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Mercato
In senso concreto, il luogo dove avvengono le contrattazioni per
la vendita e l’acquisto di determinati prodotti e dove normalmente
si incontrano, tutti i giorni, o in giornate stabilite,
compratori, venditori e intermediari per effettuare transazioni
commerciali relative a merci varie o anche a una sola merce.
Per estensione, l’insieme degli operatori legati tra loro in
determinati rapporti d’affari o, sotto altro aspetto, l’insieme
delle operazioni relative a un determinato bene o gruppo di beni.
[...]
1. Tipologie di mercato
Da un punto di vista spaziale, il
m. può essere locale (comunale, rionale ecc.), nazionale,
internazionale o mondiale, e dallo stesso punto di vista si
parla di un punto o zona nodale del m. per indicare il punto o
la zona, in genere centrale, in cui passano o sono disponibili i
prodotti. Secondo la teoria economica tradizionale, il sarebbe
caratterizzato dalla piena trasferibilità, nel suo
ambito, sia dei fattori di produzione sia dei prodotti e quindi
dalla tendenza al livellamento delle produttività
marginali ponderate dei fattori investiti e all’adeguamento ai
costi di produzione nel lungo periodo dei prezzi dei prodotti;
invece il sarebbe caratterizzato dalla completa
intrasferibilità dei fattori naturali e dalla difficile
trasferibilità del capitale e del lavoro, con conseguente
tendenza al permanere dei dislivelli di salari, interessi,
rendite e quindi anche di prezzi dei prodotti. In passato,
carattere intermedio da questo punto di vista avevano il m.
regionale , in cui i fattori di produzione si trasferivano
sempre con qualche difficoltà pur avendo la regione un
ordinamento uniforme, e il m. coloniale , che pur abbondando di
fattori naturali scarseggiava di capitale e lavoro e, pertanto,
era destinato a rimanere economicamente arretrato in confronto
al m. metropolitano, aperto soltanto verso la madre patria e
chiuso nei rapporti con gli altri.
I m. si possono distinguere inoltre, a seconda del tipo di
contrattazioni, in e al minuto , e a termine . A seconda
dell’oggetto delle contrattazioni, si hanno m. dei prodotti (per i
prodotti industriali si parla di se si riferisce a un solo ramo
d’industria e di quando il prodotto è impiegato da numerosi
rami di industria) e m. dei servizi produttivi ; particolare
interesse presentano: il m. del lavoro ; il m. dei capitali ,
distinto in m. monetario , che è il m. del denaro a breve
termine, e m. finanziario , che è il m. dei capitali
propriamente detti, ossia dei prestiti a medio e lungo termine; il
m. dei cambi e dei titoli , in cui si distinguono il m. primario ,
per gli scambi dei titoli di nuova contrattazione, e il m.
secondario , per le negoziazioni di titoli già in
circolazione; il ecc.
A seconda che lo Stato non intervenga nel gioco della domanda e
dell’offerta o vi faccia più o meno sentire il peso della
sua volontà, il m. può essere libero, regolato,
controllato; ed è proprio quando domanda e offerta si
realizzano e incontrano liberamente – pur nel rispetto delle leggi
e delle istituzioni vigenti in un dato paese – che si dovrebbe
parlare di economia di m. , mentre il termine si usa spesso
impropriamente con riferimento anche a situazioni che non possono
dirsi di libera concorrenza assoluta; quando vigano divieti e
limitazioni delle contrattazioni e i prezzi siano calmierati,
può sorgere un m. parallelo clandestino, contro legge,
detto m. nero , per estensione del termine borsa nera.
Perché si possa parlare dell’esistenza di un m. occorre
che lo scambio del bene o dei beni considerati avvenga
sistematicamente (per una singola proprietà terriera, per
una singola opera d’arte non può parlarsi di un m., mentre
si può parlare di un m. della terra in genere, della
pittura moderna ecc., così come si parla di un m. del
grano, dei metalli ecc.). In ogni m. particolare il rapporto tra
la quantità economica offerta in cambio del bene e la
quantità economica del bene stesso indica il prezzo del
bene, e il rapporto inverso il valore della moneta in termini di
quel bene.
