Anarchia

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Dottrina che propugna l’abolizione di ogni governo sull’individuo e, soprattutto, l’abolizione dello Stato: assunse una particolare fisionomia verso la metà del 19° sec. e dapprima ebbe un carattere quasi esclusivamente filosofico, come nell’individualismo di M. Stirner. Poi, prevalendo la ricerca di una precisa struttura politico-giuridica, fu intesa come dottrina di un assetto giuridico e sociale che elimina, o riduce al minimo, il potere centrale dell’autorità. Questo anarchismo politico (che ha poi assunto il nome più specifico di anarcosindacalismo ) ha il suo classico fondamentale in P.J. Proudhon, ed è stato particolarmente propugnato e sviluppato, nella teoria e nella pratica, da M. Bakunin e da P. Kropotkin, oltre che celebrato, nel campo letterario, da L. Tolstoj. Esso si risolve nell’idea di un estremo decentramento dei poteri amministrativi della società perché i lavoratori possano organizzare da sé, partendo dai più piccoli nuclei e nel modo più diretto, la proprietà e l’amministrazione dei mezzi di produzione e in genere dell’intera ricchezza e quindi, pur condividendo in pieno l’ideale collettivistico e anticapitalistico del comunismo, si oppone radicalmente al suo centralismo autoritario.

Il movimento anarchico, in questo senso, ebbe largo sviluppo non solo nella seconda metà del 19° sec., ma anche nei primi decenni del 20° (per es. in Spagna), e avversò qualsiasi forma di governo sia autoritario sia liberale. Numerosi furono gli attentati e i moti rivoluzionari: quali l’uccisione del presidente francese S. Carnot a opera dell’italiano S. Caserio (1894), quella del presidente spagnolo A. Cánovas del Castillo (1897), quella di Umberto I (1900) a opera di G. Bresci. Durante la rivoluzione russa gli anarchici si posero contro il partito bolscevico e la dittatura del proletariato. Ruolo di primo piano hanno poi avuto gli anarchici nella rivoluzione e nella guerra di Spagna (1936-1938).

In Italia, dopo la caduta del fascismo, riprese vita un movimento anarchico o libertario che nel settembre 1945 (Congresso di Carrara) costituì la Federazione anarchica italiana. Entrato successivamente in crisi a causa di dissidi interni (scissione della Federazione anarchica nel 1965), il movimento anarchico italiano, analogamente a quanto accadde in vari paesi europei, ebbe una sia pur momentanea ripresa alla fine degli anni 1960 sull’onda del fenomeno della contestazione giovanile.

 

Enciclopedia del Novecento (1975)

di George Woodcock

Sommario: 1. La dottrina anarchica. 2. Sviluppi storici dell'anarchismo. 3. Il protoanarchismo. 4. L'anarchismo nel XIX e nel XX secolo. □ Bibliografia.

1. La dottrina anarchica

Alexander Herzen racconta che Pierre-Joseph Proudhon, l'uomo che per primo si definì anarchico, a un ammiratore che si congratulava con lui per il suo sistema rispose: ‟Il mio sistema? Io non ho un sistema". Proudhon negò anche di aver mai fondato un partito politico e, quando venne eletto all'Assemblea Costituente francese durante la Rivoluzione del 1848, fece parte della sparuta minoranza che votò contro la costituzione approvata il 4 novembre di quell'anno. Nel motivare la sua presa di posizione, egli sottolineò che non aveva votato contro quel particolare tipo di costituzione o contro gli articoli in essa contenuti, e dichiarò: ‟Ho votato contro la costituzione solo perché è una costituzione".

Gli orientamenti che Proudhon esprimeva verso la metà del XIX secolo su problemi relativi all'organizzazione partitica e politica, sono significativi in quanto anticipavano prima che il movimento anarchico prendesse corpo, la forma che questo avrebbe assunto. L'anarchismo non ha mai costituito, a differenza del marxismo, un sistema filosofico o politico; non ha mai dato vita a un partito politico organizzato perché i suoi seguaci, anche quando si organizzarono, furono spinti a farlo per obbedire a impulsi spontanei e per fronteggiare situazioni concrete e non per conformarsi a modelli istituzionali. Inoltre gli anarchici si sono sempre rifiutati di accettare ogni costituzione quale strumento che garantisse la stabilità dell'ordinamento politico, perché hanno sempre ritenuto che all'ordinamento politico della vita collettiva incentrato sull'autorità dovesse subentrare un ordinamento economico e sociale incentrato sull'accordo contrattuale volontario. La società è per gli anarchici un organismo in continua crescita ed evoluzione, ed essi sono sempre stati riluttanti a circoscriverne il futuro anche entro i confini di un qualsivoglia piano utopistico.

Purtuttavia esistono una ben definita filosofia anarchica e anche caratteristiche peculiari proprie dell'anarchismo. Forse la definizione più semplice della parola anarchismo (che deriva dal greco ἄναρχος=mancante di governo) è: insieme di dottrine e orientamenti affini, il cui principale carattere unificatore è il convincimento che il governo dell'uomo sull'uomo, sia che si realizzi direttamente, sia attraverso la mediazione di istituzioni, è decisamente inutile e sicuramente dannoso.

Da tale concezione derivano naturalmente taluni corollari. Poiché l'anarchico nega la validità delle istituzioni create dall'uomo, egli generalmente crede che esista una legge naturale di aiuto reciproco alla quale anche l'uomo, come tutti gli animali, obbedisce - a patto però che le sue naturali inclinazioni non siano state atrofizzate dall'imperio di un'autorità. L'uomo può anche non essere buono per natura ma, secondo gli anarchici, è per natura sociale.

L'anarchico è anche portato a sostenere che, poiché il potere quanto più è centralizzato tanto più diviene forte e impersonale, lo Stato deve essere eliminato e l'organizzazione della società completamente decentrata, in modo che le decisioni relative alle questioni di comune interesse possano esser prese a livello comunitario o aziendale e cioè da coloro che ne subiranno direttamente gli effetti. Questa generale tendenza verso il massimo decentramento porta come conseguenza un orientamento altrettanto accentuato degli anarchici verso modelli federativi in grado di coordinare le istanze di più generale interesse, il che porrà automaticamente il potere centrale in una posizione di debolezza ed esalterà invece le capacità operative delle periferie. A eccezione di pochi individualisti estremisti, per gli anarchici il modo cooperativistico di affrontare i problemi sociali costituisce l'unica salvaguardia contro la coercizione, e ciò implica l'accettazione della proprietà comune dei mezzi di produzione, di norma sotto il controllo dei lavoratori direttamente interessati. Per l'anarchico la proprietà dei beni, da cui altri dipendono per il proprio sostentamento, è una forma di potere altrettanto dannosa quanto qualsiasi forma manifesta di autorità politica. ‟La proprietà è un furto", scrisse Proudhon, formulando così una delle massime fondamentali dell'anarchismo; e per proprietà egli intendeva il possesso, da parte di coloro che non lavorano, della terra, degli impianti tecnici e industriali, delle materie prime e di ogni altro mezzo necessario alla produzione.

Gli anarchici in realtà hanno preso più alla lettera e applicato in modo più completo di qualsiasi altro suo lettore la famosa massima dello storico inglese, lord J. Acton: ‟Nel potere è il germe della corruzione, e nel potere assoluto v'è corruzione assoluta". È così forte negli anarchici il convincimento circa la natura corruttrice del potere - sia che eserciti una coercizione diretta, sia che eserciti una coercizione attraverso la proprietà - che essi sono propensi a purificare la vita sociale semplificandola oltre che nella sua struttura organizzativa anche nelle sue normali manifestazioni quotidiane. Il futuro preconizzato dagli anarchici prevede lo smantellamento dell'attuale complicato ordinamento dello Stato, la sua sostituzione con iniziative locali e associazioni volontarie spontanee, l'eliminazione del lusso e di ogni sofisticato modo di vita e il ritorno dell'uomo a una vita caratterizzata da una gioiosa e naturale semplicità. Forse la più profonda differenza fra socialisti e anarchici, a prescindere dal loro disaccordo sull'efficacia dell'azione politica, sta nel fatto che, mentre i primi hanno sempre promesso ai derelitti un tenore di vita materialmente migliore, gli anarchici non hanno mai negato - e in questo il loro punto di vistà coincideva con gl'insegnamenti religiosi - che il prezzo della vera libertà possa in effetti consistere in una diminuzione di beni materiali, e che la libertà valga tale prezzo. Proudhon nel XIX secolo e lo scrittore anarchico americano P. Goodman nel XX sono stati entrambi fautori del concetto che una dignitosa povertà è la forma di vita che assicura il massimo appaga- mento spirituale. Lev Tolstoj nel suo raffigurarsi una pacifica società anarchica anelava a un ritorno ai valori della vita contadina a stretto contatto con la terra e con il ritmo naturale dei cicli produttivi, e il medesimo sogno nutrì il suo discepolo Gandhi, che progettò un'India fondata su un ritorno alle comunità indipendenti di villaggio e sulla rinascita dell'artigianato. W. Godwin, il filosofo inglese del XVIII secolo la cui opera Political justice (1793) fu definita la summa et substantia dell'anarchistrio, analizzò la possibilità di combinare tecnica moderna e semplicità di costumi in modo da consentire all'uomo di lavorare soltanto mezz'ora al giorno per le proprie necessità e di dedicare il resto del tempo ad attività culturali. Durante la guerra civile spagnola del 1936-1939, quando i contadini andalusi riorganizzarono i loro villaggi in comuni anarchiche con terra, lavoro e prodotti equamente ripartiti, stabilirono di ridurre le loro esigenze entro gli stretti limiti di un'esistenza improntata a una semplicità ascetica che avrebbe però permesso loro di essere quanto più possibile indipendenti dal resto del mondo e di sentirsi perciò quanto più possibile liberi dalle preoccupazioni che la dipendenza crea. In un certo senso gli anarchici già molto tempo fa, prevedendo il futuro nel modo singolare che li distingue, anticiparono le teorie oggi sostenute da quegli ecologi e conservatori dell'ambiente naturale, che pongono come condizione fondamentale per la sopravvivenza dell'umanità sulla terra una semplificazione radicale del nostro modo di vivere.

Entro questo vasto contesto di orientamenti comuni l'anarchismo ha assunto una notevole varietà di forme ed ha anche trovato vie parallele di espressione, da un lato in una tradizione mai interrotta di origine filosofica, mantenuta viva essenzialmente da studiosi, scrittori e artisti, e d'altro lato in un movimento di attivisti e di elementi radicali, discontinuo in apparenza, ma in realtà dotato di straordinari poteri di ripresa, nel quale la filosofia di tanto in tanto si manifesta nel campo dell'azione sociopolitica.

È questione controversa quanto la tradizione anarchica affondi le radici nel passato. Gli apologeti dell'anarchismo, tendenzialmente orientati a storicizzare e a valorizzare i precursori, propendono a far risalire le origini della loro ideologia alle società primitive prive di governo. Ma il principale assertore di questa teoria, Pëtr Kropotkin, il geografo anarchico che scrisse Mutual aid: a factor in evolution (1902), poté sostenere la tesi del carattere anarchico delle società tribali solo ignorando il formidabile peso delle leggi consuetudinarie che in tali comunità solitamente sostituiscono forme di coercizione più arbitrarie e mani- feste.

Altri studiosi dell'anarchismo hanno individuato una tradizione di rifiuto dell'autorità politica che risale all'antichità classica, agli stoici e ai cinici; una tradizione che si riscontra nei gruppi religiosi giudeo-cristiani miranti a un ordinamento comunitario, come gli Esseni, i primi apostoli cristiani, i catari, gli anabattisti e i duchoborcy; che trova espressione attraverso le varie epoche in filosofi individualisti come Lao Tzu e Rabelais, Étienne de La Boétie e Fénelon, Diderot e Swift; che si ritrova nei moti insurrezionali di coloro che Albert Camus nel libro L'homme révolté (1951) descrisse come ‛ribelli' più che come ‛rivoluzionari', uomini come il gladiatore Spartaco, il capo della rivolta dei contadini tedeschi Thomas Münzer, e il parroco inglese John Balì che coniò la famosa rima egalitaria: ‟Se Adamo vangava ed Eva filava, chi comandava?"

Ma per molti di costoro il rifiuto dell'autorità politica non fu che un modo di ritirarsi dal mondo materiale in un regno dello spirito; divenne un motivo della ricerca della salvezza individuale, e come tale si collega soltanto alla lontana con una dottrina sociopolitica come l'anarchismo che mira a una vita libera e piena nella concreta realtà quotidiana. Analogamente, il disprezzo individualistico per il mondo del potere espresso da pensatori dell'antichità e del Rinascimento, e l'insurrezionismo antiautoritario un po' caotico degli schiavi e dei contadini rivoluzionari, non furono sviluppati al punto da poter entrare a far parte di un indirizzo dottrinale, anche se così duttile come l'anarchismo. Tali tendenze si collegano ad esso in un senso più vago e generico, come il libertarismo che abbraccia qualsiasi orientamento in cui l'elemento predominante sia costituito dal desiderio di libertà.

