Dispotismo
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Dizionario di Storia (2010)
Governo esercitato da una sola persona o da un ristretto gruppo di
persone in modo assolutistico e arbitrario, senza alcun rispetto per
la legge. Il d. è uno dei concetti politici che, illustrato già da
Aristotele (Politica, V, c. II: il despota deve seminare discordia
fra i sudditi, impedire che qualcuno di essi acquisti autorità
indipendente, conciliare in essi una disposizione servile), ha avuto
un suo rilievo anche in Età moderna. L’analisi che del despota come
uomo «virtuoso» faceva il Machiavelli nel Principe inaugurava una
concezione che accompagnerà la lotta della monarchia assoluta contro
il ceto aristocratico nella creazione di una struttura e di una
coscienza nazionali. Essa culminerà nel cosiddetto «dispotismo
illuminato» dei sovrani riformatori del 18° sec., che fu un tipico
prodotto dell’illuminismo settecentesco di origine francese, in cui
si riassumevano l’esaltazione della ragione (qui personificata dal
monarca), l’astrattismo pianificatore dei riformatori e
l’accettazione dell’assolutismo come forma di governo. E certamente
iniziative riformatrici furono prese da despoti come Caterina II di
Russia, Federico il Grande e vari altri sovrani di questo secondo
Settecento, detto appunto l’età delle riforme.
Un diverso e non meno importante modo di concepire il d. ha le sue
prime origini nel repubblicanesimo rinascimentale e si alimenta del
motivo tacitiano e anticesariano che sta alla base della mitica
opposizione, nella storiografia di Roma antica (anche qui però il
Machiavelli ha una parte notevole), tra libertà repubblicana e
dispotismo imperiale.
A questo motivo darà vigore, in difesa dell’aristocrazia, il
Montesquieu dell’Esprit des lois; tra monarchia e dispotismo
c’è questa sostanziale differenza, che nella prima fra popolo e
sovrano v’è un «corpo intermediario» (cioè l’aristocrazia) che
limita le pretese dispotiche del re e lo costringe a porre al di
sopra di sé stesso la legge, mentre nel regime dispotico
(Montesquieu parla sempre dell’Asia e dei turchi) la legge si
identifica con l’arbitraria volontà del sovrano.
La teoria di Montesquieu, largamente ripresa in funzione
antiassolutistica prima e durante la Rivoluzione francese, sarà poi
svolta in funzione antinapoleonica dalla Staël e soprattutto da B.
Constant, nelle cui dottrine confluivano però non pochi motivi del
repubblicanesimo rousseauiano. Essa resterà uno dei pilastri
fondamentali, come polemica antidispotica e come teoria
costituzionale, del pensiero liberale dell’Ottocento.
Dispotismo illuminato.
Concetto introdotto dalla storiografia tedesca del 19° sec. per
indicare il processo di modernizzazione degli apparati
amministrativi e finanziari, degli ordini sociali e delle
istituzioni ecclesiastiche, avviato dai principali Stati europei a
partire dalla metà del 18° sec. La politica riformatrice cui diede
origine fu il risultato dell’influsso esercitato dall’Illuminismo
sull’assolutismo di sovrani (despoti) che improntarono il loro
governo al rinnovato connubio tra potere e cultura, e a un ideale,
quello del re-filosofo, di ascendenza classica. Mutò il modo di
intendere l’esercizio della sovranità, ora finalizzato al benessere
di tutti i sudditi, nell’ottica paternalista di un re che proteggeva
e sosteneva, conservando però intatte le prerogative di un potere
autocratico di origine divina.
Gli ambiti in cui il d. illuminato si dimostrò più efficace,
trasmettendo un’importante eredità alle classi di governo dell’età
rivoluzionaria e napoleonica e dell’Ottocento liberale, furono la
lotta ai privilegi fiscali, in specie ecclesiastici, in funzione di
una più equa distribuzione delle imposte, e il rinnovamento delle
fonti normative.