L’insieme dei singoli m. particolari costituisce il m. generale
, astrazione di cui ci si serve soprattutto per valutare in base
alle variazioni del livello generale dei prezzi quelle del potere
d’acquisto della moneta in termini di tutti i beni. Il m. è
detto perfetto se il bene oggetto di contrattazione in un dato m.
può ritenersi omogeneo, e non soltanto per considerazioni
economico-tecniche obiettive ma anche per l’assenza di qualsiasi
preferenza personale da parte dei compratori per l’uno o l’altro
venditore dello stesso bene (preferenza che può essere
creata o alterata dalla pubblicità e altri mezzi di
differenziazione di prodotti omogenei; si parla a questo proposito
di m. non informato quando il consumatore medio giudica della
qualità dei beni e servizi che richiede in base appunto
alla pubblicità), e se le condizioni delle contrattazioni
avvenute sono immediatamente note a tutti gli operatori
(trasparenza del m.). Nel m. perfetto le transazioni si realizzano
con la massima fluidità e si può attuare la legge
dell’indifferenza del prezzo di W.S. Jevons, secondo la quale in uno
stesso momento, in uno stesso m. per uno stesso prodotto, il
prezzo non può essere che unico.
M. imperfetto è invece quello
che non risponde neanche a uno di questi requisiti. Alcuni
economisti moderni, però, non presuppongono nei loro
schemi di m. il requisito dell’omogeneità del prodotto,
in quanto ritengono sufficiente, perché si possa parlare
di m., che tra i beni offerti esista un rapporto di relativa
sostituibilità per cui il prezzo di ognuno di essi
risulti costantemente diverso da quello che sarebbe se non
fossero in vendita gli altri (in tale ipotesi si può
parlare di m. dei cereali oltre che di m. del grano, dell’orzo,
del riso ecc., di m. delle automobili oltre che di m. delle
Mercedes, delle Fiat ecc.).
Se ci si riferisce all’indipendenza o meno dalla volontà
dei singoli operatori del prezzo che si forma sul m., pur essendo
il prezzo stesso il risultato dell’incontro della domanda e
dell’offerta collettiva, i m. si distinguono in m. automatici ,
dove il prezzo è un dato oggettivo per i richiedenti e gli
offerenti, e m. non automatici , i quali si possono distinguere a
loro volta a seconda del numero dei soggetti economici che in essi
offrono o domandano.
Il m. si dice infine o a seconda che sia possibile o meno
l’entrata o l’uscita di nuovi operatori, sia che ci si riferisca
all’importazione e all’esportazione di merci o servizi provenienti
al di fuori dei confini territoriali del m. (in tal senso è
chiuso il m. cinto da barriere doganali insormontabili o isolato
da un blocco) sia, invece, che ci si riferisca alla
possibilità che sorgano all’interno del m. stesso nuove
unità di produzione o di consumo accanto a quelle
già esistenti e che possano facilmente uscirne.
2. Studio del mercato
Lo studio del m. e di come vi si
formi il prezzo, per il gioco della domanda e dell’offerta,
è antico quanto la scienza economica, ma fino a tutta la
Prima guerra mondiale gli economisti si sono occupati soltanto
di analizzare due forme estreme di m.: la libera concorrenza
assoluta e il monopolio assoluto, trascurando di proposito le
forme intermedie (a eccezione degli studi di A. Cournot, J. Bertrand e F.Y. Edgeworth sul duopolio).
Motivi ideali inducevano a persistere nel ritenere modello
fondamentale e sufficiente la libera concorrenza, nonostante il
distacco tra teoria e realtà si andasse sempre più
accentuando, e a considerare come eccezione il monopolio;
inoltre si riteneva possibile l’individuazione di un prezzo di
equilibrio soltanto in queste due ipotesi estreme e anche per
questo non ci si preoccupava di teorizzare su ipotesi
intermedie, nonostante sulla base della realtà storica se
ne potessero costruire di sempre più numerose. Si pensava
d’altra parte che i sistemi concreti fossero comunque sempre
interpretabili riferendosi alternativamente o allo schema del
monopolio (cui sono legati soprattutto i nomi di A. Cournot, V. Pareto, E. Barone, L. Amoroso) o a
quello della pura concorrenza (L. Walras, Pareto, F.Y. Edgeworth, A. Marshall), a
seconda del prevalere dell’uno o dell’altro nella struttura dei
singoli sistemi. Le guerre mondiali determinarono però
alcune trasformazioni nella realtà economica e ne
accentuarono altre già in corso, tanto da
costringere a prendere atto che la teoria rischiava di non aver
più riferimento con i fatti; così, sulla via
aperta da P. Sraffa
nel 1925, si è svolta una radicale revisione della teoria
delle forme di m. per opera di W. Eucken, W. Fellner, F. Machlup,
H. von Stackelberg, R. Triffin e soprattutto di E. Chamberlin e J. Robinson, che
hanno analizzato il funzionamento del m. nelle varie ipotesi di
concorrenza imperfetta o monopolistica.
