Adattamento
di Luciano Gallino
www.treccani.it
Enciclopedia delle scienze sociali (1994)
Sommario: 1. Le radici del concetto di adattamento nella biologia
evoluzionistica. 2. L'adattamento come carattere, funzione, stato o
processo sistemico. 3. Il concetto di adattamento nella storia delle
scienze sociali. 4. Unità e livelli di adattamento nelle
società umane. Loro interazioni. 5. Adattamento,
comportamenti adattativi e razionalità. 6. Sistemi sociali,
tecnologici e simbolici come mezzi di adattamento. 7. Forme di
sopravvivenza e di riproduzione: dall'individuo ai sistemi sociali e
culturali. 8. Ecologia politica, misure di adattamento e policy
making. □ Bibliografia.
1. Le radici del concetto di adattamento nella biologia
evoluzionistica
Il concetto moderno di adattamento, anche quando viene utilizzato in
un contesto socio-scientifico, rimane legato al paradigma
metodologico della biologia evoluzionistica; più esattamente,
alla teoria darwiniana dell'evoluzione per selezione naturale. Fino
a Darwin, il termine adattamento designava o l'armonia totale e
immutabile esistente tra gli organismi appartenenti a una data
specie e il loro ambiente, quale era stata scientemente predisposta
per ciascuna specie dal supremo Creatore; oppure una forma di
apprendimento dell'organismo trasmissibile ai discendenti, come
postulava Jean-Baptiste de Lamarck, il primo grande teorico
dell'evoluzione. Anche in seguito, l'idea dell'ereditarietà
dei caratteri acquisiti fu sostenuta da Herbert Spencer, il filosofo
per il quale biologia, psicologia e sociologia erano capitoli
inseparabili d'una stessa dottrina evoluzionistica. Una rottura era
stata comunque operata dal concetto darwiniano di variazione:
casuale, innata ed ereditaria. Non tutte le variazioni funzionali,
morfologiche o comportamentali innate che si osservano fra gli
individui di una medesima specie, asseriva Darwin, contribuiscono
nella stessa misura alla sopravvivenza e alla riproduzione. Alcune
rendono un individuo un po' più adatto - rispetto agli
individui con variazioni differenti - a sopravvivere e riprodursi in
un determinato ambiente. Dopo L'origine delle specie (1859), in cui
compare per la prima volta - ma non nella prima edizione -
l'espressione "sopravvivenza del più adatto", parlare in
senso stretto di adattamento significò quindi effettuare una
comparazione, in termini di probabilità rispettive di
sopravvivenza e riproduzione, tra un organismo che si presenta
casualmente dotato di un nuovo carattere, o con una variazione di un
carattere preesistente, e altri organismi che appaiono invece privi
di quel carattere, o si presentano con variazioni diverse.
Un incremento differenziale anche piccolo della probabilità
di sopravvivere e riprodursi, indotto dal nuovo carattere o da altra
variazione, può far sì che nel volgere di poche
generazioni gli organismi in tal modo variati o varianti soppiantino
la maggior parte degli altri organismi entro una data popolazione.
Ma il processo non si arresta, perché ogni carattere variante
è pur esso soggetto a variare via via che si replica nelle
successive generazioni.Intrinseca al concetto biologico - darwiniano
- di adattamento è quindi l'idea di variazione ereditaria,
oltre che innata. Essa non si manifesta tra due tempi del singolo
organismo: a livello fenotipico è possibile osservarla
soltanto comparando due o più organismi. L'origine della
variazione fenotipica risiede in una mutazione puntiforme, o in un
riarrangiamento cromosomico del genotipo, che si esprimono soltanto
in un nuovo organismo. La forma corrispondente di adattamento viene
perciò detta adattamento genetico.Le variazioni funzionali,
morfologiche o comportamentali che si osservano nel corso della vita
di un singolo organismo, come le modificazioni del sangue e
l'accresciuta resistenza al freddo di chi vive a lungo ad altitudini
elevate, rappresentano per contro un adattamento fisiologico, non
ereditario - contrariamente a quanto credeva Lamarck. Quanto alla
crescita di capacità mentali inerenti, ad esempio, all'uso
della scrittura e alla padronanza di determinate tecniche, si tratta
piuttosto di forme di apprendimento che si verificano unicamente nel
singolo organismo, senza comportare altre modificazioni che non
siano la registrazione di informazioni nelle cellule cerebrali, e si
estinguono infallibilmente con esso - contrariamente a quanto
credeva Spencer.
La distinzione, concettualmente fondamentale, tra adattamento
genetico, adattamento fisiologico e apprendimento, risulta invero,
non di rado, difficilmente discernibile ove ci si riferisca a
entità non assimilabili a un organismo. È il caso dei
sistemi sociali, i quali acquisiscono e trasmettono la propria
struttura informazionale unicamente per via culturale. Anche in tal
caso, comunque, essa aiuta a percepire la differenza tra quelle
variazioni che avvengono entro una data entità (come i
mutamenti di struttura e di cultura che si verificano in una
organizzazione complessa, ma scompaiono con questa senza essere
trasmessi ad altre organizzazioni) e la comparsa di variazioni atte
a diffondersi per via riproduttiva. Anche i sistemi sociali, come
ogni sistema vivente, presentano tassi variabili, da 0 a n > 1,
di fecondità e di idoneità. Pertanto l'adattamento
genetico o evolutivo, l'adattamento fisiologico e l'apprendimento
non possono venir posti sullo stesso piano, come se fossero tre
forme di un medesimo fenomeno, nemmeno quando ci si riferisca a
entità non biologiche. Da un lato, in quanto periscono con il
singolo organismo, l'adattamento fisiologico e l'apprendimento
possono sì contribuire alla sopravvivenza e alla riproduzione
di questo, ma non hanno di per sé alcuna influenza sui
caratteri dei discendenti. Dall'altro lato le capacità di
adattare alle contingenze ambientali la propria fisiologia, e di
apprendere da queste, sono pur esse dovute a un adattamento
evolutivo, che ha premiato la loro trasmissione ereditaria da una
generazione all'altra.
Elemento fondante del concetto di adattamento, nelle scienze sociali
come nelle scienze biologiche, rimane quindi la nozione di
contributo reso, da parte di caratteri funzionali, morfologici o
comportamentali trasmissibili, alla sopravvivenza e alla
riproduzione differenziali. Non solo e non tanto dell'individuo, che
in certi casi può anzi decidere di perire per meglio
sopravvivere in altre forme, quanto di una variante
dell'entità fisica o simbolica di cui esso rappresenta una
singola istanza; e quindi, in primo luogo, dell'insieme delle
entità che a esso risultano affini, ovvero apparentate per
molteplici tratti fisici o simbolici.