I requisiti fondamentali per definire anarchica una dottrina sia dal punto di vista filosofico, sia dal punto di vista storico sono: a) la contestazione globale del vigente ordinamento sociale fondato sull'autorità; b) l'immagine ideale di una società libertaria alternativa fondata sulla cooperazione, anziché sulla coercizione; c) gli strumenti per passare dal primo ordinamento al secondo.

2. Sviluppi storici dell'anarchismo

Concepito in questi termini, l'anarchismo è un fenomeno storico relativamente recente. Ed è significativo il fatto che il suo primo manifestarsi come una ben definita dottrina di azione sociale che opponeva la libera volontà al principio autoritario, e che si avvaleva in modo caratteristico del ricorso all'azione diretta, ebbe luogo nel XVII secolo nell'inghilterra della guerra civile e del Commonwealth.

La coincidenza temporale è significativa perché il Commonwealth fu il prototipo dello Stato-nazione moderno. Tendenze anarchiche ben individuabili riemersero durante la Rivoluzione francese, quando il modello dello Stato moderno fu perfezionato con l'introduzione da parte dei giacobini del governo di un solo partito e della coscrizione, che trasformavano l'eguaglianza in asservimento universale al principio del potere collettivo.

In altre parole, l'anarchismo trova origine nella reazione agli sviluppi politici caratteristici del mondo moderno e le sue alterne fasi di ascesa e declino - dal XVII secolo in poi - possono essere considerate, insieme ad altri indici, un barometro del malcontento popolare nei confronti dei metodi prevaricatori e della disumana struttura monolitica dello Stato moderno. È significativo il fatto che gli anarchici hanno costantemente e duramente avversato tutte le manifestazioni dello Stato moderno sia democratico sia autoritario; la loro opposizione alla democrazia politica scaturisce dal convincimento che nel contesto dello Stato moderno la volontà della maggioranza, espressa attraverso il suffragio universale, può essere altrettanto tirannica quanto la volontà di un dittatore.

Il XIX secolo fu il periodo più importante per la formazione dell'anarchismo: quello in cui furono attivi i suoi maggiori teorici e in cui esso si sviluppò passando dalla fase di orientamento, propugnato da studiosi isolati e da piccoli gruppi, alla fase di movimento di massa che trovava sostegno soprattutto fra i contadini e gli operai, specialmente nell'Europa latina, in Ucraina e in alcune zone del Sudamerica.

Fatta eccezione per alcune rare circostanze particolari, l'anarchismo non si manifestò in movimenti disciplinati paragonabili ai grandi partiti, con le regole di azione e i corpi di principi dogmatici che i socialisti crearono durante il medesimo periodo. Sempre, salvo che nella fase sindacalista, gli anarchici ebbero una tendenza a organizzarsi in piccoli gruppi autonomi dediti alla propaganda o all'azione, che spesso nascevano spontaneamente per far fronte a circostanze transitorie e che si scioglievano altrettanto prontamente. Gli anarchici hanno sempre fermamente creduto nell'azione diretta; in particolare, tra il 1870 e il 1890, fu assai diffusa fra loro la convinzione che la miglior propaganda si faccia con le azioni. Di qui l'esigenza di manifestare la protesta contro l'autorità con qualche fatto spettacolare, o il tentativo di dimostrare con l'esempio l'efficacia dell'organizzazione fondata sulla libera cooperazione. Ma se gli anarchici concepirono l'azione come un mezzo per dare espressione immediata alle loro idee, e in questo senso furono forse i primi autentici attivisti politici, vollero anche sviluppare le loro idee durante lo svolgimento dell'azione; pertanto la dottrina anarchica deve essere considerata un insieme di attivismo e di teoria, dato che richiede di essere applicata direttamente dai suoi fautori e non di essere attuata attraverso le indirette procedure dell'azione politica tradizionale.

Per questo motivo i principi dottrinari fondamentali dell'anarchismo non possono essere considerati avulsi dal movimento anarchico, nel quale coloro che li formularono - Proudhon e Kropotkin, Bakunin e Malatesta - ebbero un ruolo di guida. L'attivismo anarchico, da un punto di vista storico, può essere suddiviso in tre fasi. La prima - nella quale il movimento anarchico scelse come centro di azione l'Europa continentale, pur esercitando una certa influenza anche sulle Americhe e la Gran Bretagna va dalla costituzione dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori nel 1864 alla fine del XIX secolo: un periodo nel quale gli anarchici, in Francia, nella Svizzera francese e specialmente in Italia furono rivali dei socialisti nella lotta per la leadership del movimento della classe operaia; in quella stessa epoca, particolarmente in Francia, le idee e gli orientamenti anarchici erano in voga fra scrittori e artisti. Questa fase di attività ebbe un declino agli inizi del XX secolo, quando le idee anarchiche furono mantenute vive principalmente attraverso i movimenti sindacalisti rivoluzionari nell'ambito dei sindacati francesi e italiani, e si concluse virtualmente quando la Rivoluzione russa del 1917 sottrasse agli anarchici l'appoggio delle masse lavoratrici di queste nazioni facendole convergere verso il comunismo.

Tuttavia, nello stesso periodo, il movimento anarchico spagnolo, che era sopravvissuto a numerose persecuzioni durante il XIX secolo, aveva conquistato l'appoggio di un sindacato di massa, appoggio che si consolidò con la fondazione nel 1911 della Confederacion Nacional del Trabajo, la famosa CNT, un movimento sindacalista rivoluzionario che rimase il più forte movimento di sinistra del paese fino alla fine della guerra civile spagnola nel marzo 1939. Durante questa seconda fase di attivismo, che ebbe luogo nel primo Novecento, l'anarchismo si spostò dai centri rivoluzionari tradizionali d'Europa, cioè dalla Francia e dall'Italia, verso territori più periferici; oltre alla Spagna, la nazione che fornì l'esempio più spettacolare di attivismo anarchico fu l'Ucraina, dove, per parecchi anni dopo il 1917, il movimento anarchico contadino, guidato da Nestor Machno, resistette con successo sia alle armate rosse sia a quelle bianche. Durante tale periodo i principi e i metodi anarchici ebbero un ruolo considerevole anche nella Rivoluzione messicana (ove influenzarono profondamente le idee e l'azione di Emiliano Zapata, capo dell'insurrezione meridionale) e, in una forma tolstoiana, in India. In questo paese i seguaci più radicali di Gandhi, come Vinoba Bhave, e più tardi Jayaprakash Narayan, subirono fortemente l'influenza della concezione di Kropotkin di una società a base rurale in cui l'industria fosse integrata all'agricoltura. Essi tentarono, attraverso il movimento Bhoodan, di realizzare un modello rurale di comunità decentrate che potesse fornire un'alternativa allo stato centralistico instaurato in India dai leaders del Congresso, nonostante il parere contrario di Gandhi, negli anni successivi alla liberazione del paese avvenuta nel 1947.

Tra la prima e la seconda fase dell'anarchismo interviene un mutamento non semplicemente nell'habitat tradizionale del movimento - che si allontana infatti dal centro della cultura europea - ma anche nell'elemento umano. A prescindere dagli intellettuali individualisti del ceto medio e anche di estrazione aristocratica, che hanno sempre costituito una significativa minoranza nel movimento, l'anarchismo della metà del sec. XIX trovò molti simpatizzanti fra la classe artigiana. In Francia i più accesi sostenitori furono coloro che lavoravano nelle piccole e raffinate botteghe artigiane che fiorivano in quell'epoca a Parigi, e i tessitori di seta di Lione; in Svizzera furono gli orologiai del Giura; in Italia i cavatori di marmo di Carrara furono i primi convinti sostenitori degli ideali anarchici, cui rimasero fedeli fin oltre gli inizi del XX secolo; nella prima fase dell'attivismo anarchico si ebbero ovunque molte adesioni fra i tipografi e i calzolai. Nell'ultimo periodo di questa prima fase, in cui la dottrina del sindacalismo rivoluzionario si sviluppò dall'idea-base anarchica della gestione diretta dei lavoratori, furono fatti molti proseliti tra gli operai manifatturieri, particolarmente nel periodo nel quale gli anarchici dominarono la Confédération Générale du Travail (CGT), e cioè dalla sua costituzione fino al 1917, allorché i suoi aderenti passarono nelle file dei comunisti, che erano in grado di offrire un travolgente esempio di rivoluzione sociale manifestamente vittoriosa sotto la guida bolscevica in Russia.

La seconda fase dell'attivismo anarchico fu contrassegnata da una notevole diminuzione numerica degli artigiani, dovuta alla sempre crescente meccanizzazione del lavoro, e dei lavoratori dell'industria che, fatta eccezione per la Spagna, seguirono la leadership dei socialisti e dei comunisti. D'altro lato i contadini che Michail Bakunin fin dalla metà del XIX secolo aveva considerato un'importante categoria di anarchici potenziali, divennero decisi sostenitori di iniziative anarchiche di vario tipo, in particolare nelle zone più depresse, come l'Ucraina in Russia, l'Andalusia in Spagna, il Mezzogiorno in Italia e le province meridionali del Messico.

La terza fase dell'attivismo anarchico è più difficile da collocare entro un contesto storico definito, poiché ancora non si è conclusa. Esso si è caratterizzato come un movimento di rifiuto dei tradizionali orientamenti conservatori e radicali e, a differenza della seconda fase, è tornato a fiorire nei centri più importanti della vita moderna - Nordamerica, Europa occidentale e Giappone - rappresentando una sfida al culto dell'opulenza e del progresso materiale. Quando questa tendenza si manifestò nella contestazione giovanile degli anni sessanta, essa aveva scarsi punti di contatto con quanto sopravviveva del movimento precedente il 1939, che si era mantenuto vivo fra fuorusciti spagnoli e italiani, emigrati soprattutto in Inghilterra e negli Stati Uniti. Tuttavia è possibile rilevare una certa continuità ideale fra il nuovo movimento e gli intellettuali anarchici inglesi e americani che avevano continuato ad applicare, durante gli anni quaranta e cinquanta, le idee essenziali dell'anarchismo tradizionale, pur adeguandole alle nuove condizioni.

3. Il protoanarchismo

Nell'esaminare lo sviluppo della dottrina anarchica dai suoi inizi nel XVII secolo a oggi, ho cercato di tener presente il reciproco influsso fra le fasi dell'attivismo che ho delineato e l'opera di scrittori che hanno avuto un duplice ruolo nella storia del pensiero moderno. Costoro, infatti, se da un lato hanno dato espressione in chiari termini filosofici alle conclusioni cui gli uomini che cercano la libertà giungono attraverso l'esperienza, divenendo in tal modo gli autentici portavoce della tradizione anarchica, d'altro lato sono figure alle quali la statura intellettuale e l'indipendenza di pensiero conferiscono un'importanza anche al di fuori del movimento di cui con le loro idee si sono fatti paladini. Uomini come William Godwin e Pierre-Joseph Proudhon, come Pëtr Kropotkin e Lev Tolstoj, e in epoca moderna Herbert Read e Paul Goodman, operano in un vasto orizzonte di pensiero umanistico di cui l'anarchismo, inteso nel suo significato più ristretto e cioè politico, è soltanto un aspetto.

A questo proposito è da tener presente che in linea di massima gli anarchici sono sempre stati propensi a considerare le loro idee non una semplice dottrina politica nel senso più ristretto, né un indirizzo strategico, analogo a quello dei marxisti, per conquistare il potere, che essi disprezzano, ma piuttosto l'esortazione a un modo di vita di cui ogni aspetto deve essere illuminato dalla coscienza della libertà. Essi considerano l'azione di cui sono fautori e spesso promotori non come la preparazione a un'utopistica comunità pianificata ma piuttosto come un mezzo per stimolare la coscienza della libertà e per rimuovere le remore mentali che impediscono all'uomo di maturare sia individualmente sia collettivamente in armonico accordo con la propria natura. È per questo motivo che essi sono sempre stati riluttanti a tracciare un quadro minuzioso di quella futura condizione che essi definiscono anarchia - usando il termine nel suo senso positivo - cioè una società senza coercizione. Gli anarchici credono fermamente che uomini in catene non possano progettare il futuro per altri uomini che saranno invece liberi, per quanto essi riconoscano che anche in una società fondata sull'autorità taluni individui hanno pur sempre la possibilità di crearsi una propria isola di libertà.