La classificazione delle forme di m. può essere fatta in
base a vari criteri, a quelli cioè dell’indipendenza, della
formazione più o meno libera del prezzo, dell’indifferenza;
si può anche ricorrere a questo scopo al criterio
dell’elasticità di sostituzione e a quello
dell’elasticità indiretta. La classificazione più
semplice è quella che distingue le forme di m. a seconda
del numero dei soggetti economici che vi partecipano e che prevede
soltanto quattro forme, se si limita alle due ipotesi di
moltissimi soggetti da ambo le parti (concorrenza bilaterale) o di
un solo soggetto da ambo le parti (monopolio bilaterale o
monopolio con monopsonio) e alle due ipotesi incrociate
(concorrenza di domanda con monopolio d’offerta e concorrenza
d’offerta con monopolio di domanda o monopsonio). Qualora si
inseriscano anche dal lato dell’offerta e della domanda le ipotesi
intermedie di poche grosse unità di produzione e di consumo
(oligopolio e oligopsonio), il numero delle possibili forme di m.
sale a seconda che il m. sia perfetto o imperfetto, e tenendo
anche conto dell’apertura o chiusura del m. da parte della domanda
e da quella dell’offerta. Eucken ha ritenuto tuttavia questa
tipologia ancora insufficiente, e addirittura Stackelberg è
arrivato a prevedere 900 forme di mercato. È inoltre da
considerare che, distinguendo tra periodo breve e periodo lungo,
possono essere fatte ulteriori classificazioni tenendo conto delle
possibili reazioni, sulle dimensioni degli impianti delle altre
imprese, alle variazioni del prezzo praticate da un’impresa del
gruppo. Tuttavia, in base al numero degli operatori e
all’omogeneità o meno della merce, le forme di m. da
ritenersi teoricamente interessanti e veramente utili per
l’interpretazione dei fenomeni reali sono poche.
3. Definizioni
Analisi di m.è lo studio,
impropriamente assimilato alla ricerca di m., del m. da un punto
di vista globale o in un suo aspetto particolare, e può
valersi di dati raccolti all’interno di un’impresa, e
all’esterno, attraverso la consultazione di elementi statistici
già rilevati e di altre fonti note, oppure di altri
mezzi di ricerca, quali le vere e proprie ricerche di mercato.
È realizzata dal responsabile del marketing dell’impresa
per conoscere la natura, le caratteristiche e la distribuzione
dei fenomeni di cui deve tenere conto nelle sue decisioni.
Area (o zona)
di m. è l’area che gravita per gli acquisti su un
centro urbano che può considerarsene il capoluogo
commerciale in quanto esercita la sua attrazione sui
consumatori di tutta l’area. Secondo la legge di gravitazione
del commercio al dettaglio proposta da W.J. Reilly, il potere
di attrazione esercitato da un centro urbano sulle varie parti
dell’area è direttamente proporzionale alla massa della
sua popolazione e inversamente proporzionale alla distanza.
Questa legge, oltre che per misurare il potere di attrazione
dei vari centri, è di grande utilità per
delimitare le aree di mercato.
Costo del m. è detto l’insieme
delle spese necessarie per l’organizzazione del m., comprese le
remunerazioni degli intermediari, costo che grava in parte sul
richiedente e in parte sugli offerenti ed è in genere
più elevato dei costi di produzione e di trasporto in
quanto la catena dei passaggi dal produttore al consumatore
è piuttosto lunga e l’organizzazione dell’attività
commerciale è quasi sempre tutt’altro che perfetta.