2. L'adattamento come carattere, funzione, stato o processo
sistemico
Definizioni ricorrenti da una generazione scientifica all'altra,
quale "un organismo è un fascio di adattamenti" (v. Huxley,
1942), lasciano chiaramente intendere che, nel contesto, il termine
designa uno specifico e isolabile carattere ereditario che accresce
le probabilità di sopravvivenza e riproduzione. Questa
accezione del termine è tuttora comune in biologia: "Quando i
biologi osservano una struttura che ha uno"scopo' [...] evidente,
essi la indicano con il termine adattamento - una caratteristica che
rende un organismo più adatto (idoneo) al suo stile di vita '
(v. Luria e altri, 1981; tr. it., p. 510). In tal senso sono
adattamenti il becco del cormorano, efficace attrezzo da pesca; la
livrea bianca opportunamente vestita dall'ermellino in inverno; la
colorazione scura che rende invisibile la falena Biston betularia
quando si posa su tronchi sporchi di fuliggine. Quest'uso del
termine adattamento trova invero scarsi riscontri nelle scienze
sociali, sebbene capiti, in specie nei testi etnologici, di vedere
definite come adattamento, ad esempio, la tecnologia oppure la
disposizione a cooperare.
Poco meno usuale è la definizione di adattamento come stato
dell'essere adattato, o come processo del diventare adatto (v.
Sommerhoff, 1974, p. 75). Senza ulteriori qualificazioni, la
definizione di adattamento come stato, assai comune anche nelle
scienze sociali, è inaccettabilmente generica. Non può
infatti esistere un punto zero rispetto al quale misurare in
assoluto lo stato di adattamento (qualsiasi entità vivente,
per il solo fatto di essere vivente, appare in buona misura adattata
al suo ambiente), né uno stato ottimale di adattamento
(poiché qualsiasi entità, per quanto ben adattata,
può essere superata, in termini di probabilità di
sopravvivenza e riproduzione, da una variante dello stesso tipo).
È quindi giocoforza relativizzare lo stato di adattamento
mediante due possibili riferimenti: 1) riferendolo a un tempo
anteriore o posteriore della medesima entità, come in questa
definizione del sociologo tedesco Helmut Schoeck: "L'adattamento
[è] uno stato finale relativo di un processo di adattamento
[...] che si verifica quando un individuo, un gruppo, una minoranza
o una istituzione si vengono a trovare dopo un certo periodo, per lo
più grazie a un mutamento consapevole di proprie
caratteristiche, in una condizione che rende l'interazione con altri
partners nello stesso ambiente meno soggetta ad attriti di quanto
non fosse all'inizio del processo" (v. Schoeck, 1969, pp. 19-20); 2)
riferendolo, come avviene di norma nelle scienze biologiche, ad
altre entità della stessa specie o sottospecie
dell'entità considerata, coesistenti nello stesso ambiente o
nicchia ambientale, ma esibenti rispetto a essa variazioni di
morfologia, strutture e funzioni interne e comportamento. Rilevanti,
tanto in biologia che nelle scienze sociali, sono le connessioni tra
i concetti di adattamento e di funzione. Huxley, tra gli altri, ebbe
a definirli due aspetti della medesima cosa. In effetti, se si
definisce un adattamento come un carattere che contribuisce alle
probabilità di sopravvivenza e riproduzione di un organismo
perché accresce la sua capacità di procurarsi e
utilizzare energia o informazione, si è con ciò stesso
definita la funzione di quel carattere.
Nella teoria dell'azione di Talcott Parsons, forse la più
influente della seconda metà del Novecento, la connessione
tra adattamento e funzione ha portato a individuare nell'adattamento
uno degli imperativi funzionali di ogni sistema, che si concreta in
un sottosistema specializzato nel far fronte a tale imperativo. In
ogni sistema d'azione, di cui i sistemi sociali sono soltanto una
classe - ancorché d'interesse centrale per la sociologia -
gli imperativi funzionali, le funzioni che il sistema deve comunque
svolgere per riuscire a sopravvivere, sono: il perseguimento di
scopi; il mantenimento, ovvero la riproduzione della struttura
profonda (o latente, nel lessico parsoniano); l'integrazione delle
componenti interne; il procacciamento o la produzione di risorse
materiali e simboliche, applicabili per la loro generalità a
scopi alternativi, funzione che Parsons definisce appunto
adattamento (v. Parsons, 1961).
Nel modello parsoniano a ogni livello sistemico si ritrovano
attività - in combinazioni variabili di energia e di
informazione - selettivamente rivolte a soddisfare una data
funzione, e circoscrivibili, sotto il profilo analitico, come
sottosistemi del sistema di riferimento. Ogni sottosistema è
analizzabile a sua volta con il medesimo schema. Ne segue che la
funzionesottosistema di adattamento, che a livello di società
è rappresentata in concreto dall'economia (v. Parsons e
Smelser, 1964), si ritrova nuovamente come sottosistema, al livello
sottostante, entro ciascuno dei sottosistemi societari; dentro la
stessa economia, ma, ad esempio, anche dentro la politica, che
rappresenta in questo modello la concrezione a livello societario
del perseguimento dello scopo. L'analoga funzione-sottosistema si
ritrova poi agli altri livelli dell'azione - il ruolo, la
personalità, l'organismo - e a ciascuno di questi livelli
essa contiene, come proprio sottosistema, una replica di se stessa.
Un inconveniente di siffatta identificazione dell'adattamento con
una singola funzione sub-sistemica specializzata sta nel mascherare
l'importanza del contributo che alle probabilità di
sopravvivenza e riproduzione del sistema recano indistintamente
tutte le sue funzioni. Negli stessi termini del modello parsoniano
le probabilità di sopravvivenza dei sistemi sociali, ivi
comprese le società come individualità storiche,
possono venire compromesse da carenze nel perseguire gli scopi
collettivi, nell'integrazione, o nel mantenimento della struttura
latente, non meno che da carenze nel procacciamento di risorse. Il
rapporto di un sistema vivente con l'ambiente, che costituisce il
nucleo duro e distintivo del concetto di adattamento, può
venire migliorato o peggiorato da variazioni in una qualsiasi delle
funzioni fondamentali, o in una qualsiasi combinazione di esse, non
soltanto dalla funzione 'economica'.
Tale nucleo concettuale viene meglio sfruttato ove si concepisca
l'adattamento come un insieme di rapporti a più livelli e in
più tempi tra un sistema vivente - sia esso organico,
psichico o sociale - e il suo ambiente, nel quale si verificano le
condizioni sotto elencate.
