Comportamento
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In generale, modo di comportarsi di un individuo, soprattutto in
determinate situazioni, nei rapporti con l’ambiente e con le persone
con cui è a contatto.
1. C. sociale
È il comportamento di un individuo all’interno di un contesto
sociale, nel quale si evidenziano l’orientamento dell’individuo
nella sua interazione con i membri appartenenti a quel contesto e il
ruolo ivi ricoperto. La formulazione espressa da G.C. Homans, che
tratta del c. sociale elementare, sottolinea il carattere ‘ordinario
quotidiano’ del c. sociale: esso implica che, se un individuo opera
in una certa maniera, viene ricompensato o punito da un’altra
persona e dunque vi è un calcolo dell’utilità o meno
di un certo modo di agire. Occorre comunque discernere fra il c.
sociale elementare, tendenzialmente identico in ogni contesto, e
quello istituzionale, che di solito muta nella misura in cui cambia
anche la cultura di riferimento. In pratica il c. elementare
è più universale, mentre quello istituzionale è
più particolaristico.
Alle origini delle analisi sociologiche sul c. sociale è da
annoverare il positivismo, con la sua attenzione alla realtà
concreta, ma anche il pragmatismo, con il suo interesse per le
conseguenze pratiche delle azioni. Un ruolo strategico ha avuto J.
Dewey, molto legato a W. James e anche a G.H. Mead. Questi parla
esplicitamente del c. sociale, nonché della mente come
costruzione sociale fondata proprio sulle relazioni sociali; inoltre
approfondisce la questione dell’altro generalizzato rappresentato
dall’insieme sociale con cui il sé interagisce. In base alle
riflessioni di James, Dewey e Mead, acquistano evidenza la
costruzione sociale dell’Io e il primato dell’azione come c.
sociale. Soprattutto l’interazionismo simbolico dà rilievo al
c. interindividuale inteso come azione reciproca resa manifesta
attraverso i segni, i simboli, quali elementi principali della
comunicazione interpersonale.
Secondo la teoria del piano di R. Harré e P.F. Secord l’uomo
è in grado di pianificare il suo c. sociale, calcolando di
volta in volta le sue convenienze, i suoi rischi e le sue
finalità di fondo. In questo approccio è evidente
l’influsso della psicologia cognitivista, che considera l’uomo un
soggetto dotato di forte consapevolezza critico-operativa.
2. C. collettivo
È ogni fenomeno di gruppo privo di organizzazione formale
(panico, mode, disordini di piazza, moti di rivolta ecc.) che emerge
in situazioni sociali problematiche, nelle quali le regole
tradizionali non costituiscono più una guida adeguata per la
condotta degli individui. Diversamente dal c. sociale, per N.J.
Smelser il c. collettivo è spontaneo, non strutturato, e
concerne un numero di persone che si trova a rispondere a una
contingenza incerta o minacciosa, al di fuori
dell’ordinarietà quotidiana che solitamente è in
prevalenza istituzionalizzata.
Nelle prospettive degli studiosi contemporanei, le variabili a monte
dei c. collettivi risultano cospicue: l’ideologia, le istituzioni,
le religioni, i fattori economici, le condizioni ambientali, il
retaggio storico-culturale, le innovazioni tecnologiche. Soprattutto
è ormai chiaro che esistono c. collettivi ricorrenti e altri
che hanno il segno dell’eccezionalità,
dell’imprevedibilità, della spontaneità.
Fra le diverse prospettive teoriche, classificate da E. Goode, la
teoria del contagio evidenzia la dimensione largamente uniforme dei
c. collettivi. L’esito condiviso prende forma per imitazione,
suggestione e influenza diffusa, favorite dall’anonimato e dalla
mancanza di controlli personalizzati. La teoria della convergenza,
invece, fa leva sulla predisposizione dei soggetti a inserirsi in un
certo c. collettivo in quanto già orientati positivamente
verso quella data condotta. Secondo la teoria della norma emergente,
proposta da R.H. Turner e L.M. Killian, il c. collettivo non
è una violazione delle norme esistenti ma piuttosto una
ridefinizione normativa di ciò che non sarebbe più
valido o parrebbe ambiguo in una situazione mutata. Per la teoria
del valore aggiunto, attribuibile soprattutto a Smelser, l’accento
è posto su alcune precondizioni collegate fra loro in stretta
sequenzialità, per cui se vi è soluzione di
continuità è probabile che il c. collettivo non si
verifichi.
Una forma aggiornata di studio del c. in termini utilitaristici
è rappresentata dalla teoria della scelta razionale di J.S.
Coleman, J. Rawls e altri. Secondo tale impostazione il c. va
analizzato in termini di ricavi possibili, calcolando rischi e
probabilità, costi e benefici, ed esprimendo preferenze
modificabili secondo convenienza. Si è dunque in una logica
interattiva di mercato, di economia utilitaristica. Infine è
da annoverare la prospettiva di mobilitazione delle risorse, la
quale sostiene la centralità della leadership come fattore
mobilitante di uno scontento da incanalare entro un c. collettivo,
facendo ricorso a mezzi quali il potere, il denaro, la comunicazione
di massa, le capacità organizzative ecc. Qui invero il
discorso vale più per i movimenti sociali che per i c.
collettivi; tuttavia alcuni aspetti possono essere ripresi in un
quadro d’assieme.
3. C. di massa
Considerazioni a parte riguardano i c. di massa. J. Lofland propone
una netta distinzione tra ‘folla’ e ‘massa’. La prima è data
da un gran numero di persone in contatto diretto fra loro. La
seconda riguarda un certo numero di persone non necessariamente
collegate fra loro da un rapporto di vicinanza, ma accomunate
dall’attenzione per uno stesso oggetto. La dimensione di massa
è favorita dalle nuove tecnologie di comunicazione che
rendono possibile l’utilizzazione di un medesimo prodotto-oggetto,
sia astratto sia concreto, quasi senza limiti territoriali, etnici,
linguistici. In genere, il fenomeno della massificazione è
considerato con accenti negativi. Va notato, tuttavia, che
l’esposizione all’ascolto, all’audiovisione televisiva e all’uso di
terminali video è soggetta a variazioni notevoli da contesto
a contesto, da soggetto a soggetto, da un’età all’altra.
Quanto appare informe o generico in realtà presenta al suo
interno delle potenzialità diversificate di risposte, che
possono modularsi fra il consenso quasi del tutto passivo e il
dissenso più risoluto.