Operazioni di m. aperto sono gli
acquisti e le vendite di titoli pubblici da parte della banca
centrale al fine di immettere o di ritirare dalla circolazione
biglietti, in modo da accrescere o ridurre indirettamente i
fondi liquidi disponibili presso le banche ordinarie con
conseguente possibilità per queste ultime di espandere o
contrarre il credito. Oltre a stimolare o frenare gli affari,
agendo sulla liquidità del m. monetario, la banca
centrale può con queste operazioni neutralizzare gli
effetti sulla circolazione e sui prezzi di eventuali deflussi o
afflussi di oro verso l’estero e dall’estero. Le operazioni di
m. aperto sono state a volte preferite alla classica manovra
dello sconto, pur essendo onerose per la banca, sia
perché, potendo non essere palesi a tutti, non producono
i turbamenti psicologici che talora derivano invece da
variazioni del saggio ufficiale di sconto (specialmente del
rialzo), sia per la loro maggiore tempestività e per la
grande adattabilità dal punto di vista amministrativo,
sia infine perché si sperava che i loro effetti non
potessero essere eventualmente frustrati dalla scarsa
elasticità della domanda di credito (in realtà la
loro influenza restrittiva in periodi di espansione economica
è risultata maggiore dell’influenza stimolante in periodi
di depressione). Per questo, dopo la Seconda
guerra mondiale sono state largamente usate, con risultati
non omogenei, in particolare per attuare la cosiddetta politica
del denaro a buon mercato.
Potere di m.è la
capacità di influire sul m., e quindi sul prezzo di un
bene, più degli altri offerenti o richiedenti; è
strettamente legato a situazioni diverse dalla libera
concorrenza e può spingersi fino all’assoluto controllo
del m. in caso di monopolio.
4. M. finanziari
Il m. finanziario, in generale,
è il luogo di creazione e di scambio di attività
finanziarie. Grazie alla globalizzazione dei m. e alla
diffusione del sistema telematico di negoziazione non è
più necessaria l’esistenza di un luogo fisico dove
effettuare gli scambi. I m. finanziari sono detti a pronti (o spot) quando l’attività
finanziaria è scambiata con pronta consegna, a termine
(o futures) quando la
consegna è differita a un determinato momento futuro.
Appartengono a questa seconda categoria i m. di strumenti
derivati , così chiamati poiché il loro prezzo
deriva dagli strumenti finanziari a pronti sottostanti il
contratto (azioni od obbligazioni). Per quanto, nella
maggior parte delle economie, le attività
finanziarie siano scambiate in m. organizzati,
l’esistenza di un m. finanziario non è una condizione
necessaria per la creazione e lo scambio di strumenti
finanziari. Le contrattazioni che avvengono al di fuori dei
m. regolamentati danno origine ai m. over the counter (fuori
borsa).
I m. finanziari, insieme alle istituzioni finanziarie, in
particolare gli intermediari, costituiscono il sistema
finanziario, che favorisce l’incontro tra la domanda e l’offerta
di fondi.
I m. finanziari consentono, in primo luogo, l’allocazione delle
risorse dei singoli individui: attraverso l’acquisto di titoli,
eventualmente effettuato per il tramite di intermediari
specializzati, gli individui hanno la possibilità di
scegliere le modalità di mantenimento della propria
ricchezza. In secondo luogo, i m. finanziari consentono
l’allocazione delle risorse delle imprese: le unità
produttive o imprese che emettono titoli per raccogliere
finanziamenti offrono questi ultimi sul m. finanziario che,
attribuendo prezzi diversi a titoli di diverse imprese, alloca le
risorse che riesce ad attirare tra i diversi offerenti. Infine, i
m. finanziari costituiscono una fonte d’informazione.
I prezzi delle attività sono determinati nei m.
finanziari in base all’interazione tra domanda e offerta,
riflettendo le informazioni e le preferenze degli operatori nel m.
e, quindi, segnalando in che modo i fondi dovrebbero essere
allocati tra le attività finanziarie. Attraverso i prezzi,
il m. finanziario fornisce informazioni che sono facilmente
accessibili a tutti gli operatori (riducendo il costo legato
all’acquisizione d’informazioni) e determinanti per intraprendere
varie attività economiche. L’informazione contenuta nei
prezzi raccoglie in sé i diversi livelli della stessa a
disposizione dei singoli operatori, che in quanto tali sono
più o meno informati. In un m. perfetto l’informazione
è distribuita simmetricamente fra tutti gli operatori;
quando invece la distribuzione dell’informazione è
asimmetrica, il m. è imperfetto. In generale, quanto
più i prezzi sono indicativi dell’informazione esistente,
tanto più il m. assolve al meglio il suo ruolo e consente
di fare previsioni più accurate, migliorando così la
qualità e l’efficacia delle iniziative e delle decisioni
prese dagli operatori. Maggiore è la varietà dei
titoli esistenti sul m., migliore è il grado di
realizzazione delle tre funzioni proprie del m. finanziario.