1. L'essenza di tali rapporti è uno scambio di informazione e
di energia tra il sistema e l'ambiente (nonché entro il
sistema) nel quale la sopravvivenza del sistema è legata in
ultimo a un saldo attivo dello scambio energetico, a prescindere dal
volume dello scambio, ma non necessariamente a un saldo
informazionale parimenti attivo. Distribuire informazione
nell'ambiente più che nel sistema si è infatti
dimostrata una strategia evolutiva efficace.
2. Variabili in tali rapporti sono, da un lato, la capacità
del sistema di procurarsi e utilizzare con efficacia ed efficienza,
ai propri fini di sopravvivenza e riproduzione complessiva -
includente cioè gli affini biologici e simbolici -
informazione endogena ed esogena, atta a sua volta a procurare e
strutturare con efficacia ed efficienza l'energia disponibile
nell'ambiente; dall'altro, l'informazione e l'energia potenzialmente
disponibili nell'ambiente.
3. La suddetta capacità del sistema è atta ad ampliare
e ridefinire costantemente caratteri, conformazione e confini
dell'ambiente - e a tal proposito si parla di capacità
alloplastiche - ma soltanto fino a certi limiti. Un ambiente a
massima entropia, anche se solo locale, non può fornire
né informazione né energia.
4. Il procacciamento e l'uso di informazione ed energia sono tanto
più efficaci ed efficienti quanto più il sistema
perviene a estrarre dall'ambiente delle regolarità di
accadimento, ovvero quanto più elevata è la sua
competenza cognitiva, in una circolarità potenzialmente senza
limiti ma suscettibile di blocchi e regressioni.
5. I rapporti in questione - scambi di informazione e di energia -
si attuano sia entro il sistema (tra le sue parti o sottosistemi),
sia tra il sistema - ma di fatto tra uno o più dei suoi
sottosistemi - e vari sottosistemi o livelli dell'ambiente. A uno
scambio relativamente efficace ed efficiente di informazione/energia
tra due sottosistemi interni, o tra un sottosistema del sistema di
riferimento e uno o più sottosistemi dell'ambiente,
descrivibile quindi come un adattamento relativamente buono, possono
accompagnarsi, e di solito si accompagnano, altri scambi interni ed
esterni meno efficaci o efficienti, configuranti quindi un
adattamento peggiore.
6. L'adattamento può essere riferito, ovvero contribuire, a
due diverse misure di idoneità, quella individuale e quella
complessiva. La prima misura la capacità del singolo sistema
di lasciare discendenti; la seconda, la capacità di lasciare
discendenti da parte di componenti materiali o simboliche del
sistema stesso. Un tratto strutturale o comportamentale che
contribuisce al primo tipo di idoneità può risultare
neutrale, se non addirittura dannoso, rispetto al secondo.
7. L'adattamento globale di un sistema a un ambiente, che di fatto
risulta misurabile empiricamente soltanto dalla sua idoneità
individuale o complessiva a posteriori, risulta dalla combinazione
dei suoi adattamenti sub-sistemici o locali, nella quale un singolo
caso di cattivo adattamento - cioè di inefficiente o
inefficace inter- o intra-scambio di informazione/energia - è
capace di compromettere tutti gli altri adattamenti locali.
8. Il tempo, infine, è una dimensione essenziale. Un buon
adattamento locale o globale al tempo t₁ può rivelarsi
disastroso al tempo t₂.Tale definizione deriva da una ricostruzione
per quanto possibile rigorosa della struttura profonda del concetto
di adattamento, quale appare traversare tutte le discipline che lo
hanno utilizzato, dalla biologia alla teoria generale dei sistemi e
alle scienze sociali. Essa dovrebbe, tra l'altro, far giustizia
dell'obiezione - a dire il vero alquanto trita - per la quale
parlare di adattamento significa necessariamente asserire che tutte
le caratteristiche di un organismo o sistema vivente siano
adattative, o derivino da un adattamento riuscito, concepito
(erroneamente) come soluzione a un problema a esso preesistente (v.
Lewontin, 1977).
3. Il concetto di adattamento nella storia delle scienze sociali
A partire da metà Ottocento, la sociologia, l'economia, la
psicologia sociale, l'antropologia sociale e culturale hanno
interpretato in vari modi il concetto di adattamento, spesso
associandolo ad altre idee forti delle rispettive epoche.
Ravvivatosi con gli anni settanta a causa degli echi destati, non
solo sul terreno scientifico, dal programma di ricerca sulle basi
evolutive del comportamento umano proposto dai socio-biologi (v.
Wilson, 1975), il dibattito contemporaneo in tema di adattamento
continua a essere segnatamente condizionato da tali associazioni.Con
varianti e affinamenti che arrivano sino ai nostri giorni, diversi
indirizzi delle scienze sociali hanno associato al concetto di
adattamento principalmente le idee di progresso, di relazione
sociale armoniosa, di accomodamento volontario o forzato alle
esigenze dell'ambiente sociale, di equilibrio di tipo economico tra
sistemi, o tra sistema e ambiente. Oltre che in Spencer (v.,
1882-1896), per il quale l'adattamento e il progresso consistevano
primariamente - al pari dell'evoluzione delle specie, secondo che
postulava allora una malintesa concezione embriologica
dell'evoluzione medesima - nella differenziazione delle strutture
sociali, verso la fine dell'Ottocento l'associazione tra adattamento
e progresso si ritrova con tratti particolarmente marcati nell'opera
di Jacques Novikov (v., 1893) e di Michelangelo Vaccaro (v., 1893).
La lotta per l'esistenza di organismi, gruppi e società, e la
correlativa eliminazione dei meno adatti favorirebbero, secondo
questi protosociologi, un adattamento sempre migliore dell'uomo al
mondo vegetale e animale, alle forze cosmiche e ai gruppi sociali.
Simile tendenza, anche se talora si arresta o regredisce, è
chiaramente osservabile in tutta la storia delle società
umane, affermava Vaccaro, al punto che si può parlare di una
vera e propria legge dell'adattamento. Il perenne operare di tale
legge offre una solida base al progresso delle società umane.
