quindi che l'asta offra le risorse in questa forma
astratta se vuole garantire una distribuzione egualitaria.
Ovviamente possono sorgere gravi problemi quando i beni e le
opportunità sono messi sul mercato nella loro forma
più astratta, ma in molti casi ciò non comporta
particolari difficoltà. Il principio di astrattezza richiede
che le risorse naturali siano messe sul mercato nella forma
più indifferenziata possibile: il ferro piuttosto che
l'acciaio, terreni non coltivati piuttosto che campi di grano ecc.
Esso richiede inoltre, come dimostra il precedente esempio dello
stadio, che i beni messi all'asta siano il più possibile
divisibili, in modo che si possano fare offerte su unità
indefinitamente piccole di ciascuna risorsa (ma non talmente piccole
che una singola unità risulti inutilizzabile). Il principio
in questione infine richiede il riconoscimento di titoli legali di
proprietà che favoriscano la divisibilità, come ad
esempio diritti di accesso oppure titoli di proprietà
limitati nel tempo piuttosto che assoluti.
c) Eguaglianza e rispetto della morale
Le considerazioni precedenti hanno una conseguenza importante in
ordine al ruolo della libertà in una situazione di
eguaglianza delle risorse. Il principio dell'astrattezza impone
alcuni vincoli giuridici alla libertà totale, perché
le risorse non possono essere adattate ai piani e ai progetti dei
singoli individui se questi non possono contare sul fatto di poter
controllare le risorse che acquistano. Tuttavia l'imposizione di
vincoli giuridici al di là di quelli strettamente necessari
alla sicurezza compromette l'astrattezza: se ad esempio le leggi di
una comunità vietano la realizzazione di sculture satiriche,
la creta non vi sarà messa all'asta nella sua forma
più astratta, in quanto quel divieto impedisce a chi vuole
esprimersi in questo modo di adattare pienamente le proprie risorse
ai propri progetti. Il principio di astrattezza richiede quindi che
gli individui siano lasciati liberi di utilizzare come vogliono,
compatibilmente con il principio di sicurezza, le risorse che
acquistano - incluso il tempo libero che cercano di assicurarsi e di
tutelare attraverso il loro programma di offerte.L'idea che per
realizzare l'eguaglianza sia necessario presentare i beni e le
opportunità in forma astratta presuppone quindi che la
libertà di scelta sia essenziale all'eguaglianza, e
ciò costituisce un passo significativo verso la
riconciliazione tra eguaglianza e libertà. È opportuno
soffermarsi inoltre su un'altra, immediata conseguenza del principio
di astrattezza. Sembra che accettare tale principio significhi
aderire alla tesi della tradizione liberale iniziata da John Stuart
Mill, secondo la quale i divieti giuridici non possono essere
legittimati unicamente dal fatto che la condotta oggetto del divieto
offende una qualche religione dominante od ortodossia morale. Tale
conclusione liberale potrà sembrare eccessiva; si potrebbe
obiettare che essa viola il principio di astrattezza anziché
derivare da esso, in quanto molti ritengono che si possa condurre
una vita degna solo in una comunità la cui cultura pubblica
individua e prescrive una morale comune che contempla, ad esempio,
il rispetto dell'ortodossia religiosa, una serie di limitazioni nel
comportamento sessuale nonché certe tradizionali distinzioni
di ruolo tra i sessi e tra le classi sociali. Nella maggior parte
dei casi una cultura pubblica di questo tipo può essere
preservata solo dichiarando illegali i comportamenti ritenuti
immorali. Se non si riuscisse a far rispettare la morale si
negherebbero alla maggioranza le opportunità che essa
richiede e ciò altererebbe il costo reale delle
opportunità che restano disponibili alla minoranza.
Questa obiezione si basa su un fraintendimento del tipo di
neutralità cui mira la teoria dell'eguaglianza delle risorse.
Non si tratta di rendere ogni modello di vita egualmente facile, ma
di far sì che le risorse e le opportunità che
consentono agli individui di realizzare i loro piani o progetti o
modelli di vita siano fissate dai costi comportati per gli altri dal
fatto che essi hanno tali risorse e tali opportunità,
piuttosto che da un qualche giudizio collettivo sulla diversa
importanza dei singoli individui o sul diverso valore dei progetti o
delle opzioni morali personali. La neutralità intesa in
questo senso non assicura la realizzabilità di qualunque
modello di vita. Chi volesse condurre una vita da esteta raffinato
ammassando nella propria abitazione privata imponenti collezioni
d'opere d'arte non potrebbe farlo in una situazione di eguaglianza
delle risorse, in quanto non potrebbe permettersi i costi di
opportunità comportati da quel tipo di vita e stabiliti in
un'asta in cui ciascuno avesse eguali capacità d'offerta,
nemmeno se fosse disposto a sacrificare ogni altra cosa. Questo
avviene non perché l'eguaglianza di risorse comporti una
mancanza di neutralità nei confronti del collezionista,
bensì al contrario in quanto comporta una perfetta
neutralità rispetto a quest'ultimo e agli altri individui che
desiderano anch'essi studiare le opere d'arte o goderne la bellezza.