Il riordino dei domini ereditari degli Asburgo d’Austria iniziò con
Maria Teresa (1740-80; ➔), che istituì un Consiglio di Stato con
potere di coordinamento tra i dicasteri, avviò il processo di
codificazione del diritto, intraprese una politica ecclesiastica
ispirata ai principi del giusnaturalismo. Consentì inoltre la
puntuale entrata in vigore del catasto, la cui redazione era stata
intrapresa da Carlo VI, in primo luogo al fine di censire le
proprietà fondiarie del ducato di Milano. Dal 1765 Maria Teresa
governò assieme al figlio, imperatore Giuseppe II (1765-90), e il
riformismo asburgico divenne progressivamente più audace: abolizione
della censura ecclesiastica, dei piccoli conventi, della manomorta,
della servitù della gleba, ristrutturazione dei seminari e delle
parrocchie, apertura dei pubblici uffici a tutte le confessioni
cristiane ed estensione dei diritti civili ai sudditi di religione
ebraica. Giuseppe II istituì anche un nuovo sistema scolastico,
obbligatorio nel ciclo primario, e sostenne con rinnovato vigore lo
sviluppo economico e commerciale, traendo ispirazione da dottrine
diverse (mercantilismo, fisiocrazia e liberismo).
In Prussia, Stato cresciuto nel corso dei secc. 17°-18° fino a
contendere con gli Asburgo d’Austria per l’egemonia sull’area
tedesca, il giovane Federico II (1740-86) mantenne le linee guida
del regno paterno, portando avanti il rafforzamento di una
burocrazia e di un esercito che erano già prima un modello di
innovazione, disciplina ed efficienza. L’appellativo di Federico il
Grande, fondatore della nuova Prussia, Stato che alla sua morte era
divenuto una delle maggiori potenze d’Europa, gli derivò dalla
capacità di coniugare doti militari e di governo a una spiccata
sensibilità letteraria e artistica. Soprattutto l’amicizia con
Voltaire ebbe molto peso sulla sua immagine di despota illuminato,
di sovrano che per primo varò un sistema di istruzione primario
obbligatorio e abolì la tortura. Federico applicò inoltre forti
restrizioni alla pena di morte e sostenne l’associazionismo
massonico e la tolleranza religiosa, in specie all’interno del suo
esercito pluriconfessionale. La figura e l’opera del re prussiano
costituirono un riferimento anche per la Russia, Stato che era
entrato sulla scena europea grazie all’intenso processo di
modernizzazione attuato da Pietro I il Grande (17° sec.), e che
aveva partecipato alla guerra dei Sette anni, mettendo a dura prova
un equilibrio politico, sociale ed economico ancora precario.
Di origine e cultura tedesca, Caterina II (1762-96) salì al trono
dopo avere deposto il marito Pietro III e impresse un forte impulso
alla siderurgia e alla cantieristica navale, considerandole ancora
strategiche per i destini del Paese. Istituì inoltre un Senato di
nomina regia e gli uffici dei governatori di provincia, funzionari
che ebbero anzitutto l’onere di fronteggiare le sollevazioni
cosacche. L’accordo raggiunto con la grande aristocrazia boiara
(Carta della nobiltà, 1785) impedì a Caterina di abolire la servitù
della gleba, ma le consentì di attuare la confisca delle proprietà
ecclesiastiche e la creazione di un clero ortodosso stipendiato
dallo Stato; invece il progetto di rendere interamente obbligatorio
e gratuito il nuovo ciclo di istruzione primaria fu reso impossibile
dal dissesto finanziario della monarchia.
Il Portogallo dei Braganza fu lo Stato iberico più innovatore grazie
al marchese di Pombal, ministro di Giuseppe I, che diede stimolo
all’economia, rafforzò l’esercito e attuò un disegno di
centralizzazione statale basato sulla lotta ai privilegi di clero e
nobiltà, e sulla secolarizzazione dell’istruzione. In questo
contesto maturò il provvedimento di espulsione dei gesuiti dal
Portogallo e dalla colonia del Brasile (1759), che fu seguito dalla
soppressione dell’ordine in tutti gli Stati europei (a eccezione
della Prussia) e poi dallo scioglimento della Compagnia (1773).