L'idea di relazione sociale più o meno armoniosa è
stata associata al concetto di adattamento, tra gli altri, da
studiosi quali Gabriel Tarde (v., 1895) e Leopold von Wiese (v.,
1924-1929), dopo Georg Simmel, uno dei maggiori rappresentanti della
sociologia formalista. Per Tarde adattamento significava armonia a
due livelli: tra le idee albergate nella mente di un individuo, e
tra le diverse menti che, in quanto siano esse stesse internamente
armoniose, sono meglio atte a cooperare tra loro, a beneficio della
società intera. Per von Wiese l'adattamento è una
delle forme basilari di relazione sociale, assimilabile a una
categoria grammaticale nella sintassi immutabile delle interazioni
tra gli individui. Esso corrisponde al primo grado
dell'associazione, quello che si fonda sul riconoscimento delle
reciproche differenze, e prelude a relazioni più ravvicinate
quali l'assimilazione e l'unione. Concezioni non dissimili, in
quanto scorgono nell'adattamento una relazione sociale improntata
alla tolleranza e al compromesso, sono osservabili anche nella
sociologia americana - e non per caso - stante l'influsso che la
sociologia formalista ebbe su parecchi dei suoi fondatori (v. Ross,
1905).Negli studi di sociologia storica del capitalismo di Werner
Sombart, il concetto di adattamento subisce una caratteristica
inversione di significato, a causa della sostituzione
dell'unità di riferimento. Parlando di adattamento della
popolazione agli sviluppi del capitalismo, Sombart non si riferiva
alle probabilità di sopravvivenza della prima, come
richiederebbe l'etimo di adattamento, bensì ai problemi di
sopravvivenza del secondo. È la popolazione che,
concentrandosi nelle città, abituandosi a una marcata
divisione del lavoro, limitando le rivendicazioni salariali, ha
dovuto accomodarsi alle esigenze di unificazione dei centri di
comando, di razionalizzazione dell'uso delle risorse tecniche e
umane, di remunerazione del capitale, proprie del nuovo modo di
produzione (v. Sombart, 1916-1927²).
Un'accezione affine dell'adattamento - l'adattamento non come stato
o carattere che accresce le probabilità di sopravvivenza o
riproduzione, bensì come accomodamento eteronomo di una data
entità a una situazione che la sovrasta - è presente
in molti testi di sociologia dell'epoca, tra i quali ebbe grande
influenza un diffuso manuale di Robert E. Park ed Ernest W. Burgess
(v., 1921). Nella sociologia americana dei primi decenni del secolo
l'adattamento reinterpretato in tal modo venne assunto come scopo
dell'intera disciplina, e su di esso fu orientata la formazione di
una generazione di 'ingegneri sociali'.
L'adattamento è stato teorizzato come una forma di equilibrio
tra un soggetto individuale o collettivo e l'ambiente sociale, non
dissimile dall'equilibrio del consumatore o dell'impresa studiato
dall'economia marginalista, soprattutto da alcune versioni volgari
del funzionalismo; laddove altre - compresa quella di Parsons, pur
ripetutamente modificata - avevano invece insistito sul suo
carattere di dominio attivo del primo sul secondo. È tuttavia
difficile sottrarsi alla tentazione di intendere implicitamente
l'adattamento come una forma di equilibrio, derivante dall'azione di
un soggetto che modifica la sua domanda di risorse in funzione di
curve che combinano la scarsità di queste con
l'utilità per esso, ove non ci si rifaccia all'adattamento
come stato pluridimensionale, che va osservato a differenti livelli
e in diversi tempi.
Poiché le idee di progresso, di armonia sociale, di
accomodamento o aggiustamento dell'individuo alla società,
nonché di equilibrio economico, sono state sottoposte a
critiche radicali sia dalle scienze sociali, sia dalla maggior parte
delle ideologie politiche del Novecento, la lunga associazione con
esse del concetto di adattamento ha nuociuto non poco alla sua
comprensione e diffusione, benché esso si riferisca a stati e
processi di sistemi viventi i quali, propriamente intesi, appaiono
sovente non solo estranei, ma anzi in contrasto con tali idee.
4. Unità e livelli di adattamento nelle società umane.
Loro interazioni
L'adattamento è uno stato di un'entità sistemica da
specificare di volta in volta, che sarà detta unità di
adattamento. A seconda degli interessi dell'osservatore, possono
venir considerati come unità di adattamento: l'individuo;
sistemi intraindividuali, come l'organismo o il sistema di
orientamento; gruppi di ogni dimensione; sistemi sociali, sia
concreti che analitici; sistemi culturali; etnie o nazioni;
popolazioni; società globali. Di ciascuna unità
è possibile considerare differenti livelli di adattamento.
Nell'adattamento umano gli antropologi culturali sogliono
distinguere almeno tre livelli. Radcliffe-Brown, ad esempio, parlava
di adattamento dell'individuo al sistema sociale; di adattamento
della struttura normativa e regolativa al sistema; infine di
adattamento del sistema sociale all'ambiente (v. Radcliffe-Brown,
1952). Posteriore è la distinzione tra un livello interno di
adattamento, che riguarda soprattutto il sé di ego,
l'individuo di riferimento; un livello sociale, che si riferisce ai
rapporti tra ego e gli altri; un livello fisico/biologico, che si
riferisce ai rapporti con la natura (v. Bock, 1969; tr. it., p.
246).
Sebbene nel testo citato di Bock l'adattamento sia contestualmente
definito come riferentesi alla capacità d'una data
popolazione di sopravvivere in un dato ambiente, la descrizione dei
tre livelli concerne palesemente l'individuo, con i suoi sistemi
intrapsichici. Essa lascia pertanto in ombra il fatto che il
contenuto di ciascun livello di adattamento cambia profondamente a
seconda dell'unità cui viene riferito. Sebbene una
popolazione sia composta pur sempre da individui, lo scambio di
informazione e di energia tra una data popolazione e le altre, o
all'interno di essa, o tra di essa e l'ambiente fisico/biologico,
è fenomeno qualitativamente diverso, a prescindere dal
volume, dall'analogo scambio tra un individuo e un gruppo. Del pari
profondamente diversi sono gli scambi di informazione e di energia
tra due o più sistemi sociali concreti; tra due o più
sistemi sociali analitici; tra un sistema sociale concreto o
analitico e il suo ambiente, ancorché il livello di
adattamento cui ci si riferisce nei diversi casi sia il medesimo.In
tutti questi casi, di fatto, lo scambio di informazione e di energia
tra le rispettive unità di adattamento passa fisicamente
attraverso individui, ma ciascun individuo compare in ciascuna
unità in una funzione diversa, di rado coordinata con le
altre. Di solito, inoltre, esso svolge ciascuna funzione in modo
partitamente inconsapevole. Ne segue che la presenza d'una
società ben adattata al sistema internazionale non implica
che tutti i suoi cittadini presentino, individualmente, un elevato
grado di adattamento alla propria società. In modo analogo,
l'adattamento di un'azienda al sistema economico nazionale non
è dato dalla somma degli adattamenti individuali dei suoi
dipendenti; l'adattamento dell'economia nazionale all'economia
internazionale non corrisponde alla somma degli adattamenti delle
aziende che la formano; l'adattamento della popolazione italiana
alla popolazione europea non è un multiplo degli adattamenti
individuali a livello fisico/biologico, e così di seguito,
quale che sia la particolare combinazione o permutazione di
unità e livelli di adattamento che si voglia considerare.
Al limite, ciascuna unità di riferimento può
presentare un buon adattamento, mentre l'adattamento delle
unità che la compongono, e quello delle unità di cui
essa è un componente, può risultare pessimo.
