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Dottrina che propugna l’abolizione di ogni governo sull’individuo e,
soprattutto, l’abolizione dello Stato: assunse una particolare
fisionomia verso la metà del 19° sec. e dapprima ebbe un
carattere quasi esclusivamente filosofico, come nell’individualismo
di M. Stirner. Poi, prevalendo la ricerca di una precisa struttura
politico-giuridica, fu intesa come dottrina di un assetto giuridico
e sociale che elimina, o riduce al minimo, il potere centrale
dell’autorità. Questo anarchismo politico (che ha poi assunto
il nome più specifico di anarcosindacalismo ) ha il suo
classico fondamentale in P.J. Proudhon, ed è stato
particolarmente propugnato e sviluppato, nella teoria e nella
pratica, da M. Bakunin e da P. Kropotkin, oltre che celebrato, nel
campo letterario, da L. Tolstoj. Esso si risolve nell’idea di un
estremo decentramento dei poteri amministrativi della società
perché i lavoratori possano organizzare da sé,
partendo dai più piccoli nuclei e nel modo più
diretto, la proprietà e l’amministrazione dei mezzi di
produzione e in genere dell’intera ricchezza e quindi, pur
condividendo in pieno l’ideale collettivistico e anticapitalistico
del comunismo, si oppone radicalmente al suo centralismo
autoritario.
Il movimento anarchico, in questo senso, ebbe largo sviluppo non
solo nella seconda metà del 19° sec., ma anche nei
primi decenni del 20° (per es. in Spagna), e avversò
qualsiasi forma di governo sia autoritario sia liberale. Numerosi
furono gli attentati e i moti rivoluzionari: quali l’uccisione del
presidente francese S. Carnot a opera dell’italiano S. Caserio
(1894), quella del presidente spagnolo A. Cánovas del
Castillo (1897), quella di Umberto I (1900) a opera di G. Bresci.
Durante la rivoluzione russa gli anarchici si posero contro il
partito bolscevico e la dittatura del proletariato. Ruolo di primo
piano hanno poi avuto gli anarchici nella rivoluzione e nella
guerra di Spagna (1936-1938).
In Italia, dopo la caduta del fascismo, riprese vita un movimento
anarchico o libertario che nel settembre 1945 (Congresso di
Carrara) costituì la Federazione anarchica italiana.
Entrato successivamente in crisi a causa di dissidi interni
(scissione della Federazione anarchica nel 1965), il movimento
anarchico italiano, analogamente a quanto accadde in vari paesi
europei, ebbe una sia pur momentanea ripresa alla fine degli anni
1960 sull’onda del fenomeno della contestazione giovanile.
Enciclopedia del Novecento (1975)
di George Woodcock
Sommario: 1. La dottrina anarchica. 2. Sviluppi storici
dell'anarchismo. 3. Il protoanarchismo. 4. L'anarchismo nel XIX e
nel XX secolo. □ Bibliografia.
1. La dottrina anarchica
Alexander Herzen racconta che Pierre-Joseph Proudhon, l'uomo che
per primo si definì anarchico, a un ammiratore che si
congratulava con lui per il suo sistema rispose: ‟Il mio sistema?
Io non ho un sistema". Proudhon negò anche di aver mai
fondato un partito politico e, quando venne eletto all'Assemblea
Costituente francese durante la Rivoluzione del 1848, fece parte
della sparuta minoranza che votò contro la costituzione
approvata il 4 novembre di quell'anno. Nel motivare la sua presa
di posizione, egli sottolineò che non aveva votato contro
quel particolare tipo di costituzione o contro gli articoli in
essa contenuti, e dichiarò: ‟Ho votato contro la
costituzione solo perché è una costituzione".
Gli orientamenti che Proudhon esprimeva verso la metà del
XIX secolo su problemi relativi all'organizzazione partitica e
politica, sono significativi in quanto anticipavano prima che il
movimento anarchico prendesse corpo, la forma che questo avrebbe
assunto. L'anarchismo non ha mai costituito, a differenza del
marxismo, un sistema filosofico o politico; non ha mai dato vita a
un partito politico organizzato perché i suoi seguaci,
anche quando si organizzarono, furono spinti a farlo per obbedire
a impulsi spontanei e per fronteggiare situazioni concrete e non
per conformarsi a modelli istituzionali. Inoltre gli anarchici si
sono sempre rifiutati di accettare ogni costituzione quale
strumento che garantisse la stabilità dell'ordinamento
politico, perché hanno sempre ritenuto che all'ordinamento
politico della vita collettiva incentrato sull'autorità
dovesse subentrare un ordinamento economico e sociale incentrato
sull'accordo contrattuale volontario. La società è
per gli anarchici un organismo in continua crescita ed evoluzione,
ed essi sono sempre stati riluttanti a circoscriverne il futuro
anche entro i confini di un qualsivoglia piano utopistico.
Purtuttavia esistono una ben definita filosofia anarchica e anche
caratteristiche peculiari proprie dell'anarchismo. Forse la
definizione più semplice della parola anarchismo (che
deriva dal greco ἄναρχος=mancante di governo) è: insieme di
dottrine e orientamenti affini, il cui principale carattere
unificatore è il convincimento che il governo dell'uomo
sull'uomo, sia che si realizzi direttamente, sia attraverso la
mediazione di istituzioni, è decisamente inutile e
sicuramente dannoso.
Da tale concezione derivano naturalmente taluni corollari.
Poiché l'anarchico nega la validità delle
istituzioni create dall'uomo, egli generalmente crede che esista
una legge naturale di aiuto reciproco alla quale anche l'uomo,
come tutti gli animali, obbedisce - a patto però che le sue
naturali inclinazioni non siano state atrofizzate dall'imperio di
un'autorità. L'uomo può anche non essere buono per
natura ma, secondo gli anarchici, è per natura sociale.
L'anarchico è anche portato a sostenere che, poiché
il potere quanto più è centralizzato tanto
più diviene forte e impersonale, lo Stato deve essere
eliminato e l'organizzazione della società completamente
decentrata, in modo che le decisioni relative alle questioni di
comune interesse possano esser prese a livello comunitario o
aziendale e cioè da coloro che ne subiranno direttamente
gli effetti. Questa generale tendenza verso il massimo
decentramento porta come conseguenza un orientamento altrettanto
accentuato degli anarchici verso modelli federativi in grado di
coordinare le istanze di più generale interesse, il che
porrà automaticamente il potere centrale in una posizione
di debolezza ed esalterà invece le capacità
operative delle periferie. A eccezione di pochi individualisti
estremisti, per gli anarchici il modo cooperativistico di
affrontare i problemi sociali costituisce l'unica salvaguardia
contro la coercizione, e ciò implica l'accettazione della
proprietà comune dei mezzi di produzione, di norma sotto il
controllo dei lavoratori direttamente interessati. Per l'anarchico
la proprietà dei beni, da cui altri dipendono per il
proprio sostentamento, è una forma di potere altrettanto
dannosa quanto qualsiasi forma manifesta di autorità
politica. ‟La proprietà è un furto", scrisse
Proudhon, formulando così una delle massime fondamentali
dell'anarchismo; e per proprietà egli intendeva il
possesso, da parte di coloro che non lavorano, della terra, degli
impianti tecnici e industriali, delle materie prime e di ogni
altro mezzo necessario alla produzione.
Gli anarchici in realtà hanno preso più alla lettera
e applicato in modo più completo di qualsiasi altro suo
lettore la famosa massima dello storico inglese, lord J. Acton:
‟Nel potere è il germe della corruzione, e nel potere
assoluto v'è corruzione assoluta". È così
forte negli anarchici il convincimento circa la natura corruttrice
del potere - sia che eserciti una coercizione diretta, sia che
eserciti una coercizione attraverso la proprietà - che essi
sono propensi a purificare la vita sociale semplificandola oltre
che nella sua struttura organizzativa anche nelle sue normali
manifestazioni quotidiane. Il futuro preconizzato dagli anarchici
prevede lo smantellamento dell'attuale complicato ordinamento
dello Stato, la sua sostituzione con iniziative locali e
associazioni volontarie spontanee, l'eliminazione del lusso e di
ogni sofisticato modo di vita e il ritorno dell'uomo a una vita
caratterizzata da una gioiosa e naturale semplicità. Forse
la più profonda differenza fra socialisti e anarchici, a
prescindere dal loro disaccordo sull'efficacia dell'azione
politica, sta nel fatto che, mentre i primi hanno sempre promesso
ai derelitti un tenore di vita materialmente migliore, gli
anarchici non hanno mai negato - e in questo il loro punto di
vistà coincideva con gl'insegnamenti religiosi - che il
prezzo della vera libertà possa in effetti consistere in
una diminuzione di beni materiali, e che la libertà valga
tale prezzo. Proudhon nel XIX secolo e lo scrittore anarchico
americano P. Goodman nel XX sono stati entrambi fautori del
concetto che una dignitosa povertà è la forma di
vita che assicura il massimo appaga- mento spirituale. Lev Tolstoj
nel suo raffigurarsi una pacifica società anarchica anelava
a un ritorno ai valori della vita contadina a stretto contatto con
la terra e con il ritmo naturale dei cicli produttivi, e il
medesimo sogno nutrì il suo discepolo Gandhi, che
progettò un'India fondata su un ritorno alle
comunità indipendenti di villaggio e sulla rinascita
dell'artigianato. W. Godwin, il filosofo inglese del XVIII secolo
la cui opera Political justice (1793) fu definita la summa et
substantia dell'anarchistrio, analizzò la
possibilità di combinare tecnica moderna e
semplicità di costumi in modo da consentire all'uomo di
lavorare soltanto mezz'ora al giorno per le proprie
necessità e di dedicare il resto del tempo ad
attività culturali. Durante la guerra civile spagnola del
1936-1939, quando i contadini andalusi riorganizzarono i loro
villaggi in comuni anarchiche con terra, lavoro e prodotti
equamente ripartiti, stabilirono di ridurre le loro esigenze entro
gli stretti limiti di un'esistenza improntata a una
semplicità ascetica che avrebbe però permesso loro
di essere quanto più possibile indipendenti dal resto del
mondo e di sentirsi perciò quanto più possibile
liberi dalle preoccupazioni che la dipendenza crea. In un certo
senso gli anarchici già molto tempo fa, prevedendo il
futuro nel modo singolare che li distingue, anticiparono le teorie
oggi sostenute da quegli ecologi e conservatori dell'ambiente
naturale, che pongono come condizione fondamentale per la
sopravvivenza dell'umanità sulla terra una semplificazione
radicale del nostro modo di vivere.
Entro questo vasto contesto di orientamenti comuni l'anarchismo ha
assunto una notevole varietà di forme ed ha anche trovato
vie parallele di espressione, da un lato in una tradizione mai
interrotta di origine filosofica, mantenuta viva essenzialmente da
studiosi, scrittori e artisti, e d'altro lato in un movimento di
attivisti e di elementi radicali, discontinuo in apparenza, ma in
realtà dotato di straordinari poteri di ripresa, nel quale
la filosofia di tanto in tanto si manifesta nel campo dell'azione
sociopolitica.
È questione controversa quanto la tradizione anarchica
affondi le radici nel passato. Gli apologeti dell'anarchismo,
tendenzialmente orientati a storicizzare e a valorizzare i
precursori, propendono a far risalire le origini della loro
ideologia alle società primitive prive di governo. Ma il
principale assertore di questa teoria, Pëtr Kropotkin, il
geografo anarchico che scrisse Mutual aid: a factor in evolution
(1902), poté sostenere la tesi del carattere anarchico
delle società tribali solo ignorando il formidabile peso
delle leggi consuetudinarie che in tali comunità
solitamente sostituiscono forme di coercizione più
arbitrarie e mani- feste.
Altri studiosi dell'anarchismo hanno individuato una tradizione di
rifiuto dell'autorità politica che risale
all'antichità classica, agli stoici e ai cinici; una
tradizione che si riscontra nei gruppi religiosi giudeo-cristiani
miranti a un ordinamento comunitario, come gli Esseni, i primi
apostoli cristiani, i catari, gli anabattisti e i duchoborcy; che
trova espressione attraverso le varie epoche in filosofi
individualisti come Lao Tzu e Rabelais, Étienne de La
Boétie e Fénelon, Diderot e Swift; che si ritrova
nei moti insurrezionali di coloro che Albert Camus nel libro
L'homme révolté (1951) descrisse come ‛ribelli'
più che come ‛rivoluzionari', uomini come il gladiatore
Spartaco, il capo della rivolta dei contadini tedeschi Thomas
Münzer, e il parroco inglese John Balì che
coniò la famosa rima egalitaria: ‟Se Adamo vangava ed Eva
filava, chi comandava?"
Ma per molti di costoro il rifiuto dell'autorità politica
non fu che un modo di ritirarsi dal mondo materiale in un regno
dello spirito; divenne un motivo della ricerca della salvezza
individuale, e come tale si collega soltanto alla lontana con una
dottrina sociopolitica come l'anarchismo che mira a una vita
libera e piena nella concreta realtà quotidiana.
Analogamente, il disprezzo individualistico per il mondo del
potere espresso da pensatori dell'antichità e del
Rinascimento, e l'insurrezionismo antiautoritario un po' caotico
degli schiavi e dei contadini rivoluzionari, non furono sviluppati
al punto da poter entrare a far parte di un indirizzo dottrinale,
anche se così duttile come l'anarchismo. Tali tendenze si
collegano ad esso in un senso più vago e generico, come il
libertarismo che abbraccia qualsiasi orientamento in cui
l'elemento predominante sia costituito dal desiderio di
libertà.
