Laicismo
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Concezione volta ad affermare e valorizzare l'indipendenza della
società civile e politica da ogni forma di condizionamento o
ingerenza da parte della Chiesa, sviluppatasi a partire dal 19°
secolo. Si differenzia da laicità (che allude alla distinzione tra
Stato e Chiesa) per la presenza di una componente anticlericale e
per la tendenza a considerare la religione un fatto esclusivamente
privato, che non deve in alcun modo influire sulle decisioni
pubbliche. Spesso il l. si è tradotto nella difesa di determinate
istituzioni (la scuola statale) o di alcune scelte legislative
(riguardanti in particolare i problemi etici) a fronte delle
posizioni sostenute dalla Chiesa, nelle quali è stata ravvisata
un'indebita ingerenza.
Dizionario di filosofia (2009)
Termine che si diffonde nella Francia della seconda metà del 19°
sec., nel quadro dello scontro tra le culture politiche ‘figlie’
della Rivoluzione francese e il mondo cattolico. Esso si fonda sul
principio della separazione tra Stato e Chiesa, ma dà a questo
principio (già formulato, in senso liberale, da Locke)
un’inflessione anticlericale e spesso irreligiosa (che ha le sue
origini nel libertinismo). Questo tipo di l., diffuso soprattutto
nei paesi europei di tradizione cattolica, colloca le fedi religiose
nell’ambito delle convinzioni private e nega loro qualsiasi
rilevanza pubblica: esso indica quindi l’atteggiamento di coloro i
quali sostengono la necessità di escludere le fedi religiose, e le
istituzioni che se ne fanno interpreti, dal funzionamento della cosa
pubblica in ogni sua articolazione.
Le diverse accezioni teoriche. Dal punto di vista teorico, però, il
termine, da sempre controverso, anche perché carico di connotazioni
valoriali di segno opposto, rimanda a una molteplicità di
significati, per intendere i quali è necessario ripercorrere
l’evoluzione del termine laico. Se originariamente tale termine (dal
gr. λαϊκός «del popolo») indicava quella parte del popolo di Dio che
non faceva parte del clero (significato ancora in uso all’interno
della Chiesa cattolica), nel corso del 19° sec. esso ha finito per
indicare tutto ciò (idee, istituzioni, movimenti) che non ha
carattere religioso e confessionale. Di qui la nascita di
espressioni come Stato laico (contrapposto a Stato confessionale),
pensiero laico (distinto o contrapposto a pensiero di ispirazione
religiosa), atteggiamento laico (contrapposto ad atteggiamento
dogmatico) e l. (inteso come filosofia o come metodo).
Lo Stato laico.
La consapevolezza della distinzione tra sfera religiosa e sfera
politica nasce con il cristianesimo: dal passo evangelico che esorta
a dare «a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio»
(Matteo, 22, 21) sino alla ‘teoria delle due spade’ enunciata da
papa Gelasio I (494), nell’Occidente cristiano si è sempre distinto
tra potere religioso e potere politico, assegnando al primo
l’auctoritas e al secondo la potestas (➔ autorità). Tale distinzione
non ha comunque evitato – al di là dei forti contrasti, durati per
tutto il Medioevo – che religione e politica si sostenessero a
vicenda: la prima, servendosi della potestas civile per far valere i
suoi precetti; la seconda, ricorrendo all’auctoritas religiosa per
fondare i suoi titoli di legittimità e rafforzare l’obbligazione
politica. Quando, in seguito alla Riforma, l’unità religiosa
dell’Europa si è spezzata, la religione non ha rappresentato più un
motivo di unione, bensì di drammatico contrasto: l’esperienza delle
guerre di religione, tra 16° e 17° sec., ha giocato un ruolo
decisivo nella ricerca, da parte del moderno giusnaturalismo (➔), di
un fondamento autonomo all’obbligazione politica, fondamento che per
i pensatori liberali doveva permettere la convivenza, all’interno
dello Stato concepito come garante della coesistenza pacifica, di
individui appartenenti a confessioni diverse. Si è trattato di un
cammino molto lungo, scandito da due tappe principali:
l’affermazione, sul finire del 17° sec., del principio della
tolleranza e il pieno dispiegarsi, all’inizio del 19° sec., del
principio della libertà religiosa. Il primo è stato teorizzato da
Locke nell’Epistola sulla tolleranza (1689), dove viene tracciata
una chiara distinzione tra potere politico e potere religioso: il
primo, anche se basato sul consenso, si serve della coercizione per
far rispettare le proprie decisioni; il secondo, destinato alla cura
delle anime, può servirsi soltanto della persuasione. «Occorre una
luce – scrive Locke – perché muti una credenza dell’anima: e la luce
non può essere data in alcun modo da una pena inflitta al corpo».
Società civile e società religiosa sono quindi due realtà
completamente distinte: e chi vuole confonderle, sottolinea il
filosofo inglese, «mescola due cose così separate come il cielo e la
terra». Quanto alle Chiese, esse devono improntare i loro rapporti
alla più larga tolleranza, giacché «ogni Chiesa è ortodossa per sé
stessa ed erronea o eretica per gli altri». Ciò non significa che le
Chiese non abbiano il diritto di darsi regole dogmatiche e
organizzative e di scomunicare quei fedeli che non le rispettino; ma
alla scomunica religiosa non deve seguire alcuna conseguenza civile
(nessuna violenza di tipo fisico o verbale, nessuna confisca di
beni). La tolleranza lockiana (i cui limiti stanno nell’esclusione
di atei e cattolici, nonché nella sussistenza di una confessione di
Stato, quella anglicana) diverrà piena libertà religiosa soltanto
nel corso del 19° sec., quando tutte le confessioni religiose (negli
Stati liberali) diverranno egualmente libere di fronte allo Stato,
che non si identificherà con nessuna di esse, assumendo così un
carattere apertamente ‘laico’. Se la laicità dello Stato richiede la
netta separazione tra Stato e Chiesa, essa non implica tuttavia
atteggiamenti anticlericali, antireligiosi o irreligiosi: anzi, la
linea di pensiero che da Locke, passando per i costituenti
americani, giunge sino a Constant e Tocqueville riconosce alle fedi
religiose un ruolo fondamentale ai fini del mantenimento della
libertà e della coesione sociale.