Ciò implica pure che il contributo dato da una forma di
adattamento alle probabilità di sopravvivenza e di
riproduzione del sistema di riferimento - ossia alla sua
idoneità individuale - non è detto corrisponda ad
analogo contributo in direzione della sua idoneità
complessiva.Cionondimeno, la differenza e l'indipendenza relativa
delle varie unità e dei diversi livelli di adattamento,
così come la differenza delle funzioni che l'individuo svolge
in diversi sistemi, insieme alla inconsapevolezza con cui le svolge,
non escludono la presenza di cospicue interazioni tra unità e
livelli; in ispecie se nella valutazione del grado di adattamento si
introduce, conforme alla definizione data nel cap. 2, la dimensione
tempo. Infatti, se un livello di (elevato) adattamento al tempo t₁
di date unità u,u viene ottenuto consumando risorse che al
tempo t₂ risultano scarse per l'unità U, di cui u,u sono
componenti, è probabile che al tempo t₃, se non già al
tempo t₂, il grado di adattamento di u,u venga anch'esso
compromesso. Effetti di composizione, talora perversi, operano nel
campo degli stati di adattamento come in ogni altro campo
dell'organizzazione bio-socio-culturale delle società umane.
5. Adattamento, comportamenti adattativi e razionalità
Qualsiasi comportamento che concorra ad accrescere l'idoneità
individuale o quella complessiva, migliorando - dal punto di vista
dell'unità di adattamento - gli scambi di energia e di
informazione tra un sistema e il suo ambiente, o tra i sottosistemi
del sistema stesso, può essere definito un comportamento
adattativo. Con termini che Freud riferiva (i primi due)
all'individuo, ma che si possono applicare a ogni unità di
adattamento, sino ai sistemi sociali e alle società, i
comportamenti adattativi sono classificabili in autoplastici,
alloplastici ed esotropici.
Tra i primi rientrano i comportamenti messi in atto da un organismo,
un gruppo, un sistema sociale per modificare proprie strutture e
funzioni, o altri caratteri fenotipici, che conseguono - siano o no
dei comportamenti intenzionali - un miglioramento dei suoi rapporti
con un dato ambiente. I comportamenti alloplastici, eccezionalmente
sviluppati nell'uomo, sono quelli diretti a modificare i caratteri
dell'ambiente per adeguarli ai caratteri dell'unità di
adattamento. Esotropici infine sono quei comportamenti che
consistono nella ricerca ed esplorazione di ambienti nuovi, al fine
di migliorare il proprio adattamento o sottrarsi a un suo
peggioramento causato da un mutamento dell'ambiente precedente. Le
tre classi di comportamento adattativo interagiscono tra loro sia a
livello genetico che ai livelli somatico ed esosomatico, formando un
particolare circuito coevolutivo.
Un comportamento adattativo può venir prodotto da vari
fattori, quali: una variazione del genotipo; un processo di
apprendimento; un'invenzione inconsapevole, risultante da azioni
volte in origine ad altri scopi; uno scopo consapevolmente
perseguito. Ciascun tipo di comportamento adattativo derivante da
questi fattori si connette in modo diverso al concetto di
razionalità. L'evoluzione su basi genetiche di comportamenti
adattativi, con particolare riguardo ai comportamenti sociali,
rientra nel campo di studio dell'etologia e della sociobiologia, la
cui fondazione risale in realtà fino a Darwin. Uno specifico
comportamento sociale adattativo che etologia e sociobiologia
spiegano su basi genetiche, ma in modo diverso rispetto alla teoria
classica dell'evoluzione, è l'altruismo. Altruistico, nel
linguaggio a-morale della teoria dell'evoluzione, è
semplicemente qualsiasi atto che riduca le probabilità di
sopravvivere e riprodursi dell'agente, mentre migliora quelle del
beneficiario dell'atto. Dal punto di vista della teoria darwiniana
dell'evoluzione, l'altruismo appare inspiegabile, perché
l'idoneità degli organismi altruisti - la loro
capacità di lasciare discendenti - dovrebbe tendere a zero, a
causa del continuo peggioramento relativo del loro grado di
adattamento.
La teoria sociobiologica spiega l'altruismo sostituendo
all'organismo, come unità di adattamento, il gene. Mediante
un calcolo fondato sui coefficienti di affinità genetica,
è infatti possibile dimostrare che a certe condizioni,
seppure l'organismo altruista venga leso o perisca nel compiere
l'atto altruistico, il comportamento altruistico tenderà
comunque a diffondersi nella popolazione di riferimento. Ciò
avviene quando l'atto altruista concorre ad aumentare il successo
riproduttivo d'un numero sufficiente di altri organismi i quali, in
quanto consanguinei con l'attore, sono portatori degli stessi geni.
Mediante schemi analoghi, centrati sul concetto di trasmissione
ereditaria, per via genetica, della predisposizione a manifestare in
date situazioni un dato comportamento, etologi e sociobiologi
spiegano la diffusione di numerosi comportamenti adattativi (v.
Barash, 1977). In questo caso la razionalità non è un
carattere dell'individuo o del gruppo, bensì della natura.
Diverso è il caso dei comportamenti appresi, nonché di
quelli derivanti dal perseguimento consapevole di uno scopo. Ove
rientri in una tipologia di comportamenti che in quelle date
circostanze hanno di regola successo, un comportamento diretto a uno
scopo è per definizione un'attività 'adattata' alle
circostanze in cui ha luogo (v. Sommerhoff, 1974, pp. 75 ss.).
È cioè un'attività che sfrutta efficacemente, e
non per accidente ma per intenzione, informazioni e salti energetici
disponibili nell'ambiente interno dell'agente e nell'ambiente
esterno, in uno scambio che presenta alla fine un bilancio
favorevole all'agente. La più tipica di tali attività
intenzionalmente direzionate è il lavoro umano, archetipo di
ogni comportamento adattativo della specie.
A un ordine diverso pertiene la razionalità adattativa dei
comportamenti appresi. Estremamente sviluppati negli esseri umani,
grazie allo sviluppo dei sistemi simbolici, i comportamenti appresi
sono osservabili in migliaia di altre specie. Alla base di essi vi
sono processi di induzione tramite i quali gli esseri viventi
modellizzano il mondo fisico e sociale, estraendone le
regolarità collimanti con le proprie strutture e funzioni,
ovvero con il proprio particolare piano organizzativo, e
registrandole nelle cellule 'libere' del proprio sistema nervoso
(prevalentemente site, nei Primati, nella corteccia cerebrale).Un
modello adeguato del mondo ha un rilevante valore adattativo, da
vari punti di vista: riduce la probabilità di commettere
errori, e con essa i rischi per la sopravvivenza e la riproduzione;
orienta l'azione, accrescendone l'efficacia; integra il sistema
psichico, riducendo le possibilità di conflitti interni; in
generale, migliora l'efficacia e l'efficienza degli scambi
energetici e informazionali dell'entità di riferimento con
l'ambiente - che è semplicemente uno dei vari modi per
definire la razionalità.