I m. finanziari si distinguono in m. primari e m. secondari. Nel
vengono negoziati titoli di prima emissione, che non sono
cioè ancora in circolazione e devono essere collocati sul
mercato. La funzione del m. primario è quella di procurare
risorse finanziarie alle imprese. Il m. secondario , nel quale
vengono negoziati titoli già in circolazione, ha invece la
funzione di permettere cambiamenti nelle attività detenute
nei portafogli e di rendere flessibile l’allocazione delle risorse
effettuata dagli investitori. L’efficienza del m. primario e la
sua capacità di assorbimento sono subordinate
all’efficienza e alla liquidità di quello secondario.
Infatti, quanto più un m. è liquido, tanto
più facile risulterà la vendita di un titolo; quanto
più un m. è efficiente, tanto minore sarà
l’effetto sul prezzo determinato dalla vendita di un singolo
titolo.
5. Parametri valutativi
Esistono diversi parametri che
vengono comunemente utilizzati per valutare le caratteristiche
funzionali dei m., tra cui il livello di perfezione,
l’efficienza, l’ampiezza, la profondità (o spessore), la
frammentazione e l’elasticità. Preliminarmente va
osservato che le diverse forme organizzative hanno un’influenza
determinante sul meccanismo di formazione del livello dei prezzi
e soprattutto sulla dispersione che si genera intorno a esso. Il
grado di perfezione del m., come già detto, dipende
dall’omogeneità delle informazioni degli operatori.
Per quanto riguarda l’efficienza del m., è opportuno
distinguere tra due concetti di efficienza: l’efficienza
valutativa e l’efficienza informativa. Un m. è efficiente
secondo il criterio valutativo quando i prezzi riflettono il
valore intrinseco dei titoli. Un m. è invece efficiente
sotto il profilo informativo quando i prezzi dei titoli riflettono
le informazioni relative agli stessi. I due concetti di efficienza
non necessariamente coesistono sul mercato. Nel caso delle ‘bolle
speculative’, il m. è influenzato dal comportamento
imitativo degli operatori che, avendo la convinzione che un titolo
continuerà a salire, provocano con i loro acquisti un
effettivo rialzo del suo valore. In questo caso tale valore tende
a creare autoalimentazioni e si discosta dal suo valore intrinseco
o fondamentale, ovvero dal valore legato, per es., all’andamento
dei redditi di impresa, al percepimento dei quali le azioni danno
diritto pro-quota.
Un m. si definisce quando ordini di acquisto e di vendita non
determinano ampie variazioni dei prezzi, consentendo di
riassorbire eventuali sbilanci temporanei tra domanda e offerta.
La capacità stabilizzatrice del m. sarà ancora
più forte se il m. è anche ampio , ovvero se il
volume degli ordini eseguibili a prezzi vicini a quelli correnti
è elevato. L’ consiste nella capacità delle
variazioni nei prezzi, determinate da squilibri negli ordini di
acquisto e di vendita, di attirare nuovi ordini capaci di
stabilizzare il mercato.
La frammentazione è un’imperfezione del m. che dipende
dalle difficoltà di comunicazione degli operatori, dovute a
loro volta a carenze nei collegamenti o alla diversità
nella velocità di circolazione delle informazioni tra
mercati. A causa della frammentazione del m., gli operatori
potrebbero trovarsi a eseguire negoziazioni a prezzi peggiori di
quelli potenzialmente ottenibili per la difficoltà di
conoscere le posizioni di eventuali controparti. I moderni sistemi
di negoziazione, basati su tecnologie informatiche che consentono
la diffusione delle informazioni in tempo reale, contribuiscono in
maniera determinante alla soluzione dei problemi relativi alla
frammentazione dei mercati.
6. Struttura dei m. finanziari
La struttura dei m. finanziari
è l’insieme di sistemi e procedure che definiscono le
negoziazioni. Le principali forme organizzative dei m.
finanziari sono: m. a ricerca autonoma; m. di brokers; m.
di dealers, intermediari non indipendenti (underwriters,
sottoscrittori, nel m. primario), e di market makers, operatori
indipendenti; m. ad asta. Il m. a ricerca autonoma è
quello nel quale gli operatori cercano le controparti per
proprio conto, e rappresenta la forma più elementare di
mercato. Tale forma di m. è la più lontana dalla
perfezione. In genere essa è determinata dalla
scarsità dei volumi di negoziazioni, che non rende
conveniente per gli intermediari intervenire nel mercato. I sono
intermediari specializzati nella ricerca di controparti. Essi si
impegnano a trovare una controparte al cliente (mantenendone di
solito riservata l’identità) e di contrattare il prezzo,
ricevendo per il loro servizio una commissione. Il o il market
maker , a differenza del broker, assume posizioni in proprio
ponendosi come diretta controparte del proprio cliente. In
questo modo garantisce l’immediatezza dell’esecuzione
dell’ordine, e la sua remunerazione è data dalla
differenza tra prezzi di acquisto e prezzi di vendita (spread). La funzione dei dealers
o dei market makers è di dare liquidità al
mercato.