Laicità del pensiero e laicismo come filosofia.
Sul piano specificamente filosofico, la rivendicazione
dell’autonomia del pensiero dalla teologia e dalla religione fa
senz’altro parte della tradizione laica. Sotto questo profilo, gran
parte del pensiero moderno, a differenza di quello medievale, ha
un’ispirazione laica: da alcune correnti del pensiero
umanistico-rinascimentale al razionalismo e all’empirismo, dalla
scienza moderna all’Illuminismo, sino ai grandi sistemi
ottocenteschi (idealismo, marxismo, positivismo) e alle loro riprese
novecentesche. Si tratta tuttavia di un ventaglio così ampio e
diversificato di posizioni, che l’elemento della ‘laicità’ assume
connotazioni profondamente differenti. La distinzione fondamentale
passa tra la rivendicazione dell’autonomia della ragione (che può
convivere con la dimensione religiosa attraverso una distinzione di
ambiti o assumendo un atteggiamento agnostico) e l’affermazione di
una completa autosufficienza della ragione (comunque concepita), che
non lascia spazio per altre dimensioni. Tale affermazione conduce a
tre atteggiamenti verso la religione: la sua accettazione soltanto
in forma razionale (➔ deismo), che va di pari passo con la critica
alle religioni rivelate in quanto mere imposture (un esempio
paradigmatico può essere individuato in Voltaire); la sua
accettazione come momento transeunte dello sviluppo spirituale,
destinato a essere comunque superato dalla filosofia (idealismo e
neoidealismo); il suo completo rifiuto (➔ ateismo), fondato sulla
convinzione che ogni religione nasca dall’alienazione (Feuerbach,
Marx). Se per l. si intende una visione del mondo il cui tratto
essenziale sta in un rigoroso immanentismo e in un integrale
secolarismo, le ultime due posizioni ne costituiscono le
incarnazioni filosoficamente più organiche e coerenti.
Laicismo come metodo.
Secondo alcuni studiosi, tuttavia, il l. non è una filosofia, ma un
metodo fondato su postulati di ispirazione liberale. Per Abbagnano,
il l. è «il principio dell’autonomia delle attività umane, cioè
l’esigenza che queste si svolgano secondo regole proprie, che non
siano a esse imposte dall’esterno, per fini o interessi diversi da
quelli cui essi si ispirano». Il l. è quindi un principio che tutela
l’autonomia delle attività umane, svolgendo una funzione analoga al
principio di libertà nei rapporti tra gli individui: sul piano
storico, esso avrebbe esplicato la sua azione tutelando l’autonomia
dello Stato dalle ingerenze ecclesiastiche, ma in seguito difendendo
la religione dalle ingerenze politiche e ogni forma di sapere da
influenze ideologiche e/o politiche. È chiaro che in una simile
accezione il l. perde ogni carattere antireligioso. Su questa linea
si colloca anche Calogero, per il quale il l. non è una filosofia o
un’ideologia politica, ma il metodo che rende possibile il
pluralismo filosofico e ideologico: il suo principio consiste
infatti nel «non pretendere di possedere la verità più di quanto
ogni altro possa pretendere di possederla». Inteso come metodo, il
l. assume una connotazione antidogmatica, che lo pone in diretta
polemica con le ideologie totalitarie e con le filosofie che
pretendono di fornire un sapere onnicomprensivo ed esaustivo.
Enciclopedia delle Scienze Sociali (1996)
di Edoardo Tortarolo
Sommario: 1. Definizione. 2. Forme di atteggiamento laico nell'età
moderna. 3. Il trauma rivoluzionario. 4. Laicismo come modernità e
libertà nel XIX secolo. 5. La fragilità dell'assioma laico. □
Bibliografia.
1. Definizione
Il termine 'laicismo' indica l'atteggiamento di coloro che
sostengono la necessità di escludere le dottrine religiose, e le
istituzioni che se ne fanno interpreti, dal funzionamento della cosa
pubblica in ogni sua articolazione. Il laicismo si contrappone
quindi nel linguaggio politico contemporaneo al confessionalismo e
al fondamentalismo, secondo i quali le istituzioni politiche devono
essere collegate al rispetto obbligatorio per tutti, credenti e non
credenti, dei principî religiosi della Chiesa dominante. La
separazione tra la sfera pubblica della politica e la sfera privata
della fede religiosa è quindi un elemento essenziale
dell'atteggiamento laico, che riconosce in questa separazione una
condizione necessaria per il benessere dell'uomo, per il rispetto
della sua dignità e per il libero sviluppo di tutte le sue capacità.
Il laicismo è orientamento tendenzialmente individualista e
razionalista; pertanto si è anche identificato il laicismo con una
concezione più ampia e complessiva della cultura e della vita
civile, basata sulla tolleranza comprensiva delle credenze altrui,
sull'analisi critica delle opinioni prevalenti, sul rifiuto del
dogmatismo in ogni settore della vita associata, anche al di là
dell'influenza diretta dell'istituzione religiosa dominante.