Occorre tuttavia distinguere tra razionalità locale e
razionalità globale dei comportamenti adattativi.
Generalizzando l'impostazione di J. Elster, che prende a riferimento
l'organismo come macchina biologica, si può dire che un
sistema manifesta una razionalità globale se è capace
di attendere e di usare strategie indirette. In caso contrario la
sua razionalità sarà soltanto locale. Un sistema
"è capace di attendere se sa dire No a una mutazione
favorevole al fine di poter dire Sì a una ancora più
favorevole in un tempo successivo. [... Un sistema] è capace
di usare strategie indirette se sa dire Sì a una mutazione
sfavorevole al fine di poter dire Sì, in un tempo successivo,
a una molto favorevole" (v. Elster, 1979, p. 9). In questa
definizione di razionalità globale il punto critico - per il
sistema di riferimento ma anche per l'osservatore che intenda
valutarne il grado di razionalità - è evidentemente la
capacità del sistema, sia esso un organismo, una persona, un
gruppo o una società, di anticipare la 'favorevolezza' delle
'mutazioni' future, nonché di compararla con la
'favorevolezza' delle mutazioni presenti.
Applicando forme di razionalità globale, un individuo, un
gruppo, una società possono adottare scientemente dei
comportamenti, inclusi quelli autoplastici che consistono nel
modificare se stessi, i quali anticipano mutamenti dell'ambiente e
sebbene non migliorino l'adattamento nel presente rendono più
probabile un miglior adattamento per il futuro. In questi casi si
può parlare di preadattamento. È tuttavia possibile
che un preadattamento sia dovuto al caso, come capita agli organismi
che una micro- o una macro-mutazione viene a dotare di un carattere
morfologico o funzionale al momento inutile, ma che poi si rivela, a
fronte di imprevedibili mutamenti ambientali, un fattore
differenziale di sopravvivenza.
6. Sistemi sociali, tecnologici e simbolici come mezzi di
adattamento
Veri e propri sistemi sociali - rapporti e relazioni stabili tra
posizioni e forme di attività, strutturalmente indipendenti
dagli individui che a un dato momento occupano le prime e svolgono
le seconde - sono stati sviluppati autonomamente da parecchie
migliaia di specie animali. Lo stesso dicasi dei sistemi tecnologici
- pratiche standard per la soluzione di problemi materiali
ricorrenti, di norma integrate da strumenti o utensili che servono
da 'protesi', ossia da pro-tensione o potenziamento di
capacità naturali. Sia i sistemi sociali che i sistemi
tecnologici rappresentano mezzi di adattamento, che si aggiungono ai
caratteri morfologici e funzionali degli organismi di una data
specie, essendosi di norma coevoluti con essi. I gruppi parentali
dei gorilla, le strutture di casta di api e termiti, la famiglia
nucleare di molti uccelli, il branco dei lupi sono sistemi sociali
finemente articolati, mediante i quali tali specie hanno accresciuto
o difeso, a seconda dei tipi e della variabilità dei
rispettivi ambienti, la loro probabilità di sopravvivere e
riprodursi, ovvero l'idoneità individuale o complessiva.
Così pure sono mezzi di adattamento i nidi dei passeriformi,
le dighe dei castori, le tane delle marmotte, le tele dei ragni:
espressioni finali di complessi sistemi tecnologici formati da
processi nervosi (e, nei Primati, anche mentali), da tecniche di
raccolta e apprestamento dei materiali, da processi di
fabbricazione, collaudo e riparazione.A loro volta, dall'aratro di
legno, e anzi dalla selce scheggiata, ai robot intelligenti e alle
reti telematiche, i sistemi tecnologici sviluppati dall'uomo tendono
ad accrescere l'adattamento di individui e popolazioni perché
migliorano il rapporto tra energia umana impiegata ed energia
estratta dall'ambiente onde essere utilizzata, in varie forme, a
fini di consumo e produzione alimentare, protezione dal clima,
costruzione di attrezzi, difesa da predatori animali e umani.
L'efficacia dei sistemi tecnologici come mezzi di adattamento
è illustrata drammaticamente dallo stretto rapporto esistente
tra livello medio di sviluppo tecnologico di un paese, da un lato,
e, dall'altro, durata media dell'esistenza, accanto alla
qualità media della vita in termini di esposizione alla
fatica, rischio di malattia, mortalità infantile: quanto
più basso il primo, tanto più breve la seconda, e
tanto peggiore la terza.Da parte loro i sistemi sociali concorrono
in molti modi a migliorare direttamente l'adattamento dei gruppi e
delle popolazioni umane e, indirettamente, degli individui che le
compongono - non necessariamente di tutti. In forma di famiglia o di
clan, di organizzazione economica o di amministrazione pubblica, di
associazione politica o religiosa, di comunità locale o di
Stato, i sistemi sociali sono atti a organizzare un gran numero di
energie e intelligenze individuali, convertendole in una misura
più che proporzionale di energia e intelligenza collettiva.In
tal modo l'insieme di questi sistemi - che globalmente prende il
nome di organizzazione sociale - permette a una data popolazione,
rispetto a una che non disponga di un livello analogo di
organizzazione, di esplorare, sfruttare e controllare un territorio
più ampio; di tenere a bada le popolazioni confinanti; di
accrescere le proprie capacità di difesa e di attacco; di
sviluppare e utilizzare sistemi tecnologici più potenti e
complessi; di proteggere meglio i propri gruppi più deboli;
di aggregare e integrare popolazioni di minori dimensioni,
eventualmente appartenenti a razze ed etnie differenti, in una sola
società.
Come mezzi di adattamento i sistemi sociali sono più
importanti dei sistemi tecnologici; infatti, anche se la maggior
parte di questi viene distrutta, a causa di eventi bellici o
disastri naturali, quasi tutte le società umane sembrano in
grado di ricostruirli rapidamente, a condizione che la loro
organizzazione sociale sia rimasta intatta. Per contro, il crollo
dei sistemi sociali riduce drasticamente il grado di adattamento. La
storia del XX secolo è ricca di testimonianze in tal senso,
così come la sociologia dei disastri.