La concezione di stampo liberale dei costi di opportunità
estende questa nozione di neutralità anche alle condizioni
sociali oltreché alle diverse risorse richieste da differenti
modelli di vita. Le esigenze sociali di ogni individuo - la
situazione sociale che egli ritiene necessaria per realizzare il
tipo di vita scelto - vengono valutate stabilendo in quale misura
esse possano essere soddisfatte all'interno di una struttura
egualitaria che tiene conto dei costi comportati da tali esigenze
per gli altri individui. In un'asta condotta in base a questi
criteri ha un certo peso senza dubbio anche la consistenza numerica.
Se saranno abbastanza numerosi, quanti desiderano la tutela e il
rafforzamento dell'omogeneità religiosa riusciranno a
ottenere in parte ciò che vogliono, e allo stesso modo i
collezionisti, se saranno sufficientemente numerosi, saranno in
grado di allestire meravigliosi musei. I seguaci di una determinata
fede, che hanno bisogno di una comunità di correligionari per
prosperare, possono ritenere che le loro convinzioni siano condivise
da un numero di persone sufficientemente elevato da consentire la
creazione di una comunità religiosa particolare senza violare
la legge. Nessuna minoranza - religiosa, sessuale o culturale che
sia - avrà peraltro garantite le condizioni sociali ideali.
Anche in questo caso ha un ruolo importante la consistenza numerica:
la situazione di una determinata minoranza sarebbe senza dubbio
migliore, sotto vari punti di vista, se un maggior numero di persone
condividesse le sue idee o i suoi gusti, in modo da rendere meno
dispendiose le sue attività. Anche le prospettive delle
minoranze, per le stesse ragioni, dipenderanno dai costi di
opportunità, valutati in modo neutrale, delle loro scelte per
gli altri. L'eguaglianza delle risorse quindi, lungi dall'essere
incompatibile con la libertà, implica l'affermazione di un
principio fortemente liberale: l'autentica eguaglianza non
può essere realizzata in una società in cui vengano
negate libertà importanti o in cui i limiti giuridici alla
libertà siano giustificati in base a ragioni di ordine
religioso o morale.
4. L'eguaglianza politica
a) Eguaglianza orizzontale ed eguaglianza verticale
Ogni teoria che si proponga di definire l'eguaglianza politica,
individuando un criterio per misurare il potere politico e stabilire
in quali casi si possa parlare di eguaglianza, deve attuare una
comparazione sia orizzontale che verticale. Nel primo caso si
confronterà il potere di diversi privati o gruppi di privati
cittadini, nel secondo si confronterà il potere di questi
ultimi con quello degli individui che ricoprono cariche pubbliche.
Se l'eguaglianza politica è definibile in termini di
eguaglianza di potere politico, occorre tener presenti entrambe le
dimensioni. L'eguaglianza di potere a livello orizzontale non
è sufficiente a creare un'autentica democrazia. Nelle
dittature totalitarie i privati cittadini sono eguali sotto questo
riguardo in quanto nessuno ha alcun potere politico. Le false
democrazie in cui esiste un unico partito sono di solito assai
sollecite nel garantire a ogni cittadino il diritto di esprimere un
voto, ma l'unico voto possibile è per quel partito. Per
definire l'eguaglianza politica si rende quindi necessario ricorrere
anche alla dimensione verticale.
Sembra assurdo che in democrazie rappresentative quali quella
italiana o statunitense possa esistere un'autentica eguaglianza di
potere verticale. Come si potrebbero riformare le strutture e le
procedure politiche americane in modo da attribuire a ogni cittadino
maggiorenne lo stesso potere sulle scelte politiche della nazione
che ha un membro del Congresso appena eletto, per non parlare del
Presidente, senza distruggere lo stesso sistema di governo
rappresentativo? La concezione dell'eguaglianza politica come
eguaglianza di potere politico, quindi, sembra invischiata sin
dall'inizio in un dilemma: se insiste solo sull'eguaglianza
orizzontale, sull'eguaglianza tra i governati, i suoi requisiti
più essenziali potrebbero essere soddisfatti da dittature
palesemente antidemocratiche; se viceversa tiene conto anche
dell'eguaglianza verticale, allora è totalmente irrealistica.
b) Impatto e influenza
Il dilemma menzionato sopra va tenuto presente quando si cerca di
definire l'eguaglianza di potere. Occorre distinguere in proposito
due interpretazioni dell'eguaglianza: quella di impatto e quella di
influenza. La differenza intuitiva tra le due forme è la
seguente: l'impatto di un individuo nella sfera politica è
dato dall'incidenza che possono avere le scelte o i voti che egli
esprime direttamente; l'influenza, invece, è l'incidenza che
un individuo può avere non solo direttamente, ma anche
inducendo altre persone a pensare, a votare o a scegliere come lui.