Storicamente il laicismo si è presentato in forme e con argomenti
diversi, a seconda della specifica configurazione dei rapporti tra
istituzioni statali ed ecclesiastiche. Nato nel contesto della
cultura politica dell'Europa occidentale in età medievale, un
atteggiamento di consapevole spirito laico è ora riscontrabile anche
in situazioni politico-religiose non cristiane, come quelle dei
paesi islamici, nei quali gli equilibri tra la religione e la
concezione dello Stato erano originariamente assai diversi da quelli
dell'Europa moderna. La distinzione tra l'ambito della politica e
l'ambito della religione è d'altronde problematica: una forma di
dualismo è la premessa storica allo sviluppo del pensiero laico, che
è impossibile immaginare in un contesto politico-religioso
improntato al cesaropapismo o dominato dall'identità di Stato e
Chiesa.
Il laicismo è categoria della vita politica e intellettuale per
molti versi distinta concettualmente dalla secolarizzazione, intesa
qui come processo di perdita di rilevanza della religione nella vita
sociale, in quanto fonte di identità e di orientamento nell'agire
per singoli e gruppi. Ammesso che sia possibile accertare una reale
secolarizzazione nel complesso della società europea, nel senso
sopra indicato, nell'età moderna e contemporanea, e che sia
plausibile anticipare gli sviluppi nei decenni a venire, la vicenda
storica del laicismo può essere analizzata in modo autonomo.Il
termine deriva dalla parola greca λαόϚ che indica il popolo
guerriero nella sua relazione con un capo cui è legato da mutuo
consenso. Per la gamma di significati attuali è tributario dell'uso
che ne fece la Chiesa cristiana: nel vocabolario apologetico delle
origini (ad esempio in Tertulliano) 'laico' indicava ciò che è
proprio del popolo; era laico nel Medioevo chi non faceva parte del
clero a pieno titolo in quanto non aveva ricevuto gli ordini
sacerdotali. L'appropriazione da parte dei laici di funzioni e
responsabilità cultuali tradizionalmente esercitate dal clero diede
origine a una specifica accezione di 'laicismo', che riemerse come
'laicism' nell'Inghilterra settecentesca per indicare "l'usurpazione
dei diritti sacerdotali". Nella seconda metà del XIX secolo, nel
contesto dello scontro tra il liberalismo separatista e la Chiesa
cattolica, nacque e si diffuse, a partire dalla Francia, il termine
'laicismo' ('laïcité'). In Italia Carducci usò il termine, forse per
primo, nel 1863 opponendolo alla 'chieresia', in una costellazione
storica e intellettuale che vedeva "l'elemento indigeno contro il
germanico, la borghesia contro la feudalità, [...] la ragione contro
l'autorità, il reale contro l'ideale, il sentimento contro le
convenzioni e il misticismo". Il termine fu accolto e largamente
utilizzato dalle gerarchie ecclesiastiche che gli diedero il
significato negativo di "esclusione del prete da ogni ingerenza in
cose non sacre [...]. Tutto appartiene ai laici, anzi tutto deve
essere laicizzato. La religione non ci ha da contare in nulla" (v.
Riccardi, 1893, p. 17). La polemica ecclesiastica e clericale di
fine Ottocento contribuì certamente alla fortuna italiana del
termine.
2. Forme di atteggiamento laico nell'età moderna
La vicenda medievale dello scontro tra papato e impero, la
formazione di una civiltà comunale, il consolidamento di monarchie
nazionali contribuirono a rompere la compenetrazione tra potere
politico e istituzione ecclesiastica, che era stata profonda nel
contesto di una res publica christiana tendenzialmente universale e
accettata come strumento del piano divino di salvezza per il genere
umano. Una concezione compiutamente laica della funzione del potere
politico non può essere riconosciuta nelle formazioni politiche
medievali e della prima età moderna. Piuttosto una serie di
trasformazioni nel campo intellettuale e religioso introdusse
elementi nuovi nella concezione del potere e dei suoi rapporti con
la religione. Nel XIV e XV secolo la creazione di una cultura
umanistica, attinta alla civiltà classica greca e romana, propose al
pubblico colto europeo un ideale di perfezione tutta mondana e
fondato sulle capacità dell'uomo, un ideale nel quale i riferimenti
alla religione rivelata e alla Chiesa erano improntati al disprezzo
per la corruzione e l'avidità clericale.
La crisi religiosa del Cinquecento segnò l'irreversibile frattura
della cristianità in confessioni diverse e il divaricarsi
dell'esperienza storica tra paesi nei quali la Riforma protestante
ebbe successo e paesi che videro affermarsi la Controriforma
cattolica. Nei primi, al di là delle diverse soluzioni pratiche date
al problema del rapporto tra potere politico e religioso, prevalse
il rifiuto comune della Chiesa come potere temporale autonomo e
autosufficiente posto su un piano di parità con quello politico. In
particolare nei paesi luterani si affermò il principio che la
coscienza non può essere costretta con la forza e che la Chiesa è di
natura spirituale, distinta quindi dal potere politico. Tuttavia
anche nei paesi che aderirono alla Riforma e nei quali, come in
Inghilterra e nelle Province Unite, la tolleranza religiosa, a
partire dal XVII secolo, fu largamente riconosciuta, l'accesso agli
incarichi pubblici e la pratica di determinate professioni furono
riservati a lungo a coloro che professavano la religione ufficiale.
Il problema dell'obbedienza di natura religiosa dovuta a un sovrano
straniero non si pose però nei paesi protestanti, ciò che avviò
abbastanza precocemente un processo di privatizzazione della fede
religiosa.