I requisiti fondamentali per definire anarchica una dottrina sia
dal punto di vista filosofico, sia dal punto di vista storico
sono: a) la contestazione globale del vigente ordinamento sociale
fondato sull'autorità; b) l'immagine ideale di una
società libertaria alternativa fondata sulla cooperazione,
anziché sulla coercizione; c) gli strumenti per passare dal
primo ordinamento al secondo.
2. Sviluppi storici dell'anarchismo
Concepito in questi termini, l'anarchismo è un fenomeno
storico relativamente recente. Ed è significativo il fatto
che il suo primo manifestarsi come una ben definita dottrina di
azione sociale che opponeva la libera volontà al principio
autoritario, e che si avvaleva in modo caratteristico del ricorso
all'azione diretta, ebbe luogo nel XVII secolo nell'inghilterra
della guerra civile e del Commonwealth.
La coincidenza temporale è significativa perché il
Commonwealth fu il prototipo dello Stato-nazione moderno. Tendenze
anarchiche ben individuabili riemersero durante la Rivoluzione
francese, quando il modello dello Stato moderno fu perfezionato
con l'introduzione da parte dei giacobini del governo di un solo
partito e della coscrizione, che trasformavano l'eguaglianza in
asservimento universale al principio del potere collettivo.
In altre parole, l'anarchismo trova origine nella reazione agli
sviluppi politici caratteristici del mondo moderno e le sue
alterne fasi di ascesa e declino - dal XVII secolo in poi -
possono essere considerate, insieme ad altri indici, un barometro
del malcontento popolare nei confronti dei metodi prevaricatori e
della disumana struttura monolitica dello Stato moderno. È
significativo il fatto che gli anarchici hanno costantemente e
duramente avversato tutte le manifestazioni dello Stato moderno
sia democratico sia autoritario; la loro opposizione alla
democrazia politica scaturisce dal convincimento che nel contesto
dello Stato moderno la volontà della maggioranza, espressa
attraverso il suffragio universale, può essere altrettanto
tirannica quanto la volontà di un dittatore.
Il XIX secolo fu il periodo più importante per la
formazione dell'anarchismo: quello in cui furono attivi i suoi
maggiori teorici e in cui esso si sviluppò passando dalla
fase di orientamento, propugnato da studiosi isolati e da piccoli
gruppi, alla fase di movimento di massa che trovava sostegno
soprattutto fra i contadini e gli operai, specialmente nell'Europa
latina, in Ucraina e in alcune zone del Sudamerica.
Fatta eccezione per alcune rare circostanze particolari,
l'anarchismo non si manifestò in movimenti disciplinati
paragonabili ai grandi partiti, con le regole di azione e i corpi
di principi dogmatici che i socialisti crearono durante il
medesimo periodo. Sempre, salvo che nella fase sindacalista, gli
anarchici ebbero una tendenza a organizzarsi in piccoli gruppi
autonomi dediti alla propaganda o all'azione, che spesso nascevano
spontaneamente per far fronte a circostanze transitorie e che si
scioglievano altrettanto prontamente. Gli anarchici hanno sempre
fermamente creduto nell'azione diretta; in particolare, tra il
1870 e il 1890, fu assai diffusa fra loro la convinzione che la
miglior propaganda si faccia con le azioni. Di qui l'esigenza di
manifestare la protesta contro l'autorità con qualche fatto
spettacolare, o il tentativo di dimostrare con l'esempio
l'efficacia dell'organizzazione fondata sulla libera cooperazione.
Ma se gli anarchici concepirono l'azione come un mezzo per dare
espressione immediata alle loro idee, e in questo senso furono
forse i primi autentici attivisti politici, vollero anche
sviluppare le loro idee durante lo svolgimento dell'azione;
pertanto la dottrina anarchica deve essere considerata un insieme
di attivismo e di teoria, dato che richiede di essere applicata
direttamente dai suoi fautori e non di essere attuata attraverso
le indirette procedure dell'azione politica tradizionale.
Per questo motivo i principi dottrinari fondamentali
dell'anarchismo non possono essere considerati avulsi dal
movimento anarchico, nel quale coloro che li formularono -
Proudhon e Kropotkin, Bakunin e Malatesta - ebbero un ruolo di
guida. L'attivismo anarchico, da un punto di vista storico,
può essere suddiviso in tre fasi. La prima - nella quale il
movimento anarchico scelse come centro di azione l'Europa
continentale, pur esercitando una certa influenza anche sulle
Americhe e la Gran Bretagna va dalla costituzione
dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori nel 1864 alla fine
del XIX secolo: un periodo nel quale gli anarchici, in Francia,
nella Svizzera francese e specialmente in Italia furono rivali dei
socialisti nella lotta per la leadership del movimento della
classe operaia; in quella stessa epoca, particolarmente in
Francia, le idee e gli orientamenti anarchici erano in voga fra
scrittori e artisti. Questa fase di attività ebbe un
declino agli inizi del XX secolo, quando le idee anarchiche furono
mantenute vive principalmente attraverso i movimenti sindacalisti
rivoluzionari nell'ambito dei sindacati francesi e italiani, e si
concluse virtualmente quando la Rivoluzione russa del 1917
sottrasse agli anarchici l'appoggio delle masse lavoratrici di
queste nazioni facendole convergere verso il comunismo.
Tuttavia, nello stesso periodo, il movimento anarchico spagnolo,
che era sopravvissuto a numerose persecuzioni durante il XIX
secolo, aveva conquistato l'appoggio di un sindacato di massa,
appoggio che si consolidò con la fondazione nel 1911 della
Confederacion Nacional del Trabajo, la famosa CNT, un movimento
sindacalista rivoluzionario che rimase il più forte
movimento di sinistra del paese fino alla fine della guerra civile
spagnola nel marzo 1939. Durante questa seconda fase di attivismo,
che ebbe luogo nel primo Novecento, l'anarchismo si spostò
dai centri rivoluzionari tradizionali d'Europa, cioè dalla
Francia e dall'Italia, verso territori più periferici;
oltre alla Spagna, la nazione che fornì l'esempio
più spettacolare di attivismo anarchico fu l'Ucraina, dove,
per parecchi anni dopo il 1917, il movimento anarchico contadino,
guidato da Nestor Machno, resistette con successo sia alle armate
rosse sia a quelle bianche. Durante tale periodo i principi e i
metodi anarchici ebbero un ruolo considerevole anche nella
Rivoluzione messicana (ove influenzarono profondamente le idee e
l'azione di Emiliano Zapata, capo dell'insurrezione meridionale)
e, in una forma tolstoiana, in India. In questo paese i seguaci
più radicali di Gandhi, come Vinoba Bhave, e più
tardi Jayaprakash Narayan, subirono fortemente l'influenza della
concezione di Kropotkin di una società a base rurale in cui
l'industria fosse integrata all'agricoltura. Essi tentarono,
attraverso il movimento Bhoodan, di realizzare un modello rurale
di comunità decentrate che potesse fornire un'alternativa
allo stato centralistico instaurato in India dai leaders del
Congresso, nonostante il parere contrario di Gandhi, negli anni
successivi alla liberazione del paese avvenuta nel 1947.
Tra la prima e la seconda fase dell'anarchismo interviene un
mutamento non semplicemente nell'habitat tradizionale del
movimento - che si allontana infatti dal centro della cultura
europea - ma anche nell'elemento umano. A prescindere dagli
intellettuali individualisti del ceto medio e anche di estrazione
aristocratica, che hanno sempre costituito una significativa
minoranza nel movimento, l'anarchismo della metà del sec.
XIX trovò molti simpatizzanti fra la classe artigiana. In
Francia i più accesi sostenitori furono coloro che
lavoravano nelle piccole e raffinate botteghe artigiane che
fiorivano in quell'epoca a Parigi, e i tessitori di seta di Lione;
in Svizzera furono gli orologiai del Giura; in Italia i cavatori
di marmo di Carrara furono i primi convinti sostenitori degli
ideali anarchici, cui rimasero fedeli fin oltre gli inizi del XX
secolo; nella prima fase dell'attivismo anarchico si ebbero
ovunque molte adesioni fra i tipografi e i calzolai. Nell'ultimo
periodo di questa prima fase, in cui la dottrina del sindacalismo
rivoluzionario si sviluppò dall'idea-base anarchica della
gestione diretta dei lavoratori, furono fatti molti proseliti tra
gli operai manifatturieri, particolarmente nel periodo nel quale
gli anarchici dominarono la Confédération
Générale du Travail (CGT), e cioè dalla sua
costituzione fino al 1917, allorché i suoi aderenti
passarono nelle file dei comunisti, che erano in grado di offrire
un travolgente esempio di rivoluzione sociale manifestamente
vittoriosa sotto la guida bolscevica in Russia.
La seconda fase dell'attivismo anarchico fu contrassegnata da una
notevole diminuzione numerica degli artigiani, dovuta alla sempre
crescente meccanizzazione del lavoro, e dei lavoratori
dell'industria che, fatta eccezione per la Spagna, seguirono la
leadership dei socialisti e dei comunisti. D'altro lato i
contadini che Michail Bakunin fin dalla metà del XIX secolo
aveva considerato un'importante categoria di anarchici potenziali,
divennero decisi sostenitori di iniziative anarchiche di vario
tipo, in particolare nelle zone più depresse, come
l'Ucraina in Russia, l'Andalusia in Spagna, il Mezzogiorno in
Italia e le province meridionali del Messico.
La terza fase dell'attivismo anarchico è più
difficile da collocare entro un contesto storico definito,
poiché ancora non si è conclusa. Esso si è
caratterizzato come un movimento di rifiuto dei tradizionali
orientamenti conservatori e radicali e, a differenza della seconda
fase, è tornato a fiorire nei centri più importanti
della vita moderna - Nordamerica, Europa occidentale e Giappone -
rappresentando una sfida al culto dell'opulenza e del progresso
materiale. Quando questa tendenza si manifestò nella
contestazione giovanile degli anni sessanta, essa aveva scarsi
punti di contatto con quanto sopravviveva del movimento precedente
il 1939, che si era mantenuto vivo fra fuorusciti spagnoli e
italiani, emigrati soprattutto in Inghilterra e negli Stati Uniti.
Tuttavia è possibile rilevare una certa continuità
ideale fra il nuovo movimento e gli intellettuali anarchici
inglesi e americani che avevano continuato ad applicare, durante
gli anni quaranta e cinquanta, le idee essenziali dell'anarchismo
tradizionale, pur adeguandole alle nuove condizioni.
3. Il protoanarchismo
Nell'esaminare lo sviluppo della dottrina anarchica dai suoi inizi
nel XVII secolo a oggi, ho cercato di tener presente il reciproco
influsso fra le fasi dell'attivismo che ho delineato e l'opera di
scrittori che hanno avuto un duplice ruolo nella storia del
pensiero moderno. Costoro, infatti, se da un lato hanno dato
espressione in chiari termini filosofici alle conclusioni cui gli
uomini che cercano la libertà giungono attraverso
l'esperienza, divenendo in tal modo gli autentici portavoce della
tradizione anarchica, d'altro lato sono figure alle quali la
statura intellettuale e l'indipendenza di pensiero conferiscono
un'importanza anche al di fuori del movimento di cui con le loro
idee si sono fatti paladini. Uomini come William Godwin e
Pierre-Joseph Proudhon, come Pëtr Kropotkin e Lev Tolstoj, e
in epoca moderna Herbert Read e Paul Goodman, operano in un vasto
orizzonte di pensiero umanistico di cui l'anarchismo, inteso nel
suo significato più ristretto e cioè politico,
è soltanto un aspetto.
A questo proposito è da tener presente che in linea di
massima gli anarchici sono sempre stati propensi a considerare le
loro idee non una semplice dottrina politica nel senso più
ristretto, né un indirizzo strategico, analogo a quello dei
marxisti, per conquistare il potere, che essi disprezzano, ma
piuttosto l'esortazione a un modo di vita di cui ogni aspetto deve
essere illuminato dalla coscienza della libertà. Essi
considerano l'azione di cui sono fautori e spesso promotori non
come la preparazione a un'utopistica comunità pianificata
ma piuttosto come un mezzo per stimolare la coscienza della
libertà e per rimuovere le remore mentali che impediscono
all'uomo di maturare sia individualmente sia collettivamente in
armonico accordo con la propria natura. È per questo motivo
che essi sono sempre stati riluttanti a tracciare un quadro
minuzioso di quella futura condizione che essi definiscono
anarchia - usando il termine nel suo senso positivo - cioè
una società senza coercizione. Gli anarchici credono
fermamente che uomini in catene non possano progettare il futuro
per altri uomini che saranno invece liberi, per quanto essi
riconoscano che anche in una società fondata
sull'autorità taluni individui hanno pur sempre la
possibilità di crearsi una propria isola di libertà.
Nel tracciare l'evoluzione del pensiero anarchico non si
può ignorare il retaggio dottrinario del XVII e del XVIII
secolo, che potremmo definire protoanarchismo, poiché
rappresenta il primo tentativo di formulare un orientamento
critico nei riguardi del nascente Stato-nazione, e un metodo per
opporsi ad esso. Analogamente il neoanarchismo della seconda
metà del XX secolo contiene intuizioni nuove dei dilemmi di
un mondo in continuo mutamento, che lo rendono perciò
interessante materia di indagine per qualsiasi studio relativo ai
problemi e alle possibilità evolutive della società.
