Anassagora di Clazomene

Filosofo (n. 499 - m. 428 a.C.).

Amico e maestro di Pericle, insegnò per trent’anni ad Atene: il suo richiamo all’esperienza e la tendenza a spiegare in termini naturalistici i fenomeni (escludendo la presenza e l’intervento degli dei) gli procurò l’accusa di empietà (alla quale non sono forse estranei anche motivi politici, vista la sua vicinanza a Pericle, sul quale esercitò una profonda influenza). Costretto a fuggire da Atene, si rifugiò a Lampsaco.

Della sua opera – Sulla natura, assai diffusa ai tempi di Socrate – restano soltanto alcuni frammenti. La speculazione precedente a quella di A. era caratterizzata dall’opposizione tra la fisica degli ionici, che vedeva le cose tutte interessate da un movimento incessante, e la teoria dell’eleatismo, secondo la quale il vero essere è immobile e le cose in movimento sono mere parvenze.

A. riconosce la tesi eleatica secondo cui nulla può nascere dal nulla, né può perire nel nulla; ma vuole anche salvare la realtà dell’esperienza, che appare come un continuo divenire. «Riguardo al nascere e al perire i Greci – afferma A. – non hanno una giusta opinione. Nessuna cosa nasce e nessuna cosa perisce, ma ogni cosa si compone insieme da cose già esistenti e da cose già esistenti si scioglie. E così dovrebbero giustamente chiamare il nascere una riunione, il morire una separazione».

Il nascere è dunque un riunirsi e il morire un separarsi, sicché si può parlare di nascere o morire soltanto in senso relativo. A riunirsi o a separarsi sono una pluralità di elementi originari o «semi» (σπέρματα) – ecco perché la corrente filosofica cui appartiene A. fu detta ‘pluralismo’ – qualitativamente diversi, indiscernibili attraverso i sensi. Ciascuno di questi semi è perfettamente simile, per forma e natura, alla forma e natura delle cose che è chiamato a comporre, onde il nome di «omeomerie» (ὁμοιομέρειαι), ossia particelle similari, dato a essi da Aristotele.

Il pluralismo di A. si fonda sull’idea che i costituenti originari dell’essere (i semi) riproducano la realtà del mondo dell’esperienza: non vi sono dunque né elementi privilegiati (come in Empedocle), né qualità primarie (come in Democrito).

In origine le omeomerie erano in uno stato di caotica mescolanza: poi un principio esterno alla materia – l’intelletto (Νοῦς), diverso e distinto dalla mescolanza – le ordinò imprimendo un movimento alla massa caotica tale da determinare l’aggregazione delle particelle omogenee con le omogenee: così nacque il mondo. In ogni cosa sono tutti i semi o elementi originari; tuttavia ciascuna riceve una forma e nome dall’elemento in essa prevalente.

Il grande merito di A., secondo Platone e Aristotele, è aver distinto l’intellegibile dal sensibile; ma essi poi gli rimproverarono di non aver percorso fino in fondo la strada di una conoscenza finalistica dell’Universo, come l’idea del Νοῦς sembrava prefigurare, e di essere tornato a motivazioni solo meccaniche nella spiegazione dei fenomeni, sicché il Νοῦς rimaneva nella visione di A. un principio puramente estrinseco.