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In filosofia il termine non ha un significato unico e universalmente accolto; è stato inteso come principio e idea di validità universale, o come principio, soprattutto di vita morale, dipendente da una valutazione soggettiva e pratica.

Filosofia dei v.

Indirizzo di pensiero sviluppatosi nella prima metà del 20° sec. e alla cui nascita e diffusione contribuirono elementi diversi: la reazione al materialismo positivistico, il rifiuto del richiamo del neohegelismo a una ragione assoluta, l’esigenza di rispondere all’annuncio nietzschiano del trionfo del nichilismo e della svalutazione di tutti i v. tradizionali. La filosofia dei v. in senso proprio va distinta da una più generale concezione del v. in senso metafisico e religioso; essa costituisce piuttosto un tentativo di riaffermare la validità di principi etici, politici, religiosi, estetici ecc. anche indipendentemente dalla metafisica o, meglio, nonostante il rifiuto di ogni metafisica. Non è quindi un caso che si faccia risalire la filosofia dei v. proprio a I. Kant, che nella ‘dignità’ morale dell’uomo ravvisava il v. assoluto. Tuttavia è soprattutto con l’opera del filosofo tedesco R.H. Lotze che nel 19° sec. si viene elaborando e diffondendo, anche sul piano terminologico, la concezione di un «regno dei v.» quali principi dotati di una validità propria. L’esigenza di chiarire il fondamento di tale validità porta però la filosofia dei v. ad articolarsi in diverse tendenze. La tendenza psicologistica (specialmente con A. Meinong e C. von Ehrenfels) pone l’accento sul rapporto tra i v. e il desiderio e l’apprezzamento o, quanto meno, sulla loro desiderabilità, mentre quella neokantiana (con W. Windelband e H. Rickert) intende preservare i v. da ogni possibile riduzione al piano emotivo e psicologico e riportarli invece a un a priori rigorosamente critico, dove però la critica vuole estendersi al mondo storico, del cui sviluppo appunto i v. sono principi e norma; in questo senso la filosofia dei v. ha avuto notevole importanza all’interno dello storicismo.

La tendenza fenomenologica porta a escludere qualsiasi fondazione o riduzione psicologistica dei v., ma, al tempo stesso, a contestare un loro essere puramente formali. Tipica in questo senso la polemica di M. Scheler contro il formalismo dell’etica kantiana; secondo Scheler, Kant ha ridotto la morale a qualcosa di astratto, senza avvertirne tutta la ricchezza di contenuti, che non sono empirici, ma tuttavia oggettivi, proprio in quanto valori. Si apre così la via, secondo Scheler, a un’analisi e classificazione di diversi livelli di v., che vanno da quelli propri della sensibilità a quelli della convivenza sociale, per salire poi a quelli spirituali e, infine, a quelli religiosi. Anche per H. Hartmann il metodo fenomenologico è essenziale per cogliere il carattere di «essere in sé» dei v., che costituiscono una sorta di vero e proprio mondo intelligibile o ideale indipendente dal fatto che li realizziamo o meno e dal variare delle nostre valutazioni.

La filosofia dei v. ha avuto poi sviluppi anche in Francia nella corrente nota come philosophie de l’esprit (L. Lavelle e R. Le Senne) e nella polemica a sfondo esistenziale contro le concezioni puramente fenomenologiche dei v., accusate di cadere in una prospettiva contemplativa, oggettivante, classificatoria. Con M. Heidegger, infine, si è avuta una critica estremamente recisa contro ogni forma di filosofia dei v.: riprendendo il tema nietzschiano del tramonto e della svalutazione dei v., Heidegger lo radicalizza e lo rivolge contro Nietzsche stesso, accusato di essere ancora prigioniero della metafisica proprio perché auspicava nuove «tavole di valori».