Nei paesi cattolici la Controriforma riorganizzò l'istituzione
ecclesiastica, confermò al clero il monopolio dell'interpretazione
della fede rivelata e, da una parte, lo costituì in società
separata, contrapposta e superiore al mondo laico, profondamente
radicata in ogni strato sociale della nazione, dall'altra rafforzò
la Chiesa come istituzione gerarchica, in forma statuale e
territoriale compiuta, sottoposta al papa e attivamente partecipe
della politica internazionale. I paesi cattolici si trovarono quindi
ad affrontare il problema di separare la dimensione religiosa da
quella politica per far prevalere gli interessi dello Stato su
quelli dell'istituzione ecclesiastica, senza operare una frattura
sul terreno dottrinale con la Chiesa cattolica, che avrebbe lacerato
il tessuto sociale e culturale interno.
Un tema essenziale della cultura laica emerse nelle guerre di
religione: l'universalità dell'obbligazione politica nei confronti
del sovrano legittimo da parte di tutti i sudditi, indipendentemente
dalla loro fede religiosa. Michel de l'Hospital l'affermò nel 1561,
nel pieno dello scontro tra cattolici e ugonotti, distinguendo tra
de constituenda religione e de constituenda republica e osservando
che anche chi è scomunicato non cessa d'essere cittadino. Di fatto
la monarchia assoluta francese acquisì, sino alla crisi
rivoluzionaria, un forte carattere sacrale oltre che assoluto,
sottolineato anche dal rafforzarsi in senso gallicano della Chiesa
francese, subordinata per molti aspetti al sovrano.
Il tema della separazione tra le competenze politiche dello Stato e
religiose della Chiesa percorse lo sviluppo del pensiero
giusnaturalistico e contrattualistico, che nelle sue diverse forme
ricostruì le origini e le funzioni dello Stato come istituzione
umana, alla quale spetta risolvere non il problema della salvezza
eterna dei suoi membri, ma quello dell'organizzazione della loro
convivenza pacifica. A partire da una posizione giusnaturalistica si
argomentò che allo Stato spettavano gli iura circa sacra e che esso
poteva quindi intervenire nell'organizzazione interna delle Chiese.
Per Baruch Spinoza il fine dello Stato è la libertà e in coerenza
con questo principio esso deve muoversi nelle questioni religiose:
"la religione acquista vigore giuridico soltanto in seguito al
decreto di coloro che hanno il diritto d'imperio; [...] il culto
religioso e l'esercizio della pietà debbono conformarsi alla pace e
all'interesse dello Stato" (cfr. Tractatus theologico-politicus,
Torino 1964, p. 461).
La più forte e compiuta affermazione della necessità di distinguere
tra ambito religioso e ambito statale nel dibattito tardo
seicentesco è dovuta a John Locke, che nei suoi diversi scritti
sulla tolleranza teorizzò l'esigenza che il potere politico
riconoscesse i suoi propri limiti in ambito religioso, al fine di
garantire a tutte le confessioni religiose uguali possibilità di
azione e, al tempo stesso, di impedire che una di queste si
arrogasse incombenze pubbliche proprie del potere secolarizzato:
sottrarre alle Chiese ogni potere coercitivo era per Locke
funzionale a sottrarre allo Stato l'autorità sulle coscienze.
Su questa posizione, nella quale il rispetto per i diritti della
coscienza singola si univa all'affermazione delle prerogative dello
Stato tendenzialmente neutrale, si innestò, a partire dalla fine del
XVII secolo, la riflessione illuminista, fondamentale per gli
ulteriori sviluppi del pensiero laico, sul tema dei rapporti tra gli
Stati e la Chiesa cattolica. In tale contesto la posizione di
sostegno dei diritti dello Stato si irrobustì, da una parte, con la
polemica, che affondava le sue radici nel libertinismo erudito,
contro le religioni rivelate come inganno sacerdotale e vuota
superstizione, ostacolo da rimuovere per conseguire la felicità
umana, dall'altra, con una più attenta valutazione in termini
economici e sociali del costo rappresentato dalle istituzioni
ecclesiastiche sul territorio dello Stato. Nel pensiero illuminista
più radicale si fece strada la convinzione che sia possibile una
'società di atei', come ipotizzò Pierre Bayle, e che la morale sia
un fatto naturale, razionalmente comprensibile e non subordinato
alla pedagogia ecclesiastica. Il philosophe sottraeva così al
sacerdote il ruolo di guida morale e intellettuale della società.
L'Encyclopédie di Diderot e d'Alembert diffuse tra il pubblico colto
europeo queste posizioni in articoli come Société, in cui si
argomentava l'assoluta eterogeneità tra società civile e società
religiosa, Législateur, Genève, nel quale il clero ginevrino era
esaltato come modello di tollerante e benefico deismo razionalista.
Le polemiche illuministe per la garanzia della libertà o almeno
della tolleranza religiosa e per la riduzione del peso sociale della
Chiesa nella vita amministrativa, giudiziaria, culturale prepararono
e sostennero le misure degli Stati europei per limitare il ruolo
della Chiesa nella società: le aree di intervento andavano dalla
soppressione dell'ordine dei gesuiti, in quanto strumento di
interferenza papale nella vita degli Stati, alla limitazione della
manomorta ecclesiastica e all'abolizione dell'Inquisizione, dalla
sottrazione della censura sulla stampa dalle mani degli
ecclesiastici alla riduzione degli ordini mendicanti e contemplativi
e al blocco dei flussi finanziari verso Roma, dalla creazione di
istituzioni statali per l'insegnamento alla concessione di diritti
civili a ebrei e protestanti nei paesi cattolici. Dall'Italia venne
una sorta di manifesto del programma riformatore dei rapporti tra
Stati e Chiesa cattolica con il libro di Cosimo Amidei La Chiesa e
la repubblica dentro i loro limiti, pubblicato nel 1767 a Firenze.