Questa distinzione tra impatto e influenza politica suggerisce una
possibile soluzione al dilemma menzionato in precedenza.
L'eguaglianza verticale è ovviamente impossibile se viene
intesa in termini di eguaglianza di impatto. Un sistema
rappresentativo è necessariamente caratterizzato da notevoli
differenze di impatto in senso verticale, e tuttavia è
ragionevole aspirare all'eguaglianza verticale come ideale, se
l'eguaglianza in questione viene intesa in termini di influenza.
È addirittura possibile concepire un sistema pienamente
rappresentativo in cui sussista l'eguaglianza di influenza,
perlomeno nella misura in cui questa è misurabile con
precisione. Supponiamo che i governanti considerino loro dovere
votare come desidera la maggioranza di coloro che rappresentano;
supponiamo inoltre che le elezioni si tengano con sufficiente
frequenza, che sussista un buon livello di comunicazione tra
rappresentanti e rappresentati e che vi siano meccanismi di
destituzione abbastanza efficienti e poco costosi da assicurare che
i rappresentanti adempiano effettivamente tale dovere. In queste
circostanze verrebbe realizzata un'approssimativa eguaglianza di
influenza. Poiché il senatore X voterà a favore di una
riduzione delle tasse se e solo se riterrà che la maggioranza
dei suoi elettori sia favorevole a tale provvedimento, il fatto che
egli stesso preferisca una riduzione delle tasse non aumenta le
probabilità che egli voti a favore più di quanto le
aumenterebbe l'analoga preferenza di uno qualsiasi dei suoi
elettori.
Anche sul piano dell'eguaglianza orizzontale sarebbe del tutto
implausibile un'eguaglianza di potere concepita come eguaglianza di
impatto, ma per ragioni opposte: anziché essere un obiettivo
troppo arduo, è un obiettivo troppo poco significativo.
L'eguaglianza di impatto richiede che ogni cittadino abbia eguali
diritti di voto, e che il sistema elettorale si basi sul principio
'una testa, un voto'. Essa però non è in grado di
giustificare una delle nostre idee fondamentali relative alla
democrazia, ossia che essa richiede non solo il suffragio universale
ma anche la libertà di parola e di associazione nonché
altri diritti e libertà politiche. L'eguaglianza di impatto
nella sfera politica non viene inficiata se la censura nega a un
individuo il diritto di esprimere pubblicamente le proprie opinioni
concedendo ad altri lo stesso diritto, o se vi è qualcuno
abbastanza ricco da controllare un quotidiano e qualcun altro troppo
povero per comprarne anche solo una copia. Occorre quindi concepire
l'eguaglianza non semplicemente in termini di impatto, bensì
in termini di influenza se vogliamo anche solo cominciare a esporre
le ragioni per cui la censura costituisce una negazione
dell'eguaglianza del potere politico.
c) L'eguaglianza di influenza
L'eguaglianza di influenza è davvero un ideale attraente? Non
avremmo forse qualche esitazione nel favorire l'eguaglianza
verticale di influenza nel modo appena descritto, ossia facendo
sì che i rappresentanti agiscano come vorrebbe la maggioranza
dei loro elettori e adottando meccanismi elettorali che punirebbero
coloro che si comportassero diversamente? Vogliamo realmente
garantirci nella misura del possibile la loro obbedienza?
Storicamente si è affermata la tesi opposta, espressa da
Burke nel suo famoso discorso agli elettori di Bristol, in cui egli
rifiutava in linea di principio di votare secondo le preferenze dei
suoi elettori (anche se oggi sembrano ben pochi i politici disposti
a sostenere questa posizione).
L'eguaglianza di influenza può sembrare un ideale assai
più attraente nella dimensione orizzontale che non in quella
verticale, ma si tratta di un'apparenza ingannevole. La principale
attrattiva dell'eguaglianza orizzontale di influenza deriva dalla
convinzione che sia ingiusto che alcuni privati cittadini abbiano
maggior influenza politica di altri solo perché sono
più ricchi. Tale convinzione intuitiva può essere
interpretata in due modi diversi. Da un lato la si può
ritenere fondata sull'assunto che qualunque significativa
disparità di influenza tra i privati cittadini equivale a una
grave mancanza di eguaglianza politica. Dall'altro lato si
può evitare qualunque riferimento all'eguaglianza di
influenza come ideale generale affermando, ad esempio, che è
ingiusto che alcuni siano ricchi come Rockefeller perché
ciò viola i principi dell'eguaglianza distributiva; inoltre,
la sproporzionata influenza politica conferita dalla ricchezza ad
alcuni individui è una conseguenza particolarmente
deprecabile dell'ingiustizia in quanto consente a costoro, tra le
altre cose, di perpetuare e di moltiplicare gli altri ingiusti
vantaggi di cui godono.