Nel tracciare l'evoluzione del pensiero anarchico non si può ignorare il retaggio dottrinario del XVII e del XVIII secolo, che potremmo definire protoanarchismo, poiché rappresenta il primo tentativo di formulare un orientamento critico nei riguardi del nascente Stato-nazione, e un metodo per opporsi ad esso. Analogamente il neoanarchismo della seconda metà del XX secolo contiene intuizioni nuove dei dilemmi di un mondo in continuo mutamento, che lo rendono perciò interessante materia di indagine per qualsiasi studio relativo ai problemi e alle possibilità evolutive della società. Fu comunque nel XIX secolo che, in forme diverse e in fasi successive, furono elaborati i concetti base dell'anarchismo in rapporto all'azione. Le principali forme in cui si manifestò l'anarchismo del XIX secolo - ognuna col suo nutrito gruppo di fautori - furono: l'anarchismo individualista, il mutualismo, il collettivismo, il comunismo anarchico, l'anarco-sindacalismo e l'anarchismo pacifista (noto anche sotto il nome di anarchismo tolstoiano). I punti di diversità fra questi indirizzi riguardano tre aspetti principali: l'uso della violenza, il grado di cooperazione compatibile con la libertà individuale, la forma di organizzazione economica più adeguata a una società libertaria. Queste differenze, e le divergenze che ne scaturirono, assunsero importanza anche maggiore poiché il XIX secolo, a differenza del XVII e del XVIII, fu un'epoca in cui le dottrine anarchiche indussero un considerevole numero di persone a tentare di metterle in pratica.

Non che i protoanarchici fossero stati unicamente dei teorici. O. Winstanley, il cui Truth lifting its head above scandals (1648) costituisce probabilmente la prima opera che può essere definita un manifesto anarchico, fu capo di un movimento di attivisti denominati diggers (zappatori). Winstanley era un mercante, rovinato dai dissesti economici causati dalla guerra civile; era un cristiano dissidente che identificava Dio con la Ragione e cercava di dare alla sua religione una forma pratica delineando una filosofia sociale che potesse rendere giustizia ai diseredati.

Nel suo manifesto espresse principi e concetti che la maggior parte degli anarchici hanno da allora accettato come fondamentali: che il potere corrompe, che la proprietà non può conciliarsi con la libertà, che l'unione di autorità e proprietà genera crimine, e che l'uomo per poter essere libero e felice deve agire secondo la propria coscienza in una società nella quale non vi siano governanti e ove il lavoro e i suoi frutti siano equamente ripartiti. Winstanley sosteneva, come sostennero del resto quasi tutti gli anarchici delle epoche successive, che la gente può por fine all'ingiustizia sociale non eleggendo dei governanti, ma soltanto agendo individualmente. Nel 1649 lanciò un appello ai ‟membri della comunità perché rendessero fertili e lavorassero le terre comuni", guidò i suoi seguaci a occupare le terre incolte dell'Inghilterra meridionale ed essi si misero a dissodarle. Quando furono attaccati con la forza dai proprietari terrieri ostili, i diggers opposero una resistenza passiva, ma gli avversari riuscirono alla fine a distruggere i loro insediamenti e non si sentì quasi più parlare di Winstanley; perfino il luogo e la data della sua morte restano tuttora ignoti.

Altre importanti manifestazioni di protoanarchismo si ebbero come conseguenze della Rivoluzione francese. A Parigi nel 1793, l'anno del Terrore, comparve un movimento, non molto organizzato, di protesta radicale contro le tendenze autoritarie dei giacobini. Gli aderenti al movimento venivano comunemente chiamati les enragés (gli arrabbiati), ma il capo girondino Brissot nel chiedere la loro soppressione usò l'appellativo di ‛anarchici'. Questo non fu il primo esempio dell'uso della parola ‛anarchico' come termine di denigrazione politica. In Inghilterra all'epoca della rivoluzione di Cromwell, i levellers - che chiedevano il suffragio universale venivano piuttosto impropriamente chiamati dai loro avversari Switzerizing anarchists. Ma nel caso degli enragés il termine era esatto, anche nel senso positivo per la prima volta precisato da Pierre-Josepb Proudhon, quando nel 1840 dichiarò ‟io sono un anarchico" e spiegò che con questo intendeva affermare il suo convincimento che le vere leggi della società non avevano nulla a che fare con l'autorità, ma scaturivano dalla natura stessa della società, e che l'ordine non si trova in un governo ma nell'equilibrio naturale che verrà a crearsi grazie alla sua assenza. J. Roux e J. Varlet, i principali esponenti degli enragés, raggiunsero entrambi la conclusione, attraverso la loro esperienza del Terrore durante il quale Roux morì, che l'espressione ‛governo rivoluzionario' era una contraddizione in termini.

Roux e Varlet, vivendo in mezzo al vortice della rivoluzione, erano troppo presi dall'azione per poter dare una forma sistematica al loro pensiero. Fu W. Godwin che, osservando gli eventi dalla non lontana Inghilterra, scrisse in quello stesso 1793 una serie di considerazioni sulla natura del governo in gran parte provocate dai fatti della Rivoluzione francese. L'opera apparve con il titolo The enquiry concerning political justice, e ispirò l'idealismo politico di grandi poeti romantici inglesi, quali P. B. Shelley e W. Wordsworth. Political justice viene giustamente considerato il testo fondamentale che precorre l'anarchismo moderno. Godwin attacca il sistema statuale nelle sue basi teoriche e nella pratica di governo con il classico argomento anarchico secondo il quale l'autorità è contro natura e i mali sociali sussistono perché gli uomini non sono liberi di agire secondo i dettami della ragione. Passa poi a tratteggiare una società libertaria decentrata nella quale piccole comunità autonome (che chiama parishes) costituiscono le unità base e in cui sono ridotte al minimo anche le attività politiche democratiche, perché il governo della maggioranza è pur esso una forma di tirannia e il votare per un rappresentante riduce le responsabilità individuali dell'uomo. Godwin critica anche l'‟accumulazione delle proprietà" in quanto fonte di potere sugli altri, e propone un sistema economico libero nel quale gli uomini possano svolgere l'attività cui sono portati e possano dare e prendere secondo le necessità.

4. L'anarchismo nel XIX e nel XX secolo

Fu nell'Europa continentale che l'anarchismo si sviluppò effettivamente in un movimento d'azione, mentre il protoanarchismo di Godwin, pur somigliando in molti punti alle teorie più tardi elaborate da Kropotkin e altri, vi rimase in pratica sconosciuto fino alla fine del XIX secolo.

Anche l'anarchismo individualista, pur condividendo l'estrema sfiducia di Godwin nelle imprese collettive (che lo condusse una volta a dire che nessun uomo libero può suonare sotto la guida di un direttore d'orchestra), nelle forme assunte in Europa sembrò dover poco a Godwin. Sotto taluni aspetti le forme più estreme di individualismo, nel tentativo di assicurare l'assoluta indipendenza dell'individuo, sembrano negare la base sociale sulla quale i veri anarchici fondano la loro dottrina di libertà. Max Stirner (il cui vero nome era Caspar Schmidt) pubblicò nel 1845 un'opera dal titolo Der Einzige und sein Eigenthum che portava questo concetto anarchico alle estreme conseguenze. Egli respingeva non solo lo Stato ma la società stessa, e riduceva l'organizzazione a un'‛unione di egoisti' fondata sul reciproco rispetto degli individui quali esseri ‛unici', lasciando alla ‛forza' di ciascuno il governo di se stesso. L'‛egoista' sotto molti aspetti è il precursore del ‛superuomo'; Nietzsche nelle sue più estreme manifestazioni di individualismo subì chiaramente l'influsso di Stirner.

Sul piano dell'azione l'anarchismo individualista ebbe un ruolo importante per il gran numero di atti terroristici compiuti nell'ultimo scorcio del sec. XIX particolarmente in Francia, e in una certa misura anche in Italia. I terroristi di norma erano uomini che miravano a risultati più immediati e spettacolari di quelli che potevano essere conseguiti attraverso una attività organizzata; tra questi, coloro che si misero maggiormente in evidenza, come Ravachol ed E. Henry, agirono da soli o come membri di sparuti gruppi autonomi. I loro attentati furono diretti contro personalità, di cui si erano autoeletti giudici e giustizieri. Il dilagare dell'irresponsabilità individualista pronta a giustificare inconsulti atti di violenza attuati al solo scopo di creare terrore, quali il lancio di bombe in caffè e teatri, contribuì in gran misura a creare la sinistra immagine che la parola anarchico evocava in molti alla fine del secolo e nel periodo successivo. Una forma di anarchismo individualista molto più attenuata fiorì per un certo periodo negli Stati Uniti sotto la guida di B. Tucker. Tucker aborrì la violenza e fu fautore del rifiuto d'obbedienza come tattica anarchica; anch'egli - come molti individualisti - respinse il comunismo economico perché incompatibile con la libertà, e propose invece che la proprietà venisse ripartita in parti eguali cosicché ogni uomo potesse disporre dei frutti del proprio lavoro.

I principî economici di Tucker derivavano dal tipo di anarchismo che prevalse nell'Europa continentale, noto sotto il nome di movimento mutualistico, che è intimamente connesso con le opere e la vita di Pierre-Joseph Proudhon. Molti anarchici del XIX secolo considerarono Proudhon il fondatore del loro movimento; anche Michail Bakunin dichiarò: ‟Proudhon è il maestro di noi tutti". Le sue prime opere, Qu'est-ce que la propriété? (1840) e Système des contradictions économiques, ou philosophie de la misère (1846), lo collocarono tra i più eminenti teorici del movimento socialista di allora, e attrassero l'attenzione di Bakunin, che divenne il suo principale discepolo, e di Marx, la cui divergenza di opinioni con Proudhon sul problema dell'azione politica fu all'origine della scissione storica che alla fine dell'Ottocento divise il socialismo europeo in un'ala marxista o autoritaria e in un'ala libertaria o anarchica.

Le opere successive di Proudhon furono condizionate dall'esperienza fatta durante la rivoluzione del 1848 cui partecipò in veste di protagonista, pur criticandola; tre di queste (Idée de la Révolution au XIXe siècle, 1851, Du principe fédératif et de la nécessité de reconstituer le parti de la révolution, 1863, e l'opera postuma De la capacité politique des classes ouvrières, 1865) furono assai importanti nello sviluppo della sua dottrina.

Il mutualismo economico, il federalismo sociale e l'azione diretta come mezzi per cambiare la società furono i principi essenziali che Proudhon saldò per creare la prima forma di anarchismo che potesse dar vita a un vero e proprio movimento. Se dichiarò che ‟la proprietà è un furto" ciò non significa che egli propugnasse il comunismo; in effetti lo contrastò sia come dottrina che sosteneva la proprietà di Stato sia come ordinamento utopistico della vita in collettività organizzate auspicato dai primi socialisti come Fourier e Cabet.

Il comunismo - come la proprietà privata del singolo che sfrutta il lavoro altrui - priva del ‛possesso', che è l'unica vera salvaguardia della libertà, lede il diritto di un lavoratore, o di un gruppo di lavoratori che vogliano amministrare insieme la terra e gli strumenti necessari alla produzione. Egli immaginò una struttura cellulare, una società decentrata di contadini e artigiani indipendenti, le cui attività dovevano svilupparsi in parallelo con quelle di associazioni di lavoratori per gestire le fabbriche e i mezzi di produzione: tutti dovevano essere collegati attraverso un sistema di mutuo credito fondato su assegni di lavoro negoziabili presso le banche del popolo. L'alternativa allo Stato centralizzato, che Proudhon proponeva, era un sistema di comunità autonome locali e di associazioni industriali federate fra loro; il sistema doveva essere regolato solo dagli obblighi scaturenti dal libero contratto e dall'interesse reciproco e le leggi dovevano gradualmente decadere. Per Proudhon l'alternativa ai tribunali era l'arbitrato, l'alternativa alla gestione burocratica l'autogestione dei lavoratori, l'alternativa all'istruzione accademica l'istruzione integrata, e tutte insieme queste strutture dovevano contribuire a creare quell'unità sociale naturale che avrebbe prodotto l'ordine e l'armonia mai conseguite attraverso la coercizione. Nella sua ultima opera, De la capacité politique des classes ouvrières, Proudhon ribadì fermamente che la libertà era un bene che i lavoratori potevano conquistare da soli con le proprie forze, organizzati in associazioni industriali; in questo stesso libro pose le basi concettuali di un movimento che avrebbe rifiutato la politica democratica e quella parlamentare per sostituirle con varie forme di azione diretta tese alla creazione di una società libertaria.

Sebbene gli anarchici delle epoche successive si siano discostati da Proudhon in taluni dettagli - in particolare per quel che concerne le tattiche rivoluzionarie e le modalità di ripartizione della ricchezza sociale - i lineamenti generali della dottrina così come egli li tratteggiò costituiscono da allora l'essenza del pensiero anarchico, e la discendenza da Proudhon è diretta, poiché egli, a differenza di Godwin, creò le premesse di un movimento anarchico. Si può dire che il movimento cominciò tra le 29.000 persone che egli convinse, con la sua propaganda giornalistica su ‟Le réprésentant du peuple", ad aderire alla Banca del Popolo da lui fondata nel 1848. Quando Proudhon fu imprigionato nel 1849, la Banca si sciolse, ma, sebbene Proudhon negasse qualsiasi intenzione di formare un partito politico e non avesse mai cercato di organizzare i suoi sostenitori, le sue opere ebbero un notevole successo fra i lavoratori francesi negli anni sessanta e fu un gruppo di suoi seguaci, che si definivano mutualisti, che nel 1864, in collaborazione con i sindacalisti inglesi e con i socialisti europei emigrati a Londra, fondarono l'Associazione Internazionale dei Lavoratori, meglio nota come Prima Internazionale. I mutualisti, che miravano alla trasformazione della struttura sociale per mezzo dell'associazione economica, formarono in seno all'Internazionale la prima opposizione ai marxisti che sostenevano la necessità dell'azione politica e miravano alla conservazione dello Stato al fine di instaurare una dittatura proletaria.