Il m. ad asta , rispetto alle altre forme di m. analizzate,
è quello che consente di raggiungere il maggior livello di
perfezione, poiché consente di confrontare simultaneamente
le proposte di tutte le controparti. Perché il meccanismo
funzioni è tuttavia necessario che il m. presenti una certa
regolarità e numerosità degli ordini e che questi
abbiano caratteristiche e tagli omogenei. Le tecniche di asta
più utilizzate sono l’asta a chiamata e l’asta continua.
Nell’asta a chiamata il prezzo viene fissato dopo aver raccolto
tutti gli ordini in modo da massimizzare l’incontro tra domanda e
offerta. Nell’asta continua i prezzi si formano sequenzialmente,
ogni volta che per un ordine viene trovato un altro ordine di
segno opposto, e quindi un prezzo di equilibrio. In questo modo i
prezzi vengono continuamente aggiornati incorporando le
informazioni che arrivano al mercato.
7. Tipologie dei prodotti negoziati
Facendo riferimento ai prodotti negoziati, i m. finanziari si
dividono in m. monetari, obbligazionari, azionari, dei cambi e dei
prodotti derivati. Il processo d’innovazione finanziaria,
soprattutto in seguito al processo di cartolarizzazione, ha creato
nuovi e originali valori mobiliari, arricchendo la tipologia di
azioni e di obbligazioni ma anche aggiungendo nuovi certificati e
i prodotti derivati. Tra i prodotti derivati si distinguono, per
es., le opzioni e i futures.
Essi non sono veri e propri titoli di provenienza di un
emittente, ma piuttosto speciali contratti conclusi tra gli
investitori. Le opzioni sono dei contratti che danno diritto (ma
non obbligo) ad acquistare (call)
o a vendere (put)
determinati titoli. Come tali sono soggetti a una
valutazione da parte degli operatori interessati e quindi
sono oggetto di contrattazione e di prezzo negli appositi
mercati. I futures differiscono
in generale dalle opzioni perché sono contratti che
hanno un valore minimo prestabilito, e perché
presentano gradi di rischio superiori a quelli delle
opzioni.
Nei m. organizzati la liquidazione dei contratti di opzione o
dei futures avviene
attraverso organizzazioni specializzate, le clearing houses (in Italia,
Cassa di compensazione e garanzia). Queste organizzazioni si
interpongono negli scambi, quale venditore e acquirente
rispettivamente del compratore o del venditore, garantendo il
buon fine delle negoziazioni.
I m. dei prodotti derivati, come quelli degli swaps (contratti in cui le parti
si scambiano a una certa data i differenziali d’interesse o dei
cambi delle valute coinvolte), hanno giocato un ruolo
fondamentale nella globalizzazione dei mercati. In primo luogo
essi hanno ridotto la separatezza tra i m. dei diversi prodotti,
spingendo gli operatori ad agire coprendosi dai vari rischi, per
es. il rischio di cambio con contratti a termine che fissano il
prezzo di riacquisto di una data valuta. Questo sistema è
stato utilizzato soprattutto dalle imprese industriali per
coprirsi dal rischio connesso alla variazione del prezzo delle
materie prime. Grazie ai vari sistemi di copertura (hedging), e quindi grazie anche
ai derivati, il m. dei cambi e il m. delle materie prime sono
divenuti m. in cui i rischi sono diversificabili.
Con riferimento ai prodotti negoziati, è opportuno
richiamare il cosiddetto euromercato , dove sono scambiate le
eurobbligazioni , ossia valori mobiliari emessi da un ente
emittente di un paese nella valuta di un secondo paese e che
circolano sulla piazza di un terzo paese. Le transazioni che
avvengono sull’euromercato sono al di fuori della giurisdizione di
un singolo paese.