Inoltre Pombal gestì con prontezza e modernità la ricostruzione di
Lisbona, colpita dal terremoto del 1755.
In ambito italiano, i processi riformatori di maggior rilievo furono
quelli attuati in Lombardia, nel granducato di Toscana e nei regni
di Napoli e Sicilia, anche se non mancò un tentativo di timide
riforme, soprattutto di natura fiscale, anche nello Stato della
Chiesa.
Nel ducato di Milano, la ristrutturazione degli uffici pubblici,
l’abolizione della venalità delle cariche e l’entrata in vigore del
catasto teresiano migliorarono l’efficienza dell’apparato di governo
e del sistema fiscale. Per la Lombardia austriaca il secondo 18°
sec. fu anche un’epoca di grande fioritura culturale (biblioteche,
accademie, pubblicazione del periodico Il Caffè, 1764-66).
La Toscana di Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena (1765-90), figlio di
Maria Teresa d’Austria e futuro imperatore (Leopoldo II, 1790-92) fu
il primo Stato europeo ad abolire la pena di morte. L’importante
provvedimento, che recepiva l’insegnamento dell’illuminista milanese
Cesare Beccaria, si accompagnò alla riforma della giustizia affidata
al ministro Pompeo Neri, e a un piano di interventi improntato a
dottrine fisiocratiche, liberiste (abolizione delle corporazioni,
delle dogane interne e dell’Annona) e giurisdizionaliste (abolizione
della manomorta). Sotto il regno di Pietro Leopoldo si diffuse il
giansenismo soprattutto nella diocesi di Pistoia, ove fu elaborato
un progetto di ristrutturazione della gerarchia ecclesiastica
toscana e di graduale autonomia da Roma.
A Napoli, la piena attuazione di uno slancio riformatore, che sul
piano teorico fu il più intenso e precoce d’Italia, giacché
imperniato su figure di primo piano dell’illuminismo europeo come A.
Genovesi, G. Filangieri e sull’eredità di P. Giannone, fu ostacolata
energicamente dalle resistenze della feudalità e dal dualismo
capitale-periferia.
Sotto il regno di Carlo di Borbone (1734-59), a parte la redazione
del catasto onciario, si ultimò solo il riordino delle Segreterie e
fu abolito il consiglio Collaterale. Il riformismo partenopeo si
spense definitivamente con l’allontanamento dell’abile ministro
Bernardo Tanucci (1776), osteggiato da Maria Carolina d’Asburgo
Lorena, consorte di Ferdinando IV, per una politica giudicata troppo
acquiescente alla Spagna.
Dispotismo orientale.
Il concetto, ampiamente diffuso nel pensiero politico occidentale,
esprime l’idea che, al di fuori dell’Europa, la più tipica forma di
governo fosse quella in cui il potere non è limitato dalle leggi e
in cui il rapporto tra il sovrano e i sudditi si configura come un
rapporto tra padrone e schiavi. La categoria del d. orientale, le
cui origini risalgono al pensiero di Aristotele, rimase viva nel
Medioevo, tra gli altri in Tommaso d’Aquino, che riprese la
posizione aristotelica. Per N. Machiavelli era l’impero turco a
esemplificare il d. orientale; secondo Montesquieu prototipo del d.
orientale era la Cina, in cui ogni energia umana veniva repressa in
una condizione di arretratezza.
Per il pensiero politico dell’Illuminismo il d. orientale
rappresentò anche un modello polemico negativo, attraverso il quale
veniva criticata la politica europea dell’assolutismo. La categoria
superò la crisi del pensiero illuministico, accentuando il proprio
carattere di sublimazione dell’eurocentrismo. La staticità che
veniva riconosciuta nei Paesi dominati dal d. orientale fu
successivamente interpretata da K. Marx in termini di modo di
produzione.
In età contemporanea l’idea di un governo dispotico tipico dei Paesi
asiatici contrapposti, in tal senso, all’Europa e all’America è
stata ripresa da K.A. Wittfogel, che nella sua opera, Oriental
despotism (1957), affronta il tema in una prospettiva di studio dei
sistemi burocratici e dei modi di organizzazione sociale.