Fu comunque nel XIX secolo che, in forme diverse e in fasi
successive, furono elaborati i concetti base dell'anarchismo in
rapporto all'azione. Le principali forme in cui si
manifestò l'anarchismo del XIX secolo - ognuna col suo
nutrito gruppo di fautori - furono: l'anarchismo individualista,
il mutualismo, il collettivismo, il comunismo anarchico,
l'anarco-sindacalismo e l'anarchismo pacifista (noto anche sotto
il nome di anarchismo tolstoiano). I punti di diversità fra
questi indirizzi riguardano tre aspetti principali: l'uso della
violenza, il grado di cooperazione compatibile con la
libertà individuale, la forma di organizzazione economica
più adeguata a una società libertaria. Queste
differenze, e le divergenze che ne scaturirono, assunsero
importanza anche maggiore poiché il XIX secolo, a
differenza del XVII e del XVIII, fu un'epoca in cui le dottrine
anarchiche indussero un considerevole numero di persone a tentare
di metterle in pratica.
Non che i protoanarchici fossero stati unicamente dei teorici. O.
Winstanley, il cui Truth lifting its head above scandals (1648)
costituisce probabilmente la prima opera che può essere
definita un manifesto anarchico, fu capo di un movimento di
attivisti denominati diggers (zappatori). Winstanley era un
mercante, rovinato dai dissesti economici causati dalla guerra
civile; era un cristiano dissidente che identificava Dio con la
Ragione e cercava di dare alla sua religione una forma pratica
delineando una filosofia sociale che potesse rendere giustizia ai
diseredati.
Nel suo manifesto espresse principi e concetti che la maggior
parte degli anarchici hanno da allora accettato come fondamentali:
che il potere corrompe, che la proprietà non può
conciliarsi con la libertà, che l'unione di autorità
e proprietà genera crimine, e che l'uomo per poter essere
libero e felice deve agire secondo la propria coscienza in una
società nella quale non vi siano governanti e ove il lavoro
e i suoi frutti siano equamente ripartiti. Winstanley sosteneva,
come sostennero del resto quasi tutti gli anarchici delle epoche
successive, che la gente può por fine all'ingiustizia
sociale non eleggendo dei governanti, ma soltanto agendo
individualmente. Nel 1649 lanciò un appello ai ‟membri
della comunità perché rendessero fertili e
lavorassero le terre comuni", guidò i suoi seguaci a
occupare le terre incolte dell'Inghilterra meridionale ed essi si
misero a dissodarle. Quando furono attaccati con la forza dai
proprietari terrieri ostili, i diggers opposero una resistenza
passiva, ma gli avversari riuscirono alla fine a distruggere i
loro insediamenti e non si sentì quasi più parlare
di Winstanley; perfino il luogo e la data della sua morte restano
tuttora ignoti.
Altre importanti manifestazioni di protoanarchismo si ebbero come
conseguenze della Rivoluzione francese. A Parigi nel 1793, l'anno
del Terrore, comparve un movimento, non molto organizzato, di
protesta radicale contro le tendenze autoritarie dei giacobini.
Gli aderenti al movimento venivano comunemente chiamati les
enragés (gli arrabbiati), ma il capo girondino Brissot nel
chiedere la loro soppressione usò l'appellativo di
‛anarchici'. Questo non fu il primo esempio dell'uso della parola
‛anarchico' come termine di denigrazione politica. In Inghilterra
all'epoca della rivoluzione di Cromwell, i levellers - che
chiedevano il suffragio universale venivano piuttosto
impropriamente chiamati dai loro avversari Switzerizing
anarchists. Ma nel caso degli enragés il termine era
esatto, anche nel senso positivo per la prima volta precisato da
Pierre-Josepb Proudhon, quando nel 1840 dichiarò ‟io sono
un anarchico" e spiegò che con questo intendeva affermare
il suo convincimento che le vere leggi della società non
avevano nulla a che fare con l'autorità, ma scaturivano
dalla natura stessa della società, e che l'ordine non si
trova in un governo ma nell'equilibrio naturale che verrà a
crearsi grazie alla sua assenza. J. Roux e J. Varlet, i principali
esponenti degli enragés, raggiunsero entrambi la
conclusione, attraverso la loro esperienza del Terrore durante il
quale Roux morì, che l'espressione ‛governo rivoluzionario'
era una contraddizione in termini.
Roux e Varlet, vivendo in mezzo al vortice della rivoluzione,
erano troppo presi dall'azione per poter dare una forma
sistematica al loro pensiero. Fu W. Godwin che, osservando gli
eventi dalla non lontana Inghilterra, scrisse in quello stesso
1793 una serie di considerazioni sulla natura del governo in gran
parte provocate dai fatti della Rivoluzione francese. L'opera
apparve con il titolo The enquiry concerning political justice, e
ispirò l'idealismo politico di grandi poeti romantici
inglesi, quali P. B. Shelley e W. Wordsworth. Political justice
viene giustamente considerato il testo fondamentale che precorre
l'anarchismo moderno. Godwin attacca il sistema statuale nelle sue
basi teoriche e nella pratica di governo con il classico argomento
anarchico secondo il quale l'autorità è contro
natura e i mali sociali sussistono perché gli uomini non
sono liberi di agire secondo i dettami della ragione. Passa poi a
tratteggiare una società libertaria decentrata nella quale
piccole comunità autonome (che chiama parishes)
costituiscono le unità base e in cui sono ridotte al minimo
anche le attività politiche democratiche, perché il
governo della maggioranza è pur esso una forma di tirannia
e il votare per un rappresentante riduce le responsabilità
individuali dell'uomo. Godwin critica anche l'‟accumulazione delle
proprietà" in quanto fonte di potere sugli altri, e propone
un sistema economico libero nel quale gli uomini possano svolgere
l'attività cui sono portati e possano dare e prendere
secondo le necessità.
4. L'anarchismo nel XIX e nel XX secolo
Fu nell'Europa continentale che l'anarchismo si sviluppò
effettivamente in un movimento d'azione, mentre il protoanarchismo
di Godwin, pur somigliando in molti punti alle teorie più
tardi elaborate da Kropotkin e altri, vi rimase in pratica
sconosciuto fino alla fine del XIX secolo.
Anche l'anarchismo individualista, pur condividendo l'estrema
sfiducia di Godwin nelle imprese collettive (che lo condusse una
volta a dire che nessun uomo libero può suonare sotto la
guida di un direttore d'orchestra), nelle forme assunte in Europa
sembrò dover poco a Godwin. Sotto taluni aspetti le forme
più estreme di individualismo, nel tentativo di assicurare
l'assoluta indipendenza dell'individuo, sembrano negare la base
sociale sulla quale i veri anarchici fondano la loro dottrina di
libertà. Max Stirner (il cui vero nome era Caspar Schmidt)
pubblicò nel 1845 un'opera dal titolo Der Einzige und sein
Eigenthum che portava questo concetto anarchico alle estreme
conseguenze. Egli respingeva non solo lo Stato ma la
società stessa, e riduceva l'organizzazione a un'‛unione di
egoisti' fondata sul reciproco rispetto degli individui quali
esseri ‛unici', lasciando alla ‛forza' di ciascuno il governo di
se stesso. L'‛egoista' sotto molti aspetti è il precursore
del ‛superuomo'; Nietzsche nelle sue più estreme
manifestazioni di individualismo subì chiaramente
l'influsso di Stirner.
Sul piano dell'azione l'anarchismo individualista ebbe un ruolo
importante per il gran numero di atti terroristici compiuti
nell'ultimo scorcio del sec. XIX particolarmente in Francia, e in
una certa misura anche in Italia. I terroristi di norma erano
uomini che miravano a risultati più immediati e
spettacolari di quelli che potevano essere conseguiti attraverso
una attività organizzata; tra questi, coloro che si misero
maggiormente in evidenza, come Ravachol ed E. Henry, agirono da
soli o come membri di sparuti gruppi autonomi. I loro attentati
furono diretti contro personalità, di cui si erano
autoeletti giudici e giustizieri. Il dilagare
dell'irresponsabilità individualista pronta a giustificare
inconsulti atti di violenza attuati al solo scopo di creare
terrore, quali il lancio di bombe in caffè e teatri,
contribuì in gran misura a creare la sinistra immagine che
la parola anarchico evocava in molti alla fine del secolo e nel
periodo successivo. Una forma di anarchismo individualista molto
più attenuata fiorì per un certo periodo negli Stati
Uniti sotto la guida di B. Tucker. Tucker aborrì la
violenza e fu fautore del rifiuto d'obbedienza come tattica
anarchica; anch'egli - come molti individualisti - respinse il
comunismo economico perché incompatibile con la
libertà, e propose invece che la proprietà venisse
ripartita in parti eguali cosicché ogni uomo potesse
disporre dei frutti del proprio lavoro.
I principî economici di Tucker derivavano dal tipo di
anarchismo che prevalse nell'Europa continentale, noto sotto il
nome di movimento mutualistico, che è intimamente connesso
con le opere e la vita di Pierre-Joseph Proudhon. Molti anarchici
del XIX secolo considerarono Proudhon il fondatore del loro
movimento; anche Michail Bakunin dichiarò: ‟Proudhon
è il maestro di noi tutti". Le sue prime opere, Qu'est-ce
que la propriété? (1840) e Système des
contradictions économiques, ou philosophie de la
misère (1846), lo collocarono tra i più eminenti
teorici del movimento socialista di allora, e attrassero
l'attenzione di Bakunin, che divenne il suo principale discepolo,
e di Marx, la cui divergenza di opinioni con Proudhon sul problema
dell'azione politica fu all'origine della scissione storica che
alla fine dell'Ottocento divise il socialismo europeo in un'ala
marxista o autoritaria e in un'ala libertaria o anarchica.
Le opere successive di Proudhon furono condizionate
dall'esperienza fatta durante la rivoluzione del 1848 cui
partecipò in veste di protagonista, pur criticandola; tre
di queste (Idée de la Révolution au XIXe
siècle, 1851, Du principe fédératif et de la
nécessité de reconstituer le parti de la
révolution, 1863, e l'opera postuma De la capacité
politique des classes ouvrières, 1865) furono assai
importanti nello sviluppo della sua dottrina.
Il mutualismo economico, il federalismo sociale e l'azione diretta
come mezzi per cambiare la società furono i principi
essenziali che Proudhon saldò per creare la prima forma di
anarchismo che potesse dar vita a un vero e proprio movimento. Se
dichiarò che ‟la proprietà è un furto"
ciò non significa che egli propugnasse il comunismo; in
effetti lo contrastò sia come dottrina che sosteneva la
proprietà di Stato sia come ordinamento utopistico della
vita in collettività organizzate auspicato dai primi
socialisti come Fourier e Cabet.
Il comunismo - come la proprietà privata del singolo che
sfrutta il lavoro altrui - priva del ‛possesso', che è
l'unica vera salvaguardia della libertà, lede il diritto di
un lavoratore, o di un gruppo di lavoratori che vogliano
amministrare insieme la terra e gli strumenti necessari alla
produzione. Egli immaginò una struttura cellulare, una
società decentrata di contadini e artigiani indipendenti,
le cui attività dovevano svilupparsi in parallelo con
quelle di associazioni di lavoratori per gestire le fabbriche e i
mezzi di produzione: tutti dovevano essere collegati attraverso un
sistema di mutuo credito fondato su assegni di lavoro negoziabili
presso le banche del popolo. L'alternativa allo Stato
centralizzato, che Proudhon proponeva, era un sistema di
comunità autonome locali e di associazioni industriali
federate fra loro; il sistema doveva essere regolato solo dagli
obblighi scaturenti dal libero contratto e dall'interesse
reciproco e le leggi dovevano gradualmente decadere. Per Proudhon
l'alternativa ai tribunali era l'arbitrato, l'alternativa alla
gestione burocratica l'autogestione dei lavoratori, l'alternativa
all'istruzione accademica l'istruzione integrata, e tutte insieme
queste strutture dovevano contribuire a creare quell'unità
sociale naturale che avrebbe prodotto l'ordine e l'armonia mai
conseguite attraverso la coercizione. Nella sua ultima opera, De
la capacité politique des classes ouvrières,
Proudhon ribadì fermamente che la libertà era un
bene che i lavoratori potevano conquistare da soli con le proprie
forze, organizzati in associazioni industriali; in questo stesso
libro pose le basi concettuali di un movimento che avrebbe
rifiutato la politica democratica e quella parlamentare per
sostituirle con varie forme di azione diretta tese alla creazione
di una società libertaria.
Sebbene gli anarchici delle epoche successive si siano discostati
da Proudhon in taluni dettagli - in particolare per quel che
concerne le tattiche rivoluzionarie e le modalità di
ripartizione della ricchezza sociale - i lineamenti generali della
dottrina così come egli li tratteggiò costituiscono
da allora l'essenza del pensiero anarchico, e la discendenza da
Proudhon è diretta, poiché egli, a differenza di
Godwin, creò le premesse di un movimento anarchico. Si
può dire che il movimento cominciò tra le 29.000
persone che egli convinse, con la sua propaganda giornalistica su
‟Le réprésentant du peuple", ad aderire alla Banca
del Popolo da lui fondata nel 1848. Quando Proudhon fu
imprigionato nel 1849, la Banca si sciolse, ma, sebbene Proudhon
negasse qualsiasi intenzione di formare un partito politico e non
avesse mai cercato di organizzare i suoi sostenitori, le sue opere
ebbero un notevole successo fra i lavoratori francesi negli anni
sessanta e fu un gruppo di suoi seguaci, che si definivano
mutualisti, che nel 1864, in collaborazione con i sindacalisti
inglesi e con i socialisti europei emigrati a Londra, fondarono
l'Associazione Internazionale dei Lavoratori, meglio nota come
Prima Internazionale. I mutualisti, che miravano alla
trasformazione della struttura sociale per mezzo dell'associazione
economica, formarono in seno all'Internazionale la prima
opposizione ai marxisti che sostenevano la necessità
dell'azione politica e miravano alla conservazione dello Stato al
fine di instaurare una dittatura proletaria.