L'influenza dei mutualisti in seno all'Internazionale diminuì con la nascita del collettivismo, una forma più combattiva di anarchismo, e fu come capo dei collettivisti che M. Bakunin, un nobile russo che era giunto ad una filosofia libertaria attraverso l'hegelismo, il panslavismo e il carbonarismo, contrastò e fece fallire il tentativo di Marx di controllare la Prima Internazionale.

L'associazione a causa di tale frattura si sfasciò e fra anarchici e comunisti si determinò un'ostilità che divenne costante. In sostanza Bakunin e gli anarchici svizzeri, italiani e spagnoli, che furono i suoi più stretti alleati, condivisero con i mutualisti il rifiuto dello Stato e dell'azione politica, l'esaltazione del federalismo e la concezione che il lavoratore doveva essere retribuito in relazione al lavoro svolto. D'altra parte si differenziavano dai mutualisti in quanto consideravano come unità fondamentale il gruppo dei lavoratori anziché il lavoratore singolo, ed esaltando la solidarietà come imprescindibile fondamento morale della società, erano fautori della proprietà comunitaria e della gestione della terra, di tutti i mezzi di produzione e di tutti i servizi attraverso associazioni di lavoratori. Sostenendo che l'anarchismo trae la sua giustificazione dall'esaltazione delle capacità sociali dell'uomo, Bakunin si opponeva in particolare all'individualismo e riteneva indispensabile l'accettazione di responsabilità collettive.

Ancora più che per l'importanza data alla proprietà collettiva fatta assurgere a ideale organizzativo, i collettivisti si differenziarono dai mutualisti per l'esaltazione dell'azione rivoluzionaria, se necessario violenta, come mezzo per determinare il crollo dello Stato e l'instaurazione di una società libera. Proudhon invece aveva ritenuto che sarebbe stato possibile creare in seno alla società, quale era, associazioni mutualistiche che alla fine avrebbero sostituito le vecchie strutture, già entrate in crisi per loro conto. Bakunin non poté accettare come possibile questo smantellamento dello Stato pezzo per pezzo; ‟la spinta alla distruzione - aveva dichiarato nei suoi anni giovanili - è, insieme, un'esigenza di creazione", ed egli credeva che una rivoluzione che spazzasse via come un uragano le istituzioni esistenti fosse il necessario preludio all'inizio della costruzione di un mondo reso libero. Nell'anarchismo si verificò quindi un mutamento che non riguardò solamente la teoria. In Europa la lotta tra Sinistra e Destra stava assumendo forme violente, come doveva porre in evidenza nel 1871 la Comune di Parigi; Italiani e Spagnoli, che si stavano inserendo nel movimento, provenivano in gran parte da movimenti di cospiratori, strenui sostenitori dell'attentato violento per rovesciare l'autorità costituita. Bisogna soprattutto tener presente la vulcanica personalità dello stesso Bakunin, il più impegnato attivista politico del suo tempo, che aveva partecipato a numerose insurrezioni, era vissuto in molte prigioni a causa delle sue azioni rivoluzionarie, e che a preludio della sua attività in seno all'Internazionale era stato protagonista di una clamorosa fuga dall'esilio in Siberia. La sua attività di scrittore fu solo occasionale e frammentaria, e anche questo caratterizza il personaggio. Non esiste un'opera che contenga l'essenza del pensiero di Bakunin; le sue teorie trovarono espressione non nei suoi scritti ma nella sua vita, e in questo assomigliò a un altro anarchico, assai diverso sotto altri aspetti: Gandhi. È stato grazie all'instancabile energia di Bakunin che importanti movimenti anarchici sorsero per la prima volta in paesi latini al di fuori della Francia, e perfino in Russia. La cosiddetta Internazionale di St. Imier (o Internazionale Anarchica), che gli anarchici costituirono e mantennero in vita fino alla fine degli anni settanta, dopo la scissione della Prima Internazionale al Congresso dell'Aia del 1872, definì chiaramente per la prima volta le differenze essenziali esistenti tra anarchismo e socialismo.

Fu nella Internazionale di St. Imier che, imitando Proudhon, i seguaci di Bakunin iniziarono a chiamarsi ‛anarchici' anziché ‛collettivisti'. Fu pure in questo contesto che gli anarchici italiani sotto la guida di E. Malatesta, C. Cafiero e A. Costa (che più tardi fu il fondatore del socialismo italiano) svilupparono le idee insurrezionali di C. Pisacane nella teoria della ‛propaganda con i fatti'. Infine fu sempre in seno all'Internazionale che Pëtr Kropotkin, insieme con gli Italiani e con E. Reclus e F. Dumartheray, elaborò ulteriormente la dottrina anarchica, creando il cosiddetto ‛comunismo anarchico'.

Kropotkin, un principe russo che rinunciò alla carriera militare per diventare geografo e che successivamente rinunciò alla carriera scientifica per diventare un attivista rivoluzionario, era approdato all'anarchismo a seguito dei contatti avuti con gli orologiai del Giura svizzero. Dopo un periodo di attività propagandistica - prevalentemente clandestina - in Russia, Svizzera e Francia, e dopo lunghi periodi di prigionia in Russia e in Francia e una fuga dalle carceri di Pietroburgo che fu perfino più clamorosa di quella di Bakunin dalla Siberia, Kropotkin si stabilì per quasi tutto il resto della sua vita in Inghilterra, dove divenne il grande teorico-apologeta del movimento, finché non ritornò in Russia nel 1917 per morirvi deluso sotto la dittatura di Lenin. Si deve alla sua opera di scrittore se le basi dottrinarie del comunismo anarchico risultarono meglio costruite di quelle del collettivismo; opere quali La conquête du pain, Fields, factories and workshops e Mutual aid sono divenute i testi classici che illustrano il concetto della società decentrata fondata sull'integrazione tra agricoltura e industria, città e campagna, istruzione e apprendistato, organizzata secondo un modello federativo in cui il consapevole ricorso all'istinto naturale del mutuo soccorso esemplifica in termini umani l'importanza della cooperazione quale fattore di evoluzione.

Uno solo era il punto fondamentale, ma cruciale, che costituiva l'elemento di differenziazione fra comunismo anarchico e collettivismo, ed era il sistema da adottare nella distribuzione del prodotto del lavoro. Mentre i collettivisti e i mutualisti insistevano sul principio che la retribuzione doveva essere commisurata al lavoro svolto sulla base delle ore lavorative, i comunisti anarchici ribadivano il concetto espresso nello slogan ‟da ognuno secondo la sua capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni". Come il protoanarchico Winstanley e il non-anarchico Tommaso Moro, essi auspicavano la creazione di magazzini aperti dove ognuno fosse autorizzato a prelevare senza neppure chiedere. Sostenevano che il lavoro è una necessità naturale, che l'uomo vi si sarebbe dedicato anche senza la spinta del bisogno, e che se nessuna restrizione fosse stata imposta sui beni disponibili per la distribuzione, nessuno sarebbe stato tentato di prelevare più di quanto gli fosse necessario. Più dei loro predecessori essi accentuarono l'importanza delle organizzazioni comunitarie locali e delle associazioni volontarie che avrebbero fatto della società un organico insieme di sforzi autonomi, e sostennero la necessità della massima autosufficienza economica locale come garanzia di indipendenza; al tempo stesso, con la distruzione dello Stato-nazione, preconizzavano una maggiore integrazione globale attraverso il moltiplicarsi di associazioni volontarie su scala mondiale.

I comunisti anarchici erano orientati a operare in piccoli gruppi che facevano propaganda con i fatti o con la parola. Il sindacalismo anarchico rappresentò una tendenza complementare nell'ultimo scorcio dell'Ottocento quando un gran numero di anarchici entrò a far parte dei sindacati francesi, che in quel periodo si stavano ricostituendo dopo la soppressione seguita alla Comune di Parigi. Per un lungo periodo di circa trent'anni, praticamente fino alla fine della prima guerra mondiale, le dottrine sindacaliste rivoluzionarie predicate dagli attivisti di convinzione anarchica che facevano parte dei sindacati dominarono il movimento sindacale francese. Inoltre, a partire dall'inizio del Novecento, gli anarchici dominarono il movimento sindacale spagnolo attraverso la CNT, occuparono posizioni preminenti nei movimenti sindacali dell'America Latina, in Italia costituirono (attraverso l'Unione Sindacale Italiana) una forte opposizione ai sindacati socialisti, e anche in Germania, Olanda e Svezia formarono importanti minoranze militanti. Elaborando le loro teorie in gran parte attraverso l'esperienza della lotta in fabbrica, i sindacalisti trasferirono le basi dell'organizzazione anarchica dalle Comuni, auspicate da Kropotkin e dai suoi seguaci, ai sindacati, da essi considerati come strumenti che univano i produttori nelle aspirazioni e nel lavoro. La lotta comune doveva essere condotta essenzialmente nelle fabbriche e negli altri stabilimenti industriali, poiché proprio nei posti di lavoro gli operai potevano far uso dell'azione diretta in modo più efficace contro i veri avversari, i capitalisti; la forma più estrema ed efficace di azione diretta era lo sciopero generale che doveva provocare la fine non soltanto del capitalismo ma anche dello Stato. I sindacati si sarebbero quindi trasformati da organi rivoluzionari in unità fondamentali della libera società; gli operai avrebbero gestito e controllato le fabbriche ove prima prestavano il loro lavoro e si sarebbero confederati a seconda dei settori industriali.

I concetti dottrinari del sindacalismo anarchico furono sviluppati essenzialmente da operai militanti, come F. Pelloutier, G. Yvetot ed E. Pouget, che crearono l'immagine di un movimento che scaturiva dal genio delle masse lavoratrici.

Vi furono anche scrittori estranei al movimento che trassero le proprie conclusioni teoriche dall'esperienza dei sindacalisti. Georges Sorel nelle Reflexions sur la violence presentò lo sciopero generale come un salutare ‛mito sociale' in grado di potenziare la forza della società mantenendola in una condizione di lotta perpetua. Certamente non tutti gli anarchici furono favorevoli al sindacalismo anarchico. Gli individualisti rifiutarono la sua mistica delle masse lavoratrici, e i comunisti anarchici non gradirono la sua distinzione tra produttori e consumatori. Sia gli individualisti, sia i comunisti anarchici guardavano con orrore alla prospettiva di sindacati di massa che sarebbero diventati strutture monolitiche cristallizzate incompatibili con l'idea di libertà, e al Congresso Internazionale Anarchico di Amsterdam nel 1907 Malatesta si scontrò con il sindacalista P. Monatte in un famoso dibattito in cui questi timori trovarono un'espressione esemplare. Cionondimeno, in Francia, Italia e Spagna furono i sindacalisti che portarono all'anarchismo la prima e unica adesione di massa, e in Spagna, durante la guerra civile, furono i sindacalisti della CNT che per un breve periodo misero in pratica i principi anarchici nelle fabbriche di Barcellona e nei villaggi dell'Andalusia, dimostrandone la vitalità e l'efficacia. Inoltre, l'unica organizzazione internazionale anarchica che ebbe successo dal punto di vista della durata, fu quella creata dai sindacalisti a Berlino nel 1922 cui fu data l'antica denominazione di Associazione Internazionale dei Lavoratori. Essa esiste ancora, ha sede a Stoccolma ed è sostenuta dai sindacati svedesi che sono le più importanti organizzazioni anarco-sindacaliste tuttora in vita.

L'anarchismo pacifista, come l'anarchismo individuali- sta, ha sempre agito ai margini del movimento storico, poiché il fulcro della sua concezione era il convincimento che la violenza è una forma di potere e che pertanto per essere coerente l'anarchico dovrebbe essere un non-violento. Storicamente l'anarchismo pacifista ha assunto due forme. Quella di Tolstoj cercò di realizzare in forma concreta e razionale l'etica cristiana. Tolstoj predicò una rivoluzione morale impostata sul rifiuto dell'obbedienza, e Gandhi fu il suo maggiore discepolo. Ma a prescindere dal problema della violenza, sia Tolstoj sia Gandhi ebbero molti punti in comune con altri anarchici nel rifiutare lo Stato, nel criticare la legge e la proprietà, nell'auspicare una forma cooperativistica di produzione e distribuzione secondo il bisogno. Una tendenza pacifista distinta da quella di Tolstoj apparve nell'Europa occidentale sotto la guida dell'ex socialista olandese D. Nieuwenhuis. Nell'interpretazione di Nieuwenhuis e del suo discepolo Bart de Ligt, questa tendenza accoglieva le forme sindacaliste di lotta purché non giungessero alla violenza, e incoraggiava l'idea dello sciopero generale, che naturalmente non fu mai attuato, come unico mezzo per porre fine alla guerra.

