Razionalità

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Facoltà propria degli esseri dotati di ragione.

Il concetto di r. attraversa vari settori d’indagine culturale del Novecento e acquisisce significati diversi nelle varie discipline in cui viene studiato. Si parla generalmente di tre tipi di r.: la r. dell’azione, la r. della credenza, la r. scientifica. Per quanto riguarda la r. dell’azione umana , il termine deriva dalla teoria economica, dove è stato introdotto per designare il comportamento tipico dell’agente che calcola i rischi e i profitti di una certa azione economica al fine di conseguire i migliori risultati. Tale significato è stato poi generalizzato da M. Weber fino a ricomprendervi il comportamento umano in quanto orientato verso uno scopo. Riprendendo nozioni metodologiche elaborate originariamente nella scuola austriaca di economia, Weber definì razionale quell’azione che, basata su una valutazione delle sue possibili conseguenze, si presenti come la più adeguata al conseguimento dello scopo desiderato. A questa r. strumentale e strategica è stato obiettato di riflettere essenzialmente il tipo di organizzazione sociale e industriale capitalistica: H. Marcuse e, soprattutto, J. Habermas ne hanno ridimensionato le pretese antropologiche. D’altra parte va rilevato come il concetto strumentale-strategico della r. dell’azione abbia ricevuto ampie elaborazioni nei modelli matematico-probabilistici della teoria delle decisioni e di quella dei giochi.

Nelle teorie sociologiche di orientamento individualistico si tende comunque a preferire concetti più deboli di r.; in questa direzione vanno soprattutto le ricerche del sociologo R. Boudon, che ha posto nella individuazione di «buone ragioni» (cioè motivazioni soggettive plausibili) a fondamento del comportamento la possibilità di spiegarlo in termini di r. o, meglio, di ragionevolezza. Il concetto di r. è stato ampiamente dibattuto anche in filosofia, in particolare nella tradizione analitica, sia relativamente all’azione sia relativamente alla credenza. Sul piano dell’azione, si tende solitamente a considerare razionali quelle azioni che si presentino appropriate o adeguate, per il conseguimento di certi scopi, rispetto alle credenze dell’agente, arrivando a concepire la r. in questo senso come un criterio mediante cui non solo si spiega o comprende il comportamento umano, ma si definisce la natura stessa dell’agire umano.

Quanto alla r. della credenza , nella filosofia analitica essa è stata caratterizzata attraverso i due requisiti della coerenza e della fondatezza. Con il primo requisito s’intende la caratteristica che una credenza o un insieme di credenze deve possedere perché sia razionale, di non implicare contraddizioni ed essere in accordo almeno con i principi fondamentali della logica elementare. Per quanto riguarda il secondo requisito, si considera razionale una credenza se è sostenuta sulla base di prove, ragioni e giustificazioni di tipo empirico o teorico. Da parte sociologica e antropologica, si contesta talvolta l’eccessiva ristrettezza di questo concetto di r.; ma anche in ambito filosofico se ne sono notati i limiti, per es., da parte di concezioni relativistiche che tendono a relativizzare le credenze e gli stessi criteri per la loro accettazione ai contesti storico-culturali entro cui le credenze e i criteri sorgono e si tramandano.

Un discorso a parte merita il problema della r. scientifica , che si identifica con l’esistenza di oggettivi criteri e metodi in grado di garantire la fondatezza e l’accrescimento della conoscenza. Implicitamente già presente in P. Duhem, una vera e propria discussione sulla r. scientifica sorge solo nella filosofia della scienza della seconda metà del Novecento, in seguito alle tesi storico-epistemologiche di T. Kuhn e P. Feyerabend, che hanno messo in evidenza come nella ricerca scientifica spesso abbiano svolto un ruolo rilevante fattori propagandistici e fideistici. Alle tesi di Kuhn, in particolare, è stata mossa l’accusa di fornire un quadro della storia della scienza da cui emergerebbe l’irrazionalità, piuttosto che la r., dell’impresa scientifica. D’altra parte, con il falsificazionismo di K.R. Popper si assiste all’ultimo grande tentativo volto a una formulazione del metodo scientifico razionale, fondato sull’atteggiamento critico che ogni ricercatore dotato di r. dovrebbe avere nei confronti delle proprie ipotesi e teorie.

Dizionario di Filosofia (2009)

Facoltà propria degli esseri dotati di ragione. Tale concetto attraversa vari settori d’indagine culturale del Novecento e acquisisce significati diversi nelle varie discipline in cui viene studiato. Si parla generalmente di tre tipi di r.: la r. dell’azione (che designa il comportamento dell’agente che calcola i possibili vantaggi e svantaggi di un’azione al fine di conseguire i migliori risultati), la r. della credenza (che è caratterizzata dai requisiti della coerenza rispetto ai principi fondamentali della logica elementare e della fondatezza, ossia del sostegno necessario di prove, ragioni e giustificazioni di tipo empirico o teorico), la r. scientifica (che si identifica con l’esistenza di oggettivi criteri e metodi, di tipo induttivo o deduttivo, in grado di garantire l’accrescimento della conoscenza).

Azione e razionalità nelle scienze sociali. Per quanto riguarda l’azione umana, il termine deriva dalla teoria economica, dove è stato introdotto per designare il comportamento tipico dell’agente che calcola i rischi e i profitti di una certa azione economica al fine di conseguire i migliori risultati. Tale significato è stato poi generalizzato da Weber fino a ricomprendervi il comportamento umano in quanto orientato verso uno scopo. Riprendendo nozioni metodologiche elaborate originariamente nella scuola austriaca di economia (segnatamente da C. Menger), Weber definì razionale quell’azione che, basata su una valutazione delle sue possibili conseguenze, si presenti come la più adeguata al conseguimento dello scopo desiderato. A questa r. strumentale e strategica (che raramente, tuttavia, è dato di riscontrare nel comportamento effettivo degli individui, come già metteva in evidenza Weber, che la considerava un tipo ideale rispetto a cui misurare eventuali scostamenti) è stato comunque obiettato di riflettere essenzialmente ciò che in fondo lo stesso Weber suggeriva, il tipo di organizzazione sociale e industriale capitalistica: Marcuse e, soprattutto, Habermas ne hanno ridimensionato le pretese antropologiche richiamando l’attenzione sulla rilevanza degli scopi e dei valori dell’agire nel contesto di un adeguamento del marxismo alle mutate condizioni socio-economiche dell’Occidente. D’altra parte, al di là di queste interpretazioni politiche, va rilevato come il concetto strumentale-strategico della r. dell’azione abbia ricevuto ampie elaborazioni nei modelli matematico-probabilistici della teoria della decisione (➔) e della teoria dei giochi (➔). Nonostante la ricchezza e l’articolazione di tali modelli, si tende comunque a preferire, nelle teorie sociologiche di orientamento individualistico, concetti più deboli di r., in grado di valere come modelli esplicativi dell’effettivo comportamento umano, non sempre, per ovvi motivi, fondato sul calcolo di tutte le possibili conseguenze di una certa linea d’azione al fine di ottimizzare i risultati. In questa direzione vanno soprattutto le ricerche del sociologo R. Boudon, che ha posto nella individuazione di «buone ragioni» (cioè motivazioni soggettive plausibili) a fondamento del comportamento la possibilità di spiegarlo in termini di r. o, meglio, di ragionevolezza.

La razionalità nella filosofia e nella scienza del Novecento. Il concetto di r. è stato ampiamente dibattuto anche in filosofia, in partic. nella tradizione analitica, sia relativamente all’azione sia relativamente alla credenza. Sul piano dell’azione, si tende solitamente a considerare razionali quelle azioni che si presentino appropriate o adeguate, per il conseguimento di certi scopi, rispetto alle credenze dell’agente, arrivando a concepire la r. in questo senso come un criterio mediante cui non solo si spiega o comprende il comportamento umano, ma si definisce la natura stessa dell’agire umano (di rilievo in questa prospettiva le riflessioni di D. H. Davidson). Quanto alla r. della credenza, nella filosofia analitica essa è stata caratterizzata attraverso i due requisiti della coerenza e della fondatezza. Con il primo requisito s’intende la caratteristica, che una credenza o un insieme di credenze deve possedere perché sia razionale, di non implicare contraddizioni ed essere in accordo almeno con i principi fondamentali della logica elementare. Per quanto riguarda il secondo requisito, quello della fondatezza, si considera razionale una credenza se è sostenuta sulla base di prove, ragioni e giustificazioni di tipo empirico o teorico: in questo senso, per es., la credenza nell’animismo o nella stregoneria non sarebbe un esempio di razionalità. Da parte sociologica e antropologica, tuttavia, si contesta talvolta l’eccessiva ristrettezza di questo concetto di r.; ma anche in ambito filosofico se ne sono notati i limiti, per es., da parte di concezioni relativistiche che tendono a relativizzare le credenze e gli stessi criteri per la loro accettazione ai contesti storico-culturali entro cui le credenze e i criteri sorgono e si tramandano. Un discorso a parte merita infine il problema della r. nella scienza, che si identifica con l’esistenza di oggettivi criteri e metodi (siano essi di tipo induttivo o deduttivo) in grado di garantire la fondatezza e l’accrescimento della conoscenza. Implicitamente già presente in Duhem, una vera e propria discussione sulla r. scientifica sorge solo nella filosofia della scienza della seconda metà del Novecento, in seguito alle tesi storico-epistemologiche di Kuhn e Feyerabend, che hanno messo in evidenza come nella ricerca scientifica spesso abbiano giocato un ruolo rilevante fattori propagandistici e fideistici. Alle tesi di Kuhn, in partic., è stata mossa l’accusa di fornire un quadro della storia della scienza da cui emergerebbe l’irrazionalità, piuttosto che la r., dell’impresa scientifica. D’altra parte, con il falsificazionismo di Popper si assiste all’ultimo grande tentativo volto a una formulazione (sia descrittiva, sia normativa) del metodo scientifico razionale, fondato sull’atteggiamento critico che ogni ricercatore dotato di r. dovrebbe avere, e di fatto secondo Popper ha, nei confronti delle proprie ipotesi e teorie.