L'influenza dei mutualisti in seno all'Internazionale
diminuì con la nascita del collettivismo, una forma
più combattiva di anarchismo, e fu come capo dei
collettivisti che M. Bakunin, un nobile russo che era giunto ad
una filosofia libertaria attraverso l'hegelismo, il panslavismo e
il carbonarismo, contrastò e fece fallire il tentativo di
Marx di controllare la Prima Internazionale.
L'associazione a causa di tale frattura si sfasciò e fra
anarchici e comunisti si determinò un'ostilità che
divenne costante. In sostanza Bakunin e gli anarchici svizzeri,
italiani e spagnoli, che furono i suoi più stretti alleati,
condivisero con i mutualisti il rifiuto dello Stato e dell'azione
politica, l'esaltazione del federalismo e la concezione che il
lavoratore doveva essere retribuito in relazione al lavoro svolto.
D'altra parte si differenziavano dai mutualisti in quanto
consideravano come unità fondamentale il gruppo dei
lavoratori anziché il lavoratore singolo, ed esaltando la
solidarietà come imprescindibile fondamento morale della
società, erano fautori della proprietà comunitaria e
della gestione della terra, di tutti i mezzi di produzione e di
tutti i servizi attraverso associazioni di lavoratori. Sostenendo
che l'anarchismo trae la sua giustificazione dall'esaltazione
delle capacità sociali dell'uomo, Bakunin si opponeva in
particolare all'individualismo e riteneva indispensabile
l'accettazione di responsabilità collettive.
Ancora più che per l'importanza data alla proprietà
collettiva fatta assurgere a ideale organizzativo, i collettivisti
si differenziarono dai mutualisti per l'esaltazione dell'azione
rivoluzionaria, se necessario violenta, come mezzo per determinare
il crollo dello Stato e l'instaurazione di una società
libera. Proudhon invece aveva ritenuto che sarebbe stato possibile
creare in seno alla società, quale era, associazioni
mutualistiche che alla fine avrebbero sostituito le vecchie
strutture, già entrate in crisi per loro conto. Bakunin non
poté accettare come possibile questo smantellamento dello
Stato pezzo per pezzo; ‟la spinta alla distruzione - aveva
dichiarato nei suoi anni giovanili - è, insieme,
un'esigenza di creazione", ed egli credeva che una rivoluzione che
spazzasse via come un uragano le istituzioni esistenti fosse il
necessario preludio all'inizio della costruzione di un mondo reso
libero. Nell'anarchismo si verificò quindi un mutamento che
non riguardò solamente la teoria. In Europa la lotta tra
Sinistra e Destra stava assumendo forme violente, come doveva
porre in evidenza nel 1871 la Comune di Parigi; Italiani e
Spagnoli, che si stavano inserendo nel movimento, provenivano in
gran parte da movimenti di cospiratori, strenui sostenitori
dell'attentato violento per rovesciare l'autorità
costituita. Bisogna soprattutto tener presente la vulcanica
personalità dello stesso Bakunin, il più impegnato
attivista politico del suo tempo, che aveva partecipato a numerose
insurrezioni, era vissuto in molte prigioni a causa delle sue
azioni rivoluzionarie, e che a preludio della sua attività
in seno all'Internazionale era stato protagonista di una clamorosa
fuga dall'esilio in Siberia. La sua attività di scrittore
fu solo occasionale e frammentaria, e anche questo caratterizza il
personaggio. Non esiste un'opera che contenga l'essenza del
pensiero di Bakunin; le sue teorie trovarono espressione non nei
suoi scritti ma nella sua vita, e in questo assomigliò a un
altro anarchico, assai diverso sotto altri aspetti: Gandhi.
È stato grazie all'instancabile energia di Bakunin che
importanti movimenti anarchici sorsero per la prima volta in paesi
latini al di fuori della Francia, e perfino in Russia. La
cosiddetta Internazionale di St. Imier (o Internazionale
Anarchica), che gli anarchici costituirono e mantennero in vita
fino alla fine degli anni settanta, dopo la scissione della Prima
Internazionale al Congresso dell'Aia del 1872, definì
chiaramente per la prima volta le differenze essenziali esistenti
tra anarchismo e socialismo.
Fu nella Internazionale di St. Imier che, imitando Proudhon, i
seguaci di Bakunin iniziarono a chiamarsi ‛anarchici'
anziché ‛collettivisti'. Fu pure in questo contesto che gli
anarchici italiani sotto la guida di E. Malatesta, C. Cafiero e A.
Costa (che più tardi fu il fondatore del socialismo
italiano) svilupparono le idee insurrezionali di C. Pisacane nella
teoria della ‛propaganda con i fatti'. Infine fu sempre in seno
all'Internazionale che Pëtr Kropotkin, insieme con gli
Italiani e con E. Reclus e F. Dumartheray, elaborò
ulteriormente la dottrina anarchica, creando il cosiddetto
‛comunismo anarchico'.
Kropotkin, un principe russo che rinunciò alla carriera
militare per diventare geografo e che successivamente
rinunciò alla carriera scientifica per diventare un
attivista rivoluzionario, era approdato all'anarchismo a seguito
dei contatti avuti con gli orologiai del Giura svizzero. Dopo un
periodo di attività propagandistica - prevalentemente
clandestina - in Russia, Svizzera e Francia, e dopo lunghi periodi
di prigionia in Russia e in Francia e una fuga dalle carceri di
Pietroburgo che fu perfino più clamorosa di quella di
Bakunin dalla Siberia, Kropotkin si stabilì per quasi tutto
il resto della sua vita in Inghilterra, dove divenne il grande
teorico-apologeta del movimento, finché non ritornò
in Russia nel 1917 per morirvi deluso sotto la dittatura di Lenin.
Si deve alla sua opera di scrittore se le basi dottrinarie del
comunismo anarchico risultarono meglio costruite di quelle del
collettivismo; opere quali La conquête du pain, Fields,
factories and workshops e Mutual aid sono divenute i testi
classici che illustrano il concetto della società
decentrata fondata sull'integrazione tra agricoltura e industria,
città e campagna, istruzione e apprendistato, organizzata
secondo un modello federativo in cui il consapevole ricorso
all'istinto naturale del mutuo soccorso esemplifica in termini
umani l'importanza della cooperazione quale fattore di evoluzione.
Uno solo era il punto fondamentale, ma cruciale, che costituiva
l'elemento di differenziazione fra comunismo anarchico e
collettivismo, ed era il sistema da adottare nella distribuzione
del prodotto del lavoro. Mentre i collettivisti e i mutualisti
insistevano sul principio che la retribuzione doveva essere
commisurata al lavoro svolto sulla base delle ore lavorative, i
comunisti anarchici ribadivano il concetto espresso nello slogan
‟da ognuno secondo la sua capacità, a ognuno secondo i suoi
bisogni". Come il protoanarchico Winstanley e il non-anarchico
Tommaso Moro, essi auspicavano la creazione di magazzini aperti
dove ognuno fosse autorizzato a prelevare senza neppure chiedere.
Sostenevano che il lavoro è una necessità naturale,
che l'uomo vi si sarebbe dedicato anche senza la spinta del
bisogno, e che se nessuna restrizione fosse stata imposta sui beni
disponibili per la distribuzione, nessuno sarebbe stato tentato di
prelevare più di quanto gli fosse necessario. Più
dei loro predecessori essi accentuarono l'importanza delle
organizzazioni comunitarie locali e delle associazioni volontarie
che avrebbero fatto della società un organico insieme di
sforzi autonomi, e sostennero la necessità della massima
autosufficienza economica locale come garanzia di indipendenza; al
tempo stesso, con la distruzione dello Stato-nazione,
preconizzavano una maggiore integrazione globale attraverso il
moltiplicarsi di associazioni volontarie su scala mondiale.
I comunisti anarchici erano orientati a operare in piccoli gruppi
che facevano propaganda con i fatti o con la parola. Il
sindacalismo anarchico rappresentò una tendenza
complementare nell'ultimo scorcio dell'Ottocento quando un gran
numero di anarchici entrò a far parte dei sindacati
francesi, che in quel periodo si stavano ricostituendo dopo la
soppressione seguita alla Comune di Parigi. Per un lungo periodo
di circa trent'anni, praticamente fino alla fine della prima
guerra mondiale, le dottrine sindacaliste rivoluzionarie predicate
dagli attivisti di convinzione anarchica che facevano parte dei
sindacati dominarono il movimento sindacale francese. Inoltre, a
partire dall'inizio del Novecento, gli anarchici dominarono il
movimento sindacale spagnolo attraverso la CNT, occuparono
posizioni preminenti nei movimenti sindacali dell'America Latina,
in Italia costituirono (attraverso l'Unione Sindacale Italiana)
una forte opposizione ai sindacati socialisti, e anche in
Germania, Olanda e Svezia formarono importanti minoranze
militanti. Elaborando le loro teorie in gran parte attraverso
l'esperienza della lotta in fabbrica, i sindacalisti trasferirono
le basi dell'organizzazione anarchica dalle Comuni, auspicate da
Kropotkin e dai suoi seguaci, ai sindacati, da essi considerati
come strumenti che univano i produttori nelle aspirazioni e nel
lavoro. La lotta comune doveva essere condotta essenzialmente
nelle fabbriche e negli altri stabilimenti industriali,
poiché proprio nei posti di lavoro gli operai potevano far
uso dell'azione diretta in modo più efficace contro i veri
avversari, i capitalisti; la forma più estrema ed efficace
di azione diretta era lo sciopero generale che doveva provocare la
fine non soltanto del capitalismo ma anche dello Stato. I
sindacati si sarebbero quindi trasformati da organi rivoluzionari
in unità fondamentali della libera società; gli
operai avrebbero gestito e controllato le fabbriche ove prima
prestavano il loro lavoro e si sarebbero confederati a seconda dei
settori industriali.
I concetti dottrinari del sindacalismo anarchico furono sviluppati
essenzialmente da operai militanti, come F. Pelloutier, G. Yvetot
ed E. Pouget, che crearono l'immagine di un movimento che
scaturiva dal genio delle masse lavoratrici.
Vi furono anche scrittori estranei al movimento che trassero le
proprie conclusioni teoriche dall'esperienza dei sindacalisti.
Georges Sorel nelle Reflexions sur la violence presentò lo
sciopero generale come un salutare ‛mito sociale' in grado di
potenziare la forza della società mantenendola in una
condizione di lotta perpetua. Certamente non tutti gli anarchici
furono favorevoli al sindacalismo anarchico. Gli individualisti
rifiutarono la sua mistica delle masse lavoratrici, e i comunisti
anarchici non gradirono la sua distinzione tra produttori e
consumatori. Sia gli individualisti, sia i comunisti anarchici
guardavano con orrore alla prospettiva di sindacati di massa che
sarebbero diventati strutture monolitiche cristallizzate
incompatibili con l'idea di libertà, e al Congresso
Internazionale Anarchico di Amsterdam nel 1907 Malatesta si
scontrò con il sindacalista P. Monatte in un famoso
dibattito in cui questi timori trovarono un'espressione esemplare.
Cionondimeno, in Francia, Italia e Spagna furono i sindacalisti
che portarono all'anarchismo la prima e unica adesione di massa, e
in Spagna, durante la guerra civile, furono i sindacalisti della
CNT che per un breve periodo misero in pratica i principi
anarchici nelle fabbriche di Barcellona e nei villaggi
dell'Andalusia, dimostrandone la vitalità e l'efficacia.
Inoltre, l'unica organizzazione internazionale anarchica che ebbe
successo dal punto di vista della durata, fu quella creata dai
sindacalisti a Berlino nel 1922 cui fu data l'antica denominazione
di Associazione Internazionale dei Lavoratori. Essa esiste ancora,
ha sede a Stoccolma ed è sostenuta dai sindacati svedesi
che sono le più importanti organizzazioni
anarco-sindacaliste tuttora in vita.
L'anarchismo pacifista, come l'anarchismo individuali- sta, ha
sempre agito ai margini del movimento storico, poiché il
fulcro della sua concezione era il convincimento che la violenza
è una forma di potere e che pertanto per essere coerente
l'anarchico dovrebbe essere un non-violento. Storicamente
l'anarchismo pacifista ha assunto due forme. Quella di Tolstoj
cercò di realizzare in forma concreta e razionale l'etica
cristiana. Tolstoj predicò una rivoluzione morale impostata
sul rifiuto dell'obbedienza, e Gandhi fu il suo maggiore
discepolo. Ma a prescindere dal problema della violenza, sia
Tolstoj sia Gandhi ebbero molti punti in comune con altri
anarchici nel rifiutare lo Stato, nel criticare la legge e la
proprietà, nell'auspicare una forma cooperativistica di
produzione e distribuzione secondo il bisogno. Una tendenza
pacifista distinta da quella di Tolstoj apparve nell'Europa
occidentale sotto la guida dell'ex socialista olandese D.
Nieuwenhuis. Nell'interpretazione di Nieuwenhuis e del suo
discepolo Bart de Ligt, questa tendenza accoglieva le forme
sindacaliste di lotta purché non giungessero alla violenza,
e incoraggiava l'idea dello sciopero generale, che naturalmente
non fu mai attuato, come unico mezzo per porre fine alla guerra.