Questi due modi di criticare l'influenza politica di un Rockefeller
sono naturalmente molto diversi tra loro. Il primo non bada alla
causa che determina le sproporzioni di influenza, ma assume solo che
l'influenza aggregata, qualunque sia la sua fonte, debba essere
eguale. Il secondo non considera l'influenza aggregata e condanna
l'influenza sproporzionata di Rockefeller solo sulla base della
particolare origine di tale influenza. Possiamo contrapporre le due
obiezioni immaginando un mondo in cui sia valida la prima ma non la
seconda. Supponiamo che gli obiettivi distributivi dell'eguaglianza
economica siano stati realizzati, ma che alcuni individui abbiano
ancora maggiore influenza politica di altri. Ciò può
accadere per tutta una serie di ragioni, ma considereremo solo quei
motivi che di per sé non sollevano problemi, in quanto
dobbiamo stabilire se l'ineguaglianza di influenza sia criticabile
in quanto tale. Alcuni, allora, potrebbero avere maggiore influenza
perché hanno deciso di investire nella campagna elettorale
una quota maggiore delle proprie ricchezze - inizialmente eguali a
quelle degli altri. Oppure possono aver investito di più
negli studi e nella formazione professionale, sicché gli
altri sono più inclini a consultarli o ad ascoltare i loro
consigli. Oppure ancora, possono aver condotto un'esistenza talmente
virtuosa o segnata dal successo che gli altri si fidano maggiormente
di loro, o sono più disposti a seguirli. La prima versione
dell'obiezione all'influenza sproporzionata di un Rockefeller si
applicherebbe in ogni caso anche a costoro. La maggior influenza
esercitata da individui politicamente motivati o competenti o
carismatici verrebbe considerata come una carenza
nell'organizzazione politica e si farebbe il possibile per ridurla o
eliminarla. La seconda versione dell'obiezione invece non sarebbe
valida, a meno che non si abbia qualche altra ragione, indipendente
dall'assunto che l'influenza politica debba essere eguale, per
rifiutare una situazione in cui alcuni individui siano più
motivati politicamente, più competenti o più
carismatici di altri.
Consideriamo l'opinione assai diffusa e del tutto giustificata
secondo la quale nella maggior parte delle società le donne
hanno troppo poco potere. Quanti sostengono questa tesi potrebbero
ritenere difettosa un'organizzazione sociale in cui la donna media
non abbia nella sfera pubblica la stessa influenza (misurata in base
a qualche criterio specificato) esercitata dall'uomo medio. Tuttavia
altri che condividono la stessa opinione potrebbero intendere
qualcosa di completamente diverso, ossia non che uomini e donne
dovrebbero avere in media, di diritto, la stessa influenza,
bensì che la minore influenza che attualmente hanno le donne
dipende da una combinazione di ingiustizia economica, pregiudizi e
altre forme di oppressione e di preconcetti, alcuni dei quali,
forse, sono così fondamentali da costituire parte integrante
della cultura della società. La differenza tra queste due
posizioni emerge nel modo più chiaro se si cerca di
immaginare una società in cui la discriminazione economica,
sociale e culturale delle donne sia stata abolita. Se in tale
società il potere medio dell'uomo e della donna continuasse a
essere diseguale - il che potrebbe verificarsi sia in un senso che
nell'altro - questo fatto, in sé, costituirebbe un difetto
nell'organizzazione sociale?
Una volta compreso che le nostre più serie preoccupazioni
relative all'ineguaglianza di potere politico possono essere
motivate senza far ricorso all'ideale dell'eguaglianza di influenza,
siamo in condizioni di stabilire se esista qualche ragione, oltre
l'intento di spiegare tali preoccupazioni, per accettare
quell'ideale. A mio avviso la risposta è negativa. Una
società egualitaria vuole che l'impegno politico dei suoi
cittadini scaturisca da un interesse comune e profondo per la
giustizia dei risultati, ossia per l'equità delle decisioni
distributive; essa li incoraggia a inorgoglirsi o a sentirsi
umiliati per i successi o gli insuccessi della comunità come
se fossero i propri, e mira a perseguire quell'obiettivo comune
dell'attività politica. L'ideale dell'eguaglianza di
influenza tuttavia si oppone a tale aspirazione. Quando gli uomini
desiderano più influenza di quella che hanno o ritengono di
non averne abbastanza, il loro interesse per la collettività
è mera finzione, perché di fatto essi continuano a
considerare il potere politico come una risorsa distinta
anziché come una responsabilità collettiva. Una
società egualitaria inoltre ha a cuore un'altra funzione
dell'attività politica, quella cioè di dare ai
cittadini la maggiore libertà possibile di estendere alla
sfera politica il proprio agire e le proprie esperienze morali. Ma
chi accetta l'eguaglianza di influenza come un limite politico non
può considerare la propria vita politica come un agire
morale, perché tale limite mina la premessa cardinale della
convinzione morale, ossia che solo la verità conta. Condurre
una campagna politica accettando limiti di influenza autoimposti non
sarebbe un agire come esseri morali ma soltanto un inutile e vuoto
cerimoniale.