L'anarchismo risentì molto del trionfo del comunismo in Russia e del suo conseguente aumento di prestigio ovunque, dell'instaurazione delle dittature fasciste in Europa e della vittoria di Franco in Spagna. Dal 1939 non rimasero, in realtà, che i resti di quello che era stato il movimento anarchico.

Durante gli anni della guerra, dal 1939 al 1945, piccoli gruppi di intellettuali in Inghilterra e negli Stati Uniti contribuirono in notevole misura a mantenere viva l'idea anarchica e anche a dare ad essa nuove prospettive in campo artistico e scientifico. Fra questi intellettuali alcuni furono scrittori di grido: si pensi a H. Read e A. Comfort in Gran Bretagna, a D. Macdonald, a P. Goodman e K. Rexroth negli Stati Uniti.

Nel 1945, dopo la fine della guerra, gruppi anarchici riapparvero in paesi fino allora oppressi da regimi dittatoriali, in particolare in Italia e in Francia. A capo dei gruppi furono quasi ovunque esuli rientrati in patria, e all'inizio le loro azioni rappresentarono poco più che nostalgici tentativi di far rivivere un passato ormai morto e non più attuale.

Durante gli anni cinquanta e fino all'inizio degli anni sessanta, il movimento anarchico parve agonizzare, come se avesse ricevuto nel 1939 un colpo mortale dalla resa incondizionata del caposaldo anarchico di Barcellona alle forze nazionaliste del generale Yague. Tuttavia prima del 1965 la capacità di ripresa dell'anarchismo s'era ancora una volta manifestata, sia con un risveglio del movimento sul piano politico, sia con un'assai più larga diffusione delle idee anarchiche.

Si può riferire questo risveglio a una serie di situazioni verificatesi nei paesi occidentali che avevano contribuito ad alimentare un clima di sfiducia nelle strutture politiche tradizionali. In America il movimento per i diritti civili all'inizio degli anni sessanta, in Gran Bretagna l'indirizzo radicale assunto nello stesso periodo dal Movimento per il disarmo nucleare sotto la direzione del Comitato dei Cento (di cui facevano parte molti anarchici) e su scala ben più vasta il movimento della rivolta studentesca che ebbe inizio negli Stati Uniti verso il 1965 e rapidamente si diffuse in Occidente, assumendo forme drammatiche in Italia, Francia e Giappone: tutti questi movimenti incitavano i giovani a ricercare forme alternative di azione sociale rispetto a quelle che non erano riuscite a porre fine alla guerra o a mali ancora peggiori quali la miseria e la discriminazione razziale.

La ripresa moderna delle idee anarchiche si è manifestata in molteplici direzioni. Vi fu un'ondata di interesse accademico che iniziò verso il 1955, quando il movimento anarchico sembrava ormai appartenere al passato. I primi trattati storici di largo respiro furono pubblicati, assieme a opere più circoscritte sull'anarchismo, in molti paesi, e in particolare in Francia, Italia, Spagna e Russia. Vi fu anche un rifiorire di associazioni anarchiche con vaste adesioni fra le giovani generazioni che vi trasfusero il loro giovanile entusiasmo. Riemersero quasi tutte le antiche sfumature della dottrina e dell'azione anarchica, dal pacifismo radicale al terrorismo praticato da gruppi come la Angry brigade in Inghilterra.

Un'importante caratteristica del nuovo sviluppo fu la forza che l'anarchismo dimostrò in paesi nei quali in passato il suo richiamo aveva avuto ben poca presa, come in Inghilterra e in Olanda, dove il movimento che si denominò dei provos, e, dopo il 1967, dei kabouters, attirò l'attenzione e la simpatia del pubblico per l'introduzione di varianti originali nella propaganda con l'azione. In Francia gruppi anarchici ebbero un ruolo preminente nell'insurrezione di Parigi del 1968, innalzando la tradizionale bandiera nera dell'anarchia sui palazzi della Borsa e della Sorbona, e in Italia il movimento manifesta di nuovo la sua vitalità in molte direzioni.

Ma negli ultimi anni le dottrine anarchiche - proprio perché avversano più di tutte le altre i valori impersonali del nostro mondo dominato dalla tecnologia - hanno esercitato un richiamo ben al di là del movimento vero e proprio, ed è facile individuare la profonda influenza che hanno avuto su quel più esteso radicalismo che viene spesso denominato ‛Nuova Sinistra'. Tuttavia l'ampliarsi del richiamo esercitato dagli ideali libertari ne ha anche determinato l'inquinamento, sicché molto spesso l'anarchismo si rivela soltanto un elemento di quello che può forse essere descritto come una forma mentis insurrezionale piuttosto che come una nuova ideologia rivoluzionaria. Lo si ritrova commisto con motivi del leninismo e del marxismo prima maniera, con tracce della psicologia antitradizionale di W. Reich e di R. J. Laing, con reminiscenze dei movimenti comunitari americani dei primi pionieri e di quelli inglesi del periodo bellico, e spesso con numerosi elementi derivati dal misticismo, dal neobuddhismo e dal cristianesimo tolstoiano. Il rifiuto di accettare una qualsiasi linea teorica ben definita - fosse anche anarchica - che fa parte di un atteggiamento, oggigiorno assai diffuso, di contestazione di qualsiasi forma di pensiero strutturato, fa sì che nessuno dei capi delle famose rivolte studentesche americane come quelle delle università di Columbia e di Berkeley, o delle sollevazioni degli studenti tedeschi, o degli accaniti militanti tra gli zengakuren in Giappone, può essere definito anarchico in senso vero e proprio, pur essendo chiaro che la maggioranza di costoro ha letto sia Bakunin sia Marx. Fra le file dei seguaci di questi movimenti è presente un'ampia gamma di elementi che va dai rari anarchici convinti e consapevoli, alla massa degli aderenti occasionali, le cui motivazioni sono anarcoidi piuttosto che anarchiche, frutto di frustrazione piuttosto che di riflessione.

Purtuttavia, se dalla teoria si vuol passare al piano pratico, è evidente che la tradizione anarchica è penetrata profondamente nel radicalismo contemporaneo. Il rifiuto dello Stato, l'accento posto sul decentramento e sulle responsabilità individuali hanno trovato vasta eco nei movimenti che chiedono che la democrazia non sia puramente rappresentativa ma di partecipazione e che l'azione politica sia diretta.

La frequenza con cui ricorre il tema del controllo dell'industria da parte dei lavoratori in tanti manifesti del radicalismo contemporaneo mostra in modo inequivocabile il persistente influsso delle idee che Proudhon ha trasmesso ai sindacalisti anarchici sulla capacità politica della classe lavoratrice.

L'anarchismo ancor oggi sta mostrando la sua importanza in quanto movimento di protesta morale, di stimolo a esplorare vie nuove. Quale sarà, siamo tentati di chiederci, l'effetto finale del suo attuale e rinnovato slancio?

Mentre possiamo senza dubbio prevedere ampi mutamenti nelle strutture delle relazioni sociali come risultato della sua influenza, e in particolare un aumento della partecipazione dei lavoratori al processo decisionale nel luogo di lavoro e dello sviluppo di forme di azione democratica più diretta e più sensibile alle esigenze attuali, è improbabile invece che il risultato possa essere quello di una società del tutto priva di governo, come viene sognata dai libertari.

Il valore dell'anarchismo continuerà con ogni probabilità a risiedere essenzialmente nella sua forza di idea ispiratrice, di visione che spinge ad agire, che ci fa costantemente tendere verso una società ideale, la cui realizzazione, man mano che ci si avvicina, si dimostra irraggiungibile.

Ed è bene che sia così, poiché - come in fondo gli anarchici ci hanno sempre insegnato con le loro concezioni e le loro dottrine - un mondo di ordine perfetto sarebbe però anche un mondo privo di vita.

Enciclopedia delle Scienze Sociali (1991)

di George Woodcock

Sommario: 1. Introduzione. 2. Prime manifestazioni: Winstanley e Godwin. 3. Il mutualismo di Proudhon. 4. Bakunin e la Prima Internazionale. 5. Kropotkin e il comunismo anarchico. 6. La propaganda dei fatti. 7. L'anarcosindacalismo. 8. L'anarchismo in Spagna. 9. Recenti manifestazioni dell'anarchismo. 10. Marginalità sociale e geografica dell'anarchismo. □ Bibliografia.

1. Introduzione

Non c'è un'ortodossia anarchica, né un corpo di principî dogmatici - paragonabile alle opere di Marx e di Engels nell'ambito del comunismo marxista - e neppure una tradizione organizzativa unitaria dell'anarchismo. Nel suo significato più ampio esso comprende un insieme di dottrine e di tendenze che, in un arco di tempo di oltre tre secoli, e cioè dalla Rivoluzione inglese del XVII secolo alla fine del XX, colpiscono più per il loro carattere proteiforme che per la loro omogeneità. Tuttavia al centro di questo variegato insieme di posizioni e di correnti vi è una ferma convinzione comune: il governo è tanto dannoso quanto inutile. Di qui deriva il termine 'anarchismo' - la radice greca significa 'mancanza di governo' - usato almeno dalla metà del XVII secolo, e originariamente con significato spregiativo.

Nella guerra civile inglese i democratici estremisti, i levellers, furono chiamati Switzerizing anarchists dai loro avversari; durante la Rivoluzione francese il capo girondino Jacques-Pierre Brissot accusò il gruppo radicale degli enrangés di favorire l'anarchia, e nel corso del processo diede di quest'ultima una definizione negativa che prefigurava la valutazione che sarà data dai critici dell'anarchismo durante il XIX secolo: "Leggi non rispettate, autorità deboli e disprezzate, crimini impuniti, proprietà insidiata, sicurezza individuale violata, moralità pubblica corrotta, assenza di costituzione, di governo, di giustizia: questi sono i caratteri dell'anarchia". In seguito gli anarchici avrebbero accettato di buon grado molte delle accuse di Brissot. Essi si opponevano, infatti, sia alle costituzioni che ai governi - colpevoli di inibire le naturali inclinazioni degli esseri umani alla cooperazione - anche se non respingevano l'idea di giustizia, che ritenevano sarebbe emersa spontaneamente in una società non oppressa dalle leggi.

Disprezzavano l'autorità e per lo più consideravano "la proprietà accumulata" (come William Godwin la chiamò nel 1793 - lo stesso anno del giudizio di Brissot) un mezzo con cui poche persone potevano opprimerne altre; credevano fermamente che il crimine andasse compreso piuttosto che punito e che esso fosse comunque il prodotto di una società priva di libertà. Credevano, anzi, che distruggendo le rigide strutture dell"'istituzione positiva" (il governo, nella terminologia di Godwin) avrebbero potuto aprire la strada a una società fondata sull'aiuto reciproco, armoniosa e pacifica, dove le potenzialità individuali avrebbero potuto svilupparsi alla luce della libertà.

Le concezioni anarchiche, la cui tendenza è stata quella di manifestarsi nei periodi di crisi che dal XVII secolo in poi hanno scosso e mutato la società europea, si differenziano da un liberalismo radicale come quello di John Stuart Mill - che parimenti insiste sull'importanza della libertà individuale - in virtù di tre elementi che fanno dell'anarchismo, in ogni sua fase e sfumatura, un movimento innovativo e anzi rivoluzionario: una critica negativa e il rifiuto dell'ordinamento sociale vigente basato sull'autorità; un modello ideale di società libertaria alternativa fondata sulla cooperazione anziché sulla coercizione; una strategia per passare dal primo ordinamento al secondo. In generale, anche se rivoluzionario, l'anarchismo non è utopistico: i suoi sostenitori non prospettano quasi mai dei progetti particolareggiati di società ideale; sarebbe presunzione, infatti, secondo loro, per individui che vivono in un mondo senza libertà, anticipare le preferenze che saranno proprie degli uomini liberi. Ciò non toglie, ad ogni modo, che per gli anarchici sia possibile delineare una certa immagine del tipo di società che potrà operare efficientemente e pacificamente senza governo.

2. Prime manifestazioni: Winstanley e Godwin

Nel Medioevo vi furono sette ereticali, come i catari e i bogomili, che predicavano contro le autorità terrene; a rigore, però, non si trattava di anarchici: rifiutare il potere e sottrarvisi era solo un aspetto del proposito di ritirarsi dal mondo materiale nel regno della grazia spirituale e rientrava nella ricerca della salvezza individuale piuttosto che della liberazione sociale. Il primo vero tentativo di comunità anarchica, orientata al cambiamento della vita terrena di uomini e donne, si ebbe in Inghilterra durante il cosiddetto 'Commonwealth', con il movimento radicale dei diggers. Il loro leader, Gerrard Winstanley, pubblicò nel 1649 un pamphlet, Truth lifting up its head above scandals, dove si trovano per la prima volta compendiati quelli che sarebbero diventati i principî anarchici fondamentali: che il potere corrompe, che la proprietà è incompatibile con la libertà, che l'uno e l'altra sono le cause principali del crimine, che gli uomini possono vivere felicemente solo in una società senza governanti, dove il lavoro e i suoi prodotti siano ripartiti equamente e in cui l'uomo agisca non sottoponendosi alle leggi ma ascoltando la propria coscienza.In un certo senso Winstanley, identificando Dio e Ragione, stava portando le dottrine delle sette protestanti, caratterizzate dalla diffidenza nei confronti dell'autorità, verso la loro logica conclusione pratica. In Inghilterra egli guidò i suoi seguaci nell'occupazione e nello sfruttamento delle terre incolte e nell'organizzazione della resistenza passiva alle ritorsioni dei proprietari terrieri.