Enciclopedia delle Scienze Sociali (1997)

di Jon Elster

Sommario: 1. Introduzione. 2. Il modello standard della teoria della scelta razionale. 3. La teoria dei giochi. 4. Il problema dell'indeterminazione. 5. Il problema dell'irrazionalità. □ Bibliografia.

1. Introduzione

Il concetto di razionalità è, assieme a quello di giustizia sociale, uno dei concetti normativi fondamentali impiegati nelle scienze sociali. Intuitivamente, essere razionali significa agire nel modo migliore possibile rispetto a un fine, o sfruttare al meglio le risorse a propria disposizione. Da questa semplice idea la teoria dei giochi e la teoria delle decisioni hanno tratto numerose implicazioni interrelate. Per la sua semplicità ed esaustività, la teoria della scelta razionale non ha eguali nelle scienze sociali.
Il concetto di razionalità e i suoi usi. - Sebbene sia principalmente un costrutto normativo, la teoria della scelta razionale può essere utilizzata anche come strumento empirico o esplicativo: assumendo che gli attori sociali agiscano conformemente ai dettami della teoria, si deriva da tale assunto una serie di ipotesi comportamentali, e poi si verifica se esse corrispondano al comportamento osservato. Gli economisti si servono della teoria della scelta razionale per spiegare il comportamento dei produttori e dei consumatori. I sociologi - perlopiù, di fatto, economisti che applicano i propri strumenti analitici ai problemi classici della sociologia - l'hanno utilizzata per spiegare il comportamento criminale, i modelli matrimoniali e persino fenomeni quali la tossicodipendenza e il suicidio. Gli studiosi di scienza politica spiegano in termini di scelta razionale il comportamento degli elettori e dei politici. Partendo dall'assunto che lo Stato può essere trattato come un singolo attore con preferenze coerenti, la teoria è stata utilizzata anche per analizzare il comportamento degli Stati nella politica internazionale. Per ragioni che discuteremo più avanti (v. capp. 4 e 5), non tutte queste applicazioni si sono rivelate valide, e tuttavia la teoria della scelta razionale resta il principale quadro di riferimento teorico delle scienze sociali. Nessuna delle integrazioni o delle alternative proposte ha raggiunto un grado comparabile di economia, chiarezza e potere predittivo.
Vi sono anche altre ragioni, più profonde, che spiegano perché il concetto di razionalità abbia un posto privilegiato nell'analisi del comportamento. In primo luogo, la razionalità è un ideale normativo. Tutti vorremmo essere razionali, e non andiamo certo fieri delle nostre occasionali deviazioni dalla razionalità, sotto forma di illusioni o di debolezze della volontà. In secondo luogo, la razionalità è il presupposto di ogni atto ermeneutico. Al fine di capire il comportamento degli altri dobbiamo assumere che essi siano nel complesso esseri razionali; senza tale assunto, non potremmo attribuire loro i desideri e le convinzioni in base ai quali ne interpretiamo il comportamento. Ciò non significa che le persone agiscano sempre razionalmente - un determinato comportamento infatti può sempre rivelarsi irrazionale - e tuttavia non è lecito concludere che quanto è accaduto una volta accadrà sempre. Ha senso definire irrazionali determinati comportamenti solo in un contesto di razionalità. È questo il motivo, ad esempio, per cui non esistono studi sulla 'irrazionalità animale'.
La razionalità è una proprietà universale e un ideale dell'essere umano: non è limitata a un particolare sottoinsieme dell'umanità in un contesto spazio-temporale specifico - ad esempio le società occidentali moderne. Non possiamo nemmeno immaginare una situazione in cui un individuo rifiuti o violi coscientemente il principio generale di usare i mezzi migliori per raggiungere i propri scopi. Se l'uomo potesse disporre in abbondanza di qualunque risorsa, compreso il tempo, il valore della razionalità strumentale potrebbe diventare irrilevante, ma in un mondo dominato dalla scarsità l'efficienza assume una notevole importanza.
Una considerazione metodologica. - Nel costruire una teoria del comportamento razionale, si è in certa misura condizionati da intuizioni pre-teoriche. Se un dato comportamento in una data situazione appare 'insensato' o 'irragionevole', saremo indotti a mettere in dubbio la validità di una teoria la quale affermasse che tale comportamento è razionale. Queste implicazioni controintuitive tuttavia non costituiscono un'obiezione decisiva. Così come per altre nozioni chiave che hanno le loro radici nel linguaggio comune, come quelle di giustizia o di causalità, l'idea di razionalità propria del senso comune potrebbe non essere del tutto coerente. Quando cerchiamo di sistematizzare le nostre intuizioni relative alla razionalità, alcune di esse andranno necessariamente scartate. Resta comunque il fatto che la decisione in merito alle intuizioni da rifiutare non segue un criterio univoco. Potrebbero esservi vari modi alternativi di costruire una teoria solida e coerente della razionalità. Ci troviamo qui di fronte a una forma di indeterminatezza teorica che si aggiunge alle indeterminatezze specifiche di cui ci occuperemo nel cap. 4. Sebbene uno dei principali obiettivi di una teoria della razionalità sia quello di eliminare siffatte indeterminatezze per arrivare a un'univocità predittiva, non può esistere un'unica teoria valida. In quanto condizionata nel modo suddetto dal linguaggio ordinario, la teoria della scelta razionale va considerata in certa misura 'ermeneutica' piuttosto che 'scientifica' nel senso delle scienze naturali. Non vi è un 'fatto' in senso assoluto che la teoria cerca di catturare, ma solo un 'discorso' che essa cerca di rendere coerente nel modo più economico possibile.
Alcuni fraintendimenti comuni. - La nozione di razionalità è soggetta a vari fraintendimenti. Uno degli errori più comuni consiste nel ritenere che la teoria della scelta razionale parta dal presupposto che gli attori agiscano in vista del proprio interesse personale. Sebbene gran parte delle applicazioni della teoria partano da questo assunto, la teoria in se stessa è perfettamente compatibile con altri tipi di motivazioni, come l'altruismo, l'invidia o il dispetto. Essa afferma solo che un agente razionale agirà in modo efficace per raggiungere i propri scopi, di qualunque natura essi siano.
Secondo un altro fraintendimento assai diffuso, la teoria della scelta razionale sarebbe atomistica, in quanto ignorerebbe l'interazione sociale. È bensì vero che essa non dice nulla sulla formazione sociale delle preferenze (ma si noti che nessun'altra teoria offre spiegazioni soddisfacenti in merito), ma se assumiamo le preferenze come date, la teoria della scelta razionale in generale e quella dei giochi in particolare offrono gli strumenti più adeguati per comprendere l'interazione sociale. Più precisamente, la teoria della scelta razionale consente un'analisi integrata di tre importanti interdipendenze della vita sociale: il benessere di ogni individuo dipende dall'azione di tutti (attraverso la causalità sociale generale); il benessere di ogni individuo dipende dal benessere di tutti (attraverso l'altruismo, l'invidia, ecc.); le azioni di ciascuno dipendono dall'anticipazione delle azioni di tutti gli altri (attraverso le interazioni strategiche di cui ci occuperemo nel cap. 3).
Un terzo fraintendimento consiste nel confondere il comportamento adattivo (oggettivo) con il comportamento razionale (soggettivo). Sebbene in molti casi il comportamento razionale promuova di fatto l'adattamento del soggetto all'ambiente, nel senso che favorisce il benessere generale e la durata complessiva della vita, alcune forme di comportamento razionale possono risultare autodistruttive. Viceversa, il comportamento adattivo può essere prodotto da meccanismi che non presuppongono alcun tipo di razionalità soggettiva, come quelli della selezione naturale e del rinforzo. È necessario tener presente che la razionalità è totalmente soggettiva. Come chiariremo nel cap. 2, la razionalità non consiste in una relazione tra l'azione e il mondo esterno, bensì in un insieme di relazioni tra un'azione e gli stati mentali dell'agente, nonché tra tali stati stessi.
Scelta razionale e individualismo metodologico. - Poiché la razionalità è definita in termini di stati mentali, come ad esempio desideri e convinzioni, solo gli esseri umani possono essere definiti razionali (o irrazionali). Entità sovraindividuali come le famiglie, le aziende, le organizzazioni e gli Stati non sono, nel senso letterale del termine, portatori di idee o di desideri. Inoltre, come hanno messo in luce Friedrich von Hayek e Kenneth Arrow, in generale non è nemmeno lecito parlare come se le società o altre entità composte da una pluralità di elementi abbiano convinzioni e desideri. Anche se le unità che le compongono hanno un determinato insieme di convinzioni, il compito di raccoglierle e unificarle in una sorta di camera di compensazione centrale è impossibile in pratica. Aggregare le preferenze di differenti individui in un ordinamento globale delle preferenze sociali è impossibile anche in linea di principio. Per queste ragioni, gran parte delle applicazioni della teoria della scelta razionale sono costruite sulla sabbia. L'idea che gli Stati nazionali siano attori unitari e razionali è particolarmente implausibile, ma anche l'idea di una massimizzazione razionale del profitto da parte dell'impresa contrasta con il fatto che essa di solito è formata da parecchi individui con differenti obiettivi. Sebbene si affermi spesso che la competizione provvede a operare una selezione lasciando sopravvivere solo le imprese che sono in grado di massimizzare il profitto, questa tesi si presta a numerose obiezioni (v. cap. 4).
Il passaggio dalla teoria della scelta razionale all'analisi sociale aggregata non può essere compiuto assumendo che gli aggregati siano attori razionali. Piuttosto, occorre considerare in che modo gli individui razionali interagiscono al fine di produrre strutture aggregate. Per fare solo un esempio, l'azione rivoluzionaria non può essere spiegata partendo dall'assunto che le classi siano attori sovraindividuali che agiscono razionalmente al fine di realizzare il bene della società. Adottando la prospettiva della teoria della scelta razionale si affermerà piuttosto che l'azione rivoluzionaria è utile per gli individui che la intraprendono. A tal fine, occorre specificare sia le motivazioni degli individui (interesse personale, altruismo, ecc.), sia le loro convinzioni relative alle motivazioni e alle convinzioni degli altri. Inoltre, il sistema di ricompense e punizioni associato alle varie linee d'azione deve essere definito esplicitamente, e va considerato a sua volta come il risultato di una scelta razionale compiuta da altri attori. L'azione rivoluzionaria risulterà essere allora una rete strettamente intrecciata di scelte individuali, e non già l'azione di un singolo aggregato.