d) Simbolismo e facoltà di agire
Dalle considerazioni fatte in precedenza occorre trarre delle
conclusioni forti. Né l'eguaglianza di impatto né
l'eguaglianza di influenza costituiscono interpretazioni adeguate
dell'idea più fondamentale di eguaglianza del potere
politico. Tuttavia non vi sono altre interpretazioni più
convincenti. Dobbiamo quindi abbandonare la concezione comune
dell'eguaglianza politica come eguaglianza di potere politico tra
tutti i cittadini. Quale alternative restano? Il concetto di
eguaglianza politica potrebbe essere ridefinito, anziché in
termini di potere ex ante sulle decisioni politiche, facendo invece
riferimento alla natura della procedura politica. L'eguaglianza
politica si avrebbe allora quando le procedure politiche si fondano
sull'assunto che gli individui hanno diritto a un eguale rispetto.
Ciò riguarda in parte il risultato della procedura politica
nonché la sua definizione. Se una struttura politica è
tale che, date le preferenze, gli egoismi, le alleanze e le
inimicizie degli individui, il semplice voto maggioritario
priverà sempre qualche gruppo delle risorse cui ha diritto,
allora in quella comunità una struttura politica puramente
maggioritaria non garantirebbe l'eguaglianza politica. Ma
l'eguaglianza politica non riguarda solo i risultati del processo
politico: una tirannia illuminata in cui un singolo governante
onnipotente distribuisca risorse e opportunità con perfetta
giustizia non realizzerebbe l'eguaglianza politica.
La procedura, così come il risultato, deve trattare gli
individui in modo eguale, e in una procedura egualitaria occorre
distinguere due elementi: il simbolismo e la facoltà di
agire. L'eguaglianza richiede che la distribuzione dei voti implichi
un'attestazione simbolica dell'eguale status di tutti i cittadini.
L'eguaglianza richiede inoltre che la politica dia a ciascuno
l'opportunità di fare dell'agire politico un'estensione
dell'agire morale. Il requisito del simbolismo stabilisce che le
decisioni politiche che suddividono la comunità globale in
collegi distribuendo i voti all'interno di ciascuno di essi non
debbano essere motivate dalla - e non possano essere interpretate
come conseguenze della - posizione di svantaggio di alcuni cittadini
o di privilegiamento di alcuni di essi rispetto ad altri. Ciò
fornisce un argomento prima facie convincente in favore di soluzioni
che garantiscano quella che abbiamo definito in precedenza
eguaglianza orizzontale di impatto nella comunità politica.
Ma a una considerazione più attenta questo si rivela un
argomento debole, perché la funzione simbolica consente delle
deroghe da tale principio, purché tali deroghe non incidano
negativamente sulla posizione o l'importanza di coloro che vedono
diminuito il loro potere d'impatto.La storia e le convenzioni hanno
un ruolo importante quando si applicano queste considerazioni sul
piano pratico. La storia di gran parte delle democrazie occidentali
rende intollerabile per tali società qualunque deviazione dal
principio di eguaglianza di impatto all'interno delle circoscrizioni
elettorali, ossia dall'eguaglianza del voto. Ma questa stessa storia
non attribuisce all'eguaglianza di impatto lo stesso ruolo simbolico
quando si tratta di stabilire le modalità di divisione di una
collettività in collegi elettorali minori. In parte il motivo
è ovvio: per ragioni pratiche le decisioni relative a tale
divisione possono dar luogo solo a un'eguaglianza d'impatto
approssimativa, in quanto esse non possono essere matematicamente
perfette e in ogni caso diventano obsolete nel corso delle
successive riorganizzazioni delle circoscrizioni. La storia di gran
parte delle democrazie occidentali inoltre offre esempi piuttosto
vistosi di decisioni di questo tipo in cui l'eguaglianza di impatto
è stata negata per ragioni che palesemente non avevano niente
a che fare con una minore considerazione per coloro il cui impatto
politico veniva in questo modo ridotto: si pensi al caso del Senato
negli Stati Uniti d'America.Il requisito della facoltà di
agire è assai più complesso. Sussiste un'ovvia
connessione tra questo requisito e la libertà di parola o le
altre libertà politiche. Non possiamo rendere la nostra vita
politica una estensione della nostra vita morale se non ci viene
garantita la libertà di esprimere le nostre opinioni nel modo
che riteniamo adeguato alla nostra integrità morale.
