Burocrazia
di Martin Albrow
www.treccani.it
Enciclopedia delle scienze sociali (1992)
Sommario: 1. Lineamenti generali del fenomeno. a) Definizioni
classiche. b) Concezioni moderne. 2. Origini della moderna teoria
della burocrazia. a) Hegel e lo Stato razionale. b) Marx e il
materialismo storico. c) Weber e il processo di razionalizzazione.
3. La scienza della burocrazia nel XX secolo. a) Αὐτοποίησις. b)
Studi empirici. c) Teoria e applicazione della razionalità.
4. Burocrazia e sistemi sociali. a) Socialismo. b) Capitalismo o
società industriale. c) Società postindustriale.
1. Lineamenti generali del fenomeno
a) Definizioni classiche
Affermare che la burocrazia è antica quanto la storia umana
significa soltanto fare della vuota retorica. Affermare invece che
essa è antica quanto la storiografia vuol dire asserire
qualcosa di molto più significativo. Quando Hegel giunse a
parlare della Cina durante il corso di lezioni che tenne
all'Università di Berlino negli anni a cavallo tra il 1820 e
il 1830, affermò che la storia aveva inizio con quell'Impero
perché esso per primo aveva elaborato una coerente
storiografia. Egli osservò che gli Europei erano stupiti per
l'attenzione che gli storici cinesi manifestavano verso i più
piccoli dettagli che caratterizzavano l'organizzazione dello Stato.
Questa costituiva tuttavia una caratteristica intrinseca della loro
storiografia, dal momento che gli storici avevano un ruolo ufficiale
di alto livello. L'imperatore della Cina era sempre accompagnato da
due ministri che registravano ogni sua parola, gesto o ordine, e le
loro annotazioni venivano quindi messe a disposizione degli storici
per la trascrizione ufficiale. L'osservazione di Hegel individuava
una connessione tra amministrazione statale e storiografia che non
è accidentale, in quanto entrambe rappresentano esempi di
principî razionali applicati a una società nel suo
complesso.
La burocrazia nasce dalla logica dell'organizzazione sociale su
larga scala. Essa ha dato origine - e contemporaneamente ne è
stata l'argomento - ad alcuni dei primi commenti documentari che ci
vengono dalle grandi società storiche. Essa nasce anche dal
potere, dal dominio di uno o di alcuni sopra i molti, dove quel
dominio richiede degli agenti, interpreti fedeli della
volontà del sovrano, che eseguano gli ordini, che traducano
in realtà le aspirazioni. I consigli ai governanti
costituiscono una delle principali fonti della nostra conoscenza
della burocrazia antica.
Il IV secolo a. C. fu un'epoca di grandi imperi e i loro sovrani
usufruirono dei consigli di uomini i cui scritti esercitano ancora
un'innegabile influenza ai giorni nostri. In Cina il filosofo
confuciano Mengzi ammoniva l'imperatore che era sua
responsabilità procurarsi funzionari dotati di qualità
appropriate. "Se l'amministrazione non è ben diretta, la
ricchezza non riuscirà a coprire le spese. Non è
appropriato criticare i funzionari o dare la colpa
all'amministrazione. Solo il grand'uomo può correggere
ciò che è errato nel cuore del sovrano" (v. Chai e
Chai, 1965, p. 122). In India Chanakya (noto anche come Cautilya)
offriva i propri consigli al primo signore di uno Stato indiano
unificato, al quale aveva prestato aiuto nell'impadronirsi del
potere. Cautilya è stato definito il Machiavelli indiano per
la sua incrollabile dedizione a uno scopo fondamentale, mantenere e
accrescere la potenza dello Stato. Anch'egli esaltò
l'importanza del carattere del sovrano e la sua influenza sul popolo
da lui governato, ma aggiunse che il sovrano doveva altresì
avere nozioni di scienza politica e doveva essere contornato da
esperti al suo servizio. "Governare è possibile solo se si ha
l'assistenza di altri. Una ruota da sola non si muove. Pertanto si
devono nominare dei ministri e i loro consigli devono essere tenuti
in considerazione" (v. Subramaniam, 1980, p. 49). Le massime di
Cautilya abbracciano argomenti assai eterogenei, tra i quali regole
per la selezione, metodi decisionali e di legittimazione,
principî di politica finanziaria e doveri dei funzionari.
Così come in Cina e in Grecia, l'istruzione veniva apprezzata
per un duplice ordine di motivi: forniva le qualifiche necessarie e,
cosa ancora più importante, produceva un certo tipo di
carattere - serio, ascetico, diligente, giudizioso, come si addice a
un funzionario devoto. "La disciplina e l'autocontrollo si
acquisiscono apprendendo le varie scienze sotto la guida autorevole
di maestri attenti" (v. Subramaniam, 1980, p. 171).
Cautilya prestò i propri servigi sotto un sovrano che
sconfisse le armate di Alessandro Magno, il quale aveva avuto come
proprio maestro Aristotele. Da ciò possiamo inferire che
forse l'insegnamento di Aristotele era meno adatto di quello di
Cautilya alla costruzione di imperi, poiché la sua Politica,
che gettava le basi della teoria democratica occidentale, era nata
dalla realtà della città-Stato greca, dove il potere
poteva essere esercitato da assemblee di maschi adulti liberi. Gli
Stati orientali, invece, erano abbastanza estesi e la direzione
collettiva della comunità era sufficientemente complessa da
richiedere l'impiego di funzionari per tradurre in pratica le
decisioni dell'assemblea. La grandezza di una comunità era un
fattore che Aristotele riteneva importante per decidere la struttura
amministrativa appropriata a uno Stato. Nella sua opera egli delinea
succintamente una teoria della suddivisione funzionale delle
attività, dove sostiene che nei piccoli Stati un unico
ufficiale potrebbe esercitare diverse funzioni in maniera
discontinua, mentre nei grandi Stati ogni incarico può
richiedere un funzionario distinto in servizio permanente.
Aristotele rilevò inoltre l'esistenza di un dilemma anche per
quanto concerne l'opportunità di istituire cariche in base
alla funzione o al luogo: è forse meglio utilizzare un
magistrato per mantenere l'ordine in una piazza di mercato con
giurisdizione su tutte le persone presenti, o sarebbe meglio averne
uno per ogni singola categoria della popolazione, ad esempio i
bambini, ovunque essi si trovino? Per quanto concerne le cariche, si
devono operare scelte basilari per stabilire chi ha il potere di
fare le nomine, chi ha i requisiti per essere nominato e quali
procedure si devono adottare.
Aristotele fornisce un'acuta descrizione delle necessità
pratiche della vita comunitaria della città-Stato greca che
impongono l'istituzione di magistrature per regolare i mercati,
sovraintendere ai contratti, mantenere l'ordine, intraprendere opere
pubbliche, amministrare le finanze. Alcuni di questi incarichi sono
universali, altri dipendono dal grado di prosperità, altri
ancora dal tipo di costituzione. In una democrazia l'assemblea
stessa richiederà che le si prestino dei servizi: deve essere
riunita, i suoi compiti devono essere regolati, le sue decisioni
devono essere tradotte in pratica. Ma, indipendentemente dalla forma
democratica, "nessuno Stato può mai esistere se mancano le
cariche assolutamente indispensabili; nessuno Stato governato
correttamente può esistere se mancano coloro che assicurano
ordine e buona organizzazione".
Quella che Aristotele presentava come una verità ovvia era
già stata intuita dal suo predecessore Platone, il quale,
tracciando nella Repubblica le linee essenziali di una
società perfetta, distingueva tra i reggitori, custodi dello
Stato, e gli ausiliari che facevano rispettare le loro decisioni.
Separati dalla terza classe della popolazione (commercianti,
artigiani, ecc.), gli ausiliari venivano istruiti fin dall'infanzia
a eseguire i loro compiti essenziali. Platone, come tutti gli
scrittori classici, ammetteva l'esistenza di una fondamentale
suddivisione all'interno dello Stato. Quale che fosse la fonte della
decisione e l'origine dell'autorità, l'esercizio del comando
richiedeva l'attività continua di persone alle quali veniva
demandato il compito di eseguire le istruzioni. Inoltre, la
precisione con cui tale attività veniva eseguita dipendeva da
un'educazione appropriata.
L'intelligenza teorica di un Mengzi, di un Cautilya o di un
Aristotele, applicata alla riflessione sugli interessi dello Stato
nel suo complesso, ha evidenziato e difeso la necessità di
un'educazione che prepari una parte della popolazione a perseguire
quei medesimi interessi sotto il governante in carica. L'insistenza
sulla necessità di tenere separata questa categoria di
persone, di fornirle un'educazione speciale, la convinzione stessa
che essa svolgesse compiti elevati rivelano già l'esistenza
di potenziali problemi intuiti perfino in quell'epoca. L'onnipotente
ministro, il funzionario oppressivo erano già noti. Confucio
aveva ammonito che nel caso in cui il potere dell'imperatore fosse
stato assunto da funzionari subordinati, difficilmente sarebbe
sopravvissuto per tre generazioni (v. Chai e Chai, 1965, p. 57). I
mezzi dell'amministrazione potevano sovvertire gli scopi stessi del
governo. Quando quei mezzi cominciarono a subire delle
trasformazioni nell'Europa moderna, l'antico problema del controllo
degli amministratori, invece di essere un problema per il governo o
per il sovrano, divenne il problema del governo stesso. I mezzi
dell'amministrazione furono addirittura identificati con il governo
stesso, e questo mutamento segna la nascita della burocrazia nel suo
significato moderno.
b) Concezioni moderne
Il problema del controllo fu sempre presente al governo imperiale
premoderno. Ciononostante, il sistema burocratico, una volta
istituito, fu straordinariamente durevole. Il problema fu infatti
spesso risolto ricostituendo il sistema che lo aveva generato. I
valori instillati nella burocrazia - ordine, obbedienza, senso di
superiorità rispetto alle persone comuni - potevano sempre
essere riattivati da un nuovo sovrano. Uno storico dell'Impero
bizantino osservò che tra il 395 e il 1453 d. C. solo 34
imperatori su 107 morirono di morte naturale e 65 furono deposti da
rivoluzioni. I funzionari della burocrazia civile "spesso traevano i
mezzi per resistere all'imperatore dalle cariche stesse attraverso
le quali lo servivano" (v. Diehl, 1923, p. 729). Ma questa unione
artificiale di popoli di più di venti nazionalità era
mantenuta in vita da una burocrazia ligia alla formula 'un sovrano,
una fede', e ogniqualvolta un imperatore veniva deposto il sistema
creava un sostituto.La stessa osservazione è stata fatta
riguardo al sistema della burocrazia imperiale cinese, che vanta la
più lunga storia tra le pubbliche amministrazioni di ogni
epoca. Per più di duemila anni fu in vigore un sistema nel
quale l'ideale raffinato dello studioso-gentiluomo confuciano,
saggio e giudizioso, predominava nei ranghi superiori del sistema
amministrativo facendo sì che i meri esperti rimanessero in
posizioni subordinate. La trasmissione di questi valori di
generazione in generazione attraverso l'educazione era appannaggio
di un ceto che, sebbene aperto al reclutamento dal basso, era dotato
di una forza collettiva che sopravvisse ai mutamenti di dinastia e
ai crolli dell'ordine sociale. Come nel caso dell'Impero bizantino,
questo fatto può essere espresso con un paradosso. Come
scrive un sociologo, "pare possibile che la straordinaria durata
della burocrazia cinese nella storia sia stata una conseguenza dei
medesimi fattori che la rendevano spesso inefficiente e incline a
periodici collassi" (v. Yang, 1959, p. 164).
Si può pertanto dire che qualcosa sia mutato nel mondo
moderno? È forse intervenuto qualche evento che ha alterato
questo quadro, interrompendo l'eterno ciclo di rinnovamento e
declino? La risposta è affermativa, ma datare questo
cambiamento è difficile quanto indicare l'anno preciso di
inizio della modernità. Modernità e burocrazia, come
le intendiamo oggi, sono infatti intimamente connesse. Esse sono
collegate nella serie di trasformazioni che hanno fatto uscire gli
imperi dai cicli di ascesa e declino e hanno dato origine al
processo noto un tempo come 'civilizzazione', poi semplicemente come
'progresso', e oggi descritto con il termine di Max Weber
'razionalizzazione'. Si tratta di un processo che ha visto il
perfezionamento di macchinari di ogni genere, dalla tecnologia
domestica ai sistemi governativi di informazione computerizzati, dai
programmi televisivi a diffusione mondiale all'apparecchio
stereofonico personale. Oggi è possibile vivere a Roma,
consultare lo schedario di una biblioteca di Palo Alto e investire a
Tokyo senza uscire dalla propria stanza. La razionalità
istituzionalizzata ha in sé connaturata una forza che ha
trasformato il mondo e, contemporaneamente, le relazioni tra le
persone. Questa trasformazione si è riverberata anche sul
linguaggio, determinando l'emergere di termini quali Stato, diritti
individuali, ideologia, sociologia, curve di indifferenza,
utilità marginale - e anche burocrazia.
Sebbene non sia corretto identificare l'inizio di una nuova epoca
con l'invenzione di una parola, l'apparizione del termine burocrazia
verso la metà del XVIII secolo fu tuttavia un sintomo di
profondi mutamenti. Non si trattava di un banale neologismo; esso
rifletteva in realtà l'effettivo bisogno di esprimere la
presa di coscienza di mutamenti che andavano al di là delle
previsioni precedenti. Il suo inventore fu un intellettuale di
chiara fama che prese parte anche alla vita pubblica, Vincent de
Gournay, che fu sia funzionario del governo francese con incarichi
nel commercio, sia scrittore di economia e traduttore di antichi
trattati dall'inglese in francese. Lo scopo principale da lui
perseguito fu rimuovere gli ostacoli al commercio e all'industria,
in particolare la regolamentazione e i monopoli governativi. Per
questi motivi fu considerato uno dei fondatori dell'economia
politica; egli inventò inoltre la celebre espressione laissez
faire, laissez passer.