2. Il modello standard della teoria della scelta razionale

La razionalità intesa come ottimalità. - Lo scopo della teoria (empirica) della scelta razionale è quello di spiegare il comportamento - sia singole azioni che sequenze di azioni. Affinché l'azione possa essere definita razionale, devono essere soddisfatte tre condizioni di ottimalità. In primo luogo, l'azione in questione deve rappresentare il mezzo migliore per realizzare i desideri del soggetto, date le sue credenze. Tale condizione implica che i desideri abbiano il requisito della coerenza o transitività (vedi sotto). In secondo luogo, le credenze devono essere esse stesse razionali, ossia devono essere derivate dalle informazioni disponibili attraverso regole di inferenze ottimali. In terzo luogo, il soggetto deve investire una quantità ottimale di risorse (tempo, energia, denaro, ecc.) per raccogliere le informazioni pertinenti. L'investimento ottimale è determinato dai desideri del soggetto (perché le decisioni che sono ritenute più importanti richiedono maggiori investimenti) e dalle precedenti credenze relative ai costi e ai benefici che comporterebbe la raccolta di ulteriori informazioni.
Queste relazioni sono sintetizzate nella fig. 1. Le frecce (non sbarrate) rappresentano i nessi causali e l'ottimalità. Un'azione razionale, ad esempio, scaturisce dagli stessi desideri e dalle stesse credenze in virtù dei quali è ottimale. Le frecce sbarrate, d'altro canto, indicano quei nessi causali, tutt'altro che infrequenti, i quali violano in qualche modo i canoni della razionalità. Ad esempio le illusioni (la freccia sbarrata che va dai desideri alle credenze) non è un modo razionale di formarsi una credenza. Questa e le altre frecce sbarrate saranno discusse nel cap. 5.
La razionalità dei desideri. - Nel modello standard della fig. 1 nessuna freccia va verso i desideri, che sono considerati come dati. I desideri sono i 'motori immobili' nel meccanismo dell'azione. Nel modello standard non vi è spazio per una valutazione della razionalità dei desideri. Un osservatore esterno potrebbe forse, in determinati casi, affermare che i desideri e le preferenze di un soggetto sono tali da renderlo estremamente infelice. Di fronte a un tossicodipendente che indulge in un comportamento autodistruttivo in quanto dà un valore assai scarso al futuro, l'osservatore può asserire, correttamente, che la vita dell'individuo in questione sarebbe stata molto migliore se non fosse mai diventato tossicodipendente. Poiché quella di razionalità è una nozione del tutto soggettiva, tuttavia, questa osservazione non autorizza a concludere che il tossicodipendente è irrazionale. Se alcuni individui hanno avuto la cattiva sorte di essere nati con un determinato tipo di geni, o con una predisposizione a subire influenze esterne tali da indurli a non annettere alcun valore al futuro, l'uso di droghe potrebbe essere, per loro, la scelta migliore. Non possiamo aspettarci che essi riducano il loro 'tasso di sconto' del futuro, perché volere essere motivati da interessi a lungo termine significa automaticamente essere motivati da interessi a lungo termine. Se tali individui non hanno una motivazione di questo tipo sin dall'inizio, non possono essere motivati ad acquisirla. Ciò non significa affermare che le spiegazioni della tossicodipendenza fornite dalla teoria della scelta razionale siano soddisfacenti, ma solo che non possono essere confutate definendo semplicemente come irrazionale un comportamento che svaluta pesantemente il futuro. Ulteriori osservazioni sulla razionalità dei desideri verranno svolte nel cap. 5.
Curve di indifferenza. - Un altro modo in cui viene comunemente definito il comportamento razionale consiste nell'identificarlo con la scelta dell'alternativa ottimale compresa nel campo di scelta (o campo accessibile) del soggetto, ossia l'insieme delle azioni possibili dati i vincoli fisici, economici o giuridici cui egli è sottoposto. Se questa seconda formulazione è utile per molti scopi, la prima è più fondamentale. Nella spiegazione del comportamento hanno un ruolo essenziale le credenze del soggetto relativamente ai vincoli piuttosto che i vincoli stessi. In alcuni casi la spiegazione del comportamento deve tener conto del fatto che il soggetto può ignorare l'esistenza di determinati vincoli, oppure l'esistenza di determinate alternative entro il suo campo di scelta.
L'esempio seguente illustra l'utilità della definizione della scelta razionale in termini di preferenze-scelte. Supponiamo che il soggetto debba investire una data somma di denaro nell'acquisto di due beni, pane e latte.
Nella fig. 2 ogni punto del piano indica una combinazione di una data quantità di latte e di una data quantità di pane. Il campo di scelta del soggetto è definito dal suo reddito e dai prezzi dei due beni. Nella fig. 2 tale campo di scelta è rappresentato dal triangolo OBC, in cui l'inclinazione della linea BC corrisponde ai prezzi relativi dei due beni. Ciascuna delle curve II, JJ e KK corrisponde a un insieme di combinazioni dei due beni che l'agente ritiene egualmente buone. Poiché egli è indifferente tra due qualsiasi combinazioni che giacciono su una stessa curva, queste sono dette 'curve di indifferenza'. Tutte le combinazioni che giacciono su una curva di indifferenza più alta, come ad esempio KK, sono preferite alle combinazioni di una curva più bassa, come II. Un consumatore razionale, pertanto, sceglierà la combinazione accessibile A che giace sulla curva di indifferenza più alta la quale ha un punto in comune con l'insieme delle combinazioni accessibili, cioè quella che è tangenziale alla retta BC (il significato dei punti X e Y sarà spiegato nel cap. 4).
Preferenze e utilità. - Si può affermare dunque che il consumatore razionale massimizza l'utilità. Questa espressione peraltro va interpretata cum grano salis. A differenza degli economisti dell'Ottocento che definivano l'utilità in termini di sensazioni positive individuali che si possono quantificare e confrontare, gli esponenti della moderna teoria della scelta razionale preferiscono parlare di preferenze piuttosto che di utilità. Supponiamo come dato un determinato campo di scelta. Per ciascuna coppia di alternative a e b comprese in esso, possiamo chiederci quali siano le preferenze del soggetto rispetto a ciascuna delle alternative. Se le preferenze soddisfano i tre criteri che ci accingiamo a definire, possono essere rappresentate da una funzione di utilità che però non corrisponde alla nozione classica di utilità.
In primo luogo, le preferenze devono essere coerenti o transitive: se il soggetto preferisce a rispetto a b e b rispetto a c, dovrà preferire a rispetto a c. Questo criterio è anche una condizione di razionalità. Supponiamo che un attore preferisca a rispetto a b, b rispetto a c e c rispetto ad a. Poiché egli preferisce c ad a, sarà disposto a pagare una determinata somma per avere c piuttosto che a. Ma dato che preferisce b rispetto a c, preferirà pagare per avere b piuttosto che c, e analogamente per avere a piuttosto che b, c piuttosto che a, e così via in un ciclo infinito che potrebbe indurlo alla rovina. Una teoria che definisse razionale tale comportamento non sarebbe evidentemente sostenibile.
In secondo luogo, le preferenze devono essere complete, ossia per ogni coppia di scelte a e b, il soggetto avrà una preferenza o per a rispetto a b, oppure per b rispetto ad a, oppure sarà indifferente a entrambe. Sebbene la completezza sia considerata a volte una componente della razionalità, in certi casi non è ragionevole attendersi che il soggetto abbia preferenze complete. Un giovane, per esempio, potrebbe non avere una preferenza ben definita per una determinata carriera professionale rispetto ad altre, e tuttavia non essere indifferente alle varie alternative. Al fine di distinguere l'indifferenza dall'incompletezza possiamo usare il seguente criterio. Supponiamo che di fronte alla scelta tra due carriere, quella del dentista e quella dell'idraulico, il soggetto non sia in grado di esprimere una preferenza per l'una o per l'altra. Se si tratta realmente di un caso di indifferenza, egli dovrebbe preferire la carriera del dentista a quella dell'idraulico se tale scelta comporta il guadagno di un dollaro; se continua a non essere in grado di esprimere una preferenza tra le due alternative, ci troviamo di fronte a un caso di incompletezza piuttosto che di indifferenza.
In terzo luogo, le preferenze devono essere continue, ossia se il consumatore preferisce b ad ai per tutti gli i, e la sequenza a1, a2 ...ai converge verso a, egli dovrà anche preferire b ad a. Per fare un esempio di preferenze non continue, supponiamo che per un elettore la posizione dei politici sulla questione delle tasse sia di gran lunga più importante della loro posizione sulla questione dei programmi scolastici. Nella scelta tra due politici che hanno posizioni differenti in materia fiscale, l'elettore in questione preferirà sempre quello che propone l'aliquota più bassa; ma nella scelta tra due politici che hanno la stessa posizione sulla questione delle tasse, egli preferirà quello che sostiene un programma scolastico col maggior numero di ore di matematica alla settimana. Supponiamo che il politico ai affermi che l'aliquota debba essere 1/i del reddito totale, e che l'insegnamento della matematica debba essere di cinque ore alla settimana: la posizione di ai converge dunque verso una politica favorevole all'abolizione dell'imposta sul reddito e all'introduzione di cinque ore di matematica alla settimana nei programmi d'insegnamento; il politico b invece è favorevole all'abolizione della tassa sul reddito e a un programma scolastico che prevede tre ore di matematica alla settimana. Un elettore che preferisce b rispetto ad ai per tutti gli i, ma preferisce a rispetto a b, ha preferenze lessicografiche, il che significa essenzialmente che non ammette alcun tradeoff, o sostituzione, tra le dimensioni della scelta. Come risulta chiaro da questo esempio, la continuità, al pari della completezza, non è una componente della razionalità.
Se indichiamo con P la relazione di preferenza forte ('migliore di, in senso stretto'), P è rappresentata dalla funzione di utilità U se per tutte le alternative a e b, aPb se e solo se U(a)>U(b). Questa rappresentazione esiste sempre se le preferenze sono transitive, complete e continue. Tuttavia tale rappresentazione non è unica. Se U rappresenta l'ordinamento delle preferenze P, ogni trasformazione monotona crescente V di U (ad esempio, U² o U¹/²) rappresenterà anch'essa P. Poiché la scelta della funzione di utilità ordinale è in larga misura arbitraria, il concetto di utilità non può essere interpretato in nessun modo in termini di 'piacere' o 'felicità'. Nella moderna teoria della scelta, 'utilità' è solo una notazione abbreviata per indicare (una certa sottoclasse di) preferenze, e l'espressione 'massimizzazione dell'utilità' significa solo che entro il campo delle alternative accessibili il soggetto sceglierà quella che sta al primo posto nel suo ordinamento delle preferenze.