L'anarchismo risentì molto del trionfo del comunismo in
Russia e del suo conseguente aumento di prestigio ovunque,
dell'instaurazione delle dittature fasciste in Europa e della
vittoria di Franco in Spagna. Dal 1939 non rimasero, in
realtà, che i resti di quello che era stato il movimento
anarchico.
Durante gli anni della guerra, dal 1939 al 1945, piccoli gruppi di
intellettuali in Inghilterra e negli Stati Uniti contribuirono in
notevole misura a mantenere viva l'idea anarchica e anche a dare
ad essa nuove prospettive in campo artistico e scientifico. Fra
questi intellettuali alcuni furono scrittori di grido: si pensi a
H. Read e A. Comfort in Gran Bretagna, a D. Macdonald, a P.
Goodman e K. Rexroth negli Stati Uniti.
Nel 1945, dopo la fine della guerra, gruppi anarchici riapparvero
in paesi fino allora oppressi da regimi dittatoriali, in
particolare in Italia e in Francia. A capo dei gruppi furono quasi
ovunque esuli rientrati in patria, e all'inizio le loro azioni
rappresentarono poco più che nostalgici tentativi di far
rivivere un passato ormai morto e non più attuale.
Durante gli anni cinquanta e fino all'inizio degli anni sessanta,
il movimento anarchico parve agonizzare, come se avesse ricevuto
nel 1939 un colpo mortale dalla resa incondizionata del caposaldo
anarchico di Barcellona alle forze nazionaliste del generale
Yague. Tuttavia prima del 1965 la capacità di ripresa
dell'anarchismo s'era ancora una volta manifestata, sia con un
risveglio del movimento sul piano politico, sia con un'assai
più larga diffusione delle idee anarchiche.
Si può riferire questo risveglio a una serie di situazioni
verificatesi nei paesi occidentali che avevano contribuito ad
alimentare un clima di sfiducia nelle strutture politiche
tradizionali. In America il movimento per i diritti civili
all'inizio degli anni sessanta, in Gran Bretagna l'indirizzo
radicale assunto nello stesso periodo dal Movimento per il disarmo
nucleare sotto la direzione del Comitato dei Cento (di cui
facevano parte molti anarchici) e su scala ben più vasta il
movimento della rivolta studentesca che ebbe inizio negli Stati
Uniti verso il 1965 e rapidamente si diffuse in Occidente,
assumendo forme drammatiche in Italia, Francia e Giappone: tutti
questi movimenti incitavano i giovani a ricercare forme
alternative di azione sociale rispetto a quelle che non erano
riuscite a porre fine alla guerra o a mali ancora peggiori quali
la miseria e la discriminazione razziale.
La ripresa moderna delle idee anarchiche si è manifestata
in molteplici direzioni. Vi fu un'ondata di interesse accademico
che iniziò verso il 1955, quando il movimento anarchico
sembrava ormai appartenere al passato. I primi trattati storici di
largo respiro furono pubblicati, assieme a opere più
circoscritte sull'anarchismo, in molti paesi, e in particolare in
Francia, Italia, Spagna e Russia. Vi fu anche un rifiorire di
associazioni anarchiche con vaste adesioni fra le giovani
generazioni che vi trasfusero il loro giovanile entusiasmo.
Riemersero quasi tutte le antiche sfumature della dottrina e
dell'azione anarchica, dal pacifismo radicale al terrorismo
praticato da gruppi come la Angry brigade in Inghilterra.
Un'importante caratteristica del nuovo sviluppo fu la forza che
l'anarchismo dimostrò in paesi nei quali in passato il suo
richiamo aveva avuto ben poca presa, come in Inghilterra e in
Olanda, dove il movimento che si denominò dei provos, e,
dopo il 1967, dei kabouters, attirò l'attenzione e la
simpatia del pubblico per l'introduzione di varianti originali
nella propaganda con l'azione. In Francia gruppi anarchici ebbero
un ruolo preminente nell'insurrezione di Parigi del 1968,
innalzando la tradizionale bandiera nera dell'anarchia sui palazzi
della Borsa e della Sorbona, e in Italia il movimento manifesta di
nuovo la sua vitalità in molte direzioni.
Ma negli ultimi anni le dottrine anarchiche - proprio
perché avversano più di tutte le altre i valori
impersonali del nostro mondo dominato dalla tecnologia - hanno
esercitato un richiamo ben al di là del movimento vero e
proprio, ed è facile individuare la profonda influenza che
hanno avuto su quel più esteso radicalismo che viene spesso
denominato ‛Nuova Sinistra'. Tuttavia l'ampliarsi del richiamo
esercitato dagli ideali libertari ne ha anche determinato
l'inquinamento, sicché molto spesso l'anarchismo si rivela
soltanto un elemento di quello che può forse essere
descritto come una forma mentis insurrezionale piuttosto che come
una nuova ideologia rivoluzionaria. Lo si ritrova commisto con
motivi del leninismo e del marxismo prima maniera, con tracce
della psicologia antitradizionale di W. Reich e di R. J. Laing,
con reminiscenze dei movimenti comunitari americani dei primi
pionieri e di quelli inglesi del periodo bellico, e spesso con
numerosi elementi derivati dal misticismo, dal neobuddhismo e dal
cristianesimo tolstoiano. Il rifiuto di accettare una qualsiasi
linea teorica ben definita - fosse anche anarchica - che fa parte
di un atteggiamento, oggigiorno assai diffuso, di contestazione di
qualsiasi forma di pensiero strutturato, fa sì che nessuno
dei capi delle famose rivolte studentesche americane come quelle
delle università di Columbia e di Berkeley, o delle
sollevazioni degli studenti tedeschi, o degli accaniti militanti
tra gli zengakuren in Giappone, può essere definito
anarchico in senso vero e proprio, pur essendo chiaro che la
maggioranza di costoro ha letto sia Bakunin sia Marx. Fra le file
dei seguaci di questi movimenti è presente un'ampia gamma
di elementi che va dai rari anarchici convinti e consapevoli, alla
massa degli aderenti occasionali, le cui motivazioni sono
anarcoidi piuttosto che anarchiche, frutto di frustrazione
piuttosto che di riflessione.
Purtuttavia, se dalla teoria si vuol passare al piano pratico,
è evidente che la tradizione anarchica è penetrata
profondamente nel radicalismo contemporaneo. Il rifiuto dello
Stato, l'accento posto sul decentramento e sulle
responsabilità individuali hanno trovato vasta eco nei
movimenti che chiedono che la democrazia non sia puramente
rappresentativa ma di partecipazione e che l'azione politica sia
diretta.
La frequenza con cui ricorre il tema del controllo dell'industria
da parte dei lavoratori in tanti manifesti del radicalismo
contemporaneo mostra in modo inequivocabile il persistente
influsso delle idee che Proudhon ha trasmesso ai sindacalisti
anarchici sulla capacità politica della classe lavoratrice.
L'anarchismo ancor oggi sta mostrando la sua importanza in quanto
movimento di protesta morale, di stimolo a esplorare vie nuove.
Quale sarà, siamo tentati di chiederci, l'effetto finale
del suo attuale e rinnovato slancio?
Mentre possiamo senza dubbio prevedere ampi mutamenti nelle
strutture delle relazioni sociali come risultato della sua
influenza, e in particolare un aumento della partecipazione dei
lavoratori al processo decisionale nel luogo di lavoro e dello
sviluppo di forme di azione democratica più diretta e
più sensibile alle esigenze attuali, è improbabile
invece che il risultato possa essere quello di una società
del tutto priva di governo, come viene sognata dai libertari.
Il valore dell'anarchismo continuerà con ogni
probabilità a risiedere essenzialmente nella sua forza di
idea ispiratrice, di visione che spinge ad agire, che ci fa
costantemente tendere verso una società ideale, la cui
realizzazione, man mano che ci si avvicina, si dimostra
irraggiungibile.
Ed è bene che sia così, poiché - come in
fondo gli anarchici ci hanno sempre insegnato con le loro
concezioni e le loro dottrine - un mondo di ordine perfetto
sarebbe però anche un mondo privo di vita.
Enciclopedia delle Scienze Sociali (1991)
di George Woodcock
Sommario: 1. Introduzione. 2. Prime manifestazioni: Winstanley e
Godwin. 3. Il mutualismo di Proudhon. 4. Bakunin e la Prima
Internazionale. 5. Kropotkin e il comunismo anarchico. 6. La
propaganda dei fatti. 7. L'anarcosindacalismo. 8. L'anarchismo in
Spagna. 9. Recenti manifestazioni dell'anarchismo. 10.
Marginalità sociale e geografica dell'anarchismo. □
Bibliografia.
1. Introduzione
Non c'è un'ortodossia anarchica, né un corpo di
principî dogmatici - paragonabile alle opere di Marx e di
Engels nell'ambito del comunismo marxista - e neppure una
tradizione organizzativa unitaria dell'anarchismo. Nel suo
significato più ampio esso comprende un insieme di dottrine
e di tendenze che, in un arco di tempo di oltre tre secoli, e
cioè dalla Rivoluzione inglese del XVII secolo alla fine
del XX, colpiscono più per il loro carattere proteiforme
che per la loro omogeneità. Tuttavia al centro di questo
variegato insieme di posizioni e di correnti vi è una ferma
convinzione comune: il governo è tanto dannoso quanto
inutile. Di qui deriva il termine 'anarchismo' - la radice greca
significa 'mancanza di governo' - usato almeno dalla metà
del XVII secolo, e originariamente con significato spregiativo.
Nella guerra civile inglese i democratici estremisti, i levellers,
furono chiamati Switzerizing anarchists dai loro avversari;
durante la Rivoluzione francese il capo girondino Jacques-Pierre
Brissot accusò il gruppo radicale degli enrangés di
favorire l'anarchia, e nel corso del processo diede di
quest'ultima una definizione negativa che prefigurava la
valutazione che sarà data dai critici dell'anarchismo
durante il XIX secolo: "Leggi non rispettate, autorità
deboli e disprezzate, crimini impuniti, proprietà
insidiata, sicurezza individuale violata, moralità pubblica
corrotta, assenza di costituzione, di governo, di giustizia:
questi sono i caratteri dell'anarchia". In seguito gli anarchici
avrebbero accettato di buon grado molte delle accuse di Brissot.
Essi si opponevano, infatti, sia alle costituzioni che ai governi
- colpevoli di inibire le naturali inclinazioni degli esseri umani
alla cooperazione - anche se non respingevano l'idea di giustizia,
che ritenevano sarebbe emersa spontaneamente in una società
non oppressa dalle leggi.
Disprezzavano l'autorità e per lo più consideravano
"la proprietà accumulata" (come William Godwin la
chiamò nel 1793 - lo stesso anno del giudizio di Brissot)
un mezzo con cui poche persone potevano opprimerne altre;
credevano fermamente che il crimine andasse compreso piuttosto che
punito e che esso fosse comunque il prodotto di una società
priva di libertà. Credevano, anzi, che distruggendo le
rigide strutture dell"'istituzione positiva" (il governo, nella
terminologia di Godwin) avrebbero potuto aprire la strada a una
società fondata sull'aiuto reciproco, armoniosa e pacifica,
dove le potenzialità individuali avrebbero potuto
svilupparsi alla luce della libertà.
Le concezioni anarchiche, la cui tendenza è stata quella di
manifestarsi nei periodi di crisi che dal XVII secolo in poi hanno
scosso e mutato la società europea, si differenziano da un
liberalismo radicale come quello di John Stuart Mill - che
parimenti insiste sull'importanza della libertà individuale
- in virtù di tre elementi che fanno dell'anarchismo, in
ogni sua fase e sfumatura, un movimento innovativo e anzi
rivoluzionario: una critica negativa e il rifiuto dell'ordinamento
sociale vigente basato sull'autorità; un modello ideale di
società libertaria alternativa fondata sulla cooperazione
anziché sulla coercizione; una strategia per passare dal
primo ordinamento al secondo. In generale, anche se
rivoluzionario, l'anarchismo non è utopistico: i suoi
sostenitori non prospettano quasi mai dei progetti
particolareggiati di società ideale; sarebbe presunzione,
infatti, secondo loro, per individui che vivono in un mondo senza
libertà, anticipare le preferenze che saranno proprie degli
uomini liberi. Ciò non toglie, ad ogni modo, che per gli
anarchici sia possibile delineare una certa immagine del tipo di
società che potrà operare efficientemente e
pacificamente senza governo.
2. Prime manifestazioni: Winstanley e Godwin
Nel Medioevo vi furono sette ereticali, come i catari e i
bogomili, che predicavano contro le autorità terrene; a
rigore, però, non si trattava di anarchici: rifiutare il
potere e sottrarvisi era solo un aspetto del proposito di
ritirarsi dal mondo materiale nel regno della grazia spirituale e
rientrava nella ricerca della salvezza individuale piuttosto che
della liberazione sociale. Il primo vero tentativo di
comunità anarchica, orientata al cambiamento della vita
terrena di uomini e donne, si ebbe in Inghilterra durante il
cosiddetto 'Commonwealth', con il movimento radicale dei diggers.