Il filosofo barone von Grimm attribuisce a lui il primo uso del
termine burocrazia in uno scritto sulla libera esportazione dei
cereali: "Siamo ossessionati dall'idea del regolamento e i nostri
Masters of Requests rifiutano di capire che in un grande Stato vi
è una infinità di cose delle quali il governo non deve
preoccuparsi. Il defunto signor de Gournay [...] usava a volte dire:
'In Francia abbiamo una malattia che minaccia seriamente di mandarci
tutti in rovina; questa malattia si chiama bureaumania'. A volte
egli inventava una quarta e quinta forma di governo che chiamava
burocrazia". Un anno più tardi lo stesso autore scrive: "Il
vero spirito delle leggi è in Francia quella burocrazia della
quale il defunto signor de Gournay [...] usava lamentarsi tanto; qui
gli uffici, gli impiegati, i segretari, gli ispettori, gli
intendants non sono assunti per l'interesse pubblico, ma anzi
l'interesse pubblico pare sia stato inventato perché gli
uffici possano esistere" (v. Albrow, 1970; tr. it., p. 15).
L'invenzione di de Gournay fu un colpo di genio. "Burocrazia"
è il frutto dell'unione del termine greco ϰϱάτος, dominio, e
del termine francese bureau, che significa scrivania o ufficio, ed
esprime pertanto efficacemente il paradosso moderno per cui la
maestà del potere nella società emerge da un luogo
prosaico nel quale si esplica un lavoro abitudinario. Il termine
divenne poi di uso corrente. All'inizio del XIX secolo esso
compariva già nei vari dizionari delle lingue europee. Nel
Dizionario tecnico-etimologico-filosofico (Milano 1828), di M.A.
Marchi, la burocrazia veniva così definita: "Neologismo, per
indicar il poter de' Commessi nell'amministrazione de' pubblici
affari" (p. 138). Il nuovo termine, con la sua allusione diretta
alla classica teoria greca del governo, implica che nella storia
è avvenuto qualcosa che ha prodotto un mutamento qualitativo
ed è emersa una forma di governo realmente nuova. Ma i motivi
su cui si fonda questo convincimento non sono immediatamente
evidenti e richiedono un esame più approfondito.
Non è un caso che il termine burocrazia sia stato coniato in
Francia, la nazione che nel XVIII secolo occupava una posizione
preminente in Europa, con una ricchezza e una popolazione in
costante aumento, amministrata da una monarchia centralizzata e
circondata da intellettuali sempre più sicuri di sé.
Quello che era certamente il sistema costituzionale più
autocratico dell'epoca, inserito in quel contesto produsse di fatto
un corpo di funzionari relativamente autonomo. Il monarca in persona
ripiegò infatti su una vita di cerimonia fatta di etichetta e
pompa e pressoché priva di legami con le forze dinamiche
della società, quando non interveniva nella vita dello Stato
in maniera convulsa e imprevedibile. I requisiti tecnici del governo
erano divenuti troppo complessi perché il sovrano potesse
controllarli personalmente. Il governo attraverso i funzionari non
rappresentò dunque l'antica usurpazione di autorità da
parte di subordinati del tipo stigmatizzato da Confucio, nell'eterno
ciclo di usurpazione e restaurazione, bensì la totale
abdicazione dell'autorità personale di fronte al funzionario
illuminato ed esperto, che fondava la propria legittimazione sulla
razionalità. Le regolamentazioni più fastidiose
apparvero allora come necessità del governo, atte a stabilire
singolarmente o collettivamente appropriati codici di comportamento
e di amministrazione. Ogni intervento personale sfociava
necessariamente in accuse di corruzione e di ingerenza
irragionevole.
La burocrazia non era pertanto un problema di cattivo governo, era
un nuovo tipo di governo, nel quale la fonte dell'autorità
veniva trasferita unicamente in forze impersonali incarnate nei
funzionari. Ovviamente l'esperienza di questo tipo di governo non
poteva che essere frustrante per il singolo cittadino. Da una parte
il governo appariva come un labirinto di regole opprimenti che
necessitava di riforme, dall'altra ogni tentativo di intervenire in
questo sistema sarebbe apparso come una irragionevole, disonesta,
illegittima ingerenza personale. Non è ancora una volta un
caso che questo termine sia emerso contemporaneamente allo sviluppo
dell'economia politica, una scienza che individua leggi che
trascendono il controllo individuale: come nel caso della
burocrazia, la forza trainante era costituita da fattori
impersonali. Da una tale situazione di frustrazione potevano nascere
delle rivoluzioni.
La Rivoluzione francese non offrì di per sé alcun
rimedio alla burocrazia. Anzi, insistendo sulla ragione come unico
principio di governo appropriato, diede ulteriore slancio allo
sviluppo dell'apparato amministrativo, tanto che nel XIX secolo si
fece sempre più strada e fu poi universalmente accettata la
tesi secondo cui la Rivoluzione aveva dato un impulso enorme alla
burocrazia. Honoré de Balzac nel romanzo Les employés
(1836) affermò chiaramente che lo Stato o la Patrie avevano
preso il posto del sovrano, e mentre Napoleone aveva frenato
l'influenza della burocrazia, essa era stata organizzata in modo
definitivo sotto il governo costituzionale. Frédéric
Le Play, uno dei grandi scienziati sociali del XIX secolo, riteneva
che la burocrazia avesse ricevuto la sua organizzazione precisa
nell'epoca posteriore alla Rivoluzione e fornì un'incisiva
analisi del problema: "Il male che sto evidenziando è
rappresentato dall'organizzazione amministrativa, nella capitale e
nel resto del paese, che concentra una parvenza di autorità
in alti ufficiali tenuti a rendere conto al sovrano, ma che in
pratica la polverizza fra gruppi di impiegati negli uffici. Costoro
non vengono mai considerati personalmente responsabili verso il
pubblico degli atti che hanno in realtà ordinato. Ne consegue
che, in netto contrasto con il principio fondamentale
dell'amministrazione britannica, costoro godono di un effettivo
potere privo però di responsabilità" (v. Le Play,
1864, p. 237).
Le Play proseguiva spiegando il motivo per cui egli riteneva che la
parola burocrazia appartenesse alla scienza sociale sebbene fosse
stata coniata da una letteratura frivola. Essa era usata dagli
economisti tedeschi, era stata accettata dall'Académie
Française nel suo dizionario, e in ogni caso egli stesso se
non avesse utilizzato questo termine avrebbe dovuto inventarne uno
nuovo. Le Play non aveva dubbi sul fatto che questa parola indicasse
un effettivo tipo di governo che suscitava seri motivi di
preoccupazione. Esso presentava senza dubbio dei vantaggi: la sua
impersonalità impediva il sorgere di invidie e inoltre aveva
dimostrato di essere l'unica istituzione permanente della
società francese dall'epoca della Rivoluzione. Ma questo
risultato era stato raggiunto a caro prezzo. La burocrazia si
emancipava dal controllo politico accrescendo la complessità
dell'amministrazione e persuadendo gli altri della necessità
di creare nuovi dipartimenti e uffici, perdeva di vista l'individuo,
riduceva al minimo lo sforzo personale e alterava il sistema
educativo favorendo gli esami formali. Il rimedio consisteva nel
rendere i funzionari personalmente responsabili di fronte alla
legge, come in Inghilterra, e nello stimolare ogni forma di
autogoverno nelle corporazioni e nelle società (ibid., pp.
236-265).
I richiami di Le Play all'autogoverno britannico e agli economisti
tedeschi rappresentano importanti aspetti della concezione
ottocentesca della burocrazia e soffermandoci su di essi potremo
completare la nostra introduzione alle linee generali del problema.
Sia a livello di autocomprensione sia nell'opinione degli studiosi
europei, l'Inghilterra si distingueva per la sua resistenza alla
tendenza dominante verso il governo burocratico. L'affermazione
secondo cui gli Inglesi praticavano l'autogoverno a livello locale e
l'idea che il Parlamento britannico rappresentasse una vera difesa
contro la crescita della burocrazia divennero dei luoghi comuni nei
commenti dell'epoca. Ovviamente si poteva anche giudicare
l'Inghilterra il regno del dilettantismo e del feudalesimo, ma in
ogni caso la burocrazia era ritenuta essenzialmente non inglese, e
se qualcuno parlava del sistema di governo 'continentale' era
evidente che con questa espressione intendeva riferirsi alla
burocrazia. Queste considerazioni indussero il maggior filosofo
politico britannico della seconda metà del XIX secolo, John
Stuart Mill, ad affermare che esistevano essenzialmente soltanto due
tipi di governo di competenti - le burocrazie e le democrazie -
poiché quei governi che andavano sotto il nome di monarchie o
aristocrazie, se dimostravano una notevole forza intellettuale e
capacità nell'eseguire i propri compiti, erano in
realtà burocrazie "nelle mani di amministratori di
professione, cosa che costituisce l'essenza e il significato della
burocrazia" (v. Mill, 1861, p. 113).
La classificazione dicotomica delle forme di governo proposta da
John Stuart Mill era in netto contrasto con le classiche
formulazioni greche e aprì la strada a un nuovo tipo di
scienza politica comportamentista, attenta più allo
estrinsecarsi effettivo del potere che alla forma costituzionale.
Un importante contributo venne da Gaetano Mosca, che nel 1895
pubblicò la sua prima importante opera, Elementi di scienza
politica, che divenne presto un classico. Egli individuò
l'elemento determinante per classificare i governi nel possesso del
potere, sostenne che tutte le società erano divise in due
classi, governanti e governati, e concluse che c'erano solo due tipi
di governo, quello feudale, dove i membri della classe dirigente
potevano ciascuno singolarmente esercitare qualunque funzione di
governo, e quello burocratico, dove queste funzioni erano suddivise
tra settori della classe dirigente. I funzionari salariati erano uno
di questi settori e davano il nome a questo tipo di Stato. La classe
dirigente di Mosca, la 'classe politica', non era monolitica e lo
studioso italiano dedicò ampio spazio all'identificazione di
possibili controlli rappresentativi. Il pensiero di Mosca ebbe
un'effettiva influenza e precorse la scienza politica americana del
XX secolo, che ha messo l'accento sulle basi reali del potere in una
democrazia pluralista. La burocrazia divenne così,
nell'esposizione di Mosca, la caratteristica distintiva del tipo di
governo moderno.
Toccò all'altro paese cui alludeva Le Play, alla Germania, e
più specificamente alla Prussia, aggiungere il tratto finale
alla moderna concettualizzazione della burocrazia. Fu infatti la
cultura tedesca a fornire per prima un fondamento intellettuale alla
pratica amministrativa dello Stato moderno. Gli Stati tedeschi del
XVIII secolo, e in particolare la Prussia, operavano come autocrazie
centralizzate assistite da funzionari forniti di cultura giuridica,
i quali lavoravano in collegia o organismi consultivi, fornivano
consigli ed esercitavano particolari funzioni di governo. Tuttavia
il sistema collegiale non rispondeva alle necessità di
decisioni rapide e di formulazioni chiare e non ambigue. Era poco
pratico quando si trattava di redigere documenti e gli individui
potevano nascondersi dietro la responsabilità collettiva.
Sotto l'impatto dell'esempio napoleonico e delle nuove richieste
avanzate al governo, la Prussia e altri Stati tedeschi posero mano a
riforme che istituivano il sistema unitario o di bureau, nel quale
la responsabilità veniva attribuita a un singolo funzionario
tenuto a rendere conto a un superiore ben preciso. La gerarchia di
cariche che ne scaturì fu spesso considerata l'essenza della
burocrazia, che in questo senso non indicava pertanto un nuovo tipo
di governo: gli autori tedeschi difendevano spesso questo sistema
amministrativo, atto a garantire responsabilità ed
efficienza, dalle generiche proteste contro i funzionari considerati
come classe, casta o gruppo di interesse. Si trattava dopo tutto di
un sistema che poteva essere analizzato e insegnato sotto forma di
scienza amministrativa e gli studiosi tedeschi si vantavano di aver
fondato lo studio sistematico dell'amministrazione. Tuttavia quegli
stessi richiami a una scienza razionale rivelavano l'impronta della
burocrazia così come era stata concepita da de Gournay e dai
suoi successori, ovvero la trasformazione del governo attraverso
persone in governo attraverso funzionari impersonali. Si faceva
sempre appello alla razionalità, si trattasse di
principî o di teorie. Fu questa più profonda
trasformazione che divenne oggetto di indagine da parte dei maggiori
pensatori del mondo moderno. Il problema generale della burocrazia
come tipo di governo si era così intrecciato alla filosofia
della storia.
2. Origini della moderna teoria della burocrazia
Il moderno concetto di burocrazia è sorto dal razionalismo e
dallo sviluppo dello Stato che caratterizzarono l'Europa nel XVIII
secolo. Fu in quest'epoca che i popoli d'Europa - i quali si
confrontavano con la propria storia e con le civiltà di altri
continenti con le quali erano venuti in contatto attraverso le
proprie imprese commerciali e coloniali - acquisirono la profonda
convinzione di essere dotati di una superiore razionalità.