Il principio di sostituzione. - Alcune alternative di scelta sono semplici, nel senso che non presentano alcuna struttura o differenziazione interna. Le scelte che hanno una struttura interna sono costituite da panieri, oppure da lotterie, oppure ancora da sequenze di alternative semplici. Negli esempi citati - le combinazioni pane/latte e aliquota/programma scolastico - oggetto della scelta sono panieri di alternative semplici. Di solito (come nel caso del pane/latte) ma non sempre (ad esempio non nel caso dell'aliquota/programma scolastico) le preferenze sono tali che può esservi una sostituzione (o trade-off) tra gli elementi del paniere di alternative: una perdita su una dimensione di scelta può essere compensata da un guadagno su un'altra dimensione. Di solito, quanto minore è la quantità che si possiede di un bene (ad esempio il pane), tanto maggiore sarà la quantità dell'altro bene (ad esempio il latte) necessaria a compensare la perdita di una data quantità del primo. Per questo motivo nella fig. 2 le curve di indifferenza si allontanano dall'origine O.
Rischio e utilità attesa. - Spesso non si conoscono con certezza le conseguenze di un'azione. Tuttavia il soggetto può sapere quali probabilità hanno i vari risultati di verificarsi. Le conseguenze, insieme alle loro probabilità, possono essere considerate come una lotteria. La scelta tra lotterie (azioni con risultati incerti) è governata dal principio di massimizzazione dell'utilità attesa. In base a questo principio, il soggetto sceglierà l'azione per la quale l'utilità globale delle conseguenze, ponderata in base alle loro probabilità, è massima. Per illustrare questo principio assumiamo che l'azione A possa avere le conseguenze x e y, con probabilità rispettivamente 1/2 e 1/6 e utilità 6 e 1, e che l'azione B possa avere le conseguenze v e w con probabilità 1/3 e 2/3 e utilità 4 e 4. Un soggetto razionale preferirà B, la cui utilità attesa è 1/3×4+2/3×4=4, rispetto ad A, la cui utilità attesa è 1/2×6+1/2×1=3,5.
Per effettuare questi calcoli non si possono accettare tutte le funzioni di utilità che sono trasformazioni monotone crescenti l'una dell'altra. Se nell'esempio illustrato sostituiamo i valori numerici dell'utilità con i loro quadrati, l'utilità di A diventa 1/2×36+1/2×1=18,5, e quella di B diventa 1/3×16+2/3×16=16. Ora l'utilità di A risulta maggiore di quella di B. Per evitare questo risultato e limitare la classe delle funzioni di utilità ammissibili occorre costruire un concetto cardinale di utilità che ci consenta di cogliere l'aspetto dell'intensità delle preferenze. Questa classe ristretta delle funzioni di utilità viene derivata dalle preferenze dell'agente rispetto a determinate lotterie nel modo seguente. Assegnamo arbitrariamente un valore di utilità 1 all'alternativa del campo di scelta che ha il primo posto nell'ordinamento delle preferenze, e un valore di utilità 0 all'alternativa classificata come ultima. Data una alternativa intermedia a, possiamo determinare la probabilità p tale che al soggetto è completamente indifferente ottenere a oppure una lotteria che gli garantisca l'alternativa migliore con probabilità p e l'alternativa peggiore con probabilità 1 - p. Possiamo allora definire una funzione di utilità U tale che U(a)=p. Poiché le utilità del risultato migliore e di quello peggiore sono state definite arbitrariamente, questa funzione non è unica; scegliendo altri valori numerici si otterranno funzioni di utilità differenti. Tutte le funzioni di utilità che rappresentano le preferenze del soggetto rispetto a lotterie, tuttavia, saranno trasformazioni lineari crescenti di U, ossia avranno la forma generale aU+b (a>0). (Si può istituire un'analogia con la misurazione della temperatura, in cui il rapporto tra le scale Celsius e Farenheit è C=5/9×F-32). Si può verificare facilmente che nell'esempio precedente B resta preferibile ad A in tutte le trasformazioni lineari positive. Queste funzioni di utilità cardinale sono spesso definite funzioni di utilità di Neumann-Morgenstern, poiché furono questi due autori a svilupparne le applicazioni economiche nella fondamentale opera The theory of games and economic behavior (v. Neumann e Morgenstern, 1944).
La definizione dell'utilità in termini di lotterie consente di cogliere la riluttanza degli individui a preferire una lotteria rischiosa a una alternativa sicura. In generale, tale riluttanza dipende sia dall'intrinseca desiderabilità della alternativa sicura, sia dal grado di avversione al rischio degli individui. Questo aspetto del concetto di utilità cardinale è tanto un vantaggio quanto uno svantaggio. Da un lato esso consente di affermare che nella scelta tra i risultati incerti, un soggetto razionale massimizzerà l'utilità (cardinale) attesa. Non vi è motivo di considerare i diversi gradi di avversione al rischio, poiché questo elemento è già stato incluso nella costruzione dell'utilità cardinale. Dall'altro lato il concetto di utilità cardinale non può essere utilizzato per misurare l'intensità della preferenza rispetto a esiti certi. Supponiamo di voler verificare l'ipotesi che un determinato bene abbia un'utilità marginale decrescente, nel senso che ciascuna unità addizionale del bene in questione comporta un incremento dell'utilità decrescente. A questo scopo avremmo bisogno di una misurazione cardinale (che resta invariata in qualunque trasformazione lineare positiva) del valore intrinseco del bene, 'incontaminato' dal rischio. Nonostante siano stati compiuti svariati tentativi di arrivare a una misurazione di questo tipo, nessuno di essi ha ancora incontrato il consenso generale.
Scelte differite nel tempo e svalutazione dell'utilità futura. - Spesso le conseguenze di un'azione sono differite nel tempo. Nello scegliere tra varie alternative un soggetto razionale terrà conto non solo delle conseguenze immediate, ma anche di quelle differite nel tempo, nella misura in cui queste sono note almeno nel senso probabilistico illustrato in precedenza. In questo senso, le scelte degli esseri umani razionali differiscono da altri tipi di ottimizzazione, come ad esempio il meccanismo biologico della selezione naturale o il meccanismo psicologico del rinforzo del comportamento attraverso i suoi effetti. Gli esseri umani sono in grado di agire in modo non miope, di 'reculer pour mieux sauter'. L'investimento è uno dei principali esempi di questo comportamento, in quanto si basa sul principio: consumare meno oggi per poter consumare di più domani. Inoltre, come vedremo nel cap. 4, gli esseri umani si distinguono per la loro capacità di anticipazione.
Sebbene gli esseri umani siano capaci di comportarsi in modo non miope, non sempre però mettono in atto tale capacità, e anche quando tengono conto in qualche modo delle conseguenze future di una scelta attuale, in genere attribuiscono a esse minor valore rispetto alle conseguenze più immediate. L'utilità futura è quindi svalutata rispetto all'utilità attuale. Ciò in parte è una conseguenza naturale del fatto che l'uomo è un essere mortale. È inutile preoccuparsi eccessivamente di quanto accadrà da qui a cento anni, almeno se non si ragiona in termini altruistici. La maggior parte delle persone, tuttavia, tende a svalutare il futuro più di quanto le tavole di mortalità autorizzerebbero a fare. Come abbiamo accennato in precedenza, un comportamento di questo tipo non può essere definito irrazionale. La tendenza a svalutare eccessivamente il futuro è più simile a un handicap che a una forma di irrazionalità. Lo stesso vale per un'eccessiva propensione e per un'eccessiva avversione al rischio, perché sia l'una che l'altra tendono a rendere meno felice la vita di un individuo nel suo complesso.
Per lo più le teorie delle scelte che hanno conseguenze differite nel tempo presuppongono un 'tasso di sconto' temporale costante. Supponiamo a fini esemplificativi che questo tasso sia pari allo 0,9 annuo. Una unità di utilità dell'anno prossimo ha allora un valore attuale di 0,9 unità oggi. Il valore attuale di una unità di utilità tra due anni è di 0,81 unità, e così via. Il soggetto razionale, in questa prospettiva, sceglierà la linea d'azione che gli consente di massimizzare la somma dei valori attuali di tutte le conseguenze future del comportamento presente. (Come si è osservato, in generale non si tratterà della linea d'azione che massimizza l'utilità globale nel corso del tempo). Un'importante implicazione di questo assunto è che il soggetto non manifesterà alcuna tendenza a rivedere i propri progetti nel corso del tempo. Al principio del secondo anno, l'importanza relativa del consumo nel terzo anno e del consumo nel secondo anno sarà la stessa che al principio del primo anno (0,9, nel nostro esempio). È questa la proprietà della cosiddetta coerenza temporale. Un'altra implicazione è che il soggetto non sarà incentivato a impegnarsi in anticipo evitando scelte che hanno effetti negativi a lungo termine.In un recente studio George Ainslie ha messo in questione l'assunto di un tasso di sconto temporale costante. Sulla base della psicologia animale e dell'osservazione del comportamento umano, egli ritiene di poter concludere che tutti gli organismi, inclusi gli esseri umani, tendono a svalutare il futuro prossimo più del futuro lontano.
Questa svalutazione, o sconto iperbolico, è illustrata nella fig. 3. Nel tempo 1, il soggetto ha la prospettiva di un piccolo guadagno nel tempo 2 e di un guadagno più consistente nel tempo 3. Le due curve rappresentano i valori attuali decrescenti di questi guadagni via via che si retrocede nel tempo, dove tempi precedenti corrispondono a valori attuali minori. In ogni tempo prima del tempo 2, il soggetto si forma una preferenza confrontando i valori attuali dei due guadagni in quel tempo. Tra il tempo 1 e il tempo t*, egli preferisce il guadagno maggiore differito. Nel tempo t* si verifica un'inversione della preferenza, che ora va al guadagno minore e più vicino nel tempo. Nel tempo 2, pertanto, sarà questo il guadagno scelto. Il comportamento del soggetto, in altre parole, è temporalmente incoerente. Nel tempo 1 egli decide di scegliere il guadagno differito, per poi mutare tale decisione all'avvicinarsi del tempo 2.
Se i più ingenui possono essere soggetti a questo tipo di incoerenza, gli individui più avvertiti e razionali possono rendersi conto di questa tendenza a modificare le proprie decisioni e prendere le misure opportune per neutralizzarla. L'esempio paradigmatico di tale comportamento di prevenzione è quello di Ulisse che si lega all'albero della nave prima di affrontare le sirene. Richiamandoci alla fig. 3, possiamo immaginare che il soggetto nel tempo 1 prenda una decisione che gli impedirà di scegliere il guadagno più vicino nel tempo - ad esempio rendendolo fisicamente inaccessibile, o assicurandosi di ricevere una punizione se lo sceglierà, oppure ancora modificando le proprie preferenze in modo da non volerlo scegliere. Tuttavia un soggetto razionale adotterà tali strategie solo se i costi dell'autocontrollo non risultano eccessivi. Se ad esempio si rende necessario ricorrere alla psicoterapia per modificare le proprie preferenze, i costi saranno superiori ai benefici. Tornando alla fig. 3, la perdita di utilità svalutata derivante dalla prevenzione non deve superare la distanza (indicata dalla linea in grassetto) tra le due curve nel tempo 1.