Il loro leader, Gerrard Winstanley, pubblicò nel 1649 un
pamphlet, Truth lifting up its head above scandals, dove si
trovano per la prima volta compendiati quelli che sarebbero
diventati i principî anarchici fondamentali: che il potere
corrompe, che la proprietà è incompatibile con la
libertà, che l'uno e l'altra sono le cause principali del
crimine, che gli uomini possono vivere felicemente solo in una
società senza governanti, dove il lavoro e i suoi prodotti
siano ripartiti equamente e in cui l'uomo agisca non
sottoponendosi alle leggi ma ascoltando la propria coscienza.In un
certo senso Winstanley, identificando Dio e Ragione, stava
portando le dottrine delle sette protestanti, caratterizzate dalla
diffidenza nei confronti dell'autorità, verso la loro
logica conclusione pratica. In Inghilterra egli guidò i
suoi seguaci nell'occupazione e nello sfruttamento delle terre
incolte e nell'organizzazione della resistenza passiva alle
ritorsioni dei proprietari terrieri.
I suoi esperimenti fallirono, i diggers non divennero mai un
movimento di massa ed egli stesso fu dimenticato per diversi
decenni. Quando, però, alla fine del XVIII secolo si
creò un'altra situazione rivoluzionaria, in Francia, le
idee anarchiche riemersero e la loro più notevole
manifestazione, An inquiry concerning the principles of political
justice and its influence on moral and happiness di William Godwin
(1793), fu influenzata proprio dalla tradizione dissidente inglese
- oltreché, certamente, dagli avvenimenti della Rivoluzione
francese.
La Political justice fu una delle molte opere scritte in risposta
a Edmund Burke e alle sue Reflections on the French revolution
(1790), di ispirazione conservatrice. In essa, invece di criticare
direttamente l'autore, con il quale era anzi d'accordo nel
deplorare gli eccessi terroristici dei giacobini, Godwin sottopose
a una critica serrata le stesse istituzioni politiche, formulando
così la prima esposizione organica delle idee anarchiche.
Essa non solo comprende la classica teoria anarchica, secondo cui
l'autorità è contro natura e i mali sociali
persistono perché gli uomini non sono liberi di agire
secondo ragione, ma delinea anche un'immagine di società
decentrata, fondata essenzialmente su piccole comunità
autonome. Secondo Godwin la "proprietà accumulata" è
fonte di potere sugli altri e il governo della maggioranza
è una forma di tirannia, mentre alcune procedure come il
voto (la pretesa di ottenere la verità contando) riducono
la responsabilità degli individui. Perciò egli
ipotizza un sistema economico improntato a semplicità e
libertà, in cui gli uomini danno e prendono secondo le loro
necessità, e propone di sostituire le ordinarie procedure
democratiche con una discussione che miri al consenso.
Su questi punti basilari Godwin anticipa gli anarchici delle
epoche successive, anche se è tenue il legame diretto tra
Political justice e il vasto movimento anarchico sviluppatosi,
principalmente sul continente europeo, intorno alla metà
del secolo scorso.
Godwin godette di una considerevole reputazione in Gran Bretagna
durante gli anni novanta del XVIII secolo ed ebbe una notevole
influenza sui circoli letterari: Shelley, Wordsworth, Coleridge,
Hazlitt e anche Lytton furono tutti, anche se temporaneamente,
suoi discepoli. Il suo impatto sul pensiero sociopolitico del
tempo avvenne soprattutto attraverso gli scritti di un suo tardo
discepolo, Robert Owen: grazie alla comunità fondata da
quest'ultimo e ai suoi esperimenti cooperativi e sindacali,
Political justice esercitò un'influenza sotterranea sugli
aspetti più libertari della politica della classe
lavoratrice inglese.
3. Il mutualismo di Proudhon
In un'Europa continentale politicamente inquieta - l'ultima
monarchia borbonica, quella del 're cittadino' Luigi Filippo,
sarebbe stata di lì a poco spazzata via dalla rivoluzione
del 1848 - Pierre-Joseph Proudhon fissò, indipendentemente
da Godwin, le basi teoriche dell'anarchismo. Figlio di un birraio
di estrazione contadina originario della Franca Contea, nel corso
degli anni trenta si era legato a società segrete radicali
di Lione, in particolare ai mutualisti. Qu'est-ce que la
proprieté? (1840) - dove per la prima volta impiegò
il termine 'anarchico', liberandolo da connotazioni negative, per
caratterizzare l'atteggiamento contrario a ogni forma di governo -
lo rivelò come polemista. L'incontro con personalità
quali Karl Marx e Mikhail Bakunin, nonché l'esperienza
della rivoluzione del 1848 (fu anche direttore di diversi
giornali, presto soppressi dalla censura) lo aiutarono a
sviluppare i concetti di mutualismo economico, federalismo sociale
e azione diretta, che rappresentano il suo contributo alla
tradizione anarchica e che più tardi faranno dire a
Bakunin: "Proudhon è il maestro di noi tutti".
Mutualismo, per Proudhon, è la volontaria riorganizzazione
dell'economia su basi egualitarie, ma non, si badi, in senso
comunista. Per usare la sua celebre formula, "la proprietà
è un furto" se sfrutta l'altrui lavoro; non lo sarà
più quella che permetterà al singolo produttore o al
gruppo di lavoratori di controllare la terra, gli impianti o gli
elementi necessari alla produzione. Questa forma modificata di
proprietà - il "possesso" - non solo non è
combattuta da Proudhon, ma è anzi ritenuta una condizione
essenziale della libertà. Il futuro da lui preconizzato,
pur contemplando il formarsi di concentrazioni di lavoratori,
occupati nelle fabbriche e nei servizi pubblici di recente
introduzione (reti idriche, ferrovie, gasdotti), ricalca per il
resto la situazione francese del tempo: rivoluzione industriale ai
suoi primi, difficili passi e produzione affidata prevalentemente
ai piccoli laboratori artigianali. Contadini e artigiani avrebbero
pur sempre formato la maggior parte della forza lavoro; ma i
rapporti tra questi lavoratori, autonomi o associati, non
sarebbero più stati, pena il sacrificio della
libertà, di tipo politico, bensì di natura
economica: un vasto sistema di mutuo credito e scambio, incentrato
su una rete di banche del popolo.
Nel corso della rivoluzione del 1848 lo stesso Proudhon
cercò invano di dar vita alla prima di queste banche (molti
anni dopo, una versione modificata della proudhoniana banca del
popolo apparirà nell'unione di credito o caisse populaire).
Nemico, come tutti gli anarchici, dello Stato centralizzato di
tradizione giacobina, in due dei suoi libri più influenti -
Idée générale de la Révolution au XIXe
siècle (1851) e Du principe fédératif (1863)
- Proudhon sviluppò l'idea di sostituire allo Stato-nazione
un sistema di comunità locali autonome e di associazioni
industriali federate tra loro e legate per contratto e reciproco
interesse, piuttosto che da leggi e costituzioni (all'Assemblea
rivoluzionaria del 1848 dichiarò di aver votato contro la
costituzione proposta per la Seconda Repubblica solo
"perché è una costituzione"). Giurie arbitrali,
l'autogestione dei lavoratori e un sistema educativo capace di
integrare lavoro intellettuale e attività pratica avrebbero
sostituito i tribunali, la burocrazia e l'istruzione tradizionale.
"L'anarchia è ordine", dichiarò Proudhon: egli
vedeva nel suo modello federativo la garanzia di un'unità
sociale naturale, opposta, quindi, al caos del sistema vigente,
dove ogni ricerca di ordine prelude a una "tirannia senza fine".
Proudhon non cercò mai dei seguaci, pur avendone molti,
né aspirò a fondare un partito, ma nella sua opera
postuma, De la capacité politique des classes
ouvrières (1865), insiste sul fatto che la liberazione dei
lavoratori deve essere compito dei lavoratori stessi, organizzati
nelle loro associazioni industriali, ponendo così le basi
di un movimento che avrebbe respinto la politica democratica e
parlamentare a favore di varie forme di azione diretta.Proudhon
morì nel 1864, ma visse abbastanza per apprendere che un
gruppo di lavoratori francesi, i quali si richiamavano alle sue
concezioni e si definivano mutualisti, si erano riuniti a Londra
con sindacalisti inglesi e rifugiati politici europei per fondare
l'Associazione Internazionale dei Lavoratori (più nota come
Prima Internazionale). All'interno di questa organizzazione si
sviluppò una lotta tra i suoi seguaci e quelli di Marx,
difensori dell'azione politica volta alla conquista del potere
statale e all'instaurazione della dittatura del proletariato.
4. Bakunin e la Prima Internazionale
L'Europa, quando nacque l'Internazionale, era ancora al centro di
una crisi politica. Nel 1870 il Secondo Impero crollò in
seguito alla sconfitta francese nella guerra franco-prussiana; con
la fondazione della Terza Repubblica iniziò a Parigi una
rivolta di federalisti, la Comune, cui parteciparono simpatizzanti
di Proudhon e altri membri dell'Internazionale. La
brutalità dimostrata dalle autorità repubblicane nel
reprimere questa sollevazione armata spinse il nascente anarchismo
al di là della prospettiva proudhoniana di una rivoluzione
attuata mediante la persuasione e l'esempio, verso l'atteggiamento
più violento di un russo di estrazione aristocratica,
Mikhail Bakunin, il quale aveva dichiarato una volta che "la
spinta alla distruzione è, insieme, un'esigenza di
creazione", e dalla fine degli anni sessanta era ormai il leader
dell'opposizione libertaria ai tentativi marxisti di controllare
l'Internazionale. In precedenza Bakunin aveva appoggiato i moti
rivoluzionari nazionalisti in regioni slave come la Polonia e la
Boemia, e, prima di fuggire in Occidente, aveva passato molti anni
nelle prigioni russe e in esilio in Siberia; negli anni sessanta,
non ancora entrato nell'Internazionale, aveva fondato una propria
organizzazione semiclandestina, l'Alleanza internazionale della
democrazia socialista, che gli procurò un seguito in
Spagna, Italia, Francia meridionale e Giura svizzero.
Proudhoniano quanto a federalismo e a insistenza sulla
necessità dell'azione diretta della classe lavoratrice,
nemico di ogni forma di autorità politica quanto il suo
predecessore, Bakunin riteneva però inattuabili le
modifiche del diritto di proprietà proposte da
quest'ultimo, alle quali, pur riaffermando il criterio della
redistribuzione proporzionale al lavoro effettivamente prestato,
opponeva la proprietà collettiva dei mezzi di produzione.
L'insistenza di Bakunin sull'azione rivoluzionaria violenta e sul
collettivismo - piuttosto che il più moderato mutualismo di
Proudhon - avrebbe dominato la corrente principale dell'anarchismo
dalla Prima Internazionale fino alla vittoria, nel 1939, dei
nazionalisti reazionari nella guerra civile spagnola, che
segnò la fine dell'anarchismo come movimento di massa. Lo
scontro all'interno dell'Internazionale si trasformò nella
lotta tra due fazioni che aderivano entrambe all'idea della
rivoluzione violenta: i marxisti, che propugnavano un'insurrezione
guidata da un partito disciplinato che avrebbe dato vita a una
dittatura rivoluzionaria, e i bakuninisti, che sostenevano una
sollevazione spontanea dei diseredati, che avrebbe creato una
società fondata sulla cooperazione e non sulla coercizione.
L'Internazionale si divise definitivamente in due frazioni al
Congresso dell'Aia del 1872. I bakuninisti mantennero il controllo
del movimento dei lavoratori nei paesi latini - Italia, Spagna,
Francia meridionale e Svizzera francese -, che sarebbero rimasti i
capisaldi dell'anarchismo europeo. Nel 1873, al Congresso di St.
Imier nel Giura, i bakuninisti fondarono una propria
Internazionale; nello stesso periodo i suoi membri iniziarono a
definirsi anarchici piuttosto che collettivisti.
5. Kropotkin e il comunismo anarchico
Anche se l'anarchismo rimase una corrente minoritaria tra i
movimenti rivoluzionari russi del secolo scorso, i suoi leaders
più influenti a livello internazionale furono russi:
Bakunin e Kropotkin, un principe di antico lignaggio e brillante
geografo, quest'ultimo, il quale, rinunciando sia al proprio
titolo che alla propria vocazione, l'anno stesso della morte di
Bakunin (1876) diventò un rivoluzionario. Come Bakunin,
Pëtr Kropotkin ebbe una movimentata carriera di militante,
vividamente descritta nell'autobiografia, Memoirs of a
revolutionist (1899). Imprigionato per attività cospirative
in Russia e per propaganda sovversiva nella Francia meridionale,
nel 1886 si stabilì in Inghilterra, dove scrisse i libri
che costituiscono il suo contributo principale alla tradizione
anarchica, e vi restò fino al 1917 (allo scoppio della
Rivoluzione tornò nel suo paese, dove morì nel
1921).
Il nome di Kropotkin è legato soprattutto alla tendenza
generalmente nota come 'comunismo anarchico', tendenza che
accentuava l'assunto proudhoniano secondo cui la vera rivoluzione
dev'essere economica piuttosto che politica. Convenendo sulla
necessità della proprietà comune dei mezzi di
produzione, insieme al geografo Élisée Reclus, suo
seguace, Kropotkin dava però espressione a quel sentimento,
piuttosto diffuso tra gli anarchici, secondo cui il collettivismo
bakuniniano (a ognuno secondo il proprio lavoro) non era
sufficientemente equo e generoso. A esso veniva opposta una
particolare forma di comunismo che, riprendendo lo slogan "da
ognuno secondo la sua capacità, a ognuno secondo i suoi
bisogni", accettava che i mezzi di produzione fossero di
proprietà comune, ma postulava una libera distribuzione dei
beni secondo le necessità: Kropotkin espose nel modo
più organico la dottrina del comunismo anarchico in La
conquête du pain (1892). Il modello qui delineato di una
società rivoluzionaria organizzata come una federazione di
libere comuni troverà ulteriore sviluppo in Mutual aid: a
factor in evolution (1902), un classico dell'anarchismo, in cui
s'intende appunto dimostrare che gli sviluppi dell'evoluzione
animale e umana sono stati favoriti più dalla cooperazione
che dalla competizione.