8. Segmenti d’attività
Tradizionalmente i m. finanziari
erano suddivisi in m. creditizio o monetario, m. dei cambi, m.
assicurativo e m. mobiliare. Questa ripartizione trovava
fondamento nella diversità dei prodotti scambiati sui
quattro segmenti di m. e nella diversità del ruolo degli
intermediari. Ormai le barriere tra i diversi segmenti di m.
stanno cadendo: basti pensare ai conti correnti bancari
collegati a un fondo d’investimento, che eliminano la linea di
confine tra m. del credito e m. obbligazionario. Altro esempio
sono gli strumenti che, pur essendo tipici del m. mobiliare,
consentono di operare su tutte le scadenze, dal breve al lungo
termine. Tra questi le quote di fondi monetari, o le azioni
delle SICAV. Si pensi anche alle obbligazioni convertibili o con
warrants, che danno il diritto a entrare in possesso di azioni e
collegano il m. obbligazionario con quello azionario. Anche i
prodotti assicurativi si sono avvicinati alle forme di risparmio
monetarie, dando la possibilità agli investitori di
investire il proprio risparmio garantendosi allo stesso tempo la
copertura rispetto a determinati rischi.
La domanda di attività finanziarie che proviene dagli
investitori è in genere motivata da esigenze di copertura o
da moventi speculativi ed è comunque determinata
dall’incertezza sui possibili stati futuri del mondo. I modelli
finanziari che spiegano le scelte d’investimento si basano appunto
sull’incertezza e sulle preferenze dell’investitore-consumatore,
descritte da una funzione di utilità che a sua volta
dipende dal grado di avversione al rischio dell’investitore. La
maggior parte di questi modelli fonda le decisioni d’investimento
sulla relazione inversa fra rendimento e rischio delle
attività finanziarie, misurando il rischio come la
variabilità (volatilità) dei rendimenti del titolo.
Esistono due tipi di rischio: il rischio diversificabile e il
rischio sistemico, o non diversificabile. Il primo può
essere ridotto o eliminato attraverso un’opportuna combinazione
dei titoli che compongono il portafoglio, che può
però ridurre contemporaneamente anche la probabilità
di avere rendimenti elevati. Esiste invece una componente del
rischio che non può essere eliminata mediante
diversificazione: il cosiddetto rischio sistemico, legato a eventi
che colpiscono indistintamente tutti i titoli, come
calamità naturali, guerre, crisi politiche o economiche.
L’offerta di attività finanziarie proviene dagli
emittenti, che possono essere distinti in pubblici o privati.
L’impresa privata che deve reperire i fondi per i propri
investimenti si trova di fronte a due ordini di scelte: deve
decidere innanzitutto se entrare nel m. (dividendo quindi la
proprietà dell’impresa con altri operatori) piuttosto che
ricorrere al debito; deve poi decidere se realizzare una semplice
offerta nei confronti del pubblico oppure entrare nel m.
regolamentato. Il secondo tipo di collocamento dei titoli è
finalizzato alla loro quotazione, ma sottopone l’impresa a un
insieme di controlli e di regole che potrebbero risultare
eccessivamente onerosi.
9. Globalizzazione del mercato
Diversi fattori hanno contribuito
a quel processo di ampliamento dei m. finanziari su scala
mondiale noto come processo di globalizzazione finanziaria. I
tre fattori più rilevanti, che si sono sviluppati
indipendentemente, sono: le innovazioni tecnologiche; la
deregolamentazione del m. e delle istituzioni; l’aumento degli
investitori istituzionali nei m. finanziari. Le innovazioni
tecnologiche hanno completamente rivoluzionato i tradizionali
sistemi di negoziazione, di controllo dei m. mondiali e di
analisi dei dati finanziari. Grazie ai sistemi telematici,
è infatti possibile accedere alle informazioni relative
ai m. mondiali in tempo reale, avvalersi delle tecniche di
analisi dei dati per individuare le caratteristiche di
rendimento e di rischio delle diverse attività
finanziarie ed eventuali possibilità di arbitraggio,
eseguire in pochi secondi ordini su questi m. attraverso un
terminale. La deregolamentazione è consistita nella
liberalizzazione nel movimento dei capitali e nell’eliminazione
di restrizioni amministrative nella gran parte dei paesi
emergenti e di quelli più sviluppati. L’impulso iniziale
alla liberalizzazione e all’integrazione dei m. finanziari
europei è partito dal Regno Unito che ha liberalizzato il
m. azionario e quello dei titoli di Stato, inducendo così
progressivamente anche gli altri paesi a intraprendere analoghi
provvedimenti. Il processo è poi stato rafforzato dalle
direttive della Comunità Europea. Infine, le
attività finanziarie degli investitori istituzionali,
espresse in percentuale del PIL, sono cresciute sensibilmente in
tutti i paesi industrializzati.