L'opportunità di attestare le nostre convinzioni è
altrettanto importante a tal fine quanto l'opportunità di
comunicarle ad altri; le due cose di fatto spesso si fondono.
Così come negare a qualcuno la facoltà di praticare il
culto conforme alla propria fede significa privarlo di una
componente fondamentale della vita religiosa, allo stesso modo
negare a qualcuno l'opportunità di attestare il proprio
impegno per la giustizia così come egli la intende non
significa semplicemente limitare la sua facoltà di azione
politica, bensì vanificarla.
Ma l'esigenza che venga riconosciuta la facoltà di agire non
si esaurisce nel riconoscimento della facoltà di espressione
e di impegno. Per impegnarsi nella politica come agenti morali
occorre avere la certezza che ciò che si fa non cade nel
vuoto, e una procedura politica adeguata deve lottare contro
ostacoli formidabili al fine di tutelare questa potenziale
capacità per tutti gli individui. In altre parole, il
processo politico deve assicurare a ogni cittadino un certo peso
politico. L'organizzazione dei collegi elettorali ha un suo ruolo in
questo senso, ed è importante a questo proposito rilevare la
differenza tra sistema mediato e sistema diretto o finale. Il
sistema collegiale è mediato quando le elezioni scelgono i
rappresentanti che esprimono collegialmente una singola decisione
che riguarda la comunità politica complessiva, come nel caso
delle elezioni a livello nazionale del Senato. Il sistema è
finale quando le elezioni decidono direttamente una qualche
questione che riguarda la giurisdizione circoscrizionale, come nel
caso dei referendum su questioni specifiche. Entrambi i sistemi
conferiscono peso politico ai singoli cittadini di un grande paese,
ma in modi diversi: il sistema mediato dà maggior peso ai
cittadini su importanti materie di rilevanza nazionale, e in questo
modo accresce la facoltà d'azione morale nell'ambito della
comunità nel suo complesso; nel sistema finale il cittadino
ha maggior peso politico su questioni di rilevanza relativamente
minore.
Ovviamente la divisione in collegi elettorali non è l'unico
mezzo che una procedura politica egualitaria può e deve
impiegare per conferire peso politico al cittadino. In collegi di
grandi dimensioni, o in collegi intermedi all'interno di grandi
nazioni, il peso del singolo voto è trascurabile. Così
lo scopo della politica di assicurare la possibilità di agire
può essere raggiunto solo garantendo a ognuno l'accesso a
media influenti, se lo desidera, o dando a ognuno un'eguale
opportunità di influenzare gli altri se è in
condizione di farlo. Questa, si potrebbe dire, è l'altra
faccia della libertà di espressione e di accesso, considerata
dal punto di vista della possibilità di azione. Nelle nostre
società caratterizzate dall'ineguaglianza la causa principale
dell'ineguaglianza di accesso è l'ineguaglianza di ricchezza.
Se la distribuzione delle risorse fosse più egualitaria,
aumenterebbe automaticamente il peso politico di ampi strati della
popolazione. Se però anche così l'industria dei media
consentisse l'accesso a un'audience politica solo a quanti investono
o lavorano in tale settore, l'obiettivo della democrazia di
garantire la facoltà di agire richiederebbe di assicurare o
fornire in qualche altro modo eguali possibilità di accesso a
tutti i cittadini.Sulla natura dell'eguaglianza si può trarre
un'importante conclusione generale. Se una comunità è
realmente egualitaria nel senso astratto discusso in precedenza - se
accetta il principio dell'eguale trattamento di tutti i suoi membri
- allora non può considerare l'impatto o l'influenza politica
come risorse da ripartire in base a qualche criterio di eguaglianza,
allo stesso modo in cui si ripartiscono le materie prime, la terra o
gli investimenti. In una società egualitaria la politica
è una questione di responsabilità, non un'altra forma
della ricchezza.