In Fields, factories and workshops (1899) Kropotkin avanzò
delle ipotesi sulla centralizzazione dell'industria e
sull'integrazione di lavoro agricolo e industriale, considerate
appropriate a una società non sottoposta a una qualche
forma di governo, ipotesi che ritroveremo in molte delle
argomentazioni degli ambientalisti della fine del XX secolo.Queste
opere completano la rappresentazione teorica di un futuro
anarchico, e gli scritti successivi hanno fatto poco più
che adattare alle via via diverse situazioni sociali e politiche
del mondo contemporaneo le concezioni già delineatesi nel
periodo che va da Godwin a Kropotkin.
6. La propaganda dei fatti
L'anarchismo è sempre stato, comunque, oltre che un fatto
ideologico, un modo di sentire, e si è espresso tanto
attraverso la riflessione intellettuale, quanto per mezzo di
un'azione dai forti toni emotivi. Anzi, alla fine del secolo
scorso gli scritti teorici di Kropotkin relativi alle forme di una
società anarchica e alle basi scientifiche dell'anarchismo
ebbero, per lo sviluppo del movimento, minor rilevanza immediata
della comparsa tra i bakuninisti italiani della nozione di
'propaganda dei fatti'.
Nel 1876 Errico Malatesta, dichiarando che "l'atto insurrezionale,
volto ad affermare i principî socialisti con i fatti,
è lo strumento di propaganda più efficace",
esprimeva una convinzione ormai diffusa tra i suoi compagni
italiani. Le prime azioni promosse da Malatesta e dai suoi sodali
furono le rivolte contadine, con l'intento di destare le masse
analfabete delle campagne dell'Italia meridionale. Fallite tali
azioni, anzitutto per l'inerzia di queste masse, l'attività
degli anarchici assunse caratteri più individualistici.
Diverse personalità politiche furono uccise o rischiarono
di esserlo: gli anarchici speravano così di dimostrare la
vulnerabilità dell'autorità e, inoltre, di
sollecitare le masse con il proprio martirio (spesso, infatti,
essi affrontavano la ghigliottina e la forca con i loro canti di
sfida). Fu così decisa, tra il 1890 e il 1901, una serie di
omicidi simbolici, diretti soprattutto contro capi di Stato: tra
le vittime, re Umberto I in Italia e i presidenti Carnot e
McKinley rispettivamente in Francia e negli Stati Uniti. Questa
breve ma drammatica sequenza di attentati fissò
nell'immaginario collettivo l'idea dell'anarchico come crudele
nichilista.
Dopo il 1901, comunque, gli anarchici continuarono a praticare un
terrorismo su vasta scala soltanto in paesi come la Spagna e la
Russia, dove il clima politico generale era propizio a una
violenza di questo tipo.Raramente gli atti terroristici furono
eseguiti da gruppi organizzati. Essi furono, anzi, l'indice di una
tendenza all'individualismo che determinava una situazione
paradossale: col rapido diffondersi delle idee anarchiche cresceva
pure la frammentazione organizzativa. Col disgregarsi
dell'Internazionale il piccolo gruppo, che faceva propaganda con i
fatti o con la parola, divenne l'organismo tipico. Da tutta una
serie di congressi mondiali (i più importanti si svolsero a
Londra nel 1881 e ad Amsterdam nel 1907) non scaturì una
duratura organizzazione internazionale, né ebbe maggior
successo la ricerca di un coordinamento su scala nazionale,
persino dove gli anarchici erano numerosi, come in Francia e in
Italia. La riluttanza verso qualsiasi forma di disciplina di
partito rendeva difficile la formazione di un solido movimento di
massa.
7. L'anarcosindacalismo
Molti anarchici, però, compresero che nell'inquieto clima
dell'industria di fine secolo vi era un grande seguito potenziale
se solo essi avessero saputo raccoglierlo. In Francia decisero
quindi di entrare in quei sindacati in nuce che, con il graduale
attenuarsi della repressione seguita alla Comune parigina,
cominciavano ad apparire. Gli anarchici si concentrarono nelle
bourses de travail, reti a carattere locale - si ricordi l'opzione
degli anarchici per il decentramento - di associazioni
originariamente nate per procurare lavoro ai propri membri. Nel
1893 nacque una confederazione nazionale di bourses de travail, la
quale divenne il campo d'azione per quegli anarchici che
propendevano per una qualche forma di organizzazione, più
di altri loro compagni orientati in senso individualistico. Nel
1895 costoro avevano già assunto il virtuale controllo di
questo organismo della classe operaia e, guidati da Fernand
Pelloutier ed Émile Pouget, svilupparono quella teoria e
quella pratica dell'azione operaia che furono poi note come
anarcosindacalismo o sindacalismo rivoluzionario.
La tesi di fondo di questa corrente era che il ruolo tradizionale
dei sindacati, e cioè la lotta per salari e condizioni di
lavoro migliori, non avrebbe mutato in nulla una società
fatta di coercizione e disuguaglianza. I sindacati avrebbero
dovuto invece dedicarsi alla distruzione del capitalismo e dello
Stato; loro scopo precipuo avrebbe dovuto essere quello di
assumere il controllo dei luoghi di lavoro, e creare così
la struttura di base di una società postrivoluzionaria. Era
dunque necessaria una continua lotta, la cui grande arma doveva
essere lo sciopero generale. Diversi sindacalisti credevano che
uno sciopero generale internazionale, "una rivoluzione delle
braccia incrociate", avrebbe causato il crollo dello Stato e la
fine del sistema capitalistico. Non si tentò mai di
realizzare nulla di simile; tuttavia l'impegno degli
anarcosindacalisti procurò loro un grande prestigio tra i
lavoratori francesi e, più tardi, in Spagna e in Italia. La
conseguenza fu che il movimento anarchico si sviluppò al di
là dei limiti dei vecchi gruppi proudhoniani di artigiani
indipendenti, e si diffuse tra gli operai: al punto che, quando
nel 1902 fu fondata la Confédération
Générale du Travail, gli anarchici ne assunsero il
controllo (lo conservarono fino al 1908 e anche in seguito ebbero
una grande influenza nella CGT finché, sull'onda della
Rivoluzione russa, i comunisti non ne ottennero la direzione).
Molti degli anarchici più tradizionalisti dissentivano sul
carattere monolitico, approvato dai sindacalisti, delle grandi
organizzazioni operaie; al Congresso di Amsterdam (1907) Errico
Malatesta espresse con forza la preoccupazione che tali potenti
sindacati avrebbero potuto portare i loro interessi già
consolidati all'interno di una società rivoluzionaria.
Resta il fatto che, nella misura in cui l'anarchismo riuscì
a essere un movimento tale da influenzare le masse, e anzitutto il
proletariato urbano, ciò avvenne soprattutto attraverso il
sindacalismo rivoluzionario.In Russia l'influenza degli
anarcosindacalisti declinò rapidamente - e lo stesso, di
riflesso, accadde in Francia - con il consolidarsi del potere
bolscevico dopo la vittoria nella guerra civile (1917-1921).
Nonostante l'influenza di emigrati quali Bakunin e Kropotkin in
Europa occidentale, in Russia l'anarchismo fu un movimento
relativamente secondario e solo per un breve periodo, dopo la
Rivoluzione, apparve qualcosa di simile a un movimento di massa.
Ma anche allora, nelle città, i piccoli gruppi anarchici si
dimostrarono impotenti di fronte ai bolscevichi; lo stesso
Kropotkin, rientrato dall'esilio, scoprì di aver perduto
tutta la sua influenza quando tentò di persuadere Lenin ad
adottare misure più umane. Vero è che nel sud del
paese un contadino anarchico, Nestor Makhno, organizzò un
vero e proprio esercito insurrezionale, assai efficiente, e con
brillanti tattiche di guerriglia sottrasse gran parte dell'Ucraina
sia all'Armata Rossa che all'Armata Bianca. Tuttavia, nello stato
di guerra permanente che prevaleva nella regione, Makhno e i suoi
compagni furono in grado di attuare solo rudimentali esperimenti
di innovazione sociale, che del resto ebbero fine nel 1921, quando
egli fu sconfitto e costretto all'esilio.Nonostante le sconfitte
subite in Francia e in Russia, in altri paesi la forza
dell'anarcosindacalismo si conservò intatta.
Nel 1922 i suoi militanti costituirono una loro organizzazione che
riprese il nome della vecchia Associazione internazionale dei
lavoratori (di cui sopravviveva qualcosa in Svezia) e fissò
la propria sede centrale a Berlino. Vi aderirono l'Unione
Sindacale Italiana (mezzo milione di iscritti) e leghe e
federazioni presenti in Argentina, Portogallo, Germania, Svezia e
Olanda (ciascuna con cento-duecentomila membri). Nel frattempo, al
di là dell'Atlantico, dove operavano anarchici
individualisti nordamericani quali Benjamin Tucker e Josiah
Warren, nonché gruppi anarcocomunisti di immigrati guidati
da personalità quali Emma Goldman e Alexander Berkman, la
tendenza sindacalista diede vita all'Industrial Workers of the
World (IWW), un movimento di lavoratori che, oltre a lottare per
miglioramenti immediati, mirava alla distruzione dello Stato e del
capitalismo. L'IWW organizzò attivamente minatori,
taglialegna, e lavoratori non specializzati negli Stati dell'Ovest
e in Canada, ma a partire dalla prima guerra mondiale la sua
influenza cominciò a diminuire.
8. L'anarchismo in Spagna
Fu in Spagna, comunque, che l'incontro di anarchismo e
sindacalismo ebbe il maggior successo. Qui il più numeroso
movimento anarchico del mondo fu a lungo anche il più forte
movimento di lavoratori del paese. Il primo giornale anarchico del
mondo, El Porvenir, fu fondato a La Coruña nel 1845 da un
seguace di Proudhon, Ramón de la Sagra, le cui idee
influenzarono i cantonalisti i quali, durante la rivoluzione del
1871, cercarono di trasformare lo Stato in una confederazione
decentrata. Con l'arrivo, nel 1868, dell'italiano Giuseppe Fanelli
come delegato dell'Internazionale la situazione cambiò e
all'influenza di Proudhon si sostituì quella di Bakunin.
L'Internazionale si sviluppò rapidamente in Spagna. Nel
1873 essa poteva contare su 60.000 membri, organizzati in
associazioni di lavoratori, i quali appoggiarono l'Internazionale
libertaria di St. Imier.
Nel corso dei decenni successivi l'anarchismo spagnolo fu
costretto alla clandestinità; tuttavia continuò a
crescere, facendo leva su due gruppi sociali eterogenei, gli
operai catalani e i contadini poveri andalusi.Nel corso degli anni
ottanta e novanta il movimento anarchico spagnolo non si
discostò da quello francese e italiano, per la propensione
all'insurrezione (soprattutto tra i contadini andalusi) e al
terrorismo (causato in larga misura dalla violenza esercitata dai
datori di lavoro catalani durante le lotte sociali). L'influenza
del sindacalismo rivoluzionario francese divenne forte all'inizio
del XX secolo. Nel 1907 i lavoratori di Barcellona diedero vita a
una propria organizzazione sindacale, Solidaridad Obrera, che si
allargò rapidamente a tutta la Catalogna e che nel 1909
organizzò uno sciopero generale per protestare contro il
richiamo dei riservisti per combattere in Marocco. Seguì la
'semana trágica', una settimana di violenze su vasta scala,
con centinaia di morti e molte chiese bruciate per protesta contro
l'alleanza del cattolicesimo con l'autocrazia spagnola. Le
autorità risposero con una dura repressione; gli anarchici
furono torturati nella fortezza di Montjuich, dove, sulla base di
false accuse, venne giustiziato Francisco Ferrer, fondatore della
Escuela moderna e innovatore dei metodi pedagogici. Ciò
provocò proteste in tutto il mondo e le dimissioni del
governo spagnolo.La stessa Confederación Nacional del
Trabajo (CNT), la più forte organizzazione del lavoro
spagnola, nacque in seguito a questi avvenimenti.
Tale organizzazione era dominata da militanti anarchici i quali,
nel 1927, fondarono una propria organizzazione, la
Federación Anarquista Ibérica (FAI). Di fatto,
all'interno della CNT fu costante il conflitto tra moderati e
attivisti anarchici, ma il clima di violenza in cui agiva la
sinistra spagnola consentì ai militanti più
estremisti, come il famoso capo guerriglia Buenaventura Durruti,
di esercitare un'influenza decisiva. La CNT era un'organizzazione
fortemente decentrata, fondata sul volontariato (disponeva di una
sola segretaria retribuita); già nel 1919 contava 700.000
membri, i quali, quando nel 1936 iniziò la guerra civile
spagnola, erano diventati 1.600.000 (saliranno a 2.000.000 prima
della fine del conflitto).Quando re Alfonso XIII abdicò
(1931), la CNT uscì dalla clandestinità,
dimostrandosi però ostile alla repubblica tanto quanto lo
era stata alla monarchia, com'è testimoniato dalle numerose
insurrezioni anarchiche dell'inizio degli anni trenta. Tuttavia,
quando iniziò la guerra civile, gli anarchici, esperti in
guerriglia urbana, furono i principali artefici della sconfitta
dei generali insorti: a Barcellona, a Valencia e nelle campagne
catalane e andaluse. Essi guardarono alla guerra civile come al
segnale per la rivoluzione sociale a lungo preparata: i comitati
dei lavoratori s'impadronirono delle fabbriche e dei servizi
pubblici in Catalogna; in centinaia di villaggi i contadini
occuparono le terre e fondarono comuni libertarie, al cui interno
la terra era coltivata in comune, la moneta abolita e i prodotti
alimentari e gli altri generi di prima necessità equamente
ripartiti.