Questa consapevolezza trovò poi espressione sia in dottrine,
come quella dei diritti dell'uomo, sia in un nuovo tipo di
storiografia che cercava di comprendere la natura delle grandi
trasformazioni, la più cospicua delle quali era stata la
Rivoluzione francese. In questo nuovo genere di storiografia,
all'inizio del XIX secolo, acquisì un ruolo dominante Hegel,
professore di filosofia nell'Università di Berlino, capitale
intellettuale del nascente Stato prussiano. Fu infatti Hegel a unire
l'astratta filosofia idealistica di Kant con un interesse diretto
per lo Stato e per la società e a creare così una
dottrina che avrebbe avuto un'enorme influenza su tutta una
generazione di funzionari pubblici tedeschi. Egli elaborò una
concezione sottoposta poi a critica da Marx, con conseguenze di
enorme importanza per il resto dell'umanità fino ai giorni
nostri. La posizione di Marx fu poi respinta da Max Weber, il
fondatore dei moderni studi sulla burocrazia. Il problema della
burocrazia ha quindi trovato posto nelle teorie sociali di maggiore
portata della nostra epoca e non è confinato in una ristretta
branca specialistica di una disciplina accademica, bensì fa
parte dell'autocoscienza ideologica del mondo moderno e occupa in
eguale misura i pensieri della gente comune, di politici, funzionari
statali e scienziati sociali. Il modo migliore per comprendere
pienamente la pregnanza concettuale di questo termine consiste nel
considerare brevemente le concezioni di Hegel, Marx e Weber,
ciascuno dei quali cercava di collocare la propria comprensione
della burocrazia all'interno di un'immagine complessiva del
progresso umano.
a) Hegel e lo Stato razionale
Nel pensiero del grande predecessore di Hegel, Kant, la ragione
diveniva non solo il tema centrale della filosofia, ma anche la
verità eterna e divina e il fondamento trascendentale della
personalità umana. Le categorie del pensiero, quali la
sostanza e la causalità, e le forme dell'esperienza, quali lo
spazio e il tempo, fornivano all'azione umana una cornice metafisica
all'interno della quale il perseguimento del dovere rappresentava il
bene supremo. La ragione kantiana forniva il fondamento ultimo alla
coscienza individuale, e con esso anche la possibilità di un
distacco critico dalle istituzioni esistenti. Le lezioni berlinesi
di Hegel negli anni venti, successive al riassetto europeo dopo le
guerre napoleoniche, tentavano di collocare la ragione non nella
coscienza individuale bensì nel sistema statale esistente. La
ragione era un principio discernibile nel mondo reale e la
filosofia, lungi dal delineare un ideale del dover essere, aveva
unicamente il compito di procedere a individuare la ragione o l'idea
nella storia così come essa si svelava. Era pertanto
possibile scrivere la storia, dalle più antiche testimonianze
dei Cinesi fino alla forma finale di vita sociale organizzata
rappresentata dallo Stato prussiano, sotto forma di sviluppo della
ragione. L'evoluzione dello Stato costituiva il tema centrale
dell'esposizione hegeliana della storia umana. Esso possedeva una
razionalità che trascendeva l'unità della famiglia e
l'interdipendenza dei bisogni della società civile; forniva
la costituzione, che rappresentava il fondamento della
moralità, e la legge, che costituiva la base della
libertà individuale. La libertà, lungi dall'essere
posseduta per natura dagli esseri umani, era creata solo dallo
Stato, e soltanto nell'attività organizzata dello Stato
inteso come entità unica era possibile raggiungere la
realizzazione individuale. In questa analisi Hegel postulò
una divisione tra potere legislativo, esecutivo e corona,
poiché la monarchia costituzionale rappresentava il
compimento finale del processo da lui delineato. All'esecutivo era
affidata la realizzazione delle decisioni del monarca e il
mantenimento delle leggi e dei regolamenti. Questo comportava
suddivisione del lavoro, specializzazione settoriale in
dipartimenti, assegnazione dell'incarico in base all'abilità
e conferma subordinata all'adempimento dei propri doveri, un sistema
gerarchico di responsabilità e un'educazione che avesse di
mira sia la condotta giusta sia l'istruzione tecnica. I funzionari
statali di Hegel costituivano la parte più numerosa di quella
classe media all'interno della quale egli situava l'intelligenza
compiuta della massa della popolazione (v. Hegel, 1821).
Non si era mai avuta una concezione così elevata del ruolo
del pubblico ufficiale come quella avanzata da Hegel. Nella sua
teoria lo Stato incarnava l'universalità, le sue istituzioni
erano l'espressione della volontà razionale, e la coscienza
particolare del cittadino era innalzata a razionalità pura
attraverso la partecipazione allo Stato. Gli interessi delle
persone, collettivamente e singolarmente, erano uniti nello Stato e
il potere esecutivo dello Stato proteggeva e realizzava questa
universalità. La dottrina hegeliana sottolineava in
particolare le qualità razionali dell'esecutivo ed esercitava
una particolare attrattiva su un ceto istruito in legge e in
filosofia, che poteva persuadersi di avere un accesso privilegiato
ai principî sui quali si fondava lo Stato e una migliore
comprensione di essi. Hegel non esitò pertanto a definire i
suoi funzionari statali (e anche l'esercito e la polizia) classe
universale, poiché la loro attività aveva come scopo
l'universale e, dal momento che questo non poteva essere confuso con
le necessità private, egli sostenne che lo Stato doveva
garantire la sicurezza e il soddisfacimento delle esigenze vitali
dei propri funzionari. Il lavoro poteva apparire simile a quello di
coloro che lavoravano per le corporazioni - o gruppi di persone
caratterizzate da una specifica abilità che esercitavano un
mestiere per trarne sostentamento - commerciali, professionali o
municipali. Ma il perseguimento dell'interesse universale poneva il
funzionario statale in una posizione assolutamente superiore. La
burocrazia non era pertanto fondata principalmente sul necessario
possesso di una tecnica: era il governo del principio razionale;
Hegel tuttavia non usò mai questo termine, sebbene fosse
già corrente, probabilmente per timore che esso sminuisse
l'autorità della monarchia. Egli volle indagare soprattutto
la razionalità dello Stato. Distacco critico o alternative
alla razionalità statuale erano totalmente estranei al suo
scopo, in quanto per un decennio egli fu virtualmente nella
posizione di portavoce ufficiale del sistema statale prussiano.
b) Marx e il materialismo storico
L'opposizione di Marx a Hegel si manifesta come un rifiuto puntuale
e di principio dell'orientamento generale di pensiero dell'uomo le
cui idee dominavano ancora l'università quando Marx
iniziò a frequentarla nel 1836, cinque anni dopo la morte di
Hegel. Pertanto, se l'opera hegeliana rappresentava il più
sofisticato panegirico dei funzionari statali, Marx, che definiva la
propria posizione in contrapposizione con l'ortodossia dominante
della propria epoca, elaborò una critica radicale che
rivelava la vera natura del sistema difeso da Hegel. Uno dei
più importanti progetti che egli si era proposto consisteva
nell'analisi minuziosa della teoria dello Stato di Hegel, progetto
che si trasformò in una ricerca preliminare anticipatrice di
idee rivoluzionarie, proprio quando Marx si accingeva ad abbandonare
la Germania per recarsi a Parigi, nel 1843. Il metodo seguito da
Marx consisteva nello smontare l'opera di Hegel paragrafo per
paragrafo: ne risultò così una serie di annotazioni
critiche che anticipano sotto molti aspetti la successiva
ostilità verso la burocrazia così come si è
manifestata fino ai giorni nostri; ed è un fatto
sorprendente, perché il saggio non fu pubblicato che nel
1927. Marx mise in discussione la concezione hegeliana secondo cui
lo Stato trascende le personalità particolari. Egli
affermò che lo Stato era sostenuto da persone reali, nelle
loro determinazioni sociali, e che le sue funzioni dipendevano da
tali determinazioni sociali. Lo Stato per Marx era tuttavia
un'astrazione creata da persone reali, una forma della loro
attività, ma una forma che si accordava effettivamente con la
sostanza solo nella democrazia. In quanto forma contrapposta al
popolo era una creazione moderna. Gli Stati premoderni
rappresentavano un confronto diretto tra interessi materiali; lo
Stato moderno invece metteva il popolo di fronte a una costituzione,
permettendo agli interessi privati di sussistere autonomamente. Nel
mondo moderno si era così assistito alla formazione di uno
Stato separato, ovvero di una sfera politica separata dalla sfera
sociale. Questo processo era stato portato a compimento dalla
Rivoluzione francese, che aveva dissolto gli antichi ceti nei quali
potere politico e posizione sociale coincidevano. Nella nuova
società esisteva soltanto un ceto in quel senso, la
burocrazia, che rappresentava un immaginario interesse generale.
In ogni controversia, per quanto aspra e radicale, deve sempre
esistere un livello in cui le due parti contendenti concordano su
alcune assunzioni di base. Questo vale anche quando una delle due
parti non è più in vita, perché chi rimane si
muove ancora all'interno dell'orizzonte problematico elaborato da
chi è scomparso. È questo il caso di Hegel e Marx.
Entrambi ritenevano che lo Stato moderno rappresentasse un mutamento
qualitativo verso un nuovo tipo di società, ed entrambi
concordavano nel giudicare la Rivoluzione francese il punto
culminante di questa transizione. Nell'opinione di Hegel lo Stato
prussiano, emancipatosi dal giogo napoleonico, metteva in evidenza
le caratteristiche migliori della razionalità che aveva
pervaso la Rivoluzione in Francia. Gli obblighi feudali erano
scomparsi, la libertà individuale e il diritto alla
proprietà erano riconosciuti e le cariche dello Stato erano
aperte a tutti. Il monarca presentava la propria decisione personale
al vertice del governo: il carattere del sovrano aveva
effettivamente una propria incidenza, ma il governo era
essenzialmente la realizzazione della libertà oggettiva e
della volontà razionale, possedeva leggi chiare e fisse e una
stabile organizzazione che non lasciava spazio ad arbitrî. Il
governo spettava al ceto dei funzionari e - ammesso che questo fosse
composto di persone dotate di competenza professionale, esperienza e
volontà fondata su sani principî morali - forniva tutte
le condizioni perché i cittadini nel loro complesso
realizzassero la propria libertà soggettiva. La forza dello
Stato dipendeva dalla ragione insita in esso.
Lo Stato moderno inoltre sosteneva la famiglia e la società
civile, dalle quali traeva origine e nelle quali era sempre esistito
in potenza, ma la modernità significava che lo Stato era
giunto a un'esistenza piena, esplicita e riconosciuta.
'Società civile' era un termine carico di significato nel
pensiero di Hegel. Elaborato soprattutto dagli studiosi di economia
politica, si riferiva fondamentalmente alla sfera nella quale gli
essere umani si scambiano beni e servizi per il proprio personale
vantaggio e inoltre organizzano il proprio lavoro e la propria
iniziativa per scopi comuni. Era la sfera del mercato e delle
organizzazioni di mutuo vantaggio, o corporazioni. Non era priva di
regole, ma le regolamentazioni esistenti, quali la presenza di
tribunali commerciali e della polizia, avevano lo scopo di
permettere il perseguimento dell'interesse individuale, che si
estendeva financo al sistema educativo. La ricerca dell'interesse
individuale, sebbene sfociasse in una complessa rete di rapporti di
mutua dipendenza, creava però profonde divisioni tra gruppi
con necessità, mezzi o tipi di lavoro simili, che Hegel
riconosceva come divisioni di classe. Le più profonde erano
quelle tra agricoltura, mondo dell'industria e funzionari, classi
rappresentate politicamente nello Stato, le prime due come ceti
all'interno del legislativo e la terza sotto forma di esecutivo. Il
mondo dell'industria, organizzato attorno a corporazioni, eleggeva
dei funzionari tratti da quelle stesse corporazioni per essere
rappresentato nella seconda camera. E questi funzionari avrebbero
avuto un'educazione ed esperienze simili a quelle di molti dei
funzionari statali che componevano l'esecutivo.La descrizione
hegeliana della relazione tra società civile e Stato e l'aver
individuato nella razionalità il principio fondamentale della
modernità, realizzato specialmente all'interno del contesto
tedesco, suscitarono la reazione di Marx, e dettero origine ad
alcuni dei suoi presupposti teorici.
Per Marx era assiomatico il fatto che la ricerca dell'interesse
materiale producesse divisioni di classe ed egli considerava come un
fatto assodato l'idea che la Rivoluzione francese avesse infine
eliminato gli ostacoli che impedivano il sorgere dello Stato
moderno. Egli riteneva inoltre essenziale esaminare attentamente i
legami esistenti tra funzionari statali e società civile:
nelle differenze tra la sua trattazione e quella di Hegel è
possibile ritrovare la maggior parte delle argomentazioni da allora
spesso presenti in ogni analisi della burocrazia. Marx riconobbe che
l'esposizione di Hegel aveva un fondamento empirico; si trattava di
poco più di una ripetizione del diritto consuetudinario
prussiano, ma, egli aggiunse, utilizzando un termine divenuto da
allora di uso corrente, l''esecutivo' descritto da Hegel non era
altro che la burocrazia. Marx inoltre condivideva la tesi di Hegel
secondo cui si definiva meglio la burocrazia se la si metteva in
relazione con la società civile e le corporazioni.
Nell'opinione di Hegel le corporazioni di ogni genere - commerciali,
professionali, municipali - attraverso i propri funzionari,
direttori e amministratori, perseguivano interessi particolari che
dovevano essere subordinati all'interesse universale dello Stato. Ma
quegli stessi interessi costituivano gli interessi comuni delle
parti nelle organizzazioni, e l'esperienza della ricerca di un
interesse comune le rendeva consapevoli del contesto universale
incarnato nello Stato. Così la coscienza corporativa si
avvicinava allo spirito dell'universale. Lo Stato, a sua volta,
aveva un interesse così vivo nei confronti delle corporazioni
che i funzionari di queste dovevano far ratificare le proprie
cariche dallo Stato stesso.