Le monarchie europee si impegnarono in modi diversi e con diversa
incisività in quest'opera di revisione dei rapporti tra Stato e
Chiesa. La massima intensità fu raggiunta nel breve periodo di regno
di Giuseppe II d'Asburgo (1780-1790), nel quale si concentrarono sia
i decreti di tolleranza (1781) - che riconobbero i non cattolici,
ebrei compresi, come sudditi della monarchia a pieno titolo - sia le
energiche e profonde riforme organizzative della Chiesa cattolica,
che ne fecero una sorta di Chiesa nazionale austriaca, nella quale i
sacerdoti erano assimilati ai funzionari pubblici e dovevano
contribuire alla prosperità collettiva secondo le direttive statali.
Il giuseppinismo non intese trasformare la monarchia asburgica in
uno Stato aconfessionale, ma rendere la Chiesa dipendente dallo
Stato e utile alla collettività: il risultato fu comunque una
diminuzione, per quanto temporanea, del carattere confessionale
della vita pubblica e l'esercizio sotto stretto controllo statale di
funzioni e prerogative precedentemente esercitate autonomamente dal
clero. Contemporaneamente i rivoluzionari americani garantirono
nelle loro Costituzioni (a partire dal 1776) la libertà religiosa, e
avviarono con provvedimenti legislativi la separazione netta tra
istituzioni politiche e Chiese anche a livello statale
(disestablishment). Il primo emendamento alla Costituzione americana
del 1787, introdotto nel 1791, garantì la non interferenza a livello
federale. L'esperienza americana formò un modello di potere e
cultura laici essenzialmente diverso da quello europeo. La
molteplicità di culti religiosi rese irrilevante la pretesa di una
confessione specifica di godere di un rapporto privilegiato con lo
Stato e diede origine a una democrazia di "esperimenti religiosi"
(v. Martin, 1978, p. 31) legata funzionalmente alla democrazia
politica.
3. Il trauma rivoluzionario
La polemica illuminista contro l'autonomia ecclesiastica nella vita
statale e l'esempio dell'opera di riforma delle istituzioni
cattoliche da parte della monarchia asburgica confluirono nella
politica ecclesiastica dei governi durante la Rivoluzione francese.
La politica rivoluzionaria nei confronti della Chiesa iniziò come
riforma della Chiesa cattolica all'interno dello smantellamento
dello Stato di antico regime di cui la Chiesa gallicana era parte
integrante. La Chiesa doveva partecipare alla rigenerazione della
nazione-Stato francese, secondo le intenzioni dei rivoluzionari: la
costituzione civile del clero, che trasformava i parroci in
funzionari statali, doveva rappresentare l'integrazione del clero
nel nuovo Stato, nel quale, peraltro, la libertà di religione era
affermata come diritto naturale di ognuno. La condanna papale della
costituzione civile del clero e il rifiuto di una parte consistente
del clero francese di prestare il giuramento richiesto allo Stato
diedero al confronto tra Stato e Chiesa cattolica il carattere di
scontro radicale. La resistenza del clero alla costituzione civile
fu interpretata dai rivoluzionari come parte della cospirazione
aristocratica e monarchica.
Facendo leva su un processo di decristianizzazione da tempo operante
in ampie zone della società francese, i rivoluzionari fecero del
clero refrattario una delle vittime del Terrore e instaurarono
contemporaneamente forme di religione razionalista, patriottica,
deistica: l'autorità religiosa e politica veniva così unificata nel
potere democratico rivoluzionario realizzando la dottrina
rousseauiana della religione civile, lontana dal cattolicesimo
tradizionale e orientata piuttosto al culto della natura e della
ragione. La trasformazione di Notre Dame in tempio della ragione ben
rappresenta questo mutamento di sensibilità religiosa in senso laico
e decristianizzato, sancito dal decreto del Comitato di salute
pubblica del 18 floreale anno II, che proclamava il culto
dell'Essere supremo e l'immortalità dell'anima. Le vicende
rivoluzionarie scavarono un fossato incolmabile tra lo Stato moderno
e la Chiesa cattolica; la dinamica del pensiero laico nel XIX e nel
XX secolo va vista a partire dalla frattura operata dalla
Rivoluzione e dal tentativo tragico di unire politica e religione
rinnovata dallo Stato: sempre più il pensiero laico si orientò verso
il separatismo. La fase di attacco violento del governo
rivoluzionario alla Chiesa come potere politico terminò con la fine
del Comitato di salute pubblica. Nel 1794 il Direttorio separò lo
Stato dalla Chiesa, allontanandosi così dal modello di integrazione
giacobina, ma non abbandonando per questo la polemica anticattolica.
L'esperimento di separazione fu interrotto da Napoleone nel contesto
del suo progetto di pacificazione della Francia e di consolidamento
del potere politico: la funzione stabilizzatrice della religione
tradizionale fu ritenuta irrinunciabile. Napoleone restaurò la
religione cattolica attraverso il concordato del 1802, sottoponendo
peraltro il clero a un rigido controllo da parte delle autorità
statali. Non ritornò lo Stato confessionale, il clero non fu
riconosciuto come ceto a sé, la libertà religiosa e i culti non
cattolici furono salvaguardati, ma la soluzione concordataria,
respingendo di fatto la riflessione laica illuminista, apparve agli
eredi di questa una soluzione inadeguata, in particolare di fronte
alla volontà esplicita di una parte rilevante del clero, in Francia
e nel resto dell'Europa cattolica, di ritornare allo status quo ante
e alla sua posizione di privilegio politico-sociale e di monopolio
religioso e culturale.