5. Perché l'eguaglianza?
L'ultimo problema relativo all'eguaglianza è di natura
esplicitamente normativa. Non viene più messo in questione,
almeno al livello della retorica e del ragionamento politico, il
fatto che il governo debba essere egualitario nel senso astratto,
perseguendo strutture e scelte politiche che garantiscano un eguale
trattamento di tutti i cittadini. Se possibile, però, si
dovrebbe cercare una qualche giustificazione politica o filosofica
più fondamentale di tale principio egualitario astratto, non
solo per una forma di responsabilità intellettuale, ma anche
perché individuare le radici dell'eguaglianza astratta in
altre idee ci aiuterà a definire quella particolare
concezione dell'eguaglianza economica e politica che costituisce la
migliore interpretazione dell'eguaglianza astratta.Le radici
dell'eguaglianza vanno cercate in una teoria più generale
della giustizia. Consideriamo per cominciare le conseguenze che
comporta per una teoria della giustizia la tesi platonica che, come
si è detto, è parte integrante dell'interpretazione
dell'eguaglianza economica come eguaglianza di risorse. In questa
interpretazione giustizia e benessere si fondono perché il
benessere di ogni individuo dipende tra le altre cose
dall'equità della distribuzione delle risorse. Ma se si
accetta la concezione platonica anche in questa sua forma più
debole, la maggior parte degli argomenti pro o contro le diverse
teorie della giustizia della filosofia politica contemporanea sono
irrilevanti.
Gli argomenti più autorevoli sul problema della giustizia
riguardano le conseguenze che le differenti teorie comportano per
gli interessi di diversi individui. Molti ad esempio ritengono che
un argomento assai solido sia quello secondo il quale un modello di
giustizia che consenta all'individuo di trattenere per sé
l'intero profitto di ciò che produce sia alla fine
nell'interesse di tutti, o quasi, perché le persone capaci
sarebbero incentivate a produrre di più. Questo tipo generale
di argomentazione però perde la sua validità una volta
che si accetta la tesi secondo la quale la giustizia è parte
integrante degli interessi delle persone.
Una teoria della giustizia infatti non può basarsi
sull'argomento che una società organizzata secondo i
principî di tale teoria avrà più risorse
aggregate; ciò infatti significa assumere che avere una
maggiore quantità di risorse sia effettivamente
nell'interesse di quanti di fatto beneficeranno di tali maggiori
risorse. Una maggiore ricchezza è effettivamente negli
interessi della maggioranza solo se il sistema che la rende
possibile è giusto. Senza dubbio un sistema economico giusto
produrrebbe maggiori risorse per tutti, ma chi accetta l'idea che
giustizia e benessere sono tutt'uno non può sostenere che un
sistema è giusto solo perché ha tali conseguenze, e
considererà queste ultime nell'interesse di tutti solo se
avrà qualche altra ragione per ritenere giusto il sistema che
le ha prodotte.Siamo abituati a considerare la giustizia in base al
modello conflittuale proposto dalle teorie del contratto sociale.
Secondo tale modello, gli individui divisi da interessi contrastanti
si rendono conto a un certo punto che è necessario arrivare a
un compromesso al fine di tutelare gli interessi superiori di
ciascuno: la convivenza pacifica, secondo Hobbes, o il diritto al
giusto rispetto reciproco, secondo Rawls, oppure la realizzazione
delle condizioni per la comunicazione reciproca cui aspira ogni
individuo. Questo modello induce a considerare il problema della
giustizia in una prospettiva particolare: la ragionevolezza delle
diverse ipotesi cioè viene giudicata sulla base di un
confronto tra l'estensione e la rilevanza dei diversi interessi che
in base a ciascuna di esse gli individui dovrebbero sacrificare o
abbandonare. Questo approccio a mio avviso è sostanzialmente
insoddisfacente, in quanto le nostre intuizioni sulla giustizia sono
già incorporate nelle nostre idee su ciò che è
ragionevole chiedere. Esso tuttavia può costituire un modo
appropriato di organizzare e sviluppare queste intuizioni:
giudichiamo giuste le istituzioni che sarebbero approvate da quanti
condividono le nostre opinioni su quali siano gli interessi
fondamentali e quali quelli marginali. Il concetto di eguaglianza
funziona abbastanza bene, anche se non necessariamente molto bene,
nelle filosofie politiche che procedono in questo modo. In via di
principio è irragionevole chiedere a chi parte già
svantaggiato di fare maggiori rinunzie, sicché tale approccio
ha un'impronta egualitaristica. In determinati casi però
l'insistenza sull'eguaglianza risulta irragionevole e dottrinaria,
ad esempio qualora un piccolo vantaggio per i poveri si possa
ottenere solo a prezzo di ingenti sacrifici per tutti gli altri.