Marx condivideva pienamente il giudizio hegeliano sulla stretta
relazione esistente tra burocrazia e organizzazione economica e ne
fece uno degli assi portanti della descrizione dello Stato della sua
epoca; questo gli fornì anche l'opportunità di esporre
in maniera particolarmente elaborata le contraddizioni implicite in
tale connessione. Certo, la separazione dello Stato dalla
società civile, o degli interessi particolari da quello
generale, era il fondamento della burocrazia. Inoltre, dal momento
che l''essenza' delle corporazioni era data dalla gerarchia, dalla
divisione del lavoro, dal formalismo nella sfera economica, questi
elementi costituivano il presupposto della burocrazia, che non aveva
un effettivo contenuto proprio. In un vigoroso brano il giovane Marx
fornì la propria versione della realtà della
situazione: "Le corporazioni sono il materialismo della burocrazia e
la burocrazia è lo spiritualismo delle corporazioni. La
corporazione è la burocrazia della società civile; la
burocrazia è la corporazione dello Stato. Nella realtà
delle cose, pertanto, la burocrazia in quanto 'società civile
dello Stato' si pone di fronte allo 'Stato della società
civile', le corporazioni. Ovunque la burocrazia costituisca un nuovo
principio, ovunque l'interesse generale dello Stato inizi a essere
qualcosa di 'distinto e separato' e quindi un interesse 'reale', la
burocrazia è in conflitto con le corporazioni, così
come ogni conseguenza combatte l'esistenza delle proprie premesse.
D'altra parte, quando lo Stato perviene effettivamente all'esistenza
e la società civile si affranca dalle corporazioni attraverso
il proprio impulso razionale, la burocrazia tenta di ripristinarle.
La caduta dello 'Stato della società civile' procede infatti
di pari passo con la caduta della 'società civile dello
Stato'. Lo spiritualismo scompare assieme al materialismo che gli si
contrapponeva" (v. Marx, 1927). Questo brano presenta due
caratteristiche importanti. Vediamo anzitutto Marx esporre la
propria concezione materialistica della storia in uno stadio ancora
iniziale. Egli parla qui di 'spiritualismo', contrapposto al
materialismo. L''essenza' della corporazione è costituita da
uno stile, da usanze, da principî, da modi di fare le cose, ma
questa essenza è l'aspetto esteriore dell'interesse reale.
D'altra parte, i funzionari stessi, essendo pagati per agire proprio
su tale base, acquisiscono collettivamente un'identità che fa
loro ricercare lo stesso interesse materiale come se fossero una
corporazione.
La seconda caratteristica da notare è la chiarezza con cui
Marx sottolinea che, se si fa riferimento alla tecnica
amministrativa, si deve allora ammettere che anche il mondo
economico è burocratico. È vero che anche Hegel giunge
a una conclusione simile quando fa riferimento alla divisione del
lavoro necessaria nelle corporazioni, ma Marx sviluppa questo
concetto. Egli muove da esso per sostenere che Hegel ha delineato
una particolare relazione tra società civile e Stato, nella
quale l'identità viene raggiunta attraverso contraddizioni.
Ne risulta che i funzionari delle corporazioni sono scelti su base
mista perché lo Stato deve imporsi sulla società
civile; i cittadini possono divenire funzionari attraverso esami
'oggettivi', ma questi costituiscono soltanto un'iniziazione alla
separatezza e al privilegio; i burocrati sono stipendiati
perché sia garantito il loro ruolo nella società, ma
questo non fa che investirli di potere; i funzionari statali
dovrebbero essere controllati attraverso una gerarchia di
autorità, ma questo sfocia semplicemente in un maggiore
controllo; le corporazioni hanno facoltà di sollevare
obiezioni, ma questo porta unicamente a un dissidio perpetuo. Marx
offre dunque un'immagine generale di un rapporto conflittuale e
collusivo, nel quale ciascuna delle due parti ha bisogno dell'altra
e contemporaneamente è in conflitto con essa. Si potrebbe
pertanto supporre che Marx si accingesse a elaborare una teoria
materialistica dello Stato nella quale la burocrazia sarebbe stata
uno degli elementi fondamentali. Ma questo non avvenne. Infatti la
Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico rimase il suo
principale contributo teorico alla dottrina dello Stato. Una tale
affermazione è, ovviamente, controvertibile, e molti marxisti
non la accetterebbero. Un autore contemporaneo suggerisce che se
Marx avesse delineato una teoria della politica e della burocrazia
perfettamente compiuta, essa l'avrebbe costretto ad ammettere
implicitamente che lo Stato non era determinato soltanto
dall'infrastruttura economica e aveva un'importanza molto maggiore
(v. Perez-Diaz, 1978, p. 86). Egli non poteva fare una cosa del
genere senza cadere in un'esplicita contraddizione e preferì
pertanto lasciar cadere l'argomento. Questa ipotesi è stata
avanzata anche da altri autori (v. Albrow, 1970, tr. it., pp. 90-96;
v. Bell, 1976, pp. 80-81).
In realtà l'analisi iniziale della burocrazia fatta da Marx
rivelava implicitamente la difficoltà di distruggere le forme
di controllo generate dallo Stato moderno. I conflitti collusivi che
egli individua tra funzionari e interessi economici della
società civile non fanno certo pensare alla rivoluzione come
soluzione. Anzi, in un punto egli avanza effettivamente l'idea di
un'istituzionalizzazione del conflitto, tema, questo, che negli
ultimi trent'anni ha avuto una funzione importante negli scritti di
autori neomarxisti, preoccupati di spiegare il motivo per cui la
società capitalistica sia riuscita così bene a
contenere le divisioni di classe e a perpetuare se stessa. Marx
domandò retoricamente a Hegel quale protezione contro la
burocrazia avesse la società civile. E la sua versione della
risposta di Hegel è: "Il conflitto, il conflitto irrisolto
tra burocrazia e corporazione. La lotta, la possibilità della
lotta, è la garanzia contro la sconfitta" (v. Marx, 1927).
Questa è la versione marxiana della risposta di Hegel, ma non
è una risposta che Marx stesso disapprovasse, almeno in
questa fase, perché non aveva ancora studiato i meccanismi
atti a rovesciare un tale sistema sociale. Per quanto Marx
respingesse il sistema delineato da Hegel, e per quanto lo
considerasse in realtà un sistema di oppressione materiale
piuttosto che la ragione divenuta oggettiva, tuttavia era evidente
che tale sistema non era sul punto di disintegrarsi. Anzi, la natura
stessa della burocrazia sembrava conferirgli una notevole
capacità di sopravvivenza. L'opinione di Marx su questo
problema effettivamente mutò. Quando, appena due anni dopo,
scrisse L'ideologia tedesca assieme all'amico Engels,
attribuì il potere della burocrazia in Germania a particolari
caratteristiche transitorie, all'impotenza delle sfere sociali
separate, che concedeva un'indipendenza abnorme all'amministrazione
degli interessi pubblici. Lo Stato acquisiva quindi un'indipendenza
apparente, che era scomparsa in altri paesi, ma che persisteva in
Germania.
Dall'immagine dello Stato che emergeva dalla sua critica a Hegel
risultava che esso era uno dei fattori determinanti per la
formazione della società moderna: nel frattempo Marx aveva
approfondito sia la propria coscienza rivoluzionaria sia le proprie
indagini di economia politica. La teoria politica tedesca era allora
una mera formula mutuata dalla Francia, dove era stata espressa
dalle effettive forze della borghesia. In Germania essa contribuiva
unicamente a creare illusioni riguardo allo Stato. Nella propria
produzione successiva Marx attribuì alla burocrazia e allo
Stato solamente un ruolo secondario nella dinamica del capitalismo.
Egli si oppose fermamente all'idea che lo Stato potesse essere
qualcosa di più di una mera forma nella quale la classe che
deteneva i mezzi di produzione poteva amministrare la società
nel suo insieme. I fenomeni della vita politica erano in ultima
analisi determinati da processi causati dall'interazione fra forze
produttive e rapporti di produzione.
Il materialismo storico di Marx conteneva alcuni aspetti
sorprendenti, nella sua critica a Hegel, che sarebbero stati
individuati autonomamente da altri autori. Due aspetti in
particolare costituiscono sconcertanti anticipazioni di tesi
sostenute da scrittori posteriori. Marx fornì una vivida
descrizione del 'formalismo statale' inteso come spirito della
burocrazia, nella quale gli scienziati sociali posteriori possono
facilmente riconoscere una teoria della sostituzione del fine, che
afferma la trasformazione dei mezzi in fini. In questo 'spirito' i
fini dello Stato vengono considerati possesso privato di una
corporazione chiusa, il segreto diviene il vero mistero, l'avere una
mente politica è visto come un tradimento, il comportamento
burocratico si trasforma in una caccia al posto, in una ricerca
della carriera. Il mondo reale diviene un oggetto da manipolare.
Ma proprio per questo Marx riteneva che il burocrate conservasse una
posizione che era insieme politica e sociale, tipica dell'antico
ceto medievale. Per qualsiasi altro membro della società
civile la situazione era assai differente, essendo egli non
politico, partecipe di una vita organizzata priva di significato
politico. Per partecipare alla vita politica l'individuo era
costretto a uscire dalla società civile. Ne risultava -
secondo Marx - che il cittadino di Hegel conduceva un'esistenza
fondamentalmente scissa: la separazione fra società civile e
Stato sfociava in una scissione fra uomo e cittadino. La burocrazia
costituiva pertanto un fattore dell'alienazione dell'uomo moderno.
Si tratta di una lucida anticipazione di concezioni del XX secolo,
quali il conflitto di ruoli, la scissione dell'anima in sfere
separate e in mutuo conflitto, i dilemmi della personalità
moderna. Se noi riuniamo la descrizione marxiana delle dinamiche
interne della burocrazia, la sua concezione della personalità
moderna nelle condizioni della vita burocratica, la sua analisi
della mutua dipendenza e del conflitto tra burocrazia ed economia e
la sua esposizione degli interessi materiali della burocrazia,
abbiamo tutti gli elementi per elaborare una teoria generale della
società burocratico-capitalistica nella quale burocrazia e
capitalismo si sviluppano di pari passo. Fare questo, tuttavia,
avrebbe significato per Marx mettere in dubbio l'efficacia che i
processi di immiserimento e di concentrazione del capitale avevano
nell'assicurare la rivoluzione proletaria. Marx preferì
focalizzare la propria analisi sulle trasformazioni dei modi di
produzione, che potevano dar luogo a un cambiamento radicale nella
struttura della società. Il suo interesse scientifico era
attratto più dalle leggi del capitale che
dall'amministrazione, e toccò ad altri affrontare il problema
della burocrazia.
c) Weber e il processo di razionalizzazione
A Max Weber è attribuito il merito di aver fondato il moderno
studio della burocrazia. Sarebbe tuttavia più esatto
considerare questo pensatore l'anello di congiunzione tra la
filosofia della storia del XIX secolo e la moderna scienza sociale,
perché la portata e l'ambizione della sua attività
intellettuale sono paragonabili solamente a quelle di Hegel e Marx;
Weber inoltre affrontò i medesimi grandi problemi che si
erano posti Hegel e Marx, ossia quale fosse la natura della
trasformazione che aveva creato la moderna società
capitalistica, quali fossero i suoi effetti sull'individuo e quale
fosse la maniera migliore per analizzare questi cambiamenti. Nel
corso della propria indagine egli si trovò ad affrontare la
stessa questione specifica sulla quale Marx si era discostato da
Hegel, ossia la relazione tra idee e interessi materiali, con la
conseguenza che la burocrazia venne a trovarsi al centro della sua
analisi come uno degli elementi fondamentali del processo
complessivo di razionalizzazione. Weber elaborò una teoria
della relazione tra elementi ideali ed elementi materiali
nell'azione umana che spiegava perché il potere, il controllo
sociale e la mobilitazione delle masse si concentrassero attorno a
idee. La burocrazia divenne il modo materiale precipuo in cui le
idee venivano tradotte e attivate nella vita sociale. Più che
una forma della società divisa in classi, la burocrazia fu da
lui considerata lo stampo rigido nel quale veniva esplicata l'azione
umana.
Sarebbe erroneo pensare che Weber intendesse rispondere a Hegel e
Marx. Piuttosto, egli faceva parte del medesimo universo
intellettuale: tutti e tre questi autori avevano letto Kant, avevano
studiato o insegnato a Berlino, avevano padri con studi di
giurisprudenza alle spalle, oltre a possedere le medesime prodigiose
qualità letterarie. Marx tentò certamente di
rovesciare le concezioni hegeliane e Weber considerò parte
del proprio programma rettificare l'unilateralità presente a
suo parere nel materialismo storico. Così facendo, egli non
poteva fare a meno di ritornare in parte su posizioni hegeliane,
sebbene in generale respingesse lo stile speculativo del grande
filosofo. La nuova scienza sociale dell'inizio del XX secolo, in
Germania, in Francia o negli Stati Uniti, era convinta che la
scienza fosse progredita rispetto al ragionamento aprioristico di
stile hegeliano. In ultima analisi vi sono tuttavia somiglianze
straordinarie tra il modo weberiano di affrontare il problema e
quello di Hegel. Entrambi ritennero necessario definire la
specificità del mondo occidentale attraverso un confronto con
le caratteristiche dell'Oriente, in particolare India e Cina;
entrambi videro la trasformazione dell'Occidente in termini di
aumento di razionalità; entrambi considerarono i funzionari
un gruppo sociale di importanza fondamentale. Lo stile
dell'argomentazione può essere assai differente, ma la
somiglianza di strategia è sorprendente.