3. La teoria dei giochi

Spesso, prima di prendere una decisione, il soggetto deve formarsi un'opinione sul modo in cui agiranno gli altri, tenendo conto altresì del fatto che questi faranno lo stesso nei confronti della sua decisione. L'analisi di queste decisioni interdipendenti è nota come teoria dei giochi. Così come la teoria generale della scelta razionale, anche la teoria dei giochi ha finalità in parte prescrittive e in parte predittive. Da un lato essa mira a determinare in che modo esseri razionali, che si attribuiscono reciprocamente comportamenti razionali, agirebbero in situazioni di mutua interdipendenza. Dall'altro lato la teoria dei giochi si propone di spiegare il comportamento reale in base all'assunto della reciproca attribuzione di razionalità. Sebbene il primo obiettivo sia stato realizzato più pienamente, la teoria dei giochi può vantare anche alcuni successi empirici, in particolare nel campo della strategia militare e in quello dell'organizzazione industriale.
I giochi possono essere classificati in vari modi. Da un punto di vista metodologico, la distinzione più importante è quella tra giochi cooperativi e giochi non cooperativi. Poiché la teoria dei giochi cooperativi non si basa sulla teoria della scelta razionale, non la tratteremo in questa sede. Altre importanti distinzioni sono quelle tra giochi tra due persone e giochi tra n-persone; tra giochi con mosse simultanee e giochi con mosse in sequenza; tra giochi a somma costante e giochi a somma variabile; tra giochi giocati una volta sola, o istantanei, e giochi ripetuti. Una classificazione può essere fatta anche in base alla quantità di informazione disponibile ai giocatori, in particolare l'informazione relativa alle preferenze degli altri giocatori e alle scelte da loro effettuate.
Struttura del gioco. - Un gioco è definito dai seguenti elementi: 1) il numero dei giocatori; 2) le strategie a disposizione di ciascun giocatore (ognuno dei quali è indicato da un numero). Oltre alle strategie pure che hanno efficacia causale immediata, i giocatori possono scegliere anche strategie miste, ossia una distribuzione delle probabilità sulle strategie pure. Un esempio di strategia mista è quello di un generale che si affida al lancio della moneta per decidere se dirigersi verso nord o verso sud (due strategie pure); 3) per ciascun giocatore e ciascuno stato del mondo, l'utilità cardinale di un dato giocatore in un dato stato del mondo; 4) una tabella che associa a ogni combinazione di n strategie (una strategia per ogni giocatore) uno stato del mondo. Per svariati scopi è conveniente combinare la 3) e la 4) nella 5): una tabella che associa a ogni combinazione di n strategie pure n numeri di utilità. Questa tabella viene spesso chiamata matrice dei guadagni (nella fig. 4 sono riportati alcuni esempi); 6) la quantità di informazione di cui dispone ogni giocatore in ogni fase del gioco. L'informazione pertinente non riguarda solo la matrice di guadagni, ma anche l'informazione in possesso degli altri giocatori. Una caratteristica del gioco è detta conoscenza comune se è nota a tutti, se è noto a tutti che è nota a tutti, e così via ad infinitum.
Lo scopo della teoria dei giochi è quello di determinare la soluzione del gioco. Intuitivamente, una soluzione è un insieme di strategie scelte per 'parallelismo consapevole', nel senso che sono previste in anticipo da tutti i giocatori. Una soluzione, se esiste, è una combinazione di n strategie che costituiscono le risposte reciproche ottimali, nel senso che nessun giocatore può conseguire un risultato migliore adottando unilateralmente una strategia diversa. Ogni soluzione di questo tipo è chiamata punto di equilibrio del gioco. A eccezione di alcuni casi marginali, tutti i giochi hanno un punto di equilibrio. Molti, anzi, ne hanno più di uno, e in questo caso il compito consiste nel selezionare un equilibrio che rappresenta l'unico oggetto di tacita convergenza per giocatori che agiscono razionalmente. Se non esiste alcun punto di equilibrio, abbiamo a che fare con giochi senza soluzione. In questi casi la teoria dei giochi non ha alcun valore prescrittivo o predittivo. Essa ha un valore predittivo ridotto quando esiste una soluzione che implica l'uso di strategie miste. Nei giochi di questo tipo ogni giocatore che ha una strategia di equilibrio mista può ottenere un risultato altrettanto buono (ma non migliore) scegliendo un'altra strategia, posto che gli altri giocatori usino le loro strategie equivalenti, quella che dà il migliore tra i risultati peggiori (la sua strategia di sicurezza). Fatta eccezione per i giochi a somma costante, questa non sarà in generale la strategia di equilibrio.
Giochi a somma costante e giochi a somma variabile. - Mentre nei giochi a somma costante (definiti anche 'a somma nulla') i giocatori hanno interessi direttamente contrapposti, in quelli a somma variabile (detti anche 'a somma non nulla') possono avere interessi convergenti o un misto di interessi convergenti e confliggenti. Nel primo tipo rientrano tutti i giochi competitivi (poker, bridge, scacchi, tennis, ecc.) e, almeno in prima approssimazione, i conflitti militari. Nei giochi con interessi totalmente convergenti, o giochi di pura cooperazione, l'unica cosa che conta è la coordinazione rispetto alla stessa politica. Un esempio assai semplice è il gioco seguente: a due individui viene promesso un guadagno di dieci dollari ciascuno se riusciranno a nominare lo stesso numero positivo. Nei giochi misti, i giocatori hanno un interesse comune nell'incrementare il guadagno totale da ripartire e interessi divergenti per quanto riguarda le quote che spettano a ciascuno di essi. Le relazioni tra lavoratori e datori di lavoro, ad esempio, tendono a essere di questo tipo. Da un lato le due parti hanno un interesse comune a massimizzare il reddito globale dell'azienda, in modo da accrescere il totale da ripartire; dall'altro, le strategie di cui dispongono per incrementare le proprie quote tendono spesso a ridurre tale reddito globale. Se i lavoratori scioperano, si avrà un calo della produzione e del reddito; se dal canto loro gli imprenditori decidono di costituire ingenti scorte per rendere l'azienda meno vulnerabile agli effetti dello sciopero, anche in questo caso a risentirne sarà il reddito totale dell'impresa.
Alcuni giochi tra due persone con mosse simultanee. - Alcune delle applicazioni più note della teoria dei giochi riguardano giochi misti che comportano sia conflitto che cooperazione. Quattro esempi sono riportati nella fig. 4. In ciascuno di essi vi sono due giocatori, I e II (molte delle osservazioni seguenti possono essere generalizzate a giochi a n persone). Ognuno di essi può scegliere tra due strategie: in tre dei giochi illustrati, queste sono C (cooperazione), e D (defezione). Nella 'battaglia dei sessi' le strategie S1 e S2 sono le strategie preferite rispettivamente da I e da II. Per ogni coppia di strategie, lo stato del mondo che ne risulta ha per ciascun giocatore un determinato valore di utilità. In ciascuna casella di ogni gioco, il primo numero indica l'utilità per I, il secondo l'utilità per II. I risultati contrassegnati con un cerchio sono i punti di equilibrio dei giochi, ossia le coppie di strategie che costituiscono le risposte reciproche ottimali.