I suoi esperimenti fallirono, i diggers non divennero mai un movimento di massa ed egli stesso fu dimenticato per diversi decenni. Quando, però, alla fine del XVIII secolo si creò un'altra situazione rivoluzionaria, in Francia, le idee anarchiche riemersero e la loro più notevole manifestazione, An inquiry concerning the principles of political justice and its influence on moral and happiness di William Godwin (1793), fu influenzata proprio dalla tradizione dissidente inglese - oltreché, certamente, dagli avvenimenti della Rivoluzione francese.

La Political justice fu una delle molte opere scritte in risposta a Edmund Burke e alle sue Reflections on the French revolution (1790), di ispirazione conservatrice. In essa, invece di criticare direttamente l'autore, con il quale era anzi d'accordo nel deplorare gli eccessi terroristici dei giacobini, Godwin sottopose a una critica serrata le stesse istituzioni politiche, formulando così la prima esposizione organica delle idee anarchiche. Essa non solo comprende la classica teoria anarchica, secondo cui l'autorità è contro natura e i mali sociali persistono perché gli uomini non sono liberi di agire secondo ragione, ma delinea anche un'immagine di società decentrata, fondata essenzialmente su piccole comunità autonome. Secondo Godwin la "proprietà accumulata" è fonte di potere sugli altri e il governo della maggioranza è una forma di tirannia, mentre alcune procedure come il voto (la pretesa di ottenere la verità contando) riducono la responsabilità degli individui. Perciò egli ipotizza un sistema economico improntato a semplicità e libertà, in cui gli uomini danno e prendono secondo le loro necessità, e propone di sostituire le ordinarie procedure democratiche con una discussione che miri al consenso.

Su questi punti basilari Godwin anticipa gli anarchici delle epoche successive, anche se è tenue il legame diretto tra Political justice e il vasto movimento anarchico sviluppatosi, principalmente sul continente europeo, intorno alla metà del secolo scorso.

Godwin godette di una considerevole reputazione in Gran Bretagna durante gli anni novanta del XVIII secolo ed ebbe una notevole influenza sui circoli letterari: Shelley, Wordsworth, Coleridge, Hazlitt e anche Lytton furono tutti, anche se temporaneamente, suoi discepoli. Il suo impatto sul pensiero sociopolitico del tempo avvenne soprattutto attraverso gli scritti di un suo tardo discepolo, Robert Owen: grazie alla comunità fondata da quest'ultimo e ai suoi esperimenti cooperativi e sindacali, Political justice esercitò un'influenza sotterranea sugli aspetti più libertari della politica della classe lavoratrice inglese.

3. Il mutualismo di Proudhon

In un'Europa continentale politicamente inquieta - l'ultima monarchia borbonica, quella del 're cittadino' Luigi Filippo, sarebbe stata di lì a poco spazzata via dalla rivoluzione del 1848 - Pierre-Joseph Proudhon fissò, indipendentemente da Godwin, le basi teoriche dell'anarchismo. Figlio di un birraio di estrazione contadina originario della Franca Contea, nel corso degli anni trenta si era legato a società segrete radicali di Lione, in particolare ai mutualisti. Qu'est-ce que la proprieté? (1840) - dove per la prima volta impiegò il termine 'anarchico', liberandolo da connotazioni negative, per caratterizzare l'atteggiamento contrario a ogni forma di governo - lo rivelò come polemista. L'incontro con personalità quali Karl Marx e Mikhail Bakunin, nonché l'esperienza della rivoluzione del 1848 (fu anche direttore di diversi giornali, presto soppressi dalla censura) lo aiutarono a sviluppare i concetti di mutualismo economico, federalismo sociale e azione diretta, che rappresentano il suo contributo alla tradizione anarchica e che più tardi faranno dire a Bakunin: "Proudhon è il maestro di noi tutti".

Mutualismo, per Proudhon, è la volontaria riorganizzazione dell'economia su basi egualitarie, ma non, si badi, in senso comunista. Per usare la sua celebre formula, "la proprietà è un furto" se sfrutta l'altrui lavoro; non lo sarà più quella che permetterà al singolo produttore o al gruppo di lavoratori di controllare la terra, gli impianti o gli elementi necessari alla produzione. Questa forma modificata di proprietà - il "possesso" - non solo non è combattuta da Proudhon, ma è anzi ritenuta una condizione essenziale della libertà. Il futuro da lui preconizzato, pur contemplando il formarsi di concentrazioni di lavoratori, occupati nelle fabbriche e nei servizi pubblici di recente introduzione (reti idriche, ferrovie, gasdotti), ricalca per il resto la situazione francese del tempo: rivoluzione industriale ai suoi primi, difficili passi e produzione affidata prevalentemente ai piccoli laboratori artigianali. Contadini e artigiani avrebbero pur sempre formato la maggior parte della forza lavoro; ma i rapporti tra questi lavoratori, autonomi o associati, non sarebbero più stati, pena il sacrificio della libertà, di tipo politico, bensì di natura economica: un vasto sistema di mutuo credito e scambio, incentrato su una rete di banche del popolo.

Nel corso della rivoluzione del 1848 lo stesso Proudhon cercò invano di dar vita alla prima di queste banche (molti anni dopo, una versione modificata della proudhoniana banca del popolo apparirà nell'unione di credito o caisse populaire).

Nemico, come tutti gli anarchici, dello Stato centralizzato di tradizione giacobina, in due dei suoi libri più influenti - Idée générale de la Révolution au XIXe siècle (1851) e Du principe fédératif (1863) - Proudhon sviluppò l'idea di sostituire allo Stato-nazione un sistema di comunità locali autonome e di associazioni industriali federate tra loro e legate per contratto e reciproco interesse, piuttosto che da leggi e costituzioni (all'Assemblea rivoluzionaria del 1848 dichiarò di aver votato contro la costituzione proposta per la Seconda Repubblica solo "perché è una costituzione"). Giurie arbitrali, l'autogestione dei lavoratori e un sistema educativo capace di integrare lavoro intellettuale e attività pratica avrebbero sostituito i tribunali, la burocrazia e l'istruzione tradizionale. "L'anarchia è ordine", dichiarò Proudhon: egli vedeva nel suo modello federativo la garanzia di un'unità sociale naturale, opposta, quindi, al caos del sistema vigente, dove ogni ricerca di ordine prelude a una "tirannia senza fine".

Proudhon non cercò mai dei seguaci, pur avendone molti, né aspirò a fondare un partito, ma nella sua opera postuma, De la capacité politique des classes ouvrières (1865), insiste sul fatto che la liberazione dei lavoratori deve essere compito dei lavoratori stessi, organizzati nelle loro associazioni industriali, ponendo così le basi di un movimento che avrebbe respinto la politica democratica e parlamentare a favore di varie forme di azione diretta.Proudhon morì nel 1864, ma visse abbastanza per apprendere che un gruppo di lavoratori francesi, i quali si richiamavano alle sue concezioni e si definivano mutualisti, si erano riuniti a Londra con sindacalisti inglesi e rifugiati politici europei per fondare l'Associazione Internazionale dei Lavoratori (più nota come Prima Internazionale). All'interno di questa organizzazione si sviluppò una lotta tra i suoi seguaci e quelli di Marx, difensori dell'azione politica volta alla conquista del potere statale e all'instaurazione della dittatura del proletariato.

4. Bakunin e la Prima Internazionale

L'Europa, quando nacque l'Internazionale, era ancora al centro di una crisi politica. Nel 1870 il Secondo Impero crollò in seguito alla sconfitta francese nella guerra franco-prussiana; con la fondazione della Terza Repubblica iniziò a Parigi una rivolta di federalisti, la Comune, cui parteciparono simpatizzanti di Proudhon e altri membri dell'Internazionale. La brutalità dimostrata dalle autorità repubblicane nel reprimere questa sollevazione armata spinse il nascente anarchismo al di là della prospettiva proudhoniana di una rivoluzione attuata mediante la persuasione e l'esempio, verso l'atteggiamento più violento di un russo di estrazione aristocratica, Mikhail Bakunin, il quale aveva dichiarato una volta che "la spinta alla distruzione è, insieme, un'esigenza di creazione", e dalla fine degli anni sessanta era ormai il leader dell'opposizione libertaria ai tentativi marxisti di controllare l'Internazionale. In precedenza Bakunin aveva appoggiato i moti rivoluzionari nazionalisti in regioni slave come la Polonia e la Boemia, e, prima di fuggire in Occidente, aveva passato molti anni nelle prigioni russe e in esilio in Siberia; negli anni sessanta, non ancora entrato nell'Internazionale, aveva fondato una propria organizzazione semiclandestina, l'Alleanza internazionale della democrazia socialista, che gli procurò un seguito in Spagna, Italia, Francia meridionale e Giura svizzero.

Proudhoniano quanto a federalismo e a insistenza sulla necessità dell'azione diretta della classe lavoratrice, nemico di ogni forma di autorità politica quanto il suo predecessore, Bakunin riteneva però inattuabili le modifiche del diritto di proprietà proposte da quest'ultimo, alle quali, pur riaffermando il criterio della redistribuzione proporzionale al lavoro effettivamente prestato, opponeva la proprietà collettiva dei mezzi di produzione.

L'insistenza di Bakunin sull'azione rivoluzionaria violenta e sul collettivismo - piuttosto che il più moderato mutualismo di Proudhon - avrebbe dominato la corrente principale dell'anarchismo dalla Prima Internazionale fino alla vittoria, nel 1939, dei nazionalisti reazionari nella guerra civile spagnola, che segnò la fine dell'anarchismo come movimento di massa. Lo scontro all'interno dell'Internazionale si trasformò nella lotta tra due fazioni che aderivano entrambe all'idea della rivoluzione violenta: i marxisti, che propugnavano un'insurrezione guidata da un partito disciplinato che avrebbe dato vita a una dittatura rivoluzionaria, e i bakuninisti, che sostenevano una sollevazione spontanea dei diseredati, che avrebbe creato una società fondata sulla cooperazione e non sulla coercizione.

L'Internazionale si divise definitivamente in due frazioni al Congresso dell'Aia del 1872. I bakuninisti mantennero il controllo del movimento dei lavoratori nei paesi latini - Italia, Spagna, Francia meridionale e Svizzera francese -, che sarebbero rimasti i capisaldi dell'anarchismo europeo. Nel 1873, al Congresso di St. Imier nel Giura, i bakuninisti fondarono una propria Internazionale; nello stesso periodo i suoi membri iniziarono a definirsi anarchici piuttosto che collettivisti.

5. Kropotkin e il comunismo anarchico

Anche se l'anarchismo rimase una corrente minoritaria tra i movimenti rivoluzionari russi del secolo scorso, i suoi leaders più influenti a livello internazionale furono russi: Bakunin e Kropotkin, un principe di antico lignaggio e brillante geografo, quest'ultimo, il quale, rinunciando sia al proprio titolo che alla propria vocazione, l'anno stesso della morte di Bakunin (1876) diventò un rivoluzionario. Come Bakunin, Pëtr Kropotkin ebbe una movimentata carriera di militante, vividamente descritta nell'autobiografia, Memoirs of a revolutionist (1899). Imprigionato per attività cospirative in Russia e per propaganda sovversiva nella Francia meridionale, nel 1886 si stabilì in Inghilterra, dove scrisse i libri che costituiscono il suo contributo principale alla tradizione anarchica, e vi restò fino al 1917 (allo scoppio della Rivoluzione tornò nel suo paese, dove morì nel 1921).

Il nome di Kropotkin è legato soprattutto alla tendenza generalmente nota come 'comunismo anarchico', tendenza che accentuava l'assunto proudhoniano secondo cui la vera rivoluzione dev'essere economica piuttosto che politica. Convenendo sulla necessità della proprietà comune dei mezzi di produzione, insieme al geografo Élisée Reclus, suo seguace, Kropotkin dava però espressione a quel sentimento, piuttosto diffuso tra gli anarchici, secondo cui il collettivismo bakuniniano (a ognuno secondo il proprio lavoro) non era sufficientemente equo e generoso. A esso veniva opposta una particolare forma di comunismo che, riprendendo lo slogan "da ognuno secondo la sua capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni", accettava che i mezzi di produzione fossero di proprietà comune, ma postulava una libera distribuzione dei beni secondo le necessità: Kropotkin espose nel modo più organico la dottrina del comunismo anarchico in La conquête du pain (1892). Il modello qui delineato di una società rivoluzionaria organizzata come una federazione di libere comuni troverà ulteriore sviluppo in Mutual aid: a factor in evolution (1902), un classico dell'anarchismo, in cui s'intende appunto dimostrare che gli sviluppi dell'evoluzione animale e umana sono stati favoriti più dalla cooperazione che dalla competizione.