Nel corso della guerra civile gli anarchici dovettero affrontare
l'ostilità del crescente potere dei comunisti, la cui
posizione in Spagna era favorita dai rifornimenti di armi dalla
Russia, e nel maggio del 1937 ci fu un aspro scontro tra i due
gruppi a Barcellona. Con la conquista della città da parte
di Franco (1939) si concluse il periodo più glorioso
dell'anarchismo spagnolo in quanto movimento di massa; infatti in
esilio non ne sopravvisse che una parvenza.
9. Recenti manifestazioni dell'anarchismo
Nel periodo che precede la sconfitta dell'anarchismo spagnolo, nel
1939, in alcuni altri paesi (Italia, Germania, Portogallo) i
movimenti anarchici erano stati repressi dai governi totalitari,
mentre gli Stati Uniti, in seguito all'assassinio McKinley (1901),
avevano adottato leggi che discriminavano gli anarchici.
Nonostante ciò l'anarchismo riuscì a sopravvivere,
almeno come movimento di minoranze, e durante l'ultimo conflitto
mondiale costituì importanti centri di attività
antimilitarista in Inghilterra e negli Stati Uniti; inoltre la sua
influenza indiretta in molti paesi e in contesti diversi fu
considerevole. L'anarcosindacalista Ricardo Flores Magon
esercitò una notevole influenza su Emiliano Zapata, il
leader contadino della rivoluzione messicana dell'inizio del
secolo.
Gli insegnamenti libertari di Lev Tolstoj - il quale, pur
rifiutando sempre l'appellativo di anarchico, denunciava lo Stato
e insisteva sulla necessità di una società fondata
sul decentramento e la cooperazione - si radicarono soprattutto in
India, grazie a Gandhi. Quest'ultimo, che in diverse occasioni si
definì anarchico, mise in pratica la lezione di
disobbedienza civile dello scrittore russo già lottando in
Sudafrica contro la discriminazione razziale; tornato in India,
oltre a sviluppare le tattiche dell'azione diretta non violenta -
che costituirono un fattore determinante nella lotta dell'India
per l'indipendenza - prospettò altresì per il
proprio paese, dopo la sua liberazione, un progetto di
società decentrata, imperniato sul collegamento tra quei
villaggi dove ancor oggi vive l'80% degli Indiani. Al momento
della dichiarazione d'indipendenza dell'India (1947), i dirigenti
politici del Congresso non seguirono tali indicazioni e optarono,
invece, per uno Stato nazionale militaristico di stampo europeo.
Dopo la morte di Gandhi, però, il movimento Sardovaya,
guidato da Vinoba Bhave, e il movimento Jayaprakash Narayan
diffusero sempre più la teoria e la pratica del gramdan,
associazione di villaggi basata sulla cooperazione e sul possesso
comune della terra.
Nell'Europa occidentale e nell'America settentrionale si è
avuta una rinascita dell'anarchismo nel corso degli anni sessanta,
quando i giovani radicali iniziarono a riscoprire il pensiero e
gli scritti libertari; la tradizione e la filosofia anarchiche
sembrarono importanti per affrontare i problemi del momento e
guadagnarono un certo grado di rispettabilità
intellettuale. Proprio per questo, durante la rivolta parigina del
1968, le nere bandiere degli anarchici sventolarono sugli edifici
pubblici.Sin dai tempi di Godwin l'anarchismo ha esercitato, con
l'austera semplicità dei suoi insegnamenti, un forte
richiamo su intellettuali e artisti. Pittori come Camille Pissarro
e Augustus John, poeti come Herbert Read e Kenneth Rexroth
entrarono nelle file anarchiche; pianificatori sociali come
Patrick Goddes e Lewis Mumford si dimostrarono, nei loro studi di
urbanistica, assai sensibili alle tesi di Kropotkin sul
decentramento. La diffidenza verso la grande industria e verso uno
smodato progresso tecnologico ha naturalmente spinto gli anarchici
a partecipare alle battaglie ambientaliste; su questo punto
è avvenuto il loro incontro con un pensatore poliedrico
come Aldous Huxley, convinto che solo il decentramento e la
semplificazione, uniti a una politica "kropotkinistica e
cooperativisitica", potrebbero evitare le conseguenze negative
implicite negli sviluppi sociali contemporanei. Intellettuali
anarchici come Herbert Read (in Education through art) e Paul
Goodman si sono ispirati a Godwin sviluppando forme creative di
libera educazione.
Forse però la novità più importante
nell'anarchismo attuale è rappresentata dal progressivo
abbandono della retorica rivoluzionaria e della speranza di
realizzare una società pienamente libertaria in un futuro
immediato. La tendenza, nel caso di teorici anarchici
contemporanei come Paul Goodman, Colin Ward e George Woodcock,
è stata quella di insistere, come per primo aveva fatto
Kropotkin in Mutual aid, sul fatto che sono le 'istituzioni'
spontanee a dare un senso autentico alla vita della società
e che la resistenza a un governo coercitivo può
fruttuosamente combinarsi con lo sviluppo delle tendenze
innovative già esistenti. E infatti, in anni recenti, gli
anarchici sono stati attivi nel movimento ambientalista e in
quello pacifista, nella difesa dei diritti delle minoranze e della
libertà di parola, in diversi tipi di gruppi cooperativi e
di comunità di base, nella difesa di un'educazione libera e
spontanea, e soprattutto nel promuovere quello che Herbert Read ha
chiamato "un processo di individuazione, accompagnato da
un'istruzione generale e una disciplina personale". Le antiche
speranze millenaristiche dell'anarchismo restano una pietra di
paragone per giudicare la società esistente piuttosto che
un obiettivo raggiungibile a breve scadenza.
10. Marginalità sociale e geografica dell'anarchismo
Uno degli aspetti salienti dell'anarchismo - in sede di
considerazione retrospettiva - è stata la sua
marginalità geografica e sociale rispetto alle linee di
sviluppo dominanti nei due secoli che ci separano dalla Political
justice di Godwin (1793). Esso fu veramente forte non nei centri
nevralgici dello sviluppo industriale, ma in quelle regioni che,
sul finire del secolo scorso, si era soliti considerare
'arretrate' e, dunque, non nell'ambito della sempre più
ricca e potente middle class o del più stabile proletariato
industriale, al quale i marxisti facevano appello, ma all'interno
di altre classi. Il gruppo di sostenitori di Bakunin
nell'Internazionale - grazie al quale la frazione libertaria
riuscì a sopravvivere come organizzazione, anche se
nettamente distinta dai marxisti e dal loro Consiglio Generale di
New York - apparteneva ai paesi latini (Spagna, Italia, Francia
meridionale e Svizzera francese), marginali rispetto ai centri
industrializzati del XIX secolo, che si affacciano sul Mare del
Nord.
Analogamente, in Russia l'anarchismo si presentò come un
movimento di massa solo nell'Ucraina meridionale, lontano dai
grandi centri urbani di Pietrogrado e Mosca.In termini sociali
l'anarchismo all'inizio fu, con Proudhon, un movimento che si
rivolgeva ai contadini e agli artigiani (autonomi o occupati in
piccoli laboratori), e fu tra questi che trovò i suoi primi
sostenitori; furono questi proudhoniani a formare il contingente
francese nei primi tempi dell'Internazionale e a partecipare alla
Comune parigina del 1871. Bakunin sottolineò il contrasto
fra il suo approccio e quello dei marxisti, insistendo sulle
potenzialità rivoluzionarie delle popolazioni contadine
(curiosamente anticipando in ciò Mao Zedong) e di quegli
strati non produttivi e ribelli delle classi inferiori che
formavano la formidabile massa della 'plebe' urbana dei primi
dell'Ottocento, il Lumpenproletariat, secondo la sprezzante
definizione marxiana.Molti furono i contadini che aderirono
all'anarchismo nella Spagna meridionale, in particolare in
Andalusia e nelle aree rurali della Catalogna, e nell'Ucraina
meridionale di Nestor Makhno; mentre i tentativi di Malatesta di
risvegliare i contadini poveri dell'Italia meridionale ebbero,
invece, scarso successo. Inoltre, l'anarchismo dei contadini ebbe
una sua rilevanza nella rivoluzione messicana, e in particolare
nell"esercito del sud' - l'esercito rivoluzionario contadino
guidato da Zapata e influenzato dall'insegnamento di Ricardo
Flores Magon.
La più significativa adesione all'anarchismo da parte di
piccoli artigiani si ebbe forse nel Giura svizzero durante gli
anni settanta del secolo scorso, quando esso si diffuse non tra
gli operai, ma tra gli artigiani orologiai che lavoravano a
contratto in casa propria. Essi furono, all'interno
dell'anarchismo, i più fedeli seguaci di Bakunin e i
mentori di Kropotkin.L'anarchismo si diffuse anche tra gli operai
soprattutto attraverso l'anarcosindacalismo, le cui dottrine sulla
lotta permanente, sul controllo operaio dell'industria e sullo
sciopero generale di carattere millenaristico trovavano un terreno
favorevole in quelle aree dove la produzione industriale era ai
suoi esordi e in cui le relazioni tra operai e datori di lavoro
erano dirette e brutali, non mediate da sindacati riconosciuti e
da meccanismi di contrattazione. Questo spiega il successo
temporaneo dell'anarcosindacalismo in Francia nei decenni che
seguirono la Comune, quando la classe lavoratrice francese stava
assai faticosamente riguadagnando i suoi diritti sindacali, e
inoltre il seguito che esso ebbe nell'Italia settentrionale
durante il caotico periodo che precedette l'avvento del fascismo.
Ma spiega, soprattutto, il suo radicamento in Catalogna, dove i
rapporti tra datori di lavoro e lavoratori furono caratterizzati,
fino a tutti gli anni trenta, da un eccezionale grado di violenza.
Negli Stati Uniti l'anarchismo, pur senza radicarsi, ebbe un certo
seguito tra le masse nel periodo che va dagli anni ottanta del XIX
secolo al primo conflitto mondiale, in special modo tra i gruppi
marginali, tra quegli immigrati che lavoravano nelle città
e quei lavoratori stagionali dell'Ovest che formavano la
maggioranza dell'IWW filoanarchica.
La marginalità sociale dell'anarchismo risulta evidente
dallo status dei suoi dirigenti, i quali solitamente appartennero
alle classi che, nel corso del XIX secolo, si sentirono minacciate
dallo sviluppo dell'industria e dello Stato centralizzato.
Bakunin, Kropotkin, Tolstoj e Cherkesov provenivano dalla classe
dei proprietari terrieri russi; William Godwin e Domela
Nieuwenhuis, padre dell'anarchismo olandese, erano uomini di
chiesa delusi e, in Francia, Sebastien Faure ed
Élisée Reclus, poi famoso geografo, avevano compiuto
gli studi per intraprendere la carriera ecclesiastica; i dirigenti
più importanti dell'anarchismo italiano (Malatesta,
Fanelli, Cafiero, Berneri) appartenevano in prevalenza alla classe
dei professionisti; Proudhon, Jean Grave, i militanti anarchici
francesi dell'Internazionale e, poi, del movimento sindacalista
erano solitamente degli artigiani autonomi, o comunque degli
artigiani come il carpentiere Joseph Trotelier, e non degli
operai.L'anarchismo ha sempre riscosso simpatie tra scrittori e
artisti, un altro gruppo marginale, e proprio nei paesi
industriali che si affacciano sul Mare del Nord, dove gli operai
si mostrarono pressoché insensibili all'anarchismo. Si
pensi, in Francia, a Gustave Courbet, devoto amico e seguace di
Proudon, a maestri dell'impressionismo e militanti anarchici come
Camille Pissarro e Paul Signac, nonché a diversi scrittori
simbolisti (Stuart Merril, Francis Viélé-Griffin,
Laurent Tailhade, Octave Mirbeau); lo stesso Stéphane
Mallarmé scrisse su riviste anarchiche. Tra gli scrittori
libertari di lingua tedesca ricordiamo 'B. Traven', Gustav
Landauer e Erich Muehsam; nei paesi di lingua inglese l'anarchismo
ebbe fra i suoi adepti pittori come Augustus John e scrittori come
Oscar Wilde, Herbert Read, Alex Comfort, Kenneth Rexroth, Kenneth
Patchen, Dwight Macdonald e Denise Levertov.
Il dibattito teorico in tali paesi è stato, a partire dagli
anni del secondo conflitto mondiale, di alto livello: con ogni
probabilità i contributi più originali al pensiero
anarchico sono venuti, negli anni recenti, proprio dal mondo di
lingua inglese, ad opera di scrittori provenienti prevalentemente
dalla classe media.Inoltre, un tratto importante del
neoanarchismo, che inizia a svilupparsi negli anni sessanta,
è stato quello dell'appartenenza alla classe media dei suoi
adepti. Esso si connetteva alla generale rivolta della
gioventù borghese del mondo occidentale contro quel mondo
materialistico e pago di sé, rappresentato dalle
società industriali: fu un fenomeno, quindi, che ancora una
volta nasceva da un sentimento di emarginazione, anche se, in
questo caso, si trattava dell'emarginazione non di una classe
bensì di una generazione.