Hegel aveva trovato la ragione nella storia: solo in questo modo
essa aveva un senso per lui; Weber vi trovò molto di
più - passioni, potere e interessi materiali - ma la
razionalità era una forza autonoma rintracciabile in forma
istituzionalizzata in ogni aspetto della vita occidentale. Weber la
ritrovò nelle partiture musicali, nella contabilità
amministrativa, negli esperimenti scientifici, nei codici legali,
nella disciplina industriale, nella teologia, nell'architettura e
nel lavoro metodico, serio e ascetico. Sotto quest'ultimo aspetto
egli, come Hegel e Marx, riconobbe l'importanza della religione come
forza incentivante, e la sua più famosa monografia, L'etica
protestante e lo spirito del capitalismo, scritta tra il 1903 e il
1905, divenne uno dei più famosi testi di scienza sociale,
poiché tentava di dimostrare che la concezione materialistica
delle origini del capitalismo doveva essere corretta riconoscendo
l'esistenza di motivazioni ideali nel lavoro e nell'accumulazione
della ricchezza.
Nel complesso la razionalità era quindi per Weber una
questione di attività pratica più di quanto fosse per
Hegel. Weber non era disposto a localizzarla in un codice legale o
in una dottrina dello Stato. Possiamo qui ricordare il commento di
Marx secondo cui Hegel, quando scriveva sulla burocrazia, in
realtà ripeteva soltanto il Codice civile prussiano. Weber
sostenne che la razionalità si realizzava soltanto nelle
azioni delle persone, ma allora essa aveva la stessa forza di una
qualunque delle forze di produzione marxiane. Anzi, era stato
proprio l'aumento della razionalità che aveva portato
all'istituzionalizzazione di pratiche per intere sezioni della
popolazione e aveva reso efficace l'organizzazione sociale su larga
scala. Essa aveva fornito le regole fondamentali per le complesse
interazioni che avvenivano nei mercati economici. L'individuo poteva
agire razionalmente perché le regole erano fisse per tutti e
il mercato nel suo complesso poteva funzionare nella misura in cui
le azioni erano ispirate da quelle regole.
Il processo generale con cui la razionalità era stata
istituzionalizzata finendo per pervadere l'agire umano fu da Weber
denominato "razionalizzazione"; questa nozione rappresentava una
revisione essenziale dell'idea settecentesca di uno sviluppo della
ragione o dell'idea ottocentesca di progresso. Weber infatti,
diversamente da Hegel, non faceva promesse di maggiore
felicità, giustizia o libertà per il futuro. La
razionalità costituiva per lui addirittura un pericolo per il
libero sviluppo dell'individuo: era una struttura che poteva
divenire una gabbia d'acciaio, che poteva portare a perdere il
significato della propria esistenza o il senso di controllo sulla
propria vita quotidiana, e poteva suscitare la sensazione di essere
parte di un'enorme macchina. Sotto questo aspetto Weber condivideva
i sentimenti di Marx riguardo all'alienazione dell'individuo moderno
dal proprio Io e dagli altri esseri umani ma, diversamente da Marx,
non aveva alcuna speranza in un'azione collettiva risolutiva e
riteneva possibile solamente un aumento sempre maggiore della
razionalizzazione. Il motivo dell'ottimismo del XVIII e del XIX
secolo divenne il motivo del pessimismo del XX secolo. La
razionalità da dono di Dio si trasformò in strumento
diabolico.
In questo processo complessivo di razionalizzazione la burocrazia
divenne la maniera razionale con cui realizzare l'organizzazione
umana su larga scala. I metodi che Hegel e Marx avevano visto in
atto più chiaramente nello Stato, ma esistenti anche al di
fuori di esso, nell'organizzazione economica, nell'esposizione di
Weber divennero la maniera generalizzata in cui poteva essere fatta
funzionare qualunque grande organizzazione - Stato, Chiesa,
sindacato, industria o partito politico. Weber non fu il solo a
giungere a questa conclusione. Egli discusse proficuamente questi
temi con un giovane amico e collega, Robert Michels, il quale
lavorava in Italia perché la sua adesione al socialismo gli
aveva impedito di ottenere incarichi accademici in Germania. La
Sociologia del partito politico, pubblicata per la prima volta nel
1911, enunciò una delle più famose dottrine della
scienza sociale del XX secolo, la 'legge ferrea dell'oligarchia',
che sanciva l'inevitabile concentrarsi del potere, in ogni
organizzazione, nelle mani di alcuni funzionari. La gestione di una
grande organizzazione richiedeva un personale professionale
istruito, che acquisiva una competenza specialistica supplementare
attraverso la propria esperienza all'interno di un settore. Coloro
che facevano carriera dirigendo organizzazioni facevano a loro volta
in modo da trarre da esse potere, privilegi e guadagno. Il fatto
più paradossale era che i partiti politici, come il Partito
Socialdemocratico Tedesco, che aveva come scopo dichiarato la
ricerca dell'uguaglianza, erano essi stessi soggetti a questi
processi di formazione di oligarchie interne.
Michels elaborò le proprie idee nell'ampio contesto di una
discussione sul futuro del socialismo, nella quale aveva avanzato
riserve sulla strategia rivoluzionaria di Marx, sia per quanto
concerneva la sua aderenza alla realtà sia per la sua
effettiva capacità di fondare una società veramente
egualitaria. Anche l'analisi di Weber aveva visto nella
burocratizzazione una tendenza così universale e così
strettamente connessa con altre forze sociali da apparire come
un'alternativa totale alla concezione materialistica della storia,
che culminava in un rovesciamento rivoluzionario dell'ordinamento di
classe esistente. Secondo l'esposizione di Weber le rivoluzioni
sarebbero riuscite soltanto a mutare i regimi, non la sottostante
logica di dominio del mondo moderno. Il socialismo, a suo parere,
sarebbe dipeso da una burocrazia statale centralizzata esattamente
come qualunque società capitalistica. Poteva certamente
avvenire che di tanto in tanto un leader dotato di carisma, al quale
i seguaci attribuissero la capacità di mutare il quotidiano
mondo di routine, riuscisse a sovvertire l'ordine esistente, ma le
necessità inderogabili dell'amministrazione sarebbero ben
presto riuscite a irretire il movimento e a riportarlo a quella
stessa logica della grande organizzazione che aveva deluso i
seguaci. Secondo la concezione weberiana della storia l'implacabile
aumento della razionalizzazione implicava delle oscillazioni intorno
all'asse dell'autorità, per cui il potere personale di un
leader si alternava a periodi di dominio impersonale, ma non vi era
salvezza duratura dal destino dell'epoca.
La visione che Weber aveva della burocrazia traeva origine da
diverse fonti: la sua formazione giuridica, la sua partecipazione
alla vita politica tedesca e i suoi studi di storia comparata. Le
sue osservazioni su questo argomento non sono pertanto racchiuse in
un solo trattato, ma sono sparse nell'intera sua opera, in
particolare nella sua riflessione politica. Nella sua diagnosi della
situazione politica tedesca egli affermava che l'estensione del
dominio prussiano realizzata da Bismarck aveva rappresentato un
trionfo, ma in seguito il governo tedesco era stato soffocato da
quella che sembrava una burocrazia altamente competente, laboriosa e
onesta, ma che era in realtà una macchina per creare
mediocrità guidata dalla capricciosa incompetenza del
sovrano. La nazione tedesca, a suo parere, avrebbe potuto essere
governata adeguatamente soltanto se la classe che dominava la sua
struttura sociale, vale a dire la borghesia, avesse generato,
attraverso un processo democratico, dei leaders che potessero
fornire un'efficace ispirazione alle masse. La burocrazia di per
sé poteva soltanto generare una competente adesione a regole,
ma mai spirito di iniziativa.
Com'era dunque questo sistema che paradossalmente generava
competenza e mediocrità nello stesso tempo? In un capitolo
scritto tra il 1911 e il 1913 per il suo più importante
trattato, Economia e società, Weber tratteggiò le
caratteristiche della burocrazia moderna. Essa si fonda su sei
principî generali: le attività sono organizzate in
maniera fissa e stabile; vi è una gerarchia di
autorità; esiste un sistema preciso di registrazione e
documentazione basato su archivi; il personale viene istruito al
proprio compito; l'attività di funzionario costituisce
un'occupazione a tempo pieno; la gestione dell'ufficio è
fondata su regole tecniche. L'applicazione di questi principî
faceva sì che la gestione di un ufficio divenisse una
vocazione e richiedesse una dedizione continua, ripagata dalla
sicurezza del posto. Si trattava dell'adempimento del proprio dovere
rispetto a un ordine impersonale, non rispetto a persone
particolari. Il funzionario acquisiva una notevole considerazione
sociale, soprattutto quando si richiedeva un'alta competenza, e il
principio di selezione era determinato dai requisiti di istruzione
necessari all'incarico. Esito normale di tale situazione era lo
svolgersi della carriera, ossia la progressiva ascesa nel corso
della vita da posizioni meno retribuite a posizioni elevate meglio
retribuite.Weber considerò questo sistema dominante non solo
nello Stato ma anche nell'impresa capitalistica, dove il
proprietario poteva ritenere di esercitare due funzioni -
nell'ambito economico e in quello privato - con due differenti
modalità. Esso vigeva anche nelle organizzazioni
ecclesiastiche, ed era possibile rintracciarne l'origine nell'antico
Egitto, a Roma e in Cina.
Un altro esempio era costituito dalla Chiesa cattolica medievale. In
tutti i casi, prerequisito perché questa struttura si
mantenesse in vita a lungo era l'esistenza di un'economia monetaria,
o quantomeno di qualche meccanismo che assicurasse entrate
costanti.Sia l'incremento quantitativo sia la diversificazione
qualitativa dei compiti assunti dallo Stato implicano
burocratizzazione; questi compiti possono variare ed estendersi
dalla regolazione dei corsi d'acqua navigabili, come nell'antico
Egitto, alla creazione del moderno Stato assistenziale. Lo sviluppo
dei mezzi di comunicazione costituisce normalmente un elemento
vitale di questo processo. In queste grandi realizzazioni la
burocrazia può fornire superiorità tecnica,
affidabilità, impersonalità, rapidità, e
soprattutto prevedibilità, nettamente maggiori. Inoltre, essa
promuove un ordinamento legale razionale e impersonale e favorisce
la concentrazione dei mezzi di produzione e di amministrazione, per
cui si inserisce molto bene nel processo di sviluppo delle grandi
imprese capitalistiche - ma assolve la stessa funzione nell'esercito
o nelle università. Fra le conseguenze sociali della
burocratizzazione vi è il livellamento delle differenze
sociali, determinato dalla sua naturale avversione per ogni fonte
indipendente di potere, ma questo fatto ha spesso favorito l'impresa
capitalistica. È evidente però che come strumento di
dominio la burocrazia può operare nell'interesse della
piccola borghesia come anche nell'interesse del socialismo.
Ovunque però la burocrazia riesca a far accettare la
posizione di potere del funzionario, essa diviene uno degli elementi
fondamentali del governo, perché l'autorità legittima,
eletta o ereditaria, è sempre messa a confronto con
l'esperto. Alla competenza dell'esperto è inoltre associata
l'idea di segreto professionale, difeso dalle ingerenze dei
parlamenti. Il razionalismo nel senso più ampio del termine
è favorito dalla burocrazia, quantomeno nel senso che essa
incentiva il tipo del professionista esperto. In particolare essa ha
richiesto l'istituzione di un sistema di esami specialistici che,
oltre a fornire impulso allo sviluppo di istituti di istruzione,
conferisce prestigio sociale. Questo implica però una
concezione dell'istruzione diversa dalle precedenti, perché
tesa a creare specializzazioni piuttosto che a formare
personalità complete, e questo conflitto è alla base
di tutti i dibattiti moderni sull'istruzione (v. Weber, 1922).
Weber ebbe un atteggiamento profondamente ambivalente verso i
processi che avevano dato origine alla burocrazia moderna. Egli
ammirava sotto molti aspetti le caratteristiche di rigore,
dedizione, autocontrollo e competenza insite in essa.
Contemporaneamente però la considerava uno dei fattori che
avevano contribuito a trasformare la società in una macchina,
nella quale l'uomo era scisso e poteva agire solo come un
ingranaggio della macchina stessa. Weber condivideva in gran parte i
sentimenti di Marx riguardo all'alienazione dell'uomo nella
società moderna, senza avere tuttavia alcuna fiducia in un
futuro movimento di liberazione. Egli può avere forse
desiderato di conferire maggior peso ai fattori ideali nella
spiegazione dei processi sociali, ma questi gli sembravano favorire
più un processo di asservimento che uno di liberazione. La
razionalità era una pastoia, non una libertà.
Weber prese in considerazione il medesimo ampio contesto e la
medesima impostazione del problema adottati da Hegel e Marx, ma
giunse a sostenere una tesi del tutto peculiare, che è alla
base di tutta la scienza dell'amministrazione propria del XX secolo.
Come in Hegel, la razionalità divenne la caratteristica
distintiva fondamentale della società moderna, ma, come in
Marx, la sua importanza risiedeva nell'essere una forza attiva nei
rapporti sociali. Il processo di razionalizzazione si manifestava
nelle esistenze effettive degli esseri umani, divideva le persone le
une dalle altre e in se stesse. Era questa un'ottima
esemplificazione della famosa affermazione "non sono le idee,
bensì gli interessi materiali e ideali, che governano
direttamente la condotta degli uomini" (v. Gerth e Mills, 1948, p.
280). È in questo contesto che le idee divengono importanti
nella società moderna in modo nuovo rispetto al passato.