Il 'dilemma del prigioniero' è forse il gioco più famoso, in quanto rappresenta vividamente il possibile conflitto tra la razionalità di ciascun giocatore come individuo e il risultato ottimale per l'insieme dei giocatori come collettività. Dal punto di vista del singolo giocatore, la linea d'azione razionale è la defezione: ognuno otterrà un risultato peggiore di quello che avrebbe ottenuto optando per la cooperazione. L'inquinamento offre un altro esempio. Per il singolo individuo spesso è razionale inquinare, poiché i danni che egli subisce dal proprio contributo all'inquinamento generale sono trascurabili; tuttavia, quando tutti inquinano, ottengono un risultato peggiore di quello che si sarebbe ottenuto se nessuno avesse inquinato. Un altro esempio è la formazione di cartelli. Per una singola impresa in un dato settore industriale, il comportamento non regolato da alcuna restrizione è sempre razionale. Nel caso in cui le altre imprese decidessero di limitare la loro produzione, essa potrà avvantaggiarsi dell'aumento dei prezzi che ne consegue; se invece le altre imprese non si impongono limiti massimi di produzione, essa subirebbe una perdita qualora decidesse di limitare la propria. Tuttavia per le imprese nel loro insieme è più vantaggioso se tutte limitano la produzione che non se nessuna lo fa. In questo caso, l'ottimalità sociale globale coincide con la razionalità individuale: il comportamento competitivo è socialmente utile anche se dannoso per le imprese in quel particolare settore industriale. Nel caso dell'inquinamento, invece, razionalità individuale e ottimalità sociale sono direttamente contrapposte.
Nel 'dilemma del prigioniero' il risultato migliore è quello del cosiddetto free rider: defezionare mentre gli altri cooperano. Il risultato peggiore è lo sfruttamento: cooperare mentre gli altri defezionano. Il 'gioco della garanzia' ha la seconda caratteristica, ma non la prima. La mutua cooperazione e la mutua defezione sono entrambe punti di equilibrio del gioco. In condizioni di perfetta informazione il primo punto di equilibrio emerge come soluzione, ma se alcuni giocatori hanno informazioni incomplete sulla matrice dei guadagni, si potrebbe realizzare l'equilibrio subottimale. In un dato paese, ad esempio, si avrà un elevato tasso di evasione fiscale se tutti i cittadini hanno le preferenze del 'gioco della garanzia', ma ritengono erroneamente che gli altri abbiano le preferenze del 'gioco del prigioniero'.
Al pari del 'gioco della garanzia', il 'gioco del pollo' ha due punti di equilibrio, e tuttavia a differenza del primo non è chiaro quale equilibrio si affermerà, anche in condizioni di informazione perfetta. Giochi di questo tipo si possono osservare in molte situazioni in cui entrambi i giocatori hanno un incentivo a determinare un fait accompli. Nel caso di due grandi potenze, ad esempio, se una di esse riesce a occupare un terzo territorio, l'altra potrebbe trovare più conveniente accettare il fatto compiuto anziché impegnarsi in una guerra reciprocamente distruttiva. Vi è però il rischio che le due potenze intraprendano azioni aggressive nello stesso tempo: in questo caso il risultato sarà per entrambe peggiore di quello che avrebbero ottenuto se entrambe si fossero astenute dal farlo.
Al pari del 'gioco del pollo', il 'conflitto dei sessi' ha due punti di equilibrio e nessuna soluzione. Sebbene siano presenti elementi di cooperazione, non si tratta di un gioco di pura cooperazione. Un esempio può essere l'uso di diversi sistemi metrici nel mondo angloamericano e nell'Europa continentale. Sebbene l'adozione di un sistema comune sia nell'interesse di tutti, ciascun gruppo di paesi sarà interessato a far scegliere il proprio come sistema comune.
Questi schemi strategici possono aiutare a spiegare in che modo si possano produrre risultati collettivamente indesiderabili. Nel 'dilemma del prigioniero' la responsabilità va attribuita alla razionalità individuale. Nel 'gioco della garanzia' la mancata realizzazione di un equilibrio ottimale è dovuta all'informazione incompleta. Nel 'conflitto dei sessi' l'esito negativo dipende dalla pluralità dei punti di equilibrio anziché dalla loro assenza (come accade invece nel 'dilemma del prigioniero').
La credibilità nei giochi con mosse in sequenza. - In molte interazioni strategiche della vita reale, le strategie sono scelte in successione anziché simultaneamente. Un esempio è il gioco illustrato nella fig. 5.
In questo gioco la prima mossa spetta al giocatore I, che può andare a sinistra - e in questo caso otterrà 1 punto e il giocatore II 3 punti - oppure a destra - e in questo caso la mossa successiva spetterà al giocatore II. Se questi andrà a destra, entrambi i giocatori otterranno 2 punti; se andrà a sinistra, il punteggio di entrambi sarà zero. Potrebbe sembrare che la strategia ottimale di II sia quella di indurre I ad andare a sinistra, dichiarando che se I andrà a destra, egli andrà a sinistra. Ma tale dichiarazione non è credibile, perché I non può non capire che quando la mossa spetterà a II, questi avrà tutto l'interesse ad andare a destra. Si ripropone qui il problema dell'incoerenza temporale, causata questa volta non da una svalutazione iperbolica, ma da un'interazione strategica. Anche in questo caso una soluzione del problema può essere cercata nella prevenzione, come ha messo in luce nella sua analisi classica Thomas Schelling. Tornando al gioco illustrato nella fig. 5, il giocatore II può cercare di eliminare l'alternativa 'andare a destra', in modo che la sua dichiarazione di andare a sinistra risulti un avvertimento credibile anziché una minaccia poco credibile. Oppure, può sottoscrivere un contratto vincolante con un terzo in cui si impegna a pagare una penalità di 3 punti se andrà a destra.
Giochi ripetuti. - Nel gioco della fig. 5 la minaccia di andare a sinistra del giocatore II può acquistare credibilità se i due giocatori sanno che si incontreranno ancora in interazioni analoghe. In questo caso, il fatto che II vada a sinistra in un gioco può essere interpretato come un modo per indurre I ad andare a sinistra nel gioco successivo. Più in generale, molti giochi hanno soluzioni differenti a seconda che il gioco sia ripetuto oppure istantaneo. Nel 'dilemma del prigioniero', ad esempio, una strategia dell''occhio per occhio, dente per dente', in alcune circostanze potrebbe risultare razionale per il singolo individuo. All'inizio, cioè, il giocatore coopera, e in tutti i giochi successivi dovrebbe usare di volta in volta la stessa strategia messa in atto dall'avversario nel gioco precedente, rispondendo con la cooperazione alla cooperazione e con la defezione alla defezione. Quando il 'dilemma del prigioniero' è un gioco a n persone, come nel caso della formazione di un cartello, potrebbe risultare razionale una 'strategia della risposta riflessa'. Un'impresa del cartello seguirà la politica di cooperare sempre (limitando la produzione), a meno che un'altra impresa non defezioni, nel qual caso reagirà con una defezione immediata. Al pari della prima, anche questa strategia è una risposta ottimale nei confronti di se stessa. Entrambe, quindi, possono sostenere una cooperazione indefinita.