4. Laicismo come modernità e libertà nel XIX secolo
In Europa i governi della Restaurazione ripudiarono la concezione
laica del governo perché distruttiva dell'equilibrio sociale e
ricuperarono il rapporto con la Chiesa cattolica, anche se in nessun
paese ci fu un vero ritorno alle condizioni prerivoluzionarie,
neppure nell'ambito dei rapporti tra Stato e Chiesa. La marcata
identificazione della Chiesa di Roma con i valori della
controrivoluzione e la sua scelta della cristianità medievale come
societas christiana, modello perfetto per il presente,
condizionarono gran parte della cultura politica ottocentesca,
facendo del laicismo uno dei punti centrali delle teorie della
modernità. Una forte connotazione laica assunsero infatti i nascenti
liberalismi inglese e francese, mentre in Italia il problema della
sovranità temporale del papa portò ad accentuare il carattere laico
del movimento di unificazione nazionale. L'esperienza del Terrore e
della sua lotta anticattolica fu comunque ben presente ai liberali
ottocenteschi.
Per Benjamin Constant e per Alexis de Tocqueville la religione è
necessaria per essere politicamente liberi, perché le masse hanno
bisogno di una morale sanzionata religiosamente. Con altrettanta
chiarezza essi chiesero che lo Stato non si identificasse con alcuna
confessione cristiana specifica. Per Tocqueville la compenetrazione
tra Stato e religione non ha ragion d'essere; l'uno e l'altra
guadagnano dalla separazione e la religione trova nella separazione
le condizioni per essere veramente se stessa. Negli Stati Uniti, che
Tocqueville descrisse in un'analisi celebre, il modello della
separazione è praticato e le religioni, compresa quella cattolica,
contribuiscono alla democrazia repubblicana. In America la religione
ha rilevanza sociale attraverso la morale dei singoli, non
attraverso le istituzioni pubbliche. In un sistema democratico, come
quello esistente in America e che si prospetta, secondo Tocqueville,
in Europa, l'unione tra religione e governo rischia di travolgere la
religione nel mutamento vorticoso dei governi. Se isolata nel campo
morale, la religione contribuisce al senso di libertà e lo
fortifica, perché è un bisogno naturale dell'uomo. Così è in America
secondo Tocqueville. In termini analoghi si profila la situazione in
Francia, dove la religione può essere "sorgente di vita sociale" se
sottratta all'abbraccio corruttore dello Stato, come sostiene, nel
suo discorso del 18 gennaio 1844, lo stesso Tocqueville (v.,
1962-1990; tr. it., pp. 106-107). Analogamente il protestante Guizot
minimizzava i dissensi tra cattolicesimo, protestantesimo e
philosophie, sottolineava la necessità di rinnovare lo spirito
religioso nella società, ma rivendicava allo Stato la libertà di
pensiero nell'ordine morale.
Il carattere laico della vita statale venne riconosciuto, in
polemica aspra con la Curia romana, dal cattolicesimo liberale
francese, che con Lamennais e la sua rivista "L'Avenir" si
richiamava al principio 'Chiesa libera nello Stato libero'
realizzato in Belgio con la Rivoluzione del 1830. Nella situazione
francese reclamare la separazione tra lo Stato e la Chiesa poteva
significare non solo dare attuazione a un principio del pensiero
laico, ma anche superare l'eredità della tradizione gallicana di
controllo statale sulla Chiesa e liberare per questa spazi nuovi di
espressione e attività.
Diversa era la situazione in Italia, dove la Chiesa cattolica era
considerata un sostegno dei governi antiliberali e, inoltre, un
forte ostacolo alla soluzione del problema nazionale. Gregorio XVI,
peraltro, nella Mirari vos del 15 agosto 1832 condannò formalmente
la volontà di rompere l'unità di imperium e sacerdotium, regnum ed
Ecclesia: su questa posizione di rifiuto del carattere laico e
moderno dello Stato e di adesione al modello medievale si attestò in
linea di principio la Chiesa cattolica. Neppure la breve stagione
del neoguelfismo intaccò questa posizione: per la Costituzione
concessa da Pio IX nel 1848 la religione cattolica era condizione
necessaria al godimento dei diritti politici (art. 25), mentre
significativamente sotto la Repubblica romana la Costituzione
affermava la natura laica dello Stato, inscindibile dalla sua natura
democratica: "Dalla credenza religiosa non dipende l'esercizio dei
diritti civili e politici" (art. 7).
Nel resto dell'Italia il movimento nazionale nella primavera del
1848 fu legato alla realizzazione dell'uguaglianza civile dei non
cattolici. Il Piemonte assunse anche in questo campo il ruolo di
guida da un punto di vista sia legislativo, con l'emancipazione
degli ebrei e dei valdesi, sia intellettuale, come indicava la
rivista "Il Risorgimento", dove Camillo Benso di Cavour e Piercarlo
Boggio proponevano già nel 1848 un liberalismo laico e separatista.
Negli anni cinquanta il nesso tra Risorgimento, liberalismo
costituzionale e laicismo si fece stretto anche "per la solidarietà
d'interessi tra la Santa Sede e i regimi assoluti, legati tutti al
predominio austriaco in Italia" (v. Jemolo, 1963, p. 132). Intorno
alla discussione sulle leggi Siccardi (approvate nel 1851) per
l'abolizione del foro ecclesiastico e sull'abolizione delle decime
sarde si sviluppò una serie di progetti della Sinistra per
l'incameramento dei beni ecclesiastici, la creazione di una cassa
ecclesiastica con cui pagare i parroci poveri, l'abolizione degli
ordini religiosi, l'introduzione del matrimonio civile. Assorbendo
la riflessione sullo Stato avviata da Hegel, una parte della
filosofia italiana (Bertrando Spaventa ad esempio) esaltò lo Stato
laico, contrapposto alla Chiesa sino a teorizzare l'assorbimento da
parte dello Stato di funzioni spirituali proprie della Chiesa. Nel
serrato dibattito intorno alla politica laica dello Stato subalpino
fu determinante la posizione di Cavour per il quale non solo, come
recita la celebre formula 'libera Chiesa in libero Stato', era
fondamentale il separatismo neutrale, ma era anche decisivo che la
Chiesa cattolica facesse propria la scelta della libertà che sola
poteva permettere il progresso del mondo moderno. Comunque la
consapevolezza che la religione è elemento stabilizzante della
società si univa nel laicismo cavourriano con la necessità per lo
Stato di difendersi dall'ostilità del clero reazionario attraverso
le "antiche leggi" giurisdizionaliste (v. Romeo, 1977, p. 439).