10. Psicologia di mercato
La psicologia di m. si occupa
delle leggi psicologiche che stanno alla base della regolazione
della domanda e dell’offerta e dei loro rapporti reciproci.
È un settore della psicologia applicata che si è
sviluppato sotto la pressione dei compiti che l’economia
sottoponeva alla psicologia. Mediante il chiarimento dei motivi
e delle determinanti del comportamento economico, la psicologia
di m. tenta di indicare il modo in cui si può influire su
determinati momenti elaborando tecniche, come quelle proposte
dalla psicologia della propaganda.
Enciclopedia delle Scienze Sociali (1996)
di Mario Deaglio
Mercato
sommario: 1. Definizione e tassonomia del mercato.
a) Concorrenza perfetta e imperfetta. b) Monopolio,
cartello, monopsonio, monopolio bilaterale. c) Alcuni
casi particolari di mercato. 2. La complessità dei
mercati reali. a) Soggetti, motivazioni, intervento pubblico.
b) Estensioni recenti del mercato. c) Mercati
irregolari e malavitosi. 3. Le interpretazioni del mercato.
a) Il 'filone centrale' del pensiero economico. b) Marx
e il filone marxista. c) La rivoluzione keynesiana e la
reazione successiva. d) Schumpeter e Hayek: due
interpretazioni eterodosse. e) Altre interpretazioni del
mercato. 4. Lo sviluppo storico del mercato. a) Il
problema dell'origine del mercato. b) L'evoluzione del
mercato tra tecnologie e regole. c) Le tendenze attuali.
5. I limiti del mercato. □ Bibliografia.
1. Definizione e tassonomia del mercato
Dicesi mercato un insieme di scambi di natura economica, o
comunque a essa riconducibile, aventi per oggetto un diritto
reale (proprietà, uso, ecc.) su beni, materiali o
immateriali, già esistenti o di futura realizzazione,
oppure una prestazione (lavoro, ecc.). Tradizionalmente si dice
mercato anche il luogo in cui avvengono gli scambi; con i
moderni mezzi di comunicazione tale luogo può essere
anche soltanto virtuale, essendo le transazioni possibili senza
contiguità fisica tra le parti.
Per l'esistenza di un mercato sono necessarie le seguenti
condizioni.
1. La libertà d'azione dei partecipanti, i quali possono
essere soggetti individuali o collettivi. Tale libertà si
concreta in un potere autonomo di scelta tra comportamenti
diversi; essa è, peraltro, variamente limitata da
restrizioni di tipo giuridico e dalle risorse di cui i
partecipanti hanno la disponibilità.
2. Un complesso di regole per lo svolgimento degli scambi, alle
quali i partecipanti devono uniformarsi, e un'organizzazione che
ne cura il rispetto.
3. Un prezzo, o un insieme di prezzi, relativo all'oggetto dello
scambio, che si formi, almeno parzialmente, a seguito delle
preferenze dei partecipanti e non già per semplice
imposizione dal centro.
4. Un mezzo di pagamento accettato da tutti i partecipanti.
L'esistenza stessa del mercato amplia la gamma delle scelte
economiche non solo di chi effettivamente vi partecipa ma anche
di chi, pur decidendo di non farlo, può parteciparvi. Il
mercato è quindi un bene collettivo e aumenta il
benessere sociale, pur in presenza di numerosi limiti ed effetti
negativi (v. cap. 5). Le economie in cui sono presenti tutte le
condizioni sopra elencate, e in cui sono altresì libere e
decentrate le scelte di produzione per la maggior parte dei beni
e servizi, possono essere definite economie di mercato.
Lo studio delle caratteristiche dei mercati e delle loro
conseguenze è argomento precipuo dell'economia politica,
ma interessa anche le discipline giuridiche, la storia economica
e la sociologia. Pur nella diversità delle
interpretazioni (v. cap. 3), l'analisi economica ha sviluppato
una tassonomia del mercato ormai sufficientemente consolidata,
sia pure con qualche variazione terminologica e concettuale.Essa
si basa sul carattere paradigmatico del mercato di concorrenza
perfetta (v. § 1a), adottato come modello di riferimento e
talora indicato come il mercato tout court, mentre le altre
forme di mercato sono considerate come varianti o scostamenti da
tale modