Laico
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Chi non appartiene allo stato clericale; sono quindi laici, nella
Chiesa cattolica, i fedeli che non sono né chierici né religiosi,
ossia tutte le persone battezzate che non hanno alcun grado nella
gerarchia ecclesiastica.
Stato laico
Quello che riconosce l’eguaglianza di tutte le confessioni
religiose, senza concedere particolari privilegi o riconoscimento ad
alcuna di esse, e che riafferma la propria autonomia rispetto al
potere ecclesiastico.
1. I laici nella Chiesa cattolica
I laici costituiscono una delle componenti più rilevanti del popolo
di Dio, con una condizione costituzionale propria e autonoma,
espressamente riconosciuta e tutelata dal diritto canonico. Come
tutti i fedeli, sono tenuti all’obbligo generale dell’apostolato e
hanno diritto di impegnarsi, sia come singoli, sia riuniti in
associazione essendo altresì tenuti, secondo la propria condizione,
ad animare le realtà temporali con lo spirito evangelico. Con il
sacramento del matrimonio i laici possono edificare la famiglia
attraverso il ministero coniugale che costituzionalmente compete
loro. Possono inoltre rivestire, se ritenuti idonei dalla gerarchia,
determinati uffici ecclesiastici.
L’azione dei laici e la collaborazione di questi con la gerarchia si
è venuta notevolmente estendendo non solo nell’Azione cattolica
(apostolato laici ) ma, più genericamente, nelle moderne concezioni
ecclesiologiche, di cui si è reso particolarmente interprete il
concilio Vaticano II soprattutto con il decreto sull’apostolato dei
laici Apostolicam actuositatem (1965); in seguito Paolo VI,
col motuproprio Catholicam Christi Ecclesiam (1967), diede
vita al Consilium de laicis, organo della Curia.
2. Il laicismo
Il laicismo è l’atteggiamento di coloro che sostengono la necessità
di escludere le dottrine religiose, e le istituzioni che se ne fanno
interpreti, dal funzionamento della cosa pubblica in ogni sua
articolazione. Il laicismo si contrappone nel linguaggio politico
contemporaneo al confessionalismo e al fondamentalismo, secondo i
quali le istituzioni politiche devono essere collegate al rispetto
obbligatorio per tutti, credenti e non credenti, dei principi
religiosi della Chiesa dominante. La separazione tra la sfera
pubblica della politica e la sfera privata della fede religiosa è
quindi un elemento essenziale del laicismo, che riconosce in questa
separazione una condizione necessaria per il benessere dell’uomo,
per il rispetto della sua dignità e per il libero sviluppo delle sue
capacità.
Il laicismo è orientamento tendenzialmente individualista e
razionalista e pertanto lo si è anche identificato con una
concezione più ampia e complessiva della cultura e della vita
civile, basata sulla tolleranza comprensiva delle credenze altrui,
sul rifiuto del dogmatismo in ogni settore della vita associata,
anche al di là dell’influenza diretta dell’istituzione religiosa
dominante.
Storicamente il laicismo si è presentato in forme e con argomenti
diversi, a seconda della specifica configurazione dei rapporti tra
istituzioni statali ed ecclesiastiche. Nato nel contesto della
cultura politica dell’Europa occidentale in età medievale, un
atteggiamento di consapevole laicismo è ora riscontrabile anche in
situazioni politico-religiose non cristiane, come quelle dei paesi
islamici, nei quali gli equilibri tra la religione e la concezione
dello Stato erano originariamente assai diversi da quelli
dell’Europa moderna.
3. Il principio di laicità
Proiezione giuridica del laicismo filosofico è il principio di
laicità, diretta conseguenza dell’affermazione del costituzionalismo
liberale, collegato strettamente a una tutela più forte della
libertà religiosa. La laicità, infatti, trae origine dai processi di
secolarizzazione, e comporta una separazione tra sfera politica e
sfera religiosa, con il definitivo abbandono del cosiddetto sistema
giurisidizionalista (espresso dalla nota formula cuius regio, eius
religio, sancita dalla Pace di Augusta del 1555).