Gli anni sessanta e settanta videro in Italia un accentuarsi del
carattere aggressivamente laico sia della politica governativa nel
nuovo regno sia degli orientamenti di larghi settori della società
civile: la questione romana si unì alla reazione contro
l'antiliberalismo e l'antiprogressismo intransigente del Sillabo
(1864) per generare nei ceti colti un complesso atteggiamento che
traeva le conseguenze dall'evidente alienazione della religione
cattolica dalla società moderna. Pasquale Stanislao Mancini espresse
la molteplicità di dimensioni dell'atteggiamento laico di questi
decenni in un discorso parlamentare (13 maggio 1873), indicando
l'impossibilità di "far vivere in pace l'assolutismo teocratico e il
libero esame, l'aristocrazia dell'alto clero e l'eguaglianza civile,
l'onnipotenza papale e la libertà di coscienza del genere umano"
(cit. in Jemolo, 1963, p. 222). Attraverso una serie di
provvedimenti legislativi, dalla liquidazione dell'asse
ecclesiastico (1867) all'abolizione dell'obbligo dell'insegnamento
religioso (1876), al riconoscimento del giuramento pubblico non
religioso (1876) e della cremazione (1888), è chiara la continuità
tra Destra e Sinistra nello sforzo di creare uno Stato non
confessionale e di ridurre la Chiesa cattolica ad associazione
religiosa (v. Chabod, 1951, p. 211). La declericalizzazione del
personale insegnante nelle scuole pubbliche fu radicale: la
percentuale di insegnanti religiosi passò dal 33,5% del 1862 al
5,39% del 1897. In parallelo all'attività governativa svolsero una
forte attività di laicizzazione della vita pubblica il materialismo
di origini socialiste, il positivismo anche nelle sue forme di
divulgazione più spicciola, la crescita di nuovi gruppi sociali
estranei al tradizionale magistero della Chiesa. Su questa base si
costituirono le società di libero pensiero e le società operaie di
mutuo soccorso come forme di organizzazione laica, di solidarietà
non confessionale, che rifiutavano la concezione paternalista dei
rapporti sociali e sostituivano alla religione rivelata il culto del
progresso e della scienza. Nucleo del pensiero laico nella seconda
metà dell'Ottocento divenne così l'anticlericalismo materialista ed
evoluzionista, che esaltava l'autonomia della politica, della
scienza, della morale, della socialità dal magistero religioso e
dall'organizzazione della Chiesa cattolica. Sotto questo aspetto la
società italiana si ricollegava, al di là delle specifiche
contingenze del movimento di unificazione nazionale, a una tendenza
europea.
In Inghilterra, nel 1829, viene abolito il Test act, in conseguenza
del quale, per ricoprire cariche pubbliche, si doveva essere membri
della Chiesa anglicana, ma solo nel 1869 l'Irish Church act, voluto
da Gladstone, abolisce l'ufficialità della Chiesa anglicana nella
cattolica Irlanda: la sfida lanciata da John Stuart Mill per un
liberalismo laico e antidogmatico si era arenata di fronte ai
pericoli che i laici liberali stessi vedevano nel persistere
dell'obbedienza di strati significativi della popolazione al papa di
Roma, mentre si diffondevano i circoli laici denominati 'secular
societies'.In Spagna il problema dei rapporti tra Stato e Chiesa fu
tema centrale della lotta politica ottocentesca: il composito
schieramento liberale pose il problema della riforma in senso laico
dello Stato al centro del proprio progetto, ottenendo, dopo la
rivoluzione del settembre 1868, il matrimonio civile, l'insegnamento
non confessionale nelle scuole pubbliche e il riconoscimento della
libertà religiosa.
In Francia la funzione unificante dei principî laici nei confronti
di un ampio spettro politico è stata molto marcata. In particolare,
sotto Napoleone III, nella polemica aggressivamente anticlericale
convergevano le molteplici tendenze che si opponevano all'imperatore
e alla sua politica di accordo con i cattolici francesi e con il
papa, opposizione che si nutriva insieme della volontà di libertà
interna e della difesa della libertà nazionale contro la minaccia
sempre viva dell'ultramontanismo. La questione della libertà
d'insegnamento e della scuola statale non confessionale fu a lungo
in primo piano nella discussione politica e divenne discrimine tra
due schieramenti contrapposti. Questo acceso dibattito pubblico
culminò nelle 'leggi laiche' volute da Jules Ferry nel 1881-1882,
perno di una concezione complessiva dello Stato e della storia
francese: "Lo Stato è laico e deve restare laico, per salvare tutte
le libertà che abbiamo conquistato [...]. La scuola laica: [...]
ecco la nostra forza" (cit. in Mayeur, 1985, p. 147). L'eredità
dell'illuminismo e della Rivoluzione francese, che emancipò lo Stato
dalla tutela della Chiesa, e l'orgoglio per l'indipendenza nazionale
si fondevano in questa posizione tipicamente 'repubblicana', non
senza tensioni e contraddizioni con le discussioni sul rifiuto dello
Stato ateo e sulla possibilità di una morale 'senza aggettivi',
adeguata alla dignità dell'uomo, che si erano svolte nei decenni
precedenti coinvolgendo personalità così diverse come Edgar Quinet,
Victor Cousin e Jules Michelet. Ancora nel 1902 il programma
elettorale del partito radicale richiedeva misure come la
soppressione degli ordini religiosi, la secolarizzazione delle
proprietà ecclesiastiche in manomorta, l'abolizione del pagamento di
denaro pubblico al clero, con l'intenzione di "mettere in pratica
questa decisiva formula liberale: libere Chiese in uno Stato libero"
(v. Faguet, 1902, p. 121). La legge del 9 dicembre 1905, detta
'della separazione delle Chiese dallo Stato', concluse il processo
di laicizzazione della vita pubblica francese, liberalizzando e
privatizzando anche giuridicamente tutte le organizzazioni
religiose.