In Fields, factories and workshops (1899) Kropotkin avanzò delle ipotesi sulla centralizzazione dell'industria e sull'integrazione di lavoro agricolo e industriale, considerate appropriate a una società non sottoposta a una qualche forma di governo, ipotesi che ritroveremo in molte delle argomentazioni degli ambientalisti della fine del XX secolo.Queste opere completano la rappresentazione teorica di un futuro anarchico, e gli scritti successivi hanno fatto poco più che adattare alle via via diverse situazioni sociali e politiche del mondo contemporaneo le concezioni già delineatesi nel periodo che va da Godwin a Kropotkin.

6. La propaganda dei fatti

L'anarchismo è sempre stato, comunque, oltre che un fatto ideologico, un modo di sentire, e si è espresso tanto attraverso la riflessione intellettuale, quanto per mezzo di un'azione dai forti toni emotivi. Anzi, alla fine del secolo scorso gli scritti teorici di Kropotkin relativi alle forme di una società anarchica e alle basi scientifiche dell'anarchismo ebbero, per lo sviluppo del movimento, minor rilevanza immediata della comparsa tra i bakuninisti italiani della nozione di 'propaganda dei fatti'.

Nel 1876 Errico Malatesta, dichiarando che "l'atto insurrezionale, volto ad affermare i principî socialisti con i fatti, è lo strumento di propaganda più efficace", esprimeva una convinzione ormai diffusa tra i suoi compagni italiani. Le prime azioni promosse da Malatesta e dai suoi sodali furono le rivolte contadine, con l'intento di destare le masse analfabete delle campagne dell'Italia meridionale. Fallite tali azioni, anzitutto per l'inerzia di queste masse, l'attività degli anarchici assunse caratteri più individualistici. Diverse personalità politiche furono uccise o rischiarono di esserlo: gli anarchici speravano così di dimostrare la vulnerabilità dell'autorità e, inoltre, di sollecitare le masse con il proprio martirio (spesso, infatti, essi affrontavano la ghigliottina e la forca con i loro canti di sfida). Fu così decisa, tra il 1890 e il 1901, una serie di omicidi simbolici, diretti soprattutto contro capi di Stato: tra le vittime, re Umberto I in Italia e i presidenti Carnot e McKinley rispettivamente in Francia e negli Stati Uniti. Questa breve ma drammatica sequenza di attentati fissò nell'immaginario collettivo l'idea dell'anarchico come crudele nichilista.

Dopo il 1901, comunque, gli anarchici continuarono a praticare un terrorismo su vasta scala soltanto in paesi come la Spagna e la Russia, dove il clima politico generale era propizio a una violenza di questo tipo.Raramente gli atti terroristici furono eseguiti da gruppi organizzati. Essi furono, anzi, l'indice di una tendenza all'individualismo che determinava una situazione paradossale: col rapido diffondersi delle idee anarchiche cresceva pure la frammentazione organizzativa. Col disgregarsi dell'Internazionale il piccolo gruppo, che faceva propaganda con i fatti o con la parola, divenne l'organismo tipico. Da tutta una serie di congressi mondiali (i più importanti si svolsero a Londra nel 1881 e ad Amsterdam nel 1907) non scaturì una duratura organizzazione internazionale, né ebbe maggior successo la ricerca di un coordinamento su scala nazionale, persino dove gli anarchici erano numerosi, come in Francia e in Italia. La riluttanza verso qualsiasi forma di disciplina di partito rendeva difficile la formazione di un solido movimento di massa.

7. L'anarcosindacalismo

Molti anarchici, però, compresero che nell'inquieto clima dell'industria di fine secolo vi era un grande seguito potenziale se solo essi avessero saputo raccoglierlo. In Francia decisero quindi di entrare in quei sindacati in nuce che, con il graduale attenuarsi della repressione seguita alla Comune parigina, cominciavano ad apparire. Gli anarchici si concentrarono nelle bourses de travail, reti a carattere locale - si ricordi l'opzione degli anarchici per il decentramento - di associazioni originariamente nate per procurare lavoro ai propri membri. Nel 1893 nacque una confederazione nazionale di bourses de travail, la quale divenne il campo d'azione per quegli anarchici che propendevano per una qualche forma di organizzazione, più di altri loro compagni orientati in senso individualistico. Nel 1895 costoro avevano già assunto il virtuale controllo di questo organismo della classe operaia e, guidati da Fernand Pelloutier ed Émile Pouget, svilupparono quella teoria e quella pratica dell'azione operaia che furono poi note come anarcosindacalismo o sindacalismo rivoluzionario.

La tesi di fondo di questa corrente era che il ruolo tradizionale dei sindacati, e cioè la lotta per salari e condizioni di lavoro migliori, non avrebbe mutato in nulla una società fatta di coercizione e disuguaglianza. I sindacati avrebbero dovuto invece dedicarsi alla distruzione del capitalismo e dello Stato; loro scopo precipuo avrebbe dovuto essere quello di assumere il controllo dei luoghi di lavoro, e creare così la struttura di base di una società postrivoluzionaria. Era dunque necessaria una continua lotta, la cui grande arma doveva essere lo sciopero generale. Diversi sindacalisti credevano che uno sciopero generale internazionale, "una rivoluzione delle braccia incrociate", avrebbe causato il crollo dello Stato e la fine del sistema capitalistico. Non si tentò mai di realizzare nulla di simile; tuttavia l'impegno degli anarcosindacalisti procurò loro un grande prestigio tra i lavoratori francesi e, più tardi, in Spagna e in Italia. La conseguenza fu che il movimento anarchico si sviluppò al di là dei limiti dei vecchi gruppi proudhoniani di artigiani indipendenti, e si diffuse tra gli operai: al punto che, quando nel 1902 fu fondata la Confédération Générale du Travail, gli anarchici ne assunsero il controllo (lo conservarono fino al 1908 e anche in seguito ebbero una grande influenza nella CGT finché, sull'onda della Rivoluzione russa, i comunisti non ne ottennero la direzione).

Molti degli anarchici più tradizionalisti dissentivano sul carattere monolitico, approvato dai sindacalisti, delle grandi organizzazioni operaie; al Congresso di Amsterdam (1907) Errico Malatesta espresse con forza la preoccupazione che tali potenti sindacati avrebbero potuto portare i loro interessi già consolidati all'interno di una società rivoluzionaria. Resta il fatto che, nella misura in cui l'anarchismo riuscì a essere un movimento tale da influenzare le masse, e anzitutto il proletariato urbano, ciò avvenne soprattutto attraverso il sindacalismo rivoluzionario.In Russia l'influenza degli anarcosindacalisti declinò rapidamente - e lo stesso, di riflesso, accadde in Francia - con il consolidarsi del potere bolscevico dopo la vittoria nella guerra civile (1917-1921). Nonostante l'influenza di emigrati quali Bakunin e Kropotkin in Europa occidentale, in Russia l'anarchismo fu un movimento relativamente secondario e solo per un breve periodo, dopo la Rivoluzione, apparve qualcosa di simile a un movimento di massa. Ma anche allora, nelle città, i piccoli gruppi anarchici si dimostrarono impotenti di fronte ai bolscevichi; lo stesso Kropotkin, rientrato dall'esilio, scoprì di aver perduto tutta la sua influenza quando tentò di persuadere Lenin ad adottare misure più umane. Vero è che nel sud del paese un contadino anarchico, Nestor Makhno, organizzò un vero e proprio esercito insurrezionale, assai efficiente, e con brillanti tattiche di guerriglia sottrasse gran parte dell'Ucraina sia all'Armata Rossa che all'Armata Bianca. Tuttavia, nello stato di guerra permanente che prevaleva nella regione, Makhno e i suoi compagni furono in grado di attuare solo rudimentali esperimenti di innovazione sociale, che del resto ebbero fine nel 1921, quando egli fu sconfitto e costretto all'esilio.Nonostante le sconfitte subite in Francia e in Russia, in altri paesi la forza dell'anarcosindacalismo si conservò intatta.

Nel 1922 i suoi militanti costituirono una loro organizzazione che riprese il nome della vecchia Associazione internazionale dei lavoratori (di cui sopravviveva qualcosa in Svezia) e fissò la propria sede centrale a Berlino. Vi aderirono l'Unione Sindacale Italiana (mezzo milione di iscritti) e leghe e federazioni presenti in Argentina, Portogallo, Germania, Svezia e Olanda (ciascuna con cento-duecentomila membri). Nel frattempo, al di là dell'Atlantico, dove operavano anarchici individualisti nordamericani quali Benjamin Tucker e Josiah Warren, nonché gruppi anarcocomunisti di immigrati guidati da personalità quali Emma Goldman e Alexander Berkman, la tendenza sindacalista diede vita all'Industrial Workers of the World (IWW), un movimento di lavoratori che, oltre a lottare per miglioramenti immediati, mirava alla distruzione dello Stato e del capitalismo. L'IWW organizzò attivamente minatori, taglialegna, e lavoratori non specializzati negli Stati dell'Ovest e in Canada, ma a partire dalla prima guerra mondiale la sua influenza cominciò a diminuire.

8. L'anarchismo in Spagna

Fu in Spagna, comunque, che l'incontro di anarchismo e sindacalismo ebbe il maggior successo. Qui il più numeroso movimento anarchico del mondo fu a lungo anche il più forte movimento di lavoratori del paese. Il primo giornale anarchico del mondo, El Porvenir, fu fondato a La Coruña nel 1845 da un seguace di Proudhon, Ramón de la Sagra, le cui idee influenzarono i cantonalisti i quali, durante la rivoluzione del 1871, cercarono di trasformare lo Stato in una confederazione decentrata. Con l'arrivo, nel 1868, dell'italiano Giuseppe Fanelli come delegato dell'Internazionale la situazione cambiò e all'influenza di Proudhon si sostituì quella di Bakunin. L'Internazionale si sviluppò rapidamente in Spagna. Nel 1873 essa poteva contare su 60.000 membri, organizzati in associazioni di lavoratori, i quali appoggiarono l'Internazionale libertaria di St. Imier.

Nel corso dei decenni successivi l'anarchismo spagnolo fu costretto alla clandestinità; tuttavia continuò a crescere, facendo leva su due gruppi sociali eterogenei, gli operai catalani e i contadini poveri andalusi.Nel corso degli anni ottanta e novanta il movimento anarchico spagnolo non si discostò da quello francese e italiano, per la propensione all'insurrezione (soprattutto tra i contadini andalusi) e al terrorismo (causato in larga misura dalla violenza esercitata dai datori di lavoro catalani durante le lotte sociali). L'influenza del sindacalismo rivoluzionario francese divenne forte all'inizio del XX secolo. Nel 1907 i lavoratori di Barcellona diedero vita a una propria organizzazione sindacale, Solidaridad Obrera, che si allargò rapidamente a tutta la Catalogna e che nel 1909 organizzò uno sciopero generale per protestare contro il richiamo dei riservisti per combattere in Marocco. Seguì la 'semana trágica', una settimana di violenze su vasta scala, con centinaia di morti e molte chiese bruciate per protesta contro l'alleanza del cattolicesimo con l'autocrazia spagnola. Le autorità risposero con una dura repressione; gli anarchici furono torturati nella fortezza di Montjuich, dove, sulla base di false accuse, venne giustiziato Francisco Ferrer, fondatore della Escuela moderna e innovatore dei metodi pedagogici. Ciò provocò proteste in tutto il mondo e le dimissioni del governo spagnolo.La stessa Confederación Nacional del Trabajo (CNT), la più forte organizzazione del lavoro spagnola, nacque in seguito a questi avvenimenti.

Tale organizzazione era dominata da militanti anarchici i quali, nel 1927, fondarono una propria organizzazione, la Federación Anarquista Ibérica (FAI). Di fatto, all'interno della CNT fu costante il conflitto tra moderati e attivisti anarchici, ma il clima di violenza in cui agiva la sinistra spagnola consentì ai militanti più estremisti, come il famoso capo guerriglia Buenaventura Durruti, di esercitare un'influenza decisiva. La CNT era un'organizzazione fortemente decentrata, fondata sul volontariato (disponeva di una sola segretaria retribuita); già nel 1919 contava 700.000 membri, i quali, quando nel 1936 iniziò la guerra civile spagnola, erano diventati 1.600.000 (saliranno a 2.000.000 prima della fine del conflitto).Quando re Alfonso XIII abdicò (1931), la CNT uscì dalla clandestinità, dimostrandosi però ostile alla repubblica tanto quanto lo era stata alla monarchia, com'è testimoniato dalle numerose insurrezioni anarchiche dell'inizio degli anni trenta. Tuttavia, quando iniziò la guerra civile, gli anarchici, esperti in guerriglia urbana, furono i principali artefici della sconfitta dei generali insorti: a Barcellona, a Valencia e nelle campagne catalane e andaluse. Essi guardarono alla guerra civile come al segnale per la rivoluzione sociale a lungo preparata: i comitati dei lavoratori s'impadronirono delle fabbriche e dei servizi pubblici in Catalogna; in centinaia di villaggi i contadini occuparono le terre e fondarono comuni libertarie, al cui interno la terra era coltivata in comune, la moneta abolita e i prodotti alimentari e gli altri generi di prima necessità equamente ripartiti.