Hegel riteneva che la ragione fosse il principio basilare
dell'organizzazione della società. Secondo Weber la
razionalità aveva una duplice funzione nella società.
Era presente come forza, poteva essere vista agire sotto molteplici
forme in istituzioni e culture diverse, ed era passibile di indagine
storica ed empirica. Come tale poteva essere considerata una
motivazione, un'arma, una fonte di potere, oltre che un mezzo per
ottenere una mutua comprensione e coordinazione dell'azione sociale.
Ma essa rappresentava anche il principio informatore delle scienze
pratiche, un fattore attivo nella consapevole trasformazione della
società verso la ricerca di maggiore efficacia pratica,
produttività, rendimento e controllo. La burocrazia e le
scienze sociali sorte recentemente iniziarono il XX secolo
strettamente unite.
3. La scienza della burocrazia nel XX secolo
a) Αὐτοποίησις
Se Marx aveva evidenziato come Hegel avesse tratto la propria teoria
dell'esecutivo dal diritto prussiano, allo stesso modo è
stato osservato che la descrizione weberiana della burocrazia aveva
una straordinaria somiglianza con quelle contenute nei manuali di
scienza dell'amministrazione della sua epoca (v. Albrow, 1970; tr.
it., p. 64). Non poteva essere altrimenti, data la natura della
concezione weberiana della scienza sociale, perché la
burocrazia era appunto un tipico esempio di struttura sociale
guidata da principî esposti nei manuali. Questo costituiva un
aspetto della sua razionalità. Da ciò sarebbe dovuta
discendere la conseguenza che l'apparizione di nuovi manuali poteva
mutare la pratica corrente. Weber non si propose mai questo compito,
principalmente perché distingueva il compito empirico di
vedere in che modo i principî fossero attuati, proprio dello
storico o del sociologo, dal compito teorico di indagare e ampliare
i principî, che nel caso della pubblica amministrazione egli
avrebbe assegnato a uno studioso di diritto. La razionalità
in sé era studiata dalle scienze assiomatiche. Queste erano
le distinzioni correnti nella concezione neokantiana del metodo
scientifico, ben note a Weber, che su di esse scrisse diversi saggi.
Tuttavia, dopo aver tracciato una distinzione tra scienza
assiomatica e scienza empirica, sia nel caso dell'economia sia in
quello del diritto, Weber le collegò nel momento in cui si
trattava di esaminare l'attuazione dei principî. La teoria
dello studioso di diritto amministrativo serviva infatti a dare un
orientamento iniziale ai sociologi che desideravano esaminare in che
misura i principî fossero attuati nella pratica. L'insieme dei
principî che guidavano l'agire economico razionale, che i
teorici dell'utilità marginale stavano elaborando all'epoca
di Weber, divenne una guida per l'impresa capitalistica e
servì di orientamento anche per l'analisi accademica della
prassi economica. Lo stesso valeva per il diritto in relazione al
comportamento dei burocrati. Per quanto concerneva lo scienziato
sociale empirico, l'insieme dei principî era costituito da
quello che Weber denominò 'tipo ideale', espressione di
razionalità pura con la quale poteva essere confrontato il
comportamento effettivo.
La metodologia delle scienze sociali di Weber costituisce una chiara
espressione degli usi tecnici della scienza sociale. Infatti lo
scienziato assiomatico, lo studioso di economia, poteva enucleare
chiari principî che gli uomini d'affari dovevano seguire,
mentre lo scienziato empirico poteva fornire prove del successo
ottenuto in pratica seguendo questi principî. Lo studio della
burocrazia poteva realmente divenire un complemento allo sviluppo
della burocrazia, e anzi la definizione di burocrazia come governo
attraverso la conoscenza rendeva necessaria questa applicazione.
All'inizio del XX secolo si era pertanto prodotto uno stretto
intreccio tra scienza e burocrazia, in grado di generare una forza
propulsiva totalmente differente da tutto ciò che si erano
figurati Hegel o Marx. Hegel considerava ormai virtualmente completo
il processo di autorivelazione della ragione; Marx prefigurava una
trasformazione della società determinata dalla crescita delle
forze produttive. Nella realtà si è avuto invece un
aumento sempre maggiore, nell'ampiezza e nella raffinatezza, del
controllo sociale e della grande organizzazione, ottenuto attraverso
uno sviluppo dei mezzi di previsione e di comunicazione che è
andato al di là delle più audaci fantasie dello stesso
Weber. La razionalità non ha garantito un punto finale di
sviluppo né il passaggio a una nuova società, ma ha
fatto sì che l'organizzazione umana crescesse in
quantità ed estensione su linee più o meno simili per
tutto il secolo. Ci soffermeremo più avanti sul significato
che questo fatto riveste nei differenti sistemi sociali, ma per il
momento possiamo considerarlo un esempio di quello che Luhmann (v.,
1972) ha denominato "sistema autopoietico", ossia un sistema che
permane identico nei suoi principî regolatori, ma si accresce
continuamente per la propria capacità di assimilare nuove
informazioni.
Da questo punto di vista la scienza e lo sviluppo della burocrazia
nel XX secolo rappresentano due aspetti dello stesso processo. La
burocrazia genera e rigenera se stessa: di qui αὐτοποίησις,
autogenerazione. La nozione di αὐτοποίησις ci aiuta effettivamente a
comprendere quali mutamenti abbia subito il concetto di burocrazia
nei due secoli intercorsi dall'invenzione del termine a oggi. Sembra
che esso abbia assunto una pregnanza e una varietà semantica
sempre maggiori: talvolta significa infatti semplicemente governo
attraverso funzionari o pubblica amministrazione, talvolta
organizzazione razionale, ma talvolta anche organizzazione
inefficiente, e può arrivare a indicare qualunque
organizzazione formale o perfino un tipo di società (v.
Albrow, 1970; tr. it., pp. 113-143). Il fatto è che questo
termine ha dovuto procedere di pari passo con le più piccole
trasformazioni attuate dal dominio unito alla conoscenza. La
continuità e l'identità della burocrazia si sono
mantenute, ma la sua natura si è evoluta nel periodo
precedente e posteriore a Weber. La nostra comprensione del genere
di organizzazione sociale che l'amministrazione razionale richiede
si è evoluta lungo linee che Weber non poteva prevedere.
Infatti, il suo tipo ideale di burocrazia appare oggi sorpassato. La
razionalità stessa si è sviluppata in circostanze
nuove. Possiamo comprendere ciò riesaminando alla luce della
posteriore ricerca empirica alcune delle caratteristiche
dell'amministrazione razionale delineate da Weber nel suo tipo
ideale di burocrazia.
b) Studi empirici
Weber considerava il principio di gerarchia intrinseco alla
burocrazia. Esso dava origine a una catena di autorità e di
comunicazione che sopravviveva ai titolari di una carica. La
regolamentazione e il controllo precisi che questo consentiva, in
particolare se a ciascun livello si poteva identificare una
responsabilità personale individuale, rappresentavano a suo
parere una caratteristica razionale evidente. Ma questo è
sempre e necessariamente valido? Questo principio non ci dice nulla
sul numero di livelli di gerarchia né sulle relazioni tra
persone che lavorano allo stesso livello. Se la comunicazione
è limitata alla dimensione verticale e la
responsabilità è interamente personale, come
può esservi collaborazione tra più persone? Che dire
delle situazioni nelle quali due teste sono meglio di una sola? In
realtà Weber prese in considerazione quella che era chiamata
amministrazione collegiale, perché essa rappresentava
effettivamente uno dei sistemi più in uso nel XVIII secolo
(si trattava di gruppi di persone esperte riunite assieme per
consigliare collettivamente il sovrano), ma la ritenne una forma di
amministrazione sorpassata. Ma la dottrina amministrativa posteriore
ha messo in luce come la comunicazione 'trasversale' od orizzontale
abbia un ruolo fondamentale nella struttura di un'organizzazione
complessa e come, sotto molti aspetti, un gruppo di persone di pari
livello offra maggiori garanzie di efficienza al momento di prendere
decisioni all'interno di un'organizzazione, in particolare quando si
tratta di risolvere difficoltà, definire strategie di
mercato, oppure nella ricerca e nello sviluppo. Alcuni autori hanno
pertanto suggerito che il potere di controllo e la comunicazione
gerarchica siano una caratteristica dell'amministrazione
'meccanicistica' in condizioni stabili, e che alcune organizzazioni
che operano nei mutevoli contesti della moderna tecnologia
richiedano sicuramente un sistema 'organico' di consultazione,
lavoro di équipe e dedizione al fine dell'organizzazione nel
suo complesso piuttosto che alle responsabilità legate a una
particolare carica (v. Burns e Stalker, 1961).
Esaminiamo un altro principio del tipo ideale di burocrazia, ossia
l'asserita necessità di delimitare e mantenere fissi i
settori di attività dei funzionari per poter realizzare lo
scopo della struttura burocratica. La delimitazione stabile delle
aree di competenza soddisfa evidentemente i requisiti di
prevedibilità e di identificabilità delle prestazioni
richiesti ai funzionari, ma conferisce anche al tutto una certa
rigidità e gli studi empirici della burocrazia rivelano che
questo costituisce un problema ricorrente. Tali aree di competenza
assumono un contorno netto e preciso e richiedono quindi una
lealtà 'specialistica' da parte del personale a esse addetto,
che si trova così spesso a operare in condizioni di
semindipendenza e spesso di potenziale conflitto con altre
sottounità. Il conflitto intersettoriale è una
caratteristica ricorrente della pubblica amministrazione, in quanto
i funzionari cercano di massimizzare il prestigio e le
possibilità di carriera aperte alla sfera di attività
del proprio settore. Questo avviene specialmente quando programmi di
carattere intersettoriale tesi ad affrontare nuovi problemi, ad
esempio i problemi delle città o l'AIDS, divengono terreno di
competizione per l'espansione dei settori più che oggetto di
cooperazione. Questo processo è stato denominato
'sostituzione dei fini', in quanto i mezzi divengono fini, e questo
può avvenire sia a livello di sottounità sia a livello
di singoli funzionari (v. Merton, 1952, p. 365). Si tratta di un
problema particolarmente grave e ricorrente in un contesto culturale
che incoraggia l'ambizione personale e la competitività. Una
moderna organizzazione di vendita al dettaglio può perfino
arrivare a stimolare la competizione nelle vendite tra i propri
singoli punti di vendita al minuto, ma è spesso difficile
tracciare una netta linea di demarcazione che distingua questa
competizione da un conflitto autolesivo.
Tuttavia, il settore forse più noto in cui emerge
l'ambiguità dei criteri di razionalità è quello
concernente le modalità del rispetto delle regole. Weber
sottolineava che l'attenersi alle regole faceva parte della natura
della moderna amministrazione, e l'enfasi è facilmente
comprensibile in un autore che scriveva sullo sfondo culturale della
filosofia neokantiana, la quale considerava intrinsecamente
razionale l'attenersi alle regole, sebbene queste dovessero essere
poste dalla coscienza con un retto giudizio. Vi è tuttavia
un'importante differenza tra seguire regole che ci si è posti
da sé oppure regole imposte da altri, e questa è
costituita dal fatto che nel primo caso l'agente è in grado
di stabilire se la regola è stata rispettata, nel secondo
l'agente e il fruitore di servizi, il supervisore o il giudice
devono raggiungere un'intesa comune. A partire da Wittgenstein
è stato infatti sottolineato come l'attenersi a regole debba
essere considerato essenzialmente un'attività sociale, o
quantomeno in linea di principio passibile di verifica da parte di
altri, in quanto soltanto se un'altra persona è in grado di
rilevare errori è possibile stabilire nel caso specifico
l'esistenza di una regola. Le modalità con cui una
società stabilisce in che modo ci si debba attenere alle
regole nella vita sociale sono state oggetto negli ultimi venti anni
di intenso dibattito tra gli scienziati sociali che si ispirano alla
fenomenologia e alla posizione teorica elaborata da Alfred Schutz in
opposizione a Max Weber. Nell'opinione di Schutz la
razionalità emerge dall'interazione quotidiana e da intese
fondate sul senso comune. Gli studiosi di tradizione fenomenologica
hanno dimostrato come nella conversazione quotidiana siano presenti
implicitamente regole che non vengono mai formulate esplicitamente,
mentre in situazioni in cui esistono regole scritte queste possono
essere osservate in una maniera abitudinaria che soddisfa i
partecipanti, perché soddisfa quanto viene richiesto, ma non
gli osservatori esterni. Vi possono pertanto essere regole sul modo
di osservare le regole, che permettono ai partecipanti
l'interpretazione quotidiana fondata sul senso comune.
È stato spesso sottolineato il paradosso per cui
nell'organizzazione burocratica l'interpretazione rigida delle
regole può facilmente infrangere una pratica di lavoro
valida. Lavorare attenendosi alla lettera della legge è una
forma comune di resistenza da parte del lavoratore. Proprio su
questi temi sono state condotte alcune delle più interessanti
ricerche sociologiche sulla burocrazia. Uno studio ormai classico
è Modelli di burocrazia aziendale di Gouldner (v., 1955), nel
quale si dimostrava che la direzione poteva ottenere una risposta di
gran lunga migliore dai lavoratori insistendo sull'osservanza delle
regole solo in circostanze in cui questa fosse richiesta
espressamente da necessità della produzione. L'agire in base
a regole implica infatti una costante negoziazione implicita tra
coloro che sono responsabili di farle osservare e coloro che a esse
sono sottoposti. Da una parte gli addetti al controllo potrebbero
rendere più flessibile l'osservanza delle regole per creare
nei subordinati un debito morale nei loro confronti; dall'altra, al
contrario, i lavoratori potrebbero interpretare le regole
rigidamente per mantenere le proprie prestazioni al livello
più basso accettabile (ibid., pp. 172-176). L'intera analisi
è fondata però principalmente sull'assunto che
entrambe le parti abbiano una comprensione analoga del significato
delle regole, cosa che non può mai essere data per scontata.