4. Il problema dell'indeterminazione

Gli insuccessi della teoria della scelta razionale. - Sebbene la teoria della scelta razionale vanti numerosi successi, in alcuni casi si dimostra inservibile. Al pari di altre teorie scientifiche, anch'essa può fallire per due diversi ordini di ragioni. Da un lato, può dimostrarsi incapace di formulare previsioni univoche e non ambigue. È questo il cosiddetto problema dell'indeterminazione. Dall'altro lato, le previsioni possono essere falsificate dall'osservazione. Nel caso della teoria della scelta razionale, il problema diventa quello dell'irrazionalità. Questi fallimenti possono verificarsi in ciascuna delle tre sedi dell'ottimalità illustrate nella fig. 1: azione, formazione delle credenze e acquisizione delle informazioni. I problemi di indeterminazione richiedono un'integrazione della teoria. Quando essa è in grado di prevedere soltanto che un risultato ottimale rientrerà in una qualche sottoclasse di risultati possibili, occorre una teoria supplementare in grado di predire quale particolare risultato all'interno della sottoclasse si realizzerà. Il problema dell'irrazionalità richiede invece, più radicalmente, un'alternativa alla teoria.
Indeterminazione dell'azione. - Dato un insieme di credenze e di desideri, l'indeterminazione dell'azione può sorgere se esistono diverse linee d'azione equiottimali. Un esempio classico è quello dell'asino di Buridano, incapace di scegliere tra due mucchi di biada egualmente distanti, e quindi destinato a morire di fame. Abitudini non razionali o forme di automatismo possono spiegare perché altri, in circostanze analoghe, riescano a compiere una scelta. Un soggetto potrebbe anche essere indifferente rispetto ad alternative ottimali le cui differenze si compensino perfettamente. Un esempio è quello illustrato nella fig. 2, in cui un soggetto è posto di fronte alla scelta tra le alternative X, Y, B e C. In pratica, tuttavia, succede raramente che un individuo si dichiari perfettamente indifferente rispetto ad alternative equiottimali profondamente diverse (analizzeremo questo problema nel prossimo capitolo, quando parleremo della 'formazione retroattiva delle preferenze').
Indeterminazione dell'opinione. - È questo un tipo di indeterminazione assai più importante. In molti casi, i soggetti non sono in grado né di enunciare con certezza le proprie opinioni pertinenti, né di assegnare probabilità numeriche precise o anche solo approssimative ai possibili risultati dell'azione. Piuttosto, versano in uno stato di incertezza che li rende incapaci di valutare i gradi di probabilità dei risultati e persino di elencare l'insieme completo dei possibili risultati.
Si può operare una distinzione tra incertezza assoluta e incertezza strategica. La prima deriva dall'esistenza di fatti relativi al mondo, in particolare nel futuro remoto, che non possono essere conosciuti nemmeno in forma probabilistica; molti fatti geologici e meteorologici rientrano in questa categoria. Nella sfera umana, anche l'eccezionalità di individui come Napoleone o Hitler rende difficile formulare previsioni a lungo termine. La tesi frequentemente sostenuta secondo cui gli individui non determinano il corso della storia, nel senso che, se Napoleone non fosse nato, un altro individuo o gruppo di individui avrebbero compiuto le stesse imprese, è priva di fondamento. Infine, la creatività umana rappresenta uno dei principali ostacoli al tentativo di assegnare probabilità numeriche agli esiti futuri di comportamenti o azioni presenti. Non è possibile, ad esempio, valutare in modo attendibile la probabilità che l'investimento nella ricerca da parte di un'impresa o della società, abbia un tasso di rendimento specifico.
L'incertezza strategica deriva dal fatto che esistono giochi senza soluzione. Possiamo riprendere a questo proposito l'esempio dell'investimento nel settore della ricerca e sviluppo. Supponiamo che vi sia un sistema di brevetti tale che tutti i profitti derivanti da un'innovazione vadano all'impresa che l'ha introdotta per prima; in questo caso, non è razionale per una data impresa investire in ricerca e sviluppo quando tutte le altre lo fanno, perché la probabilità di sviluppare per prima un'innovazione sarà minima. Se tutte le imprese seguissero questo ragionamento, nessuna di esse investirebbe nella ricerca, ma in questo caso diventerebbe razionale per la singola impresa farlo. Per ogni impresa è razionale investire se e solo se le altre non lo fanno. In questa situazione le decisioni di investimento derivano da quelli che Keynes ebbe a definire 'spiriti animali' degli imprenditori, piuttosto che essere fondate su convinzioni razionali sul comportamento delle altre imprese: si tratta di convinzioni semplicemente indeterminate.
Indeterminazione della raccolta di informazioni. - La razionalità ovviamente presuppone che le risorse impiegate nella raccolta di informazioni che precede la formazione di una convinzione in base alla quale agire non siano né eccessive né insufficienti. Un medico deve visitare un paziente e fare determinate analisi prima di pronunciare una diagnosi, ma se dedica troppo tempo a questa operazione il paziente potrebbe morirgli tra le mani. La quantità ottimale di risorse da investire, tuttavia, è in generale indeterminata. Per valutarne accuratamente l'entità, si dovrebbero conoscere i costi e i benefici attesi dalla raccolta di ulteriori informazioni. In alcune situazioni standard, come ad esempio nelle analisi per stabilire la presenza di un tumore, è di fatto possibile valutare queste grandezze con notevole precisione. In decisioni non di routine nel campo politico, economico e militare, tuttavia, esse sono in genere ignote. In questi casi, la determinazione della quantità ottimale di informazione comporta un processo all'infinito, perché la valutazione dei costi e benefici di nuove informazioni richiede a sua volta informazioni, i cui costi e benefici in genere non sono noti, e così via.
Criterio di sufficienza. - Il criterio di 'sufficienza', in quanto distinto da quello di ottimalità, è stato proposto da Herbert Simon per integrare la teoria della scelta razionale in casi di indeterminazione. Quando, per una delle ragioni esposte in precedenza, il soggetto non è in grado di stabilire quale sia la scelta 'ottimale', può limitarsi a scegliere un'alternativa 'soddisfacente' o 'sufficientemente buona'. I concetti centrali in questo approccio sono quelli di livello di aspirazione del soggetto e di routines. Un'impresa che aspiri a un determinato tasso di profitto potrebbe non investire in ricerca e sviluppo fintantoché tale livello resta stabile. Una volta che i profitti scendono al disotto del livello di aspirazione, tuttavia, viene innescata una routine di ricerca che induce l'azienda a innovare sino a che non venga ripristinato il livello precedente. Per quanto convincente sul piano descrittivo, questa analisi è però troppo ad hoc per avere un valore esplicativo di un certo rilievo. L'approccio di Simon dovrebbe spiegare perché i soggetti abbiano determinati livelli di aspirazione e perché vengano innescate determinate routines quando tali aspirazioni non sono soddisfatte. A meno che e sino a che non riesca a fornire spiegazioni di questo tipo, la teoria del criterio di insufficienza non va molto più in là dell'appello keynesiano agli spiriti animali.
Selezione del mercato. - Un diverso tipo di integrazione alla teoria della scelta razionale è quello che si richiama all'idea di selezione da parte del mercato. Anche se gli imprenditori come individui sono personalmente incapaci di formarsi convinzioni razionali e di effettuare investimenti ottimali in nuove informazioni, sarà la competizione nel mercato a eliminare le imprese che hanno effettuato scelte subottimali. In questa trasposizione in campo economico del principio della selezione naturale, la bancarotta è il corrispettivo dell'estinzione. Un punto debole di questo approccio è costituito dalla inapplicabilità alla sfera della vita umana, in cui non esiste qualcosa come l'estinzione. Un'altra debolezza della teoria in questione risiede nel fatto che le imprese nelle economie di mercato - e non solo in quelle a pianificazione centralizzata - hanno vincoli di budget 'non rigidi', nel senso che possono sopravvivere anche se non sono economicamente vitali. L'eliminazione delle aziende inefficienti poi - e questo è un ulteriore punto debole della teoria in questione - può non essere abbastanza rapida. Poiché il giudizio relativo all'efficienza dipende dal comportamento delle altre imprese, che inoltre cambia costantemente, il processo di eliminazione potrebbe essere paragonato al tentativo di colpire un bersaglio in movimento. Niente dimostra che la velocità con cui le imprese inefficienti vengono eliminate sia superiore al ritmo di mutamento dell'ambiente. E a differenza degli esseri umani, un processo di selezione non può colpire il bersaglio mobile anticipandone le mosse.