5. La fragilità dell'assioma laico
Non solo in Italia, il laicismo, come orientamento di una classe
politica liberale che si identifica con il progetto di uno Stato
moderno (e perciò laico), perse progressivamente di significato tra
la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. Raggiunti in Italia e in
Francia alcuni almeno degli obiettivi fondamentali per il
consolidamento delle istituzioni statali in senso non confessionale,
esauritosi in Germania il Kulturkampf bismarckiano, si pose
piuttosto il problema di ricercare un contatto con la popolazione
cattolica che di fronte alla politica e alla cultura laica si era
isolata e organizzata come società civile separata. Alla necessità
di allargare le basi dello Stato in questa direzione si accompagnava
il confronto con il movimento socialista, che fece proprie e
radicalizzò in senso positivistico molte tematiche laiche che il
liberalismo stava lentamente abbandonando. Non più legato, in
Italia, alla causa dell'unità nazionale e sempre meno sostenuto
dalla fede nella vittoria finale della scienza come verità assoluta
e definitiva, il pensiero laico diventava uno strumento della lotta
per la giustizia sociale, un tema tra i molti nello scontro tra le
classi sociali e i partiti che ne rappresentavano gli interessi: lo
scenario più naturale fu l'alleanza tra laici liberali e partiti
cattolici in via di formazione, contro i movimenti socialisti.
Difendere l'ordine costituito comportava d'altronde anche difendere
il ruolo stabilizzatore della religione contro l'aspirazione a
un'emancipazione umana totale, espressa dai socialisti, per i quali
la Chiesa e la religione erano i puntelli di uno Stato e di un
ordine sociale oppressivi. La polemica di Benedetto Croce con
l'anticlericalismo "becero" dei positivisti, all'interno di una
filosofia che si voleva laica ma anche attenta al valore etico del
cristianesimo, indica bene quale mutamento di sensibilità e di
orientamento si stesse sviluppando all'inizio di questo secolo.
L'avvento dei sistemi totalitari di destra in Italia, Germania e
Spagna, in seguito alla crisi della prima guerra mondiale,
l'emergere di un modello di Stato ateo e totalitario con l'Unione
Sovietica e la profonda revisione dei presupposti della cultura
europea negli anni venti e trenta ebbero insieme l'effetto di
ridefinire l'atteggiamento laico di tipo ottocentesco. Infatti
l'indulgenza e talvolta la connivenza delle gerarchie della Chiesa
cattolica verso le dittature reazionarie riproposero il tema della
minaccia rappresentata dallo Stato confessionale (nella Spagna
franchista e in parte nell'Italia fascista, dove il Concordato del
1929 riunì - e trasmise all'Italia repubblicana - gran parte di
quanto, amministrativamente e culturalmente, la politica dei governi
liberali aveva separato) e quindi l'attualità ricorrente dei valori
laici come l'autonomia della ragione critica e la libera discussione
tollerante a fronte di ricorrenti arroganze dogmatiche, ma si posero
anche in termini drammatici il problema di un regime totalitario
come il nazionalsocialismo, che si creò la sua 'religione politica',
e il problema di uno Stato come quello sovietico che intendeva
intervenire nella dimensione religiosa del singolo per annullarne i
legami con la tradizione, facendo paradossalmente dell'ateismo una
religione di Stato.
In particolare in Italia il pensiero laico riannodò le fila di una
tradizione illuminista e liberale e trovò nel dopoguerra un suo
spazio specifico nell'esigenza di fronteggiare sia il 'mito della
cristianità', agitato dalle istituzioni ecclesiastiche per dare allo
Stato una guida cattolica (v. Miccoli, 1985), sia la strategia
politica e culturale del partito comunista, del quale si
respingevano la monoliticità dottrinale e l'organizzazione
centralistica. In questo spazio, proprio, in particolare, della
situazione italiana, ma presente anche in Francia e in Spagna e, in
parte almeno, nella Germania Federale, i movimenti di opinione laici
si sono mossi sul terreno tradizionale della non confessionalità del
sistema educativo statale e della sua superiorità rispetto al
sistema privato, in gran parte connotato in senso religioso, e hanno
individuato temi nuovi, come il divorzio e l'aborto, sui quali la
separazione tra sfera pubblica politica e sfera privata religiosa
doveva trovare una ridefinizione, anche legislativa, rispettosa dei
diritti e delle libere scelte dei non credenti e, nello stesso
tempo, accettabile per la coscienza dei cattolici.
Se, malgrado le rinnovate tentazioni integraliste di una parte della
gerarchia cattolica, alcuni principî essenziali del pensiero laico
sono diventati assiomi nelle società occidentali, e la discussione
riguarda piuttosto la loro articolazione politica, la problematicità
del pensiero laico, le sue promesse e la sua vulnerabilità appaiono
evidenti nelle zone del mondo esposte alla tentazione
dell'integralismo e del tribalismo religioso come strumento di
identità collettiva.