Se la razionalità può essere identificata con
l'elaborazione quotidiana fondata sul senso comune di regole
adeguate a tutti gli scopi pratici, può anche avvenire che la
competenza dei professionisti possa costituire anch'essa una sfida
alla supremazia della regola scritta ufficiale. Weber
sottolineò con vigore il fatto che la competenza tecnica era
al servizio della burocrazia, ma nella sua trattazione egli tende a
mescolare un certo numero di questioni differenti. Si possono
infatti distinguere almeno quattro tipi diversi di conoscenza
importanti negli ambienti burocratici. Vi è la competenza
tecnica acquisita prima dell'assunzione, che può essere
necessaria per eseguire alcuni compiti stabiliti, come lavorare al
word processor; vi è la conoscenza empirica ottenuta
nell'impiego, ad esempio la conoscenza del sistema di archiviazione
e di contabilità di una particolare azienda; vi è la
conoscenza professionale ottenuta attraverso gli studi precedenti,
ad esempio di legge o di ingegneria, che richiede qualità di
giudizio più che abilità operative, sebbene possano
essere necessarie anche queste; vi è infine la conoscenza e
comprensione più ampia, spesso associata ai managers di
livello più elevato e ai funzionari statali con maggiore
anzianità, basata solitamente su un'istruzione di
élite ma non professionistica. Tutte queste forme di
conoscenza costituiscono fonti potenziali di conflitto per il
funzionario che riceva istruzioni dall'alto o che debba attenersi
rigidamente alle regole scritte. La conoscenza fornisce di per
sé discernimento, la capacità di distinguere il
comportamento corretto da quello errato, indipendentemente dalla
gerarchia di autorità.
Si può notare infine come le regole impersonali e
l'autorità conferita ai singoli funzionari non operino
necessariamente in reciproca armonia. Quando una persona con il
potere di dare ordini impartisce istruzioni che a un sottoposto
paiono in conflitto con la legge e con i regolamenti del settore, il
risultato finale diviene una questione di coscienza e di rapporti di
potere. Alcuni dei più noti servizi giornalistici aventi per
oggetto la pubblica amministrazione mettono in luce questo dilemma.
Nelle inchieste sulla fornitura di armi all'Iran condotte negli
Stati Uniti, il valore da attribuire alla legge e
all'autorità dei supervisori è un tema ricorrente,
come pure il problema della rivalità tra sottounità.
Nella sociologia empirica questi dilemmi sono stati spesso espressi
in termini di conflitto tra organizzazione formale e organizzazione
informale, in seguito a una serie di celebri indagini condotte negli
anni trenta allo Hawthorne Plant della Western Electric Company, che
misero in luce come il morale e la produttività dipendessero
da fattori quali lo status informale e la solidarietà di
gruppo. Un'altra indicazione è che la maggior parte di queste
indagini concerne dei 'circoli viziosi', ossia processi nei quali i
tentativi di correggere un errore includono semplicemente la
difficoltà originaria, ad esempio quando si tenta di
correggere l'infrazione alle regole istituendo norme morali. Emerge
così il quadro di una burocrazia con una tendenza innata alla
decadenza se non intervengono altri fattori a scongiurarla. Si
è sostenuto che in Francia questi circoli viziosi siano
interrotti dall'intervento di funzionari di massimo livello, i
Grands corps, che si trovano al di fuori della struttura di base (v.
Crozier, 1963).
c) Teoria e applicazione della razionalità
La maggior parte delle indagini sociologiche sono state condotte
muovendo dallo studio di un caso specifico, ma vi è motivo di
pensare che questo tipo di indagini di per sé non possa
fornire una prospettiva adeguata per valutare il mutamento della
burocrazia nel lungo periodo. La burocrazia in effetti si evolve nel
tempo, e i circoli viziosi vengono regolarmente superati,
soprattutto perché i principî regolatori incarnati dal
tipo ideale di Weber non sono mai stati applicati rigidamente. Al
contrario, questi principî sono stati arricchiti e aggiornati
alla luce di una valutazione più ampia del significato della
razionalità nelle organizzazioni umane. In questo senso una
valutazione storica dell'evoluzione delle teorie dell'organizzazione
elaborate nel XX secolo può dirci molto di più sulle
direzioni di sviluppo prese dalla burocrazia, sia nella teoria sia
nella pratica, di una lunga serie di studi di casi specifici con la
loro limitata prospettiva temporale. La burocrazia è infatti
l'applicazione della teoria all'organizzazione sociale, è
basata sulla nozione di amministrazione razionale e le concezioni
della razionalità si sono evolute per soddisfare le mutate
esigenze.
Uno dei cambiamenti decisivi che hanno avuto luogo nella teoria
relativa all'amministrazione è dovuto all'opera di Herbert
Simon. In Administrative behavior, apparso nel 1945, Simon ha
sostenuto che la razionalità non può produrre
principî determinati da seguirsi in tutte le circostanze. Egli
ha messo in luce, ad esempio, come i principî amministrativi
di specializzazione non possano mai stabilire in anticipo il genere
e la quantità di specializzazione necessari. Così un
piano di assistenza medica potrebbe assegnare ad alcune infermiere
dei quartieri nei quali assistere i bambini a casa, visitare le
scuole e impegnarsi nella cura della tubercolosi; oppure, in
alternativa, diverse infermiere potrebbero svolgere ciascuna
funzione indipendentemente dai quartieri (v. Simon, 1957², p.
21). Ma il 'principio di specializzazione non può essere di
alcun aiuto per decidere quale soluzione sia la migliore: la
conoscenza della situazione effettiva resta essenziale. Di
conseguenza Simon ha elaborato una teoria della razionalità
fondata sull'assunto che esiste una struttura organizzativa per
stabilire i limiti della decisione personale dell'individuo, e
pertanto in questo schema la razionalità individuale è
necessariamente sempre di tipo limitato. La sua teoria prevede
dunque la possibilità di instaurare un'ampia gamma di
strutture burocratiche in rapporto al contesto in cui esse sono
situate; l'organizzazione razionale è quella che riesce a
raggiungere un insieme di valori in relazione al contesto specifico.
Viene così attribuita minore importanza ai principî
stabiliti una volta per tutte rispetto alla capacità di
prendere decisioni e rispetto ai modelli di struttura che forniscono
il miglior risultato nelle circostanze specifiche. E per quanto
riguarda il comportamento individuale, il requisito principale
è che ciò che è razionale per l'individuo
coincida con la razionalità dell'organizzazione.
Le dottrine di Simon rappresentano un importante mutamento della
teorizzazione sulla razionalità e, di conseguenza,
sull'amministrazione burocratica, e sono inoltre indicative del
predominio nella teoria sociale raggiunto dagli Stati Uniti verso la
metà di questo secolo. L'amministrazione pubblica negli Stati
Uniti non aveva mai adottato il modello tedesco di burocrate a tempo
pieno, assunto permanentemente e di solito dotato di competenze
giuridiche. Weber aveva notato questa caratteristica, ma
ondeggiò nel suo giudizio tra il considerare questo un grado
primitivo di sviluppo e l'ammettere che molte delle caratteristiche
del modello americano erano più adatte a un contesto
capitalistico. Inoltre, la resistenza molto maggiore all'invadente
controllo dello Stato federale registrata negli Stati Uniti,
paragonata alla tradizionale acquiescenza verso lo Stato
centralizzato in Europa, indicava che l'impulso allo sviluppo della
razionalità organizzativa proveniva dall'impresa
capitalistica più che da quella statale. All'inizio del
secolo la teorizzazione sull'organizzazione industriale negli Stati
Uniti era dominata dalla dottrina dell''organizzazione scientifica'
o taylorismo, dal nome del suo principale esponente. Essa traeva
impulso da organismi come l'American Society of Mechanical Engineers
(Albo degli ingegneri meccanici) e il suo assunto principale
consisteva nella visione dell'essere umano come quantum di energia
da trattare come qualunque altro elemento o componente immesso in un
sistema meccanico. Gli esperti di gestione delle risorse umane
facevano appello alla fisiologia per ideare la migliore combinazione
tra corpo umano e macchina, e alla psicologia per selezionare le
persone dotate della personalità adatta a guidare, per
esempio, le automotrici ferroviarie. Henry Ford fondò il
proprio Dipartimento di Sociologia a Detroit nel 1914 per analizzare
l'investimento di risorse umane. Weber considerava il sistema di
Taylor un altro aspetto peculiare del processo di razionalizzazione
e Lenin lo considerava una conquista fondamentale del capitalismo,
che doveva essere adottata anche nell'Unione Sovietica.
Tali metodi ben si adattavano a un clima di irreggimentazione e a
prima vista potrebbero apparire perfettamente compatibili con lo
spirito prussiano che pervadeva la teoria della burocrazia
weberiana. Vi era tuttavia un'importante differenza, consistente nel
fatto che il sistema di Taylor sottendeva una concezione della
razionalità basata sulla prestazione, di contro alla
razionalità basata sul controllo propria del sistema statale
europeo. Di conseguenza quest'ultimo era imperniato su nozioni di
diritto e sull'osservanza delle norme, mentre il primo era
incentrato sugli obiettivi e sulle prestazioni necessarie per
raggiungerli. Il sistema americano consisteva dunque nella ricerca e
nella selezione e conteneva un meccanismo correttivo interno nel
caso si fossero evidenziati difetti o nel caso fosse mutato
l'ambiente. Lo stesso sistema di Taylor, un prodotto intellettuale
nato da preoccupazioni pratiche, poteva essere sostituito e in parte
lo fu, a opera del Movimento per le relazioni umane, che aveva avuto
origine principalmente dalla ricerca condotta allo Hawthorne Plant
della Western Electric Company a Chicago, che abbiamo già
citato precedentemente. L'aumento delle dimensioni delle
organizzazioni portò ad attribuire un'importanza sempre
maggiore ai fattori che ne preservavano l'unità e alle
motivazioni che stimolavano le prestazioni dei singoli individui, le
quali facevano appello al senso di lealtà verso l'impresa
cooperativa piuttosto che a incentivi economici. Si ebbe così
un mutamento dell'ideologia manageriale in conformità con un
mutamento della struttura societaria, struttura che si era
però sviluppata attraverso il filtro di idee del periodo
precedente.
Il predominio ideologico del Movimento per le relazioni umane nel
campo della gestione delle organizzazioni è stato a sua volta
soppiantato da quello di una corrente di pensiero di vedute
più larghe, che deve molto alle dottrine di Simon. Quel
predominio era stato inoltre oggetto di critiche in un brillante
libro di larga diffusione, - The organization man di William H.
Whyte, pubblicato nel 1957 - che metteva in luce come l'eccessiva
importanza attribuita all'organizzazione come entità totale
all'interno della quale era situato il comportamento individuale
fosse di fatto autolesiva. L''etica sociale' che ne scaturiva stava
soppiantando il tradizionale attaccamento degli Americani all'etica
protestante dello sforzo individuale e dell'autodisciplina.
L'organizzazione stava diventando un mezzo per soffocare e non
più per lasciare libera l'iniziativa individuale. Se
accostiamo le preoccupazioni espresse da Whyte e da Simon, possiamo
individuare gli elementi principali delle teorie predominanti
nell'organizzazione burocratica occidentale degli anni ottanta, come
mostra la tabella. La razionalità stessa viene vista in
maniera più dinamica, per cui si attribuisce importanza a
livello individuale alla capacità di risolvere problemi, e a
livello di organizzazione alla capacità di fornire schemi di
prospettive razionali capaci di autocorreggersi. Per gli individui
viene sottolineata l'importanza delle capacità professionali
da una parte, e del possesso di qualità direttive dall'altra,
mentre le organizzazioni vengono sempre più viste in termini
di sistemi di comunicazione. La burocrazia moderna ruota attorno
all'analisi finanziaria, alla creazione di immagine e ai data bases.
Sebbene sia esatto affermare che questa nuova ideologia manageriale
incentrata sulla capacità di prendere decisioni sia sorta dal
settore industriale e capitalistico, l'amministrazione statale non
è stata immune dalla sua influenza. Lo Stato assistenziale
era una creazione dell'amministrazione pubblica organizzata su base
centralizzata, ed era pertanto strettamente legato alla
necessità di controllare la società nel suo complesso
oltre che di incrementare il benessere del singolo in tutti i sensi.
Esso ha conosciuto una riduzione di compiti in seguito alle
richieste di prestazioni migliori avanzate dai cittadini, e questo
ha portato - come ha evidenziato Jürgen Habermas - a una crisi
di legittimazione dello Stato assistenziale, il quale vi ha risposto
in due direzioni: sottolineando l'importanza delle prestazioni dei
propri funzionari e riducendo nel contempo il numero di compiti che
potevano dare adito a critiche. Contemporaneamente, le macchine
governative sono state rese più rispondenti alle
necessità dei leaders politici di presentare un'immagine
all'opinione pubblica. Dal momento che il reclutamento di personale
per il governo e per il mondo degli affari attinge con sempre
maggiore frequenza al medesimo settore di persone istruite e di
professionisti, e poiché le capacità richieste in
entrambi i campi sono divenute sempre più simili, non
è certo sorprendente il fatto che l'ethos dei due settori sia
divenuto pressoché identico. Per quanto concerne la struttura
burocratica, la somiglianza di ethos ha determinato una sempre
maggiore attenzione, e quindi un'incentivazione della varietà
e della flessibilità, rispetto agli obiettivi specifici di
particolari organizzazioni. La gestione partecipativa, la gestione
cooperativa, la ripartizione del lavoro e il management per
obiettivi sono possibilità valutate tutte in base al loro
contributo a un determinato compito e in base al contesto specifico.