Diversamente da ogni altra specie, la specie umana ha dato origine a
un terzo ordine di sistemi, quelli simbolici: sistemi formati da
simboli normalizzati, autoreplicantisi, memorizzabili e
trasmissibili in varie forme, quali linguaggi naturali e
artificiali, credenze religiose e concezioni del mondo, feste e
rituali, ideologie politiche e sistemi cognitivi, precetti morali e
canoni estetici. Oltre a possedere un'efficacia adattativa
intrinseca, a causa della loro funzione integrativa della
personalità e dei gruppi, i sistemi simbolici hanno
consentito di moltiplicare con rapidità straordinaria,
considerati i ritmi dell'evoluzione biologica, l'efficacia
adattativa dei sistemi degli altri due ordini.
Per forse due milioni di anni quest'ultima non fu, presumibilmente,
maggiore - misurandola in termini di idoneità individuale e
complessiva - di quella assicurata dai sistemi sociali e tecnologici
sviluppati da molte altre specie. Soltanto in tempi evolutivamente
recenti - a partire da meno di 100.000 anni fa - emersero sistemi
simbolici sufficientemente sviluppati da permettere agli uomini di
cumulare, memorizzare e trasmettere con diversi veicoli ogni sorta
di conoscenze sociali e tecnologiche, nonché di anticipare
gli effetti delle azioni che si intraprendono avendo per oggetto
sistemi degli altri due ordini. Tramite i sistemi simbolici, divenne
fattibile la produzione intenzionale di sistemi sociali e
tecnologici sempre più efficaci, come mezzi di adattamento, a
confronto di quelli sviluppatisi come semplici "fenotipi estesi" (v.
Dawkins, 1982). In quanto sono estensioni del biogramma
geneticamente vincolate, questi ultimi sono infatti costretti a
riprodursi senza modificazioni rilevanti, salvo quelle indotte da
modificazioni del genotipo, di generazione in generazione.I sistemi
simbolici si sono coevoluti con i sistemi sociali e con i sistemi
tecnologici, e in concreto sono inseparabili da entrambi. Non
esistono infatti sistemi sociali, né sistemi tecnologici, che
non siano permeati da sistemi simbolici. Ma da un punto di vista
analitico questi ultimi rappresentano un livello diverso dell'azione
e dell'organizzazione sociale, relativamente indipendente dai
sistemi sociali, molti dei quali sono suscettibili di coesistere e
persistere identici in relazione con sistemi simbolici tra loro
affatto differenti. È precisamente la loro indipendenza che
fa dei sistemi simbolici degli strumenti atti ad accrescere a
dismisura le capacità dei sistemi sociali come di quelli
tecnologici, rendendo possibile sia l'invenzione di nuovi sistemi a
prescindere dall'esperienza, sia la loro continua revisione in base
all'esperienza. Se la specie umana è diventata - almeno fino
a oggi - la specie dominante del pianeta, lo deve all'eccezionale
aumento del suo grado di adattamento generato da codesto circuito
coevolutivo di sistemi sociali, tecnologici e simbolici.
L'invenzione e l'immenso sviluppo dei sistemi simbolici hanno
però avuto anche effetti divaricanti sui processi di
adattamento umani. I sistemi simbolici forniscono all'individuo una
capacità di orientamento totalmente indipendente dagli
istinti, e più in generale da qualsiasi scambio di
informazione contingente con l'ambiente. Grazie a essi, l'essere
umano ha acquisito una capacità quasi infinita di definire la
propria collocazione fisica, e quella simbolica, rispetto a un
numero indefinito di altre entità fisiche e simboliche. A
differenza di tutti gli altri animali, l'uomo non può
più 'perdersi', nello spazio fisico come in quello simbolico,
se non in condizioni limite, ambientali o mentali, mentre la sua
azione può dirigersi verso una gamma illimitata di scopi
materiali e ideali.
D'altra parte con lo sviluppo dei sistemi simbolici si sono
affacciate per la prima volta, nella storia evolutiva dell'uomo,
varie possibilità di conflitto tra comportamenti adattativi
(v. Boyd e Richerson, 1985). Di per sé, i sistemi sociali e
tecnologici, per la maggior parte della loro storia evolutiva,
ovvero fino a un determinato grado di complessità, non sono
stati altro, come s'è detto, che dei prolungamenti del
biogramma umano, il particolare fenotipo esteso della specie; e come
ogni fenotipo in rapporto stretto con il genotipo, essi svolgevano
una evidente e univoca funzione adattativa, senza altri sistemi che
potessero competere per attrarre a proprio favore l'azione umana.
Con l'avvento dei sistemi simbolici, che permeano a fondo i sistemi
sociali e tecnologici, la funzione adattativa di molti di questi
viene per un verso velata, e per un altro dissociata dalla funzione
adattativa dei primi se non anzi contrapposta. In molti casi
l'azione umana si trova così esposta alla necessità -
spesso non evidente o inconsapevole - di scegliere tra il
contribuire alla propria idoneità per mezzo di un sistema
simbolico oppure per mezzo di un sistema sociale o tecnologico;
pervenendo non di rado a contribuire alla sopravvivenza e alla
riproduzione di tali sistemi, forse anche più che alla
propria. Il che potrebbe pur essere, su un piano diverso, un modo
per sopravvivere in altre forme, incorporee o non organiche.
7. Forme di sopravvivenza e di riproduzione: dall'individuo ai
sistemi sociali e culturali
Se adattamento significa contributo alla sopravvivenza e alla
riproduzione, la valutazione dello stato di adattamento di una
qualsiasi unità di riferimento presuppone che siano note la o
le entità che l'unità stessa desidererebbe veder
sopravvivere e riprodursi. Nel caso degli esseri umani la
distinzione tra organismo e gene come unità di adattamento,
ovvero tra idoneità individuale e complessiva, non è
sufficiente. Quali creatori di sistemi simbolici, essi hanno
inventato nuove forme di sopravvivenza e riproduzione, per l'appunto
simboliche, che sono diventate parte costitutiva della loro mente.
Il desiderio di sopravvivere e riprodursi si dirige quindi, nel loro
caso, a non meno di quattro classi di referenti diversi:
l'organismo, il proprio corpo; i consanguinei, i portatori degli
stessi geni biologici; la mente culturalmente specificata, il
proprio sistema di orientamento; i propri simili simbolici, i
portatori degli stessi 'geni' (o memi, o culturgeni) culturali (v.
Gallino, 1987).
Entro questo orizzonte qualsiasi comportamento può risultare
adattativo per una classe di referenti, ma non per le altre, e
nemmeno per altri referenti della stessa classe. Lo stato di
adattamento di un individuo va perciò visto come una
complessa combinazione degli adattamenti dei suoi referenti,
così come sono rappresentati nella mente del soggetto,
perché è attraverso loro che passa la sua complessiva
capacità e realtà di sopravvivenza e riproduzione a un
tempo fisica e simbolica, biologica e culturale. Non solo la maggior
parte degli individui non si sentirebbero ben adattati se a un
elevato benessere fisico fosse unita la prospettiva di una scomparsa
della loro cultura, ma molti, anzi, appaiono disposti a ridurre a
zero il grado di adattamento del loro organismo, ovvero a perire
fisicamente, se credono che ciò possa contribuire alla
sopravvivenza e alla riproduzione della loro cultura.