Nel corso della guerra civile gli anarchici dovettero affrontare l'ostilità del crescente potere dei comunisti, la cui posizione in Spagna era favorita dai rifornimenti di armi dalla Russia, e nel maggio del 1937 ci fu un aspro scontro tra i due gruppi a Barcellona. Con la conquista della città da parte di Franco (1939) si concluse il periodo più glorioso dell'anarchismo spagnolo in quanto movimento di massa; infatti in esilio non ne sopravvisse che una parvenza.

9. Recenti manifestazioni dell'anarchismo

Nel periodo che precede la sconfitta dell'anarchismo spagnolo, nel 1939, in alcuni altri paesi (Italia, Germania, Portogallo) i movimenti anarchici erano stati repressi dai governi totalitari, mentre gli Stati Uniti, in seguito all'assassinio McKinley (1901), avevano adottato leggi che discriminavano gli anarchici.

Nonostante ciò l'anarchismo riuscì a sopravvivere, almeno come movimento di minoranze, e durante l'ultimo conflitto mondiale costituì importanti centri di attività antimilitarista in Inghilterra e negli Stati Uniti; inoltre la sua influenza indiretta in molti paesi e in contesti diversi fu considerevole. L'anarcosindacalista Ricardo Flores Magon esercitò una notevole influenza su Emiliano Zapata, il leader contadino della rivoluzione messicana dell'inizio del secolo.

Gli insegnamenti libertari di Lev Tolstoj - il quale, pur rifiutando sempre l'appellativo di anarchico, denunciava lo Stato e insisteva sulla necessità di una società fondata sul decentramento e la cooperazione - si radicarono soprattutto in India, grazie a Gandhi. Quest'ultimo, che in diverse occasioni si definì anarchico, mise in pratica la lezione di disobbedienza civile dello scrittore russo già lottando in Sudafrica contro la discriminazione razziale; tornato in India, oltre a sviluppare le tattiche dell'azione diretta non violenta - che costituirono un fattore determinante nella lotta dell'India per l'indipendenza - prospettò altresì per il proprio paese, dopo la sua liberazione, un progetto di società decentrata, imperniato sul collegamento tra quei villaggi dove ancor oggi vive l'80% degli Indiani. Al momento della dichiarazione d'indipendenza dell'India (1947), i dirigenti politici del Congresso non seguirono tali indicazioni e optarono, invece, per uno Stato nazionale militaristico di stampo europeo. Dopo la morte di Gandhi, però, il movimento Sardovaya, guidato da Vinoba Bhave, e il movimento Jayaprakash Narayan diffusero sempre più la teoria e la pratica del gramdan, associazione di villaggi basata sulla cooperazione e sul possesso comune della terra.

Nell'Europa occidentale e nell'America settentrionale si è avuta una rinascita dell'anarchismo nel corso degli anni sessanta, quando i giovani radicali iniziarono a riscoprire il pensiero e gli scritti libertari; la tradizione e la filosofia anarchiche sembrarono importanti per affrontare i problemi del momento e guadagnarono un certo grado di rispettabilità intellettuale. Proprio per questo, durante la rivolta parigina del 1968, le nere bandiere degli anarchici sventolarono sugli edifici pubblici.Sin dai tempi di Godwin l'anarchismo ha esercitato, con l'austera semplicità dei suoi insegnamenti, un forte richiamo su intellettuali e artisti. Pittori come Camille Pissarro e Augustus John, poeti come Herbert Read e Kenneth Rexroth entrarono nelle file anarchiche; pianificatori sociali come Patrick Goddes e Lewis Mumford si dimostrarono, nei loro studi di urbanistica, assai sensibili alle tesi di Kropotkin sul decentramento. La diffidenza verso la grande industria e verso uno smodato progresso tecnologico ha naturalmente spinto gli anarchici a partecipare alle battaglie ambientaliste; su questo punto è avvenuto il loro incontro con un pensatore poliedrico come Aldous Huxley, convinto che solo il decentramento e la semplificazione, uniti a una politica "kropotkinistica e cooperativisitica", potrebbero evitare le conseguenze negative implicite negli sviluppi sociali contemporanei. Intellettuali anarchici come Herbert Read (in Education through art) e Paul Goodman si sono ispirati a Godwin sviluppando forme creative di libera educazione.

Forse però la novità più importante nell'anarchismo attuale è rappresentata dal progressivo abbandono della retorica rivoluzionaria e della speranza di realizzare una società pienamente libertaria in un futuro immediato. La tendenza, nel caso di teorici anarchici contemporanei come Paul Goodman, Colin Ward e George Woodcock, è stata quella di insistere, come per primo aveva fatto Kropotkin in Mutual aid, sul fatto che sono le 'istituzioni' spontanee a dare un senso autentico alla vita della società e che la resistenza a un governo coercitivo può fruttuosamente combinarsi con lo sviluppo delle tendenze innovative già esistenti. E infatti, in anni recenti, gli anarchici sono stati attivi nel movimento ambientalista e in quello pacifista, nella difesa dei diritti delle minoranze e della libertà di parola, in diversi tipi di gruppi cooperativi e di comunità di base, nella difesa di un'educazione libera e spontanea, e soprattutto nel promuovere quello che Herbert Read ha chiamato "un processo di individuazione, accompagnato da un'istruzione generale e una disciplina personale". Le antiche speranze millenaristiche dell'anarchismo restano una pietra di paragone per giudicare la società esistente piuttosto che un obiettivo raggiungibile a breve scadenza.

10. Marginalità sociale e geografica dell'anarchismo

Uno degli aspetti salienti dell'anarchismo - in sede di considerazione retrospettiva - è stata la sua marginalità geografica e sociale rispetto alle linee di sviluppo dominanti nei due secoli che ci separano dalla Political justice di Godwin (1793). Esso fu veramente forte non nei centri nevralgici dello sviluppo industriale, ma in quelle regioni che, sul finire del secolo scorso, si era soliti considerare 'arretrate' e, dunque, non nell'ambito della sempre più ricca e potente middle class o del più stabile proletariato industriale, al quale i marxisti facevano appello, ma all'interno di altre classi. Il gruppo di sostenitori di Bakunin nell'Internazionale - grazie al quale la frazione libertaria riuscì a sopravvivere come organizzazione, anche se nettamente distinta dai marxisti e dal loro Consiglio Generale di New York - apparteneva ai paesi latini (Spagna, Italia, Francia meridionale e Svizzera francese), marginali rispetto ai centri industrializzati del XIX secolo, che si affacciano sul Mare del Nord.

Analogamente, in Russia l'anarchismo si presentò come un movimento di massa solo nell'Ucraina meridionale, lontano dai grandi centri urbani di Pietrogrado e Mosca.In termini sociali l'anarchismo all'inizio fu, con Proudhon, un movimento che si rivolgeva ai contadini e agli artigiani (autonomi o occupati in piccoli laboratori), e fu tra questi che trovò i suoi primi sostenitori; furono questi proudhoniani a formare il contingente francese nei primi tempi dell'Internazionale e a partecipare alla Comune parigina del 1871. Bakunin sottolineò il contrasto fra il suo approccio e quello dei marxisti, insistendo sulle potenzialità rivoluzionarie delle popolazioni contadine (curiosamente anticipando in ciò Mao Zedong) e di quegli strati non produttivi e ribelli delle classi inferiori che formavano la formidabile massa della 'plebe' urbana dei primi dell'Ottocento, il Lumpenproletariat, secondo la sprezzante definizione marxiana.Molti furono i contadini che aderirono all'anarchismo nella Spagna meridionale, in particolare in Andalusia e nelle aree rurali della Catalogna, e nell'Ucraina meridionale di Nestor Makhno; mentre i tentativi di Malatesta di risvegliare i contadini poveri dell'Italia meridionale ebbero, invece, scarso successo. Inoltre, l'anarchismo dei contadini ebbe una sua rilevanza nella rivoluzione messicana, e in particolare nell"esercito del sud' - l'esercito rivoluzionario contadino guidato da Zapata e influenzato dall'insegnamento di Ricardo Flores Magon.

La più significativa adesione all'anarchismo da parte di piccoli artigiani si ebbe forse nel Giura svizzero durante gli anni settanta del secolo scorso, quando esso si diffuse non tra gli operai, ma tra gli artigiani orologiai che lavoravano a contratto in casa propria. Essi furono, all'interno dell'anarchismo, i più fedeli seguaci di Bakunin e i mentori di Kropotkin.L'anarchismo si diffuse anche tra gli operai soprattutto attraverso l'anarcosindacalismo, le cui dottrine sulla lotta permanente, sul controllo operaio dell'industria e sullo sciopero generale di carattere millenaristico trovavano un terreno favorevole in quelle aree dove la produzione industriale era ai suoi esordi e in cui le relazioni tra operai e datori di lavoro erano dirette e brutali, non mediate da sindacati riconosciuti e da meccanismi di contrattazione. Questo spiega il successo temporaneo dell'anarcosindacalismo in Francia nei decenni che seguirono la Comune, quando la classe lavoratrice francese stava assai faticosamente riguadagnando i suoi diritti sindacali, e inoltre il seguito che esso ebbe nell'Italia settentrionale durante il caotico periodo che precedette l'avvento del fascismo. Ma spiega, soprattutto, il suo radicamento in Catalogna, dove i rapporti tra datori di lavoro e lavoratori furono caratterizzati, fino a tutti gli anni trenta, da un eccezionale grado di violenza. Negli Stati Uniti l'anarchismo, pur senza radicarsi, ebbe un certo seguito tra le masse nel periodo che va dagli anni ottanta del XIX secolo al primo conflitto mondiale, in special modo tra i gruppi marginali, tra quegli immigrati che lavoravano nelle città e quei lavoratori stagionali dell'Ovest che formavano la maggioranza dell'IWW filoanarchica.

La marginalità sociale dell'anarchismo risulta evidente dallo status dei suoi dirigenti, i quali solitamente appartennero alle classi che, nel corso del XIX secolo, si sentirono minacciate dallo sviluppo dell'industria e dello Stato centralizzato. Bakunin, Kropotkin, Tolstoj e Cherkesov provenivano dalla classe dei proprietari terrieri russi; William Godwin e Domela Nieuwenhuis, padre dell'anarchismo olandese, erano uomini di chiesa delusi e, in Francia, Sebastien Faure ed Élisée Reclus, poi famoso geografo, avevano compiuto gli studi per intraprendere la carriera ecclesiastica; i dirigenti più importanti dell'anarchismo italiano (Malatesta, Fanelli, Cafiero, Berneri) appartenevano in prevalenza alla classe dei professionisti; Proudhon, Jean Grave, i militanti anarchici francesi dell'Internazionale e, poi, del movimento sindacalista erano solitamente degli artigiani autonomi, o comunque degli artigiani come il carpentiere Joseph Trotelier, e non degli operai.L'anarchismo ha sempre riscosso simpatie tra scrittori e artisti, un altro gruppo marginale, e proprio nei paesi industriali che si affacciano sul Mare del Nord, dove gli operai si mostrarono pressoché insensibili all'anarchismo. Si pensi, in Francia, a Gustave Courbet, devoto amico e seguace di Proudon, a maestri dell'impressionismo e militanti anarchici come Camille Pissarro e Paul Signac, nonché a diversi scrittori simbolisti (Stuart Merril, Francis Viélé-Griffin, Laurent Tailhade, Octave Mirbeau); lo stesso Stéphane Mallarmé scrisse su riviste anarchiche. Tra gli scrittori libertari di lingua tedesca ricordiamo 'B. Traven', Gustav Landauer e Erich Muehsam; nei paesi di lingua inglese l'anarchismo ebbe fra i suoi adepti pittori come Augustus John e scrittori come Oscar Wilde, Herbert Read, Alex Comfort, Kenneth Rexroth, Kenneth Patchen, Dwight Macdonald e Denise Levertov.

Il dibattito teorico in tali paesi è stato, a partire dagli anni del secondo conflitto mondiale, di alto livello: con ogni probabilità i contributi più originali al pensiero anarchico sono venuti, negli anni recenti, proprio dal mondo di lingua inglese, ad opera di scrittori provenienti prevalentemente dalla classe media.Inoltre, un tratto importante del neoanarchismo, che inizia a svilupparsi negli anni sessanta, è stato quello dell'appartenenza alla classe media dei suoi adepti. Esso si connetteva alla generale rivolta della gioventù borghese del mondo occidentale contro quel mondo materialistico e pago di sé, rappresentato dalle società industriali: fu un fenomeno, quindi, che ancora una volta nasceva da un sentimento di emarginazione, anche se, in questo caso, si trattava dell'emarginazione non di una classe bensì di una generazione.