Ne consegue così un'ampia varietà di possibili assetti
strutturali: la scienza sociale empirica ha dedicato molta
attenzione a dimostrare come i fattori costitutivi della burocrazia,
che componevano il tipo ideale di Weber, siano in realtà
grandezze variabili dotate di un'ampia possibilità di
variazioni indipendenti. Il livello di gerarchia, la quantità
di specializzazione funzionale, la proporzione tra lavoratori
impiegati nell'amministrazione e lavoratori produttivi divengono
fattori variabili soggetti a revisione e a controllo costante da
parte della direzione (v. Hall, 1972).
Considerando in prospettiva il mutamento della scienza della
burocrazia nel XX secolo, si può notare come l'importanza
attribuita alla centralità della razionalità sia
divenuta ancora più marcata.
Partendo infatti da Hegel, possiamo affermare che si è avuto
uno sviluppo in tre fasi: una prima fase, quella hegeliana, nella
quale si riteneva che la razionalità fosse insita nella
pubblica amministrazione, la quale rappresentava il culmine del
processo con cui la ragione emergeva dalla storia; una seconda fase,
quella weberiana, nella quale si pensava che la razionalità
fosse un principio strutturante che portava alla creazione di
strutture burocratiche; una terza fase, quella attuale,
autopoietica, nella quale si ritiene che la razionalità sia
il principio autogenerantesi che sta alla base della costante
trasformazione delle strutture organizzative. Risulta ora evidente
come l'idea di burocrazia e la realtà del fenomeno si siano
sviluppate secondo una dialettica necessaria. Parimenti però,
la razionalità stessa si è evoluta o, se vogliamo
usare un'altra espressione, si è intensificata. Da insieme di
principî si è trasformata in processo di ricerca
finalizzato alla generazione di principî; da realizzazione di
obiettivi prefissati attraverso mezzi stabiliti si è
trasformata in processo di individuazione di obiettivi e di
controllo dei risultati; da mera questione di calcolo e previsione
si è trasformata in una ricerca tesa a creare le condizioni
nelle quali è possibile avere calcoli e previsioni più
esatti, in particolare dopo che i mezzi di previsione e di calcolo
si sono sviluppati con un ritmo straordinario. I mezzi per
l'immagazzinamento di informazioni e il richiamo dei dati sono oggi
tali che è possibile avere accesso immediato ai dati
personali di ogni singolo individuo in una società moderna.
Con il trasformarsi della razionalità è divenuto
così tecnicamente di più facile realizzazione il
governo attraverso i funzionari. I segni della razionalità
devono oggi essere sempre più ricercati nella capacità
da parte del sistema sociale mondiale di controllare un ambiente
naturale minacciato dall'enorme capacità produttiva generata.
Sotto questo aspetto dobbiamo attenderci che il XXI secolo sia
l'epoca in cui la burocrazia diverrà un fenomeno di portata
mondiale. L'Organizzazione delle Nazioni Unite e altre
organizzazioni internazionali di diverso genere hanno già
dato origine a una burocrazia internazionale, a un corpo di
funzionari in stretto contatto con controparti in organizzazioni
capitalistiche multinazionali. Non possiamo fare a meno di chiederci
se questa burocrazia internazionale non prefiguri l'apparizione di
un nuovo tipo di sistema sociale mondiale, che sostituirà i
tipi tra loro in competizione ora esistenti.
4. Burocrazia e sistemi sociali
a) Socialismo
Marx lasciò il movimento rivoluzionario della classe operaia
senza una compiuta teoria della burocrazia o dello Stato. Egli
predisse che lo Stato sarebbe alla fine totalmente scomparso,
poiché era uno strumento della borghesia nella società
capitalistica, e che sarebbe stato sostituito dall'amministrazione
delle cose. Questa previsione non poteva certo servire da
indicazione specifica e, in parte in conseguenza di ciò, la
burocrazia ha costituito uno dei principali problemi per le
società socialiste che hanno tratto ispirazione dalla
dottrina marxiana. Questo, del resto, era già stato previsto
da altri autori: sia i critici anarchici di Marx sia i conservatori
fautori dello status quo ritenevano che il socialismo avrebbe
aumentato enormemente il pericolo di una totale burocratizzazione, e
questo avveniva prima della Rivoluzione russa. Anche Max Weber
concordava nel ritenere che una società socialista sarebbe
stata ancora più burocratica di una società
capitalistica. Tuttavia, i leaders del Partito bolscevico russo non
poterono evitare di prendere posizione nei riguardi dei problemi
tecnici dell'amministrazione, sia all'interno del Partito sia, in
seguito, all'interno dello stesso Stato sovietico. Essi fecero
ricorso a un saggio di Friedrich Engels intitolato
Dell'autorità, apparso per la prima volta in lingua italiana
nel 1874, sulla rivista "Almanacco repubblicano", come risposta agli
anarchici. Engels asseriva che l'industria moderna si fondava
sull'azione congiunta di numerosi individui e questo rendeva
necessaria l'organizzazione. Organizzazione significava
autorità. Chi poteva pensare che il funzionamento di una
ferrovia implicasse autorità, e che una rivoluzione invece
non richiedesse autorità?
Questo testo fu utilizzato da Lenin, che nel 1904 era perfino
disposto a definire la burocrazia "il principio organizzativo della
socialdemocrazia rivoluzionaria" (v. Lenin, 1904). In Stato e
rivoluzione egli fece un brillante tentativo di conciliare la spinta
verso la libertà del socialismo con la necessità di
un'amministrazione: "Gli operai, impadronitisi del potere politico,
frantumeranno il vecchio apparato burocratico, lo distruggeranno
fino alle fondamenta, ne elimineranno financo le radici, e lo
sostituiranno con uno nuovo composto dei medesimi lavoratori e
impiegati; e perché essi non si trasformino in burocrati
saranno immediatamente prese le misure esposte
particolareggiatamente da Marx ed Engels, ossia: 1)
possibilità non solo di elezione ma anche di revoca
dell'incarico in qualunque momento; 2) stipendio non superiore a
quello di un operaio; 3) immediata introduzione di controllo e
supervisione da parte di tutti, così che tutti divengano
burocrati per un certo tempo e nessuno possa, pertanto, divenire un
burocrate" (v. Lenin, 1917).
Queste speranze di controllare la burocrazia nei nuovi Stati
socialisti non si sono mai realizzate e nel corso degli anni sono
state il bersaglio degli attacchi di numerosi dissidenti. Fu questo
uno dei temi principali delle accuse di Trockij al regime sovietico,
ma l'attacco più pesante è venuto dal leader iugoslavo
Milovan Djilas, il quale nel suo libro La nuova classe ha sostenuto
che gli apparati del Partito e dello Stato monopolizzavano i
benefici del possesso comune dei mezzi di produzione e potevano
pertanto essere considerati come una nuova classe, la burocrazia (v.
Djilas, 1957). In Cina Mao Zedong ha fatto spesso riferimento a
burocrati-capitalisti, e una delle ragioni per cui egli
scatenò le Guardie Rosse e favorì la rivoluzione
culturale pare proprio essere stata la sua volontà di
contrastare quelle che considerava tendenze alla burocratizzazione.
Il problema non è stato però risolto. La nuova
politica della perestroika, di Michail Gorbačëv deve essere
vista, sotto molti aspetti, come l'ennesimo tentativo di affrontare
problemi collegati alla burocrazia statale, ossia segretezza,
mancanza di iniziativa, scarsa disponibilità a mutare le
procedure, limitazione delle prestazioni al minimo richiesto,
mancanza di risposta alle esigenze dei fruitori di servizi. È
destinato tuttavia a perdurare il dilemma paradossale per cui anche
questa nuova politica deve essere attuata attraverso strutture
burocratiche ed è pertanto soggetta alle costrizioni di ogni
politica che faccia affidamento sui funzionari.
b) Capitalismo o società industriale
La burocrazia può in eguale misura essere considerata un
problema profondamente radicato e ineliminabile nella società
capitalistica. Uno dei principali economisti liberali, Ludwig von
Mises, è anche il più eminente esponente di una lunga
serie di critici della burocrazia nelle democrazie occidentali, i
quali hanno sostenuto che, poiché l'essenza dello Stato
è il controllo, mentre l'impresa capitalistica necessita di
libertà e la promuove, lo Stato in quanto tale costituisce
sempre un pericolo per la libertà. Sono stati di conseguenza
elaborati progetti per definire in termini minimali il ruolo dello
Stato nelle società capitalistiche, rendendolo responsabile
della legge e dell'ordine pubblico, della difesa e di certi aspetti
del meccanismo economico, sebbene quest'ultimo punto sia fortemente
contestato. Uno di questi aspetti è la difesa del valore del
denaro. Lo Stato dei minimalisti, dunque, fornisce le condizioni
basilari minime necessarie al capitalismo per prosperare, e a questo
riguardo potrebbe in effetti essere visto, in termini marxiani, come
un sistema finalizzato, in una società divisa in classi, al
perseguimento degli interessi della borghesia. Weber invece era
più propenso ad attribuire alla burocrazia un ruolo positivo
di promozione del capitalismo. Tra capitalismo e burocrazia vi
è a suo parere una collusione molto più attiva, nel
senso che la burocrazia rigida migliora i livelli medi di
istruzione, fornisce i mezzi di comunicazione fondamentali e in
generale offre quel genere di stabilità nel quale il
capitalismo può prosperare. A sua volta l'impresa
capitalistica offre un'eccellente base fiscale per soddisfare le
necessità dello Stato. Il modello weberiano prevede quindi
un'interazione tra due sottosistemi sociali, il governo e
l'economia, che rafforza entrambe le parti, le quali hanno
differenti origini e tuttavia sono entrambe costrette a servirsi
della burocrazia come forma di amministrazione più razionale.
La tesi weberiana che asseriva l'esistenza di una relazione di mutuo
supporto tra la componente statuale e quella capitalistica della
società moderna fu messa in crisi dall'esperienza fascista
europea, in quanto in Germania, Italia e Spagna si vide un partito
di massa assumere il controllo dell'economia, che era incentrata
attorno a proprietari capitalisti, e nello stesso tempo utilizzare
la burocrazia statale. Dopo il secondo conflitto mondiale il modello
capitalistico dello Stato assistenziale, basato principalmente
sull'economia interventista di Keynes, ha prodotto uno stretto
intreccio tra Stato ed economia. In condizioni di pieno impiego
anche i sindacati divengono cofirmatari di accordi tra Stato e
datori di lavoro, e così per un certo periodo di tempo negli
anni settanta si è sostenuto che il corporativismo aveva
soppiantato il capitalismo come forma societaria basilare. Il ruolo
più importante dello Stato rimane quello nell'economia: nei
paesi industrializzati lo Stato spende tra il 30 e il 60% del
prodotto nazionale lordo. Vasti settori dell'industria moderna, in
particolare quello degli armamenti e dell'esplorazione dello spazio,
dipendono quasi interamente dalle enormi commesse statali, mentre
un'ampia fetta della popolazione, in particolare anziani e
disoccupati, riceve direttamente dallo Stato le proprie entrate.
La relazione tra Stato e capitale è di tipo variabile ed
è difficile imputare la crescita della burocrazia all'azione
dell'uno sull'altro. Piuttosto, è forse più plausibile
ipotizzare che Stato e capitale siano soggetti, ciascuno
indipendentemente dall'altro, a burocratizzazione. Innanzitutto, la
burocrazia ha avuto chiaramente un ruolo dominante nelle
società socialiste (e pare difficile attribuire ciò al
loro passato borghese); in secondo luogo, vediamo che anche
l'impresa capitalistica è sempre alle prese con il problema
del controllo dei propri dipendenti. Il capitalismo può
offrire autonomia ai proprietari, ma la grande maggioranza della
gente lavora all'interno delle aziende in qualità di
dipendente. La burocrazia è aumentata perché la
tecnologia dei mezzi di comunicazione, coordinazione e controllo
è cresciuta tanto da permettere la crescita delle aziende,
capitalistiche e non capitalistiche. La classe degli impiegati, ma
in particolare degli impiegati in aziende, è andata
espandendosi per tutto il secolo; così la classe media
costituita dai cosiddetti 'colletti bianchi', piuttosto che il
proletariato industriale, è divenuta la classe tipica del
capitalismo moderno. Come afferma Charles Wright Mills in un'opera
divenuta ormai un classico della sociologia, I colletti bianchi,
"essi sono un nuovo cast di attori, interpreti dei ruoli più
tipici della società del XX secolo" (v. Mills, 1956, p. IX).
La loro ascesa continua implacabile anche negli anni ottanta. La
crescita della classe media, occupata principalmente presso grandi
organizzazioni, e l'importanza del tutto analoga attribuita alle sue
funzioni nelle società capitalistiche e in quelle socialiste
hanno indotto molti autori a sostenere l'esistenza di un tipo solo
di società moderna, la società industriale,
caratterizzata da analogie nella struttura occupazionale, negli
interessi e nell'ethos, che travalicano le differenze politiche.
Questa concezione è legata in particolare ai nomi di alcuni
sociologi francesi, da Saint-Simon fino a Raymond Aron. Questa idea
di una convergenza dei sistemi politici è stata anche
espressa con l'immagine di una "rivoluzione manageriale" (James
Burnham) o, con la tecnocrazia, del governo dei tecnici. Le
questioni concernenti la proprietà formale o effettiva nella
produzione di ricchezza sono considerate meno importanti per la
definizione di un tipo di società rispetto all'ethos imposto
dalla classe predominante.