La poliformità degli adattamenti umani, derivante dalla
molteplicità delle forme di sopravvivenza e di riproduzione
degli esseri umani, aiuta a spiegare sia la varietà dei
comportamenti localmente adattativi ma globalmente dis-adattativi,
sia il fenomeno della sopravvivenza e riproduzione di sistemi
culturali - tecnologici e ideologici, o in generale simbolici - il
cui valore adattativo dal punto di vista biologico sembra scarso o
affatto neutrale. A parte la capacità di sopravvivenza e
riproduzione autonoma che taluni di tali sistemi, in specie
tecnologici, paiono aver acquisito (v. Gallino, 1987, cap. 8), essi
sono rappresentati nella mente collettiva come vettori di forme di
sopravvivenza.
In combinazione con altre forme di sopravvivenza fisica e simbolica,
essi paiono quindi assicurare un maggior successo riproduttivo
complessivo, bioculturale, anche a individui o popolazioni il cui
adattamento biologico, mentre è limitato, forse trarrebbe
vantaggio dall'eliminazione di quegli stessi sistemi culturali.
8. Ecologia politica, misure di adattamento e policy making
Sebbene sia di rado chiamato col suo nome, il concetto di
adattamento è chiaramente individuabile alle radici della
cultura che appare ispirare, sul finire del XX secolo, sia i
movimenti ecologisti, sia alcuni settori eterodossi delle scienze
sociali. Si tratta di una cultura emergente, per la quale lo spettro
di un possibile olocausto atomico e la constatazione dei danni
inflitti dalle popolazioni umane all'ambiente fisico e alla
biosfera, con intensità esponenzialmente crescente, hanno
conferito all'idea di sopravvivenza della specie un senso impellente
e tangibile, sconosciuto alle passate generazioni.
Sullo sfondo di tale cultura, cui si attaglia la denominazione di
ecologia politica, v'è l'ipotesi che la razionalità
locale dei sistemi economici contemporanei, coacervo planetario di
molti generi di sistemi sociali, tecnologici e simbolici, possa
rivelarsi quanto prima come una forma perniciosa di
irrazionalità globale, se già non lo sia ora. È
un fatto che, pur con gravi disuguaglianze intra- e internazionali,
tali sistemi hanno assicurato un grado di adattamento senza
precedenti alla specie umana, consentendole - infallibile indice
biologico e ragione prima del consenso individuale e collettivo di
cui essi hanno finora goduto - di raddoppiare le proprie dimensioni
ogni trentacinque anni. Ci si chiede però se la manomissione
dell'ambiente da essi compiuta non configuri ormai il rischio che
vengano compromesse le prospettive di adattamento a lungo termine
dell'intera specie, insieme con la biosfera di cui è stata
irresponsabile parte.
Agli atteggiamenti, agli schemi mentali e ai comportamenti
dispoticamente alloplastici di cui tali sistemi economici - non fa
differenza se capitalistici o socialisti - sono intessuti, alla loro
cultura riduzionistica e meccanicistica, la cultura emergente
propone di sostituire l'idea di una cooperazione simbiotica con la
natura, una visione sistemica della vita, il riconoscimento dei
diritti degli animali, e infine una concezione olistica della salute
del corpo e della mente (v. Capra, 1982). In sintesi, questa cultura
emergente propone di tradurre in pratiche personali e pubbliche una
concezione diversa, a paragone di quella della cultura dominante,
dell'adattamento umano, individuale e collettivo.
Per un settore delle scienze sociali che all'inizio dell'ultimo
decennio del secolo appare in crescita, sebbene ancora minoritario,
la nuova sensibilità per i problemi della sopravvivenza e
dell'adattamento dovrebbe tradursi in nuove forme di policy making,
fondate su misure originali del livello di vita e di qualità
della vita. Fino a oggi le misure del livello di vita sono state
basate quasi esclusivamente su indicatori economici. Ma, per quanto
siano disaggregati e ponderati, gli indicatori economici presentano
una correlazione debole con il benessere fisico e psichico; in certi
casi, anzi, presentano una relazione inversa, come mostrano quegli
indicatori di malessere che sono i tassi di criminalità,
suicidio, tossicodipendenze, malattie mentali rilevati nelle
società avanzate (v. Saint-Marc, 1978).
D'altra parte, si afferma, il tentativo di misurare la
qualità della vita mediante indicatori sociali ha ottenuto in
genere risultati poco soddisfacenti, a causa soprattutto dei loro
scarsi fondamenti teorici nelle scienze della vita. Studiosi di
biopolitica - la scienza della policy orientata alla sopravvivenza -
hanno quindi proposto di costruire una nuova famiglia di indicatori,
basati sul concetto darwiniano di adattamento biologico. La misura
globale in cui tali indicatori dovrebbero venire sintetizzati
è la salute, intesa in "senso ampio, adattativo, come la
capacità di compiere quelle attività che sono
richieste per sopravvivere, per aver cura di sé, e per badare
agli altri, in un dato ambiente" (v. Corning, 1983, pp. 182-183).
Rispetto alla congerie di indicatori di cui sono ricche le
statistiche sociali, ma che raramente informano le concrete azioni
di policy, non da ultimo per le contraddizioni logiche e reali che
li sottendono, un macro-indicatore 'salute', fondato su un concetto
estensivo di adattamento biologico, sarebbe forse un progresso.
Cionondimeno, senza ulteriori approfondimenti dei problemi sottesi
all'adattamento umano, i suoi fondamenti teorici resterebbero
gracili. Per quanto radicato nell'essere umano, lo scopo di
sopravvivere come entità biologica è in lui
strettamente intrecciato allo scopo di sopravvivere come
entità simbolica. Dal modo di costruire, e spesso di
sciogliere, tale intreccio nel corso dell'esistenza dipende il
benessere globale di ogni individuo.
Al lume di questa nozione di una mente composta da molteplici io di
differente natura, fondamenti più solidi per un policy making
orientato all'adattamento umano potrebbero essere forniti da una
teoria polimorfica e polilivello, elaborata sistematicamente in
vista delle specificità irripetibili di tale adattamento.
Specificità dovute non solo al permanere di bisogni biologici
alla base del comportamento dell'uomo civilizzato, secondo quanto
sostengono giustamente gli studiosi di biopolitica, ma insite
altresì nel suo coinvolgere simultaneamente, nel medesimo
individuo, entità e processi biologici e simbolici, che sono
insieme intrapersonali, interpersonali e intertemporali.