5. Il problema dell'irrazionalità

Vi sono molti comportamenti che a prima vista appaiono irrazionali ma a una considerazione più attenta si rivelano invece abbastanza razionali. La riluttanza dei contadini del Terzo Mondo ad adottare varietà di grano ad alto rendimento, per esempio, è stata considerata a volte conseguenza di un conservatorismo cieco e irriflesso. Tuttavia, sebbene queste varietà abbiano un rendimento medio superiore rispetto alle vecchie varietà, hanno un livello di affidabilità assai inferiore (sicché in certi anni i raccolti possono essere scarsissimi), e di conseguenza il rifiuto di adottarle può essere considerato razionale. La tossicomania, per fare un altro esempio, può sembrare un caso paradigmatico di comportamento autodistruttivo irrazionale, e senza dubbio in molti casi lo è. Tuttavia la tossicodipendenza può anche essere una forma razionale di auto-medicazione in circostanze particolarmente avverse; un esempio può essere quello dei soldati americani nel Vietnam, che durante la guerra divennero eroinomani, ma una volta rientrati negli Stati Uniti, si liberarono dal vizio.
Quando ci si trova di fronte a comportamenti apparentemente irrazionali, è sempre un buon principio euristico chiedersi se, a un esame più attento, il comportamento in questione non potrebbe conformarsi ai canoni della razionalità. Non esiste nessuna certezza, peraltro, che la risposta sarà sempre affermativa. Il privilegiamento metodologico della razionalità rispetto all'irrazionalità non è sempre valido. L'irrazionalità è una componente importante e pervasiva della vita umana. Al pari dell'indeterminazione, può presentarsi in ognuno dei tre siti dell'ottimalità illustrati nella fig. 1.
Irrazionalità dell'azione. - L'incapacità di scegliere i mezzi ottimali per realizzare i propri scopi, date determinate convinzioni, è imputabile a una debolezza della volontà. È questo un fenomeno già descritto da Paolo di Tarso, allorché scrive nella Epistola ai Romani (7,19): "perché io non faccio quello che voglio, ma al contrario quello che non voglio: ecco ciò che faccio", e da Agostino nella famosa preghiera: "Concedimi castità e continenza, solo non ancora" (Confessioni, VIII, 7). Nei casi di debolezza della volontà, il soggetto desidera sia p che q, è convinto che p e q siano incompatibili, ritiene che tutto considerato dovrebbe optare per p, e tuttavia sceglie (intenzionalmente) q. Questo fenomeno può essere illustrato dall'esempio di un individuo che cerca inutilmente di smettere di fumare, o di tener fede al proposito di fare i suoi esercizi di ginnastica ogni mattina.Sebbene l'esistenza di tale fenomeno sia innegabile, non se ne è ancora compresa esattamente la natura. Secondo George Ainslie, l'incapacità di mettere in atto una decisione presa, come ad esempio quella di smettere di fumare, è dovuta a un rovesciamento delle preferenze nel tempo. Non vi è un singolo momento in cui il soggetto, pur desiderando p, opta per q; piuttosto, in un dato momento preferisce p, ma quando arriva il momento di scegliere, la sua preferenza va a q. Secondo Donald Davidson e altri filosofi che hanno analizzato il problema della debolezza della volontà, il desiderio di fare p e la decisione di fare q possono di fatto coesistere. Nessuno tuttavia sinora ha indicato un meccanismo psicologico specifico in grado di spiegare come ciò possa accadere, né ha fornito esempi convincenti di casi che non possono essere spiegati con l'ipotesi del rovesciamento delle preferenze.
Una forma particolare di comportamento irrazionale è legata a stati che sono essenzialmente effetti collaterali, ossia stati che, sebbene possano realizzarsi in conseguenza dell'azione, non possono essere determinati (intenzionalmente) dall'azione stessa. Esempi di stati di questo tipo sono il sonno, l'eccitazione sessuale, la dimenticanza, parlare senza balbettare, la fede, la fiducia in se stessi e la spontaneità. È impossibile addormentarsi, dimenticare un'esperienza spiacevole o acquistare fiducia in se stessi per semplice decisione; il tentativo di raggiungere tali stati semplicemente e direttamente con un atto di volontà risulta vano e autofrustrante. Si pensi a questo riguardo agli innumerevoli manuali del 'fai da te' che promettono metodi infallibili per vincere la timidezza, per acquistare fiducia in se stessi e via dicendo, al cui immenso successo commerciale non fa riscontro un analogo successo nell'aiutare realmente le persone a superare questi problemi.
Irrazionalità nella formazione delle credenze. - Le credenze razionali vengono derivate dalle informazioni a disposizione sulla base di regole di inferenza soggettivamente ottimali, ossia regole che, nell'esperienza del soggetto, tendono alla distanza e in media a massimizzare la formazione di credenze vere. Alcune credenze, sebbene derivate da evidenze empiriche, sono formate attraverso regole sub-ottimali. Questo tipo di formazione irrazionale della credenza viene definito irrazionalità 'fredda', in quanto in esso non intervengono cause motivazionali. Altre credenze non sono derivate affatto dall'evidenza empirica, ma sono formate invece dai desideri del soggetto. Abbiamo allora una irrazionalità cosiddetta 'calda'.
Sin dal 1970, Amos Tversky, Daniel Kahneman e altri hanno analizzato un'ampia gamma di meccanismi 'freddi' di formazione della credenza. Molti di essi sono riconducibili a una inadeguata comprensione dei principî di inferenza statistica. Nel corso della seconda guerra mondiale, ad esempio, molti londinesi credevano che i Tedeschi concentrassero deliberatamente i bombardamenti in determinate zone perché le bombe tendevano a cadere a grappoli. Tale opinione rifletteva l'ignoranza del principio statistico in base al quale i processi stocastici tendono a generare grappoli; se i bombardamenti avessero seguito uno schema più regolare, vi sarebbero stati motivi assai più fondati per pensare a un obiettivo deliberato. Nell'esercito israeliano, molti istruttori di volo ritenevano che nell'addestramento dei piloti il sistema di punire le cattive prestazioni fosse molto più efficace del sistema di ricompensare quelle positive, perché le punizioni, a differenza delle ricompense, in genere determinano un miglioramento delle prestazioni. Questa opinione rifletteva l'ignoranza del principio statistico della regressione verso la media, ossia la tendenza per cui a ogni caso estremo in un processo stocastico fa seguito un caso meno estremo - come quando genitori di alta statura mettono al mondo figli più bassi di loro, e genitori di bassa statura figli più alti.
Altri meccanismi di formazione della credenza riflettono la tendenza a servirsi di principî euristici, ossia di grossolane regole empiriche che possono essere sistematicamente fuorvianti. Ad esempio il 'principio euristico della disponibilità' induce a trarre generalizzazioni dai casi che vengono in mente più facilmente, come quando si crede che i senzatetto siano in maggioranza ritardati mentali, solo perché tra i senzatetto sono questi gli individui che si notano più facilmente. Il 'principio euristico della rappresentatività' è un tipo di formazione della credenza per associazione: si è portati a credere che, poiché le persone che fanno X in genere fanno Y, coloro che fanno Y in genere faranno X. Ad esempio, poiché la maggior parte degli studenti che fa uso di droghe pesanti consuma anche marihuana, molti inferiscono erroneamente che il consumo di marihuana induca all'uso di droghe pesanti.
Mentre lo studio di questi meccanismi 'freddi' è relativamente recente, i meccanismi 'caldi' della formazione della credenza sono noti da sempre a moralisti e scrittori. Fenomeni quali l'autoinganno e le illusioni sono frequenti nella vita quotidiana, e spesso sono particolarmente visibili all'osservatore. Tra le teorie proposte per spiegare tali meccanismi vi è quella freudiana dell'inconscio e quella della dissonanza cognitiva proposta da Leon Festinger. Se la teoria di Freud resta controversa, quella di Festinger ha avuto delle conferme sperimentali. La premessa di fondo di tale teoria è che là dove esiste una dissonanza o un conflitto tra stati mentali, questi tenderanno a mutare in modo da ridurre tale dissonanza. Così, ad esempio, se le convinzioni di un soggetto sul mondo così com'è sono in contrasto con i suoi desideri su come dovrebbe essere, tale dissonanza potrebbe essere ridotta attraverso un cambiamento delle convinzioni che le metta in linea con i desideri. Un individuo che desidera una promozione può formarsi una forte convinzione che la otterrà, anche se tutte le evidenze dimostrano il contrario. A volte può avvenire anche l'inverso: anziché essere le credenze ad adeguarsi ai desideri, sono questi ad adattarsi alle credenze. Questa formazione delle preferenze adattive è illustrata dalla favola della volpe e dell'uva: poiché la volpe sa che non potrà ottenere l'uva, adatta i suoi desideri in modo da non volerla. Questo meccanismo, come quello dell'illusione, può essere descritto come un processo di massimizzazione del piacere. Non si tratta di una scelta consapevole e intenzionale tra obiettivi alternativi, ma di un meccanismo di adattamento inconscio, paragonabile per certi versi al rigirarsi nel sonno sinché non si trova una posizione comoda. Se l'adattamento consiste nel crearsi illusioni e false credenze, finirà in generale per compromettere gli obiettivi a lungo termine dell'individuo, pur soddisfacendo il suo momentaneo bisogno di pace mentale. Questa forma di riduzione della dissonanza è chiaramente irrazionale.
Più ambigue sotto questo aspetto sono la formazione di preferenze adattive (rappresentata dalla freccia bloccata che va dalla credenza ai desideri nella fig. 1) e quella che si potrebbe chiamare formazione retroattiva delle preferenze (rappresentata dalla freccia bloccata che va dall'azione ai desideri). Quest'ultimo meccanismo entra in gioco quando si opera una scelta tra due alternative egualmente ottimali, o perlomeno assai simili. La tensione associata a una decisione tra alternative pressoché equivalenti, induce a ridurre la dissonanza attraverso una rivalutazione delle dimensioni della scelta. Così si tenderà ad attribuire maggior peso alle dimensioni rispetto alle quali l'alternativa scelta si presenta migliore, in modo da far apparire la decisione più netta e meno soggetta a rimpianti e dubbi. Quando si attua una sequenza di decisioni in base a queste preferenze adattive o retroattive, può essere scelta un'alternativa che secondo le preferenze originarie risulta sub-ottimale. Se le preferenze originarie rappresentano i desideri 'reali' del soggetto, la loro distorsione operata dai meccanismi di riduzione della dissonanza può essere considerata una forma di irrazionalità.
Irrazionalità e raccolta delle informazioni. - Sebbene si sappia ancora poco sull'argomento, tuttavia in base all'osservazione si può ipotizzare che intervenga in questo caso il seguente meccanismo. Un soggetto può avere una propensione a illudersi, ma nello stesso tempo può desiderare che le proprie convinzioni siano frutto di inferenze corrette basate sulle informazioni a sua disposizione. Nel raccogliere nuove informazioni, si possono aggiornare le proprie convinzioni a ogni stadio, per poi smettere di raccogliere ulteriori informazioni se e quando si raggiunge uno stadio in cui la convinzione formata sulla base dei dati raccolti sino a quel momento corrisponde a quella che si vorrebbe fosse vera. Quando si agisce in questo modo, l'investimento in nuove informazioni può risultare non ottimale sia per eccesso che per difetto.
Alternative alla teoria della scelta razionale. - Le varie forme di irrazionalità esaminate sinora non possono essere ridotte a una singola varietà, né spiegate da una singola teoria. I meccanismi caldi e freddi di formazione della credenza, ad esempio, sono completamente diversi tra loro, e anche le varie specie di meccanismi freddi sembrano avere poco in comune. Per quanto riguarda le forme calde o motivate di irrazionalità, tuttavia, si può affermare che alla loro base vi è, in un modo o nell'altro, l'azione delle emozioni. Sebbene non sia stata ancora sviluppata a sufficienza, la teoria delle emozioni è la principale alternativa a quella della scelta razionale.
Le emozioni possono influenzare direttamente il comportamento. Il modo in cui le emozioni possono creare illusioni o debolezze della volontà è stato ampiamente esplorato dalla letteratura in tutto il mondo. Chi commette adulterio, ad esempio, spesso lo fa andando contro ciò che gli suggerisce il buon senso. Analogamente, la cecità del coniuge che non si accorge dell'adulterio del partner è spesso motivata dall'amore, dalla paura o da altre emozioni forti. Inoltre, le emozioni possono far dimenticare le conseguenze delle azioni, come quando si attuano vendette onerose o pericolose solo per il gusto della vendetta.
Le emozioni possono influenzare il comportamento anche per via indiretta, agendo come veicoli di norme sociali. In ogni società, alcune azioni sono universalmente disapprovate, mentre altre sono considerate obbligatorie. Gli individui che non rispondono alle aspettative sociali suscitano collera, indignazione e disprezzo, e tali sentimenti a loro volta provocano in chi ne è oggetto forti sensi di colpa. Sotto queste pressioni interne ed esterne, i soggetti spesso agiscono in modo del tutto opposto a quello che consiglia loro il buon senso. Un adolescente può sapere perfettamente che iniziare a fumare non è saggio, eppure cede alle pressioni dei coetanei.