Enciclopedia delle Scienze Sociali (1997)

di Roberto Scazzieri

Ricchezza

sommario: 1. Introduzione. 2. Ricostruzione storico-analitica del concetto. 3. Lavoro, scarsità e ricchezza. 4. Ricchezza, capitale e reddito: l'analisi classica dei fondi di ricchezza e flussi di reddito. 5. Reddito, consumo e ricchezza: ciclo vitale e capitale intergenerazionale. 6. Ricchezza, reddito e dinamica economica. □ Bibliografia.

1. Introduzione

La ricchezza di un sistema economico, oppure di un singolo individuo o gruppo sociale, può essere identificata con l'estensione del suo 'potere di disposizione' su beni e servizi (sia materiali sia immateriali). Questa definizione, piuttosto generale, può comprendere sia la disponibilità di beni e servizi a un dato istante o periodo di tempo, sia la loro disponibilità sotto il profilo intertemporale (quindi attraverso un'intera sequenza di periodi).
Il concetto di ricchezza è più 'antico' e, per così dire, fondamentale rispetto al concetto di reddito: il potere di disposizione collegato alla persistenza di un fondo o patrimonio (ed eventualmente alla sua trasferibilità da una generazione all'altra) è tradizionalmente apparso come una base più solida della disponibilità di un potere d'acquisto (reddito) ricorrente ma non necessariamente collegato a diritti certi riguardo al possesso e all'utilizzazione di beni e servizi.Secondo alcuni autori l'esistenza di ricchezza (individuale o sociale) è condizione necessaria per la formazione o il calcolo del reddito (v. Marshall, 1890; v. Edgeworth, 1925-1926; v. Fisher, 1906). Secondo altri autori, invece, la stessa ricchezza (intesa come potere di disposizione su beni e servizi) si caratterizza essenzialmente come effetto della formazione di reddito e della sua destinazione al risparmio piuttosto che al consumo (v. Smith, 1776; v. Storch, 1815; v. Keynes, 1936, cap. 16; v. Modigliani e Brumberg, 1954; v. Modigliani, 1986).
La diversità di approcci nell'analisi della ricchezza si sovrappone ma non coincide interamente con la distinzione fra le concezioni della ricchezza individuale e quelle della ricchezza sociale. Nel primo caso si mette in evidenza la capacità individuale di produrre reddito (potere d'acquisto) e si identifica la ricchezza con gli elementi del patrimonio materiale, finanziario o intellettuale (capitale umano) a cui può essere ricondotta la formazione del potere individuale di acquisto. Nel secondo caso, invece, si mette in evidenza la capacità collettiva di produrre un flusso di beni e servizi che possano essere destinati alla formazione di nuovo reddito (prodotto netto), anziché semplicemente al mantenimento della capacità produttiva esistente.