La laicità può avere due diverse esplicitazioni, potendo consistere
o in una rigida separazione tra Stato e confessioni religiose (è il
caso degli USA o della Francia), o in una sistema di favor, o
comunque, di protezione esplicita, nei confronti della pratica
religiosa, purché ciò avvenga senza discriminazioni tra le diverse
confessioni (come avviene nell’esperienza italiana). Mentre la prima
prospettiva ha, come conseguenza, l’assoggettamento di tutte le
confessioni religiose a una disciplina di diritto comune, la seconda
implica il ricorso a istituti di natura convenzionale (intese,
concordati ecc.) per la disciplina dei rapporti tra Stato e
confessioni religiose. Nel caso, invece, della forma di Stato
socialista, la formale proclamazione della separazione tra Stato e
religione nascondeva una preferenza sostanziale per le posizioni
ateistiche (art. 124 Cost. URSS 1936; art. 70 Cost. Polonia 1952;
art. 52 Cost. URSS 1977), fino ad arrivare alla proclamazione
dell’ateismo di Stato e del divieto di qualsiasi manifestazione
pubblica del proprio credo religioso (cfr. per es., art. 37 e 55
Cost. Albania 1976).
Per quanto riguarda l’esperienza italiana, l’idea di laicità è ben
presente fin dal primo momento del periodo statutario. Infatti,
nonostante l’art. 1° dello Statuto, sulla falsariga della Charte
francese dell’epoca della Restaurazione (art. 6 della Cost. francese
del 1814), definisse la religione cattolica «la sola religione dello
Stato», e affermasse che gli altri culti erano «tollerati
conformemente alle leggi», già nei giorni immediatamente successivi
alla sua concessione, con una serie di decreti reali, e poi con la
laici 735/19 giugno 1848, venne operata una parificazione tra tutti
i culti, sulla scia di quanto previsto dalle più importanti
Costituzioni liberali dell’epoca (art. 5 e 6 della Cost. francese
del 1830; art. 14-16 della Cost. belga del 1831).
La battaglia per l’affermazione del carattere laico dello Stato fu
portata avanti soprattutto da Cavour, il quale, oltre ad essere
l’ispiratore delle cosiddette leggi Siccardi (laici 1013 e 1037 del
1850), fu il teorizzatore della separazione fra lo Stato e la
Chiesa, a imitazione del modello statunitense (in particolare, con
il famoso discorso del 25 marzo 1861, che affermava il principio
«libera Chiesa in libero Stato»).
Sul filone tracciato da Cavour si pose anche la cosiddetta legge
sulle guarentigie (laici 214/13 maggio 1871), chiamata a risolvere i
problematici rapporti tra lo Stato e la Chiesa dopo la liberazione
di Roma dal giogo pontificio, legge che lo studioso A.C. Jemolo
definì «la più bella opera sul piano legislativo della generazione
risorgimentale».
Per quanto riguarda l’esperienza repubblicana, a differenza di altre
esperienze costituzionali (Cost. statunitense, 1° emendamento; Cost.
tedesca della Repubblica di Weimar, art. 135 e seguenti; Cost.
francese del 1946, art. 1°; Cost. francese del 1958, art. 2; Cost.
portoghese del 1976, art. 41; Cost. spagnola del 1978, art. 16),
manca nel testo della vigente Costituzione un’esplicita affermazione
del carattere laico del nostro ordinamento, anche se, secondo
taluni, esso andrebbe desunto in virtù del combinato disposto degli
articoli 2, 3, 7, 8, 19 e 20.
In ogni caso, la giurisprudenza costituzionale non ha avuto dubbi
nell’affermare l’esistenza di tale principio, ricomprendendolo anche
tra i cosiddetti principi supremi dell’ordinamento costituzionale
(C. cost., sent. 203/1989, 259/1990, 13/1991, 195/1993, 149 e 440
del 1995, 334/1996, 329/1997, 508/2000, 327/2002, 168/2005).
Un’applicazione strumentale di tale principio è stata portata avanti
dalla magistratura amministrativa, la quale, con argomentazioni
discusse, ha sostenuto che la presenza stessa di un simbolo
religioso (il crocifisso) nelle aule scolastiche sia negazione del
principio di laicità (cfr. TAR Veneto, sez. III, dec. 1110/2005;
Cons. Stato, sez. VI, dec. 556/2006).