Ma la concezione della giustizia come compromesso tra diversi
interessi, sulla quale si fonda questo approccio, non è
più utilizzabile una volta che si accetta la premessa della
teoria dell'eguaglianza delle risorse, ossia che la giustizia
è una componente del benessere. In che termini va concepita
allora la giustizia? Essa ha un ruolo dinamico nella vita di ogni
individuo eticamente consapevole: definisce quali risorse egli
può utilizzare e contribuisce così a definire il
compito etico rappresentato dal vivere. Se non si può
valutare la validità di una teoria della giustizia
chiedendosi se essa abbia conseguenze giuste per gli individui,
è possibile però valutarla in termini etici,
chiedendosi se essa sia in accordo con altre nostre convinzioni su
quale sia il modo giusto di vivere. In questa prospettiva il
carattere distintivo di tutte le teorie non egualitarie è il
seguente: esse sono accettabili dal punto di vista etico solo se
è giustificata la tesi secondo la quale la vita di alcune
persone è più importante di quella di altre, non sul
piano delle conseguenze, in ragione cioè dell'impatto che
esse possono avere sul mondo, ma esclusivamente in quanto
appartengono a una determinata categoria di persone. Vi sono sempre
state categorie di persone che hanno preteso di avere un'importanza
speciale in quanto discendenti dei Borboni, o appartenenti alla
razza bianca, o membri di un popolo eletto da Dio, oppure in quanto
persone di particolare lignaggio, o talento, o bellezza o persino
ricchezza. Tale pretesa però è in contrasto con la
nostra convinzione etica più profonda, secondo la quale
è importante il modo in cui si vive non in virtù di
particolari attributi o proprietà che alcuni possiedono e
altri no, bensì esclusivamente in quanto esseri umani. Per
gli individui eticamente consapevoli, vivere una vita degna comporta
- e in un certo senso comincia con - il tentativo di dare una
risposta al problema dell'identità personale, e tale
questione presuppone che il compito etico rappresentato dal vivere
sia più astratto e universale rispetto al compito etico
rappresentato dal vivere in un determinato ruolo, che non si tratta
di un compito ipotetico nel senso kantiano, indirizzato solo a chi
ha determinate caratteristiche o proprietà, bensì di
un compito categorico, che riguarda tutti gli uomini. Dovrei
scegliere un modello di vita conforme al fatto di essere un
aristocratico italiano, se lo fossi? È questo che definisce
la mia identità in senso etico? Oppure è il fatto di
essere cattolico, o microbiologo, o di avere una intonazione
perfetta? Quali di questi fatti e circostanze relativi al mio io
dovrei prendere come parametri nell'individuare un modello di vita
appropriato? Quali altri dovrei considerare come semplici
opportunità o limiti? Rispondiamo al problema
dell'identità in primo luogo e sostanzialmente come persone e
successivamente, poiché in quanto persone rispondiamo
inizialmente in un certo modo, come aristocratici, o cattolici o
individui dotati di un talento particolare.
Le teorie non egualitarie della giustizia quindi, la cui conseguenza
è che individui con caratteristiche particolari o in una
situazione particolare hanno a disposizione una maggiore
quantità di risorse, non possono essere accettate da persone
eticamente consapevoli, le quali quindi devono accettare
l'eguaglianza nel suo senso astratto. Mentre le teorie non
egualitarie si scontrano con le convinzioni etiche menzionate in
precedenza, una teoria egualitaria adeguata conferma tali
convinzioni e ne costituisce una logica conseguenza, conformandosi
all'austerità kantiana della nostra situazione etica.
Individuare l'origine dell'etica in qualcosa di più
contingente della natura umana significa oscurare e sminuire la
forza categorica dell'imperativo etico che impone di vivere
bene.L'argomentazione che ci ha portati a questa conclusione
presenta quindi una certa simmetria. Essa parte dall'idea che la
giustizia limita l'etica, e che se qualcuno conduce una vita meno
buona ciò è dovuto al fatto che le sue risorse sono
ingiustamente scarse. Ora abbiamo rovesciato il problema mostrando
come l'etica limiti la giustizia: una concezione della giustizia
deve essere adeguata alla nostra percezione del carattere e della
profondità del compito etico, e ciò induce a
considerare l'eguaglianza come la migliore teoria della giustizia.
Arrivati a questo punto, l'argomento vale in entrambe le direzioni,
perché il fatto che l'eguaglianza sia una teoria naturale
della giustizia a sua volta fa da sostegno all'idea dalla quale
siamo partiti, ossia che la giustizia sia un aspetto dell'etica. Un
sistema politico ed economico fondato sull'ineguaglianza offende
tutti gli individui, anche coloro che traggono vantaggio
dall'ingiustizia in termini di risorse, perché una struttura
comunitaria che assegna un valore ipotetico e superficiale al
compito etico rappresentato dal vivere nega l'autodefinizione
personale che è parte integrante della dignità umana.
L'interesse dell'individuo e l'eguaglianza politica sono alleati.
Hegel sosteneva che schiavi e padroni sono entrambi prigionieri:
l'eguaglianza apre le porte della prigione a entrambi. (V. anche
Costituzionalità delle leggi, controllo di; Costituzioni;
Giustizia).