2. Ricostruzione storico-analitica del concetto

Nella lingua italiana l'uso antico del termine ricchezza (al singolare) fa riferimento alla condizione generale di chi ha a disposizione quantità rilevanti di beni materiali o di denaro (secoli XIII-XIV). Le caratteristiche astratte di tale condizione sono individuate con lucidità già da Ferdinando Galiani (v., 1963, p. 130) nel suo saggio Della moneta (1750): "Ricchezza è il possesso d'alcuna cosa che sia più desiderata da altri che dal possessore".
L'impiego del termine ricchezze (al plurale) si distingue dal corrispondente singolare per la maggiore attenzione riservata ai beni fisici posseduti, o comunque tenuti a disposizione, da un soggetto (o comunità) a cui va riferita la condizione di ricchezza (cfr., ad esempio, C. Beccaria, Elementi di economia pubblica, Milano 1804). Si deve a Gerolamo Boccardo il richiamo alla distinzione, già operata da Bastiat (v., 1850), fra il significato relativo del termine 'ricchezza' (considerato caratteristico del linguaggio ordinario) e il suo significato assoluto (considerato caratteristico della categoria economica). Infatti, nel linguaggio ordinario si dice "ricco chi non è povero; e ricchezza significa il contrario di povertà", mentre nel linguaggio dell'economia politica il termine ricchezza "ha un significato assoluto, ed esprime in generale il complesso delle cose utili e godibili" (v. Boccardo, 1877², p. 910). Boccardo aggiunge: "Quanto più le utilità gratuite si moltiplicano [grazie ai progressi dell'industria], tanto è maggiore la [quantità] di ricchezze effettive possedute dalla nazione e dal genere umano. Ma un individuo, una famiglia, una limitata agglomerazione di persone sono tanto più relativamente ricchi, quanto è maggiore la somma di valori che possiedono". Infatti "la somma di ricchezze che possono ottenere per via di scambio, sulla massa delle ricchezze esistenti, è proporzionale alla somma dei valori medesimi" (ibid., p. 914).
Nella lingua inglese il termine wealth fa riferimento, in alcuni degli usi più antichi, alla "condizione di essere prospero e felice" (Oxford English dictionary, s. v.) e denota quindi una condizione generale di benessere. Presto tuttavia (impieghi del termine in questa accezione si trovano già a partire dal XIII-XIV secolo) il termine passa a indicare l'abbondanza degli oggetti posseduti da un individuo oppure da una comunità.
L'espressione wealth of nations (ricchezza delle nazioni) è usata già in epoca anteriore alla Inquiry di Adam Smith, in riferimento alle ricchezze collettive di un sistema economico (cfr., ad esempio, W. Petty, Two essays on political arithmetick concerning the people, housing, hospitals, etc. of London and Paris, 1687). Accanto al termine wealth è usato già attorno ai secoli XIII-XIV anche riches, che si caratterizza per una maggiore attenzione rivolta agli aspetti individuali e materiali della ricchezza. In ambito strettamente economico, si deve a Smith un'implicita distinzione fra riches e wealth, secondo cui "ciascun uomo è ricco o povero a seconda del grado in cui può permettersi di godere delle necessità, comodi e piaceri della vita umana" (v. Smith, 1776, ed. 1976, p. 47). In una società caratterizzata da una divisione del lavoro sufficientemente estesa, tuttavia, difficilmente il singolo individuo può soddisfare direttamente, con le risorse a sua disposizione e con il suo lavoro, una quota significativa delle proprie esigenze e desideri. In queste circostanze, i beni a disposizione di ciascun individuo dipendono dalla sua capacità (potere) di utilizzare a proprio vantaggio un particolare schema di divisione del lavoro. Il termine wealth (esplicitamente collegato - nell'opinione di Thomas Hobbes - all'esercizio di una forma di potere) richiama direttamente l'esistenza di un sistema complesso di rapporti sociali in cui la capacità di disporre del lavoro altrui passa in primo piano rispetto all'immediata disponibilità di certi beni (riches).
La dualità di significati che consente di distinguere wealth e riches ritorna negli economisti successivi a Smith, benché la terminologia usata non sia sempre la stessa. In particolare, si trova in Robert Torrens un impiego del termine wealth che mette in evidenza (nell'espressione man of wealth) "una quantità e significa abbondanza delle comodità e dei lussi della vita" (v. Torrens, 1821, p. 3). Viene in questo modo messa in evidenza una concezione di ricchezza come 'fondo', in cui è centrale la disponibilità di certi beni (o servizi) in un dato momento piuttosto che il corrispondente processo di acquisizione.Jeremy Bentham si distingue invece per la concezione della ricchezza come 'flusso', approfondita attraverso l'analisi del corrispondente processo di formazione: "Tutta la ricchezza è alternativamente la produzione spontanea della terra, oppure il risultato del lavoro impiegato nella coltivazione della terra o sui materiali che la terra fornisce" (v. Bentham, 1825, p. 237). Le connessioni tra ricchezza fondo e ricchezza flusso sono studiate da John Stuart Mill, che individua anche in modo preciso la distinzione fra concezione individuale e concezione sociale della ricchezza. Francis Ysidro Edgeworth riprende alcuni aspetti di questa analisi sottolineandone le idee di scambiabilità e utilità e mettendo in risalto la possibilità di escludere materialità, trasferibilità e limitazione di quantità (ma non l'utilità) dai requisiti necessari della ricchezza (v. Edgeworth, 1925-1926, pp. 660-661).
Nella lingua francese il termine richesse (al singolare) fa inizialmente riferimento all''abbondanza' di qualunque specie di valore reale o monetario, per acquisire in seguito il significato più puntuale di potere d'acquisto connesso a capacità produttive reali (cfr. É. Bonnot de Condillac, Le commerce et le gouvernement considérés relativement l'un à l'autre, Paris 1776). Nell'impiego al plurale, il termine richesses indica soprattutto beni concreti considerati nel loro insieme. In ambito strettamente economico si osserva, già a partire dal XVIII secolo, una connessione diretta fra ricchezza, capacità produttiva e flusso di beni e servizi acquisiti per mezzo di essi (cfr. R. Cantillon, Essai sur la nature du commerce en général, London 1755).Si deve a Frédéric Bastiat un ampio esame della distinzione fra ricchezza effettiva e ricchezza relativa: "Si attribuiscono a buon diritto due significati al termine ricchezza: la ricchezza effettiva, vera, [...] ovvero la somma delle utilità che il lavoro umano, col concorso della natura, mette a disposizione delle società, e la ricchezza relativa, cioè la quota-parte proporzionale di ciascuno nella ricchezza generale, quota-parte che si determina in base al valore" (v. Bastiat, 1850, p. 211). La distinzione fra ricchezza effettiva e ricchezza relativa introduce un interessante collegamento fra analisi della ricchezza e teoria del valore, richiamando l'attenzione sul ruolo del valore (e della scambiabilità dei beni) nel determinare la ricchezza relativa di individui o gruppi sociali, ma non nel determinare la corrispondente ricchezza effettiva.

3. Lavoro, scarsità e ricchezza

Negli scritti degli economisti fisiocratici e classici il concetto di ricchezza è spesso usato in riferimento alla formazione di un flusso di beni (e servizi) prodotti e annualmente riproducibili all'interno di un sistema economico. In questo modo la teoria classica della ricchezza sposta la sua attenzione dalla ricchezza come grandezza fondo alla ricchezza come grandezza flusso. Come ha osservato Luigi Pasinetti "'dovizia di beni' può significare una dotazione o fondo di beni esistenti, cioè ricchezza fondo (ricchezza da patrimonio), oppure può significare un cospicuo flusso periodico di beni e servizi, cioè ricchezza flusso o ricchezza da reddito [...] Anche se i due tipi di ricchezza non sono naturalmente disgiunti, la relazione tra i due non è affatto semplice, né chiara, né invariante rispetto all'evoluzione dei sistemi economici" (v. Pasinetti, 1975, p. 4).
Alcune anticipazioni dell'approccio fisiocratico e classico si trovano nel già citato Essai sur la nature du commerce en général di Richard Cantillon (v., 1755, p. 1), in cui si legge che "la terra è l'origine o materia da cui tutta la ricchezza è prodotta. Il lavoro dell'uomo è la forma che la produce: e la ricchezza di per sé non è altro che le necessità, comodi e agi della vita". Il collegamento fra ricchezza e produzione, già esplicito in Cantillon, viene precisato da François Quesnay (Tableau économique, 1758) e dagli altri autori fisiocratici attraverso la considerazione del prodotto netto del sistema economico. Alcuni anni dopo A.R.J. Turgot pubblica le Réflexions sur la formation et la distribution des richesses (1766), in cui l'attenzione per la formazione (produzione) e distribuzione di ricchezza implica "il riferimento immediato a una nozione di ricchezza flusso" (v. Pasinetti, 1975, p. 5). Il cambiamento di prospettiva rispetto alla concezione di ricchezza fondo riguarda non soltanto le coordinate analitiche del concetto di ricchezza, ma lo stesso processo che è alla base della formazione di ricchezza. Infatti, quando la ricchezza di un sistema economico è costituita da beni prodotti e riprodotti, essa "viene continuamente consumat[a] e rimpiazzat[a] dallo stesso processo di produzione; non è più qualcosa di dato, ma qualcosa che viene esso stesso prodotto, rinnovato e accresciuto" (ibid.).
La distinzione tra ricchezza fondo e ricchezza flusso assume carattere centrale nella teoria economica classica che, sotto questo profilo, prelude a risultati successivi dell'analisi economica per quanto riguarda l'imperfetta sovrapposizione di ricchezza individuale e ricchezza sociale (si mette in evidenza come non necessariamente processi individuali di accrescimento della ricchezza conducano all'aumento della ricchezza sociale). Questo punto di vista è espresso chiaramente da John Stuart Mill: "Per un singolo individuo può essere ricchezza qualunque cosa che, per quanto inutile in se stessa, gli possa consentire di richiedere ad altri una parte del loro fondo [stock] di cose utili e piacevoli. Si consideri ad esempio un mutuo di mille sterline acceso sopra un fondo di terra. Esso costituisce ricchezza per la persona a cui assicura un reddito [...] Ma non costituisce ricchezza per l'intero paese; se l'impegno contrattuale fosse annullato, il paese non sarebbe né più povero né più ricco" (v. Mill, 1848, ed. 1886, vol. I, p. 9).
La distinzione milliana è ripresa nella General theory di John Maynard Keynes, in cui è esplicito il riconoscimento del fatto che il risparmio individuale presuppone un trasferimento di ricchezza da un soggetto all'altro, ma non implica necessariamente la formazione di nuova ricchezza: "Qualsiasi atto di risparmio comporta inevitabilmente un trasferimento 'forzato' di ricchezza verso colui che risparmia, benché questi possa a sua volta subire un danno a causa del risparmio di altri. Questi trasferimenti di ricchezza non richiedono la creazione di nuova ricchezza" (v. Keynes, 1936, p. 212).
Luigi Pasinetti ha di recente ripreso la distinzione classica fra ricchezza individuale e ricchezza sociale mettendo in evidenza che "il risparmio del sistema economico nel suo insieme, determinato in termini fisici dall'ammontare totale degli investimenti, non deve essere confuso con le ampie possibilità di risparmio personale che sono aperte ai singoli individui" (v. Pasinetti, 1981; tr. it., p. 176). In particolare, nel caso di un'economia di puro lavoro (in cui i beni sono prodotti mediante l'esclusivo impiego di lavoro e sono assenti i beni capitali) non è possibile alcuna formazione aggregata di risparmio, dal momento che non è richiesta alcuna formazione di capitale al fine di espandere la capacità produttiva. Il reddito consiste esclusivamente di beni di consumo, e un'eventuale eccedenza del reddito prodotto rispetto al reddito consumato non potrebbe avere alcun effetto sulla capacità produttiva futura. Questa situazione, tuttavia, "non comporta alcuna impossibilità, per i singoli individui, di posporre o anticipare il consumo nel tempo, ossia non comporta alcuna impossibilità di risparmio personale, positivo o negativo. Ciascun individuo può sempre astenersi dal consumare parte del suo reddito corrente e posporre il consumo nel tempo, a condizione che egli trovi qualche altro individuo o altri individui che siano disposti a fare l'opposto" (ibid., p. 177).
Esiste, a prima vista, una distanza profonda fra la concezione classica della ricchezza sociale (nazionale) come flusso di beni prodotti misurabile in termini di 'comando' sul lavoro altrui (Smith) e la concezione successiva (postclassica) in cui la ricchezza di un individuo oppure di un sistema economico viene collegata principalmente all'esistenza di un fondo di risorse utili, misurabili in base a un indicatore di scarsità (v. Senior, 1836; v. Carver, 1904). Alla base del diverso ruolo assegnato alla producibilità e alla scarsità nella teoria della ricchezza esiste una diversa rappresentazione analitica del sistema economico. Gli economisti classici partono dalla considerazione della capacità di produrre beni (e servizi) all'interno di un sistema di interdipendenze caratterizzato dalla divisione del lavoro fra individui e gruppi sociali. In questa prospettiva, la misurazione della ricchezza in termini di lavoro comandato (Smith, Malthus) riflette un elemento centrale della divisione del lavoro (la possibilità di disporre del lavoro altrui sulla base di un sistema sufficientemente affidabile di regole contrattuali o norme sociali) e consente di trascurare la considerazione immediata della scarsità. Gli economisti postclassici, invece, fanno riferimento diretto alla relazione fra dotazione di risorse da un lato e necessità o desideri degli individui e dei gruppi dall'altro. In questo caso il power of purchasing della ricchezza (Smith) risulta collegato alla scarsità piuttosto che alla producibilità, e il sistema rilevante di interdipendenze sociali fa riferimento alle relazioni di scambio piuttosto che all'organizzazione della produzione. La possibilità che un bene sia acquisito attraverso lo scambio oppure attraverso la produzione è collegata alla "scarsità ovvero all'insufficiente offerta dell'oggetto in questione" (v. Carver, 1921, p. 43) e la stessa divisione del lavoro fra una pluralità di individui può apparire come un aspetto accessorio della 'riproduzione economica' (inclusiva sia dello scambio sia della produzione). In quest'ultima prospettiva si può concludere che un aspetto caratterizzante della ricchezza è il costo positivo di acquisizione (riproduzione) dei beni sia attraverso la produzione in senso proprio sia attraverso lo scambio (v. anche Ferrara, 18891891, vol. I., pp. 472-492).
L'applicazione del concetto di ricchezza agli schemi di contabilità nazionale suggerisce alcuni approfondimenti della prospettiva analitica appena delineata, e individua possibili utilizzazioni (non necessariamente in alternativa fra loro) delle concezioni classica e postclassica della ricchezza. Ad esempio, la misurazione della ricchezza in termini di lavoro comandato (approccio classico) oppure di scarsità relativa e costo di riproduzione (approccio postclassico) può mettere in evidenza aspetti diversi di un processo di dinamica strutturale.
Le misurazioni di tipo classico risultano di immediata efficacia quando si tratta di individuare gli effetti di un cambiamento delle tecniche di produzione sulla capacità complessiva del sistema economico di produrre beni e servizi. In particolare, l'attenzione di Smith per la misurazione della ricchezza in termini di lavoro comandato mette in evidenza come la ricchezza di un sistema economico possa essere considerata come un 'fondo' atto a produrre beni e servizi ed eventualmente ad accrescere la sua stessa capacità produttiva nel corso del tempo. Secondo Smith "il lavoro svolto in un anno in ciascuna nazione è il fondo originario che fornisce tutti i beni necessari e utili che essa consuma in un anno" (v. Smith, 1776, ed. 1976, p. 10); tuttavia il flusso di beni prodotti diviene esso stesso un fondo (stock, nella terminologia smithiana) di capacità produttiva che può costituire la base per un ulteriore incremento di ricchezza. In questa prospettiva la misurazione della ricchezza sociale in termini di lavoro comandato mette in evidenza la capacità di accrescimento della ricchezza attraverso l'espansione della forza lavoro occupata. Secondo Smith il 'valore reale' del prodotto netto di un sistema economico "esprimeva [...] il limite all'incremento nel numero dei lavoratori produttivi ottenibile in quella nazione, e costituiva perciò il miglior indice del suo potere di accumulare e accrescere così la propria prosperità" (v. Garegnani, 1960, p. 192).
Le misurazioni della ricchezza di tipo postclassico richiamano l'attenzione su altri aspetti della ricchezza individuale e sociale. In particolare, i riferimenti alla scarsità relativa (Senior) e al costo di riproduzione (Ferrara) mettono in evidenza il collegamento fra ricchezza e struttura delle preferenze e consentono di misurare gli effetti del passaggio di un bene dalla categoria dei beni liberi a quella dei beni con costo di riproduzione positivo, oppure gli effetti di un cambiamento nei gusti individuali e collettivi. Nel primo caso, nuovi beni (come acqua e aria pura) potrebbero entrare a far parte del fondo di ricchezza di un sistema economico; nel secondo caso, beni precedentemente collegati al funzionamento di un "sistema industriale efficiente" (v. Carver, 1921, p. 45) potrebbero essere esclusi dagli elementi costitutivi della ricchezza, ad esempio perché espressione di una struttura dei gusti che induce gli esseri umani a desiderare "oggetti che procurano un danno" e che sono quindi all'origine di "deterioramento piuttosto che [di] benessere nazionale" (ibid.).
La misurazione della ricchezza in termini di lavoro comandato richiama l'attenzione sulle caratteristiche intrinsecamente dinamiche della formazione di ricchezza in un'economia di produzione (in cui sono rilevanti la capacità di produrre ricchezza e la caratteristica della ricchezza come fondo di prodotti). D'altra parte, la misurazione della ricchezza in termini di scarsità relativa e costo di riproduzione richiama l'attenzione sulle caratteristiche che rinviano al grado di riproducibilità dei beni e alla struttura delle preferenze. Diversi contesti storici e operativi rinviano all'uno o all'altro dei due criteri di misurazione. In particolare, i confronti della ricchezza prodotta in sistemi economici sufficientemente simili si possono più agevolmente stabilire in termini di lavoro comandato, mentre i confronti fra sistemi caratterizzati da differenze profonde nel grado di producibilità dei beni o nella struttura delle preferenze rinviano alla considerazione degli elementi soggettivi appena esaminati. Infatti sistemi economici analoghi sotto il profilo delle categorie di beni producibili e non producibili, e sotto il profilo dei beni a cui si collegano 'utilità positiva' oppure 'utilità negativa', possono essere confrontati in termini di una misura oggettiva della ricchezza, quale quella espressa dal lavoro comandato di Smith e Malthus (tale unità di misura permette di valutare le possibilità di espansione di un sistema economico considerando il 'potere di disposizione' collegato a un particolare fondo di prodotti). Il lavoro comandato, tuttavia, difficilmente può consentire un confronto significativo in termini di ricchezza fra sistemi economici molto distanti fra loro per quanto riguarda i beni producibili e non producibili, oppure i beni forniti di utilità positiva o negativa. Infatti in questo caso la considerazione del lavoro comandato elimina differenze nella struttura produttiva e nella struttura dei gusti che può essere invece interessante prendere in considerazione: il lavoro comandato di un sistema economico in cui il criterio della producibilità è esteso a comprendere alcune risorse naturali (completamente o parzialmente rinnovabili) ha un significato profondamente diverso dal lavoro comandato di un sistema economico in cui le risorse naturali appartengono esclusivamente alla categoria dei beni non producibili (cosicché non vi possono essere quantità di lavoro destinate ai processi di mantenimento delle risorse).

4. Ricchezza, capitale e reddito: l'analisi classica dei fondi di ricchezza e flussi di reddito
 
I contributi di Pietro Verri e Adam Smith richiamano l'attenzione sulle caratteristiche centrali della concezione classica relativa alle caratteristiche intertemporali del reddito e della ricchezza. Nelle Meditazioni sull'economia politica Pietro Verri puntualizza il concetto di ricchezza flusso e la relazione tra flussi di produzione e consumo nella dinamica della ricchezza: "due oggetti principalmente bisogna osservare, e sono annua riproduzione, e consumazione annua. In ogni Stato si riproduce per mezzo della vegetazione e delle manifatture, e in ogni Stato si consuma. [...] Quando il valore totale della riproduzione equivale al valore dell'annua consumazione, quella nazione persevera nello stato in cui è quando tutte le circostanze sieno eguali. Deperisce quella nazione in cui l'annua consumazione eccede la riproduzione annua, e migliora invece quello Stato in cui l'annua riproduzione sopravanza il consumo" (v. Verri, 1771, pp. 18-19).
Nella Wealth of nations di Smith passa in primo piano la relazione fra capital (capitale) e revenue (reddito) in cui, a differenza del nesso esaminato da Verri, acquista importanza centrale il collegamento tra una grandezza flusso (il revenue) e una grandezza fondo (lo stock di beni prodotti e non destinati al consumo immediato). La relazione tra fondi e flussi nella dinamica della ricchezza è inizialmente descritta da Smith facendo riferimento alla distinzione fra capitale e reddito individuali: "Quando il fondo [stock] posseduto da un individuo è appena sufficiente a mantenerlo per pochi giorni o poche settimane, raramente egli pensa di derivare un qualsiasi reddito da esso. Egli lo consuma nel modo più parsimonioso possibile, e cerca con il suo lavoro di acquisire qualcosa che possa prendere il suo posto prima che sia interamente consumato. In questo caso il suo reddito è derivato esclusivamente dal suo lavoro" (v. Smith, 1776, ed. 1976, p. 279). La formazione di reddito è in questo caso un risultato esclusivo dell'attività lavorativa direttamente rivolta alla formazione di beni, e non può fare riferimento all'impiego di un fondo di ricchezza allo scopo di accrescere la capacità di formazione del reddito.In un passo immediatamente successivo, tuttavia, Smith riconosce l'importanza della formazione di fondi nel processo di creazione della ricchezza flusso: "Quando [un individuo] possiede un fondo sufficiente a mantenerlo per mesi o per anni, egli naturalmente si sforza di ottenere un reddito dalla maggior parte di esso e di riservare per il suo consumo immediato soltanto quella parte che lo possa mantenere fino a quando questo reddito inizi a essere percepito" (ibid.).
In particolare, la disponibilità di fondi di ricchezza (nella forma di fondi di beni prodotti) è considerata la condizione necessaria per l'introduzione della divisione del lavoro e quindi per l'avvio di un processo di crescita della produttività del lavoro basato su forme significative di apprendimento: "Un tessitore non può dedicarsi interamente alla sua particolare attività a meno che non vi sia accumulato da qualche parte, in suo possesso oppure in possesso di qualche altra persona, un fondo sufficiente per mantenerlo e per rifornirlo di tutte le materie prime e attrezzi del suo lavoro, finché egli non abbia non solo completato ma venduto la sua tela. Questa forma di accumulazione deve evidentemente precedere l'applicazione del suo lavoro a una tale particolare attività per un tempo così prolungato" (pp. 276-277). La formazione (accumulazione) di un fondo di ricchezza flusso (o capitale) è quindi per Smith la condizione necessaria perché un sistema economico possa avviare un circolo virtuoso basato sull'estensione della divisione del lavoro, gli incrementi di produttività e l'allargamento dei mercati: "Poiché l'accumulazione di un fondo deve, nella natura delle cose, precedere la divisione del lavoro, il lavoro può essere sempre più suddiviso a condizione che quel fondo sia sempre più accumulato" (p. 277).
La connessione tra ricchezza flusso e formazione di fondi attraverso l'accumulazione di uno stock di prodotti è centrale nella teoria smithiana della dinamica della ricchezza: "La proporzione fra capitale e reddito, quindi, sembra ovunque regolare la proporzione fra industriosità e pigrizia. Ogni qual volta predomina il capitale, prevale l'industriosità. Ogni qual volta predomina il reddito, prevale la pigrizia. Qualunque aumento o diminuzione di capitale, quindi, tende in modo naturale ad aumentare oppure a diminuire il volume reale di attività, il numero di lavoratori produttivi, e di conseguenza il valore di scambio del prodotto annuo della terra e del lavoro di un paese, quindi la ricchezza reale e il reddito dei suoi abitanti" (p. 337).
L'analisi smithiana delle relazioni intertemporali tra grandezze fondo e grandezze flusso mette in evidenza come il passaggio alla concezione di ricchezza flusso basata sulla produzione annua di ricchezza e sulla formazione di prodotto netto (Verri, Smith) richieda un'identificazione dei fondi coerente con la centralità dei processi produttivi. I fondi, infatti, sono considerati da Smith come stocks di prodotti piuttosto che come dotazioni di risorse. In questo modo la teoria classica della ricchezza flusso viene ad assumere la caratteristica di uno schema logico basato sulla considerazione di asimmetrie temporali nel coordinamento tra i processi di formazione dei prodotti e i processi di formazione degli stocks (in primo luogo di beni di consumo) necessari per consentire l'introduzione della divisione del lavoro e la produzione di attrezzi. Le caratteristiche strutturali dei processi produttivi determinano, secondo Smith, una specifica articolazione temporale dei flussi e fondi di ricchezza, e quindi il ruolo rispettivo di capital e revenue nella formazione di potere d'acquisto all'interno del sistema economico. Questa prospettiva suggerisce anche un particolare punto di vista per quanto riguarda le relazioni tra accumulazione individuale di ricchezza (risparmio individuale), formazione di fondi di ricchezza (stocks di prodotti) a livello dell'intero sistema economico (risparmio aggregato) e caratteristiche dinamiche del sistema economico complessivo. Infatti, il ruolo del risparmio individuale (accumulazione individuale) risulta strutturalmente distinto dalla spesa di revenue benché, dal punto di vista aggregato, sia il risparmio sia la spesa possano essere considerati come particolari forme di consumo della ricchezza flusso prodotta. Tuttavia si tratta di un consumo effettuato da soggetti (o gruppi di soggetti) collocati in modo molto diverso nel processo di formazione della ricchezza. A questo proposito Smith osserva: "Ciò che è annualmente risparmiato è consumato altrettanto regolarmente [del reddito] che è annualmente speso, e inoltre quasi nello stesso periodo di tempo; ma è consumato da un insieme diverso di persone. La porzione di reddito che un uomo ricco spende annualmente è nella maggior parte dei casi consumata da ospiti oziosi e domestici, che non lasciano alcunché dietro di sé come risultato del loro consumo. Quella quota [di reddito] che egli risparmia annualmente, dal momento che è immediatamente impiegata come capitale allo scopo di percepire un profitto, finisce per essere consumata anch'essa, e quasi nello stesso tempo, ma da una diversa categoria di persone, da lavoratori, operai e artigiani che riproducono con un profitto il valore del loro consumo annuale. [...] Il consumo è lo stesso ma i consumatori sono diversi" (pp. 337-338).

5. Reddito, consumo e ricchezza: ciclo vitale e capitale intergenerazionale

Come si è visto, il nesso fra ricchezza e consumo è centrale nella concezione preclassica della ricchezza, in cui questa è considerata in primo luogo come un fondo di beni e servizi almeno potenzialmente consumabili (v. cap. 2). Gli economisti classici richiamano l'attenzione sui collegamenti tra formazione della ricchezza e produzione di beni, e al tempo stesso sul ruolo del consumo produttivo (consumo destinato al mantenimento di lavoratori produttivi) nei processi di utilizzazione dei fondi di ricchezza (v. cap. 4). Nella riflessione economica postclassica l'attenzione per i flussi di reddito e per il collegamento tra reddito e mantenimento del capitale (o della ricchezza) conduce alla considerazione esplicita delle relazioni fra dinamica della ricchezza individuale e scelte intertemporali di consumo e risparmio. Irving Fisher (v., 1906 e 1930) mette in evidenza che la distinzione tra flussi di reddito e fondi di ricchezza riflette spesso la valutazione dei singoli individui riguardo all'attualizzazione dei flussi attesi di potere d'acquisto. Ad esempio, la ricchezza di uno stesso individuo potrà essere considerata maggiore o minore a seconda che lo stesso flusso atteso di entrate sia attualizzato facendo riferimento, rispettivamente, a un saggio di sconto minore oppure maggiore. Lo stesso Fisher illustra il ruolo delle scelte intertemporali nella valutazione di reddito e ricchezza (capitale).
Il collegamento fra reddito e ricchezza si presenta, nella prospettiva fisheriana, soprattutto dal punto di vista ex ante delle valutazioni dei singoli. La ripresa di interesse per la concezione classica della ricchezza, che può essere collegata al contributo di John Maynard Keynes, suggerisce il superamento della concezione fisheriana, e quindi dell'ipotesi che "il risparmio non consista soltanto nell'astensione dal consumo presente ma nel collocare simultaneamente un ordine specifico per un consumo futuro" (v. Keynes, 1936, p. 210). Il contributo keynesiano è caratterizzato dalla concezione della formazione di ricchezza come processo ex post, il cui risultato è una diminuzione netta della domanda per beni di consumo anziché "una sostituzione della domanda di consumo futuro al posto della domanda di consumo presente" (ibid.). Uno sviluppo interessante della teoria keynesiana della ricchezza si ha con la teoria del ciclo vitale dei consumi e risparmi, che mantiene la concezione dell'accumulazione di ricchezza come processo ex post, ma ne individua i collegamenti con le propensioni e le scelte degli individui (e dei gruppi sociali) per quanto riguarda la distribuzione intertemporale di risparmio e consumo. Alla base della teoria del ciclo vitale è l'idea che "il risparmio positivo in certe fasi della vita [sia] compensato dal risparmio negativo in altre: ciò che Harrod ha suggestivamente denominato 'gobba del risparmio' (hump saving)" (v. Modigliani, 1975, ed. 1992, p. 178). Secondo questa prospettiva, la distribuzione di consumo e risparmio all'interno del ciclo vitale è sufficiente a determinare un tasso positivo di formazione della ricchezza anche in assenza di un saggio positivo di espansione del sistema economico nel suo complesso: "In un'economia stazionaria - con tasso di crescita della popolazione e della produttività pari a zero - la quota di risparmio deve essere zero, indipendentemente dal ciclo vitale della quota del risparmio delle singole famiglie, poiché il risparmio positivo di coloro che presentemente accumulano in vista di un successivo risparmio negativo sarebbe esattamente compensato da coloro che si trovano in questa seconda fase. Nel contempo [...], anche assumendo che la sola fonte basilare della 'gobba del risparmio' [sia] il ritiro dall'attività, ci si [può] attendere che una società stazionaria [tenga] un sostanziale volume di attività patrimoniali in rapporto al reddito" (p. 185). La teoria del ciclo vitale è stata successivamente estesa a considerare il peso relativo della formazione di ricchezza come risultato di trasferimenti intergenerazionali (eredità) rispetto alla formazione di ricchezza attraverso il risparmio all'interno della stessa generazione (pp. 222-224). A questo proposito, si è giunti alla conclusione che è possibile "avere una forte ricchezza anche senza passaggio ereditario" (v. Modigliani, 1996, p. 22) e che, anche ammettendo i trasferimenti ereditari, "il risparmio, così come inteso nel modello del ciclo vitale, cioè nella sua funzione di livellare il consumo, sembrerebbe ancora essere la fonte più importante di ricchezza del nostro sistema" (ibid.). Malgrado questo risultato di carattere macroeconomico (basato su stime della quota di ricchezza ereditaria e di quella dovuta al ciclo vitale), è stata riconosciuta l'importanza del movente dell'eredità nella spiegazione di comportamenti individuali diversi da quelli inizialmente considerati nel modello del ciclo vitale, come il fatto che "l'attività di decumulo (della ricchezza), se mai esiste, sia minima nell'età avanzata" (v. Modigliani, 1975, ed. 1992, pp. 234-235).
La teoria del ciclo vitale suggerisce un interessante collegamento fra i risultati collettivi (aggregati) delle scelte individuali e la critica keynesiana della teoria di Fisher sulla sostituzione di consumo futuro a consumo presente. I contributi sul ciclo vitale di risparmio e consumo, infatti, mettono in evidenza come tale sostituzione possa avere le caratteristiche di un risultato ex post connesso alle dinamiche demografiche (struttura della popolazione per classi di età) e indipendentemente dall'atteggiamento dei singoli individui nei confronti della sostituzione intertemporale. In altre parole, la struttura demografica può determinare la quota di reddito consumata e la quota destinata alla formazione di nuova ricchezza senza fare diretto riferimento alla preferenza intertemporale dei singoli: la propensione al risparmio positivo oppure a quello negativo può essere considerata un dato strutturale collegato all'età e sostanzialmente indipendente da un'esplicita massimizzazione degli indici di utilità.
In questo modo la teoria del ciclo vitale, benché esplicitamente collegata (in alcune sue formulazioni) alla teoria della sostituibilità intertemporale fra consumo presente e futuro (v., ad esempio, Modigliani, 1988) mostra anche evidenti connessioni con la concezione secondo cui i comportamenti di risparmio riflettono propensioni psicologiche e assetti istituzionali o demografici di fatto indipendenti dalla logica di una teoria della scelta razionale (v., a questo riguardo, Del Vecchio, 1915 e 1956; v. Quadrio Curzio, 1965).
Il problema del collegamento fra reddito e ricchezza secondo una prospettiva intertemporale (che è al centro dei contributi appartenenti alla tradizione analitica del ciclo vitale) rimane essenziale nello studio dei trasferimenti di potere d'acquisto (reddito e ricchezza) da una generazione all'altra. Il trasferimento intergenerazionale può riguardare sia flussi di reddito sia fondi di ricchezza. Nel primo caso si può trattare (ad esempio) del trasferimento di titoli a cui sia collegato un rendimento di tipo ricorrente; nel secondo caso si può trattare di immobili o di altri 'fondi' privi di un diretto 'comando' su beni e servizi e tali da richiedere un processo di liquidazione. Nei trasferimenti intergenerazionali di potere d'acquisto è centrale il ruolo di assetti istituzionali e demografici (quali regimi di proprietà e di trasferimento per eredità, saggio di crescita della popolazione, mutamenti nella composizione della popolazione per coorti di età) che, in modo più accentuato che nel caso dei trasferimenti di medio periodo all'interno di una stessa generazione (ciclo vitale), tendono a prevalere rispetto agli elementi di sostituzione intertemporale (consumo futuro al posto di consumo presente), più evidenti nel breve periodo.

6. Ricchezza, reddito e dinamica economica

Le osservazioni precedenti consentono di individuare una precisa linea di evoluzione che conduce il concetto di ricchezza a costituire (forse più del concetto di reddito) un indicatore delle 'possibilità di acquisizione' godute da un particolare individuo, gruppo sociale o sistema economico in una prospettiva di medio e lungo periodo. Alla base di questa essenziale caratteristica del concetto di ricchezza è il suo riferimento a situazioni consolidate piuttosto che a un flusso corrente di beni e servizi. Per questa ragione, i cambiamenti nella concezione prevalente di ricchezza possono essere considerati come un indicatore importante del passaggio da una fase all'altra nelle relazioni di lungo periodo fra aspetti economici fondamentali quali la dinamica delle popolazioni da un lato e la dinamica delle risorse a loro disposizione dall'altro.Sistemi economici stazionari o quasi stazionari tendono a privilegiare una concezione della ricchezza basata sulla considerazione dei 'fondi', cioè della quantità di potere d'acquisto accumulato in oggetti o titoli di possesso certo e valore reale indipendente (almeno in parte) dalla struttura degli scambi. D'altra parte i sistemi economici caratterizzati da rilevanti trasformazioni della quantità e della composizione delle risorse disponibili tendono a mettere in evidenza caratteristiche di 'flusso' della ricchezza, e quindi l'esistenza, le dimensioni e il saggio di crescita del potere d'acquisto corrente (reddito), e la sua accumulazione in uno stock di cui è possibile studiare i processi (talora alterni) di formazione oppure progressivo esaurimento (un esempio è costituito dai processi di accumulazione e consumo studiati nella teoria del ciclo vitale).Non si può escludere che un rallentamento di lungo periodo nei processi di crescita del reddito finirebbe per mettere nuovamente in risalto la dimensione di 'fondo' della ricchezza, e quindi la sua capacità di assegnare a individui e gruppi sociali una sorta di 'protezione reale' nei confronti di condizioni di volatilità dei flussi di reddito (a questo proposito v. Buchanan, 1993, p. 35). D'altra parte, situazioni di accentuata dinamica sociale (favorita da particolari dinamiche demografiche e da regimi di trasferimento della ricchezza da una generazione all'altra) possono mettere in evidenza flussi di ricchezza (da un individuo all'altro, da una generazione all'altra) che non siano ancora assestati in fondi sufficientemente consolidati rispetto alle dinamiche di mercato, oppure rispetto ad altri processi di accumulazione del trasferimento del potere d'acquisto.(Sono lieto di riconoscere il mio debito intellettuale nei confronti del gruppo di studiosi dell'International research network 'The wealth of nations in economic theory', ferma restando la mia responsabilità esclusiva per il contenuto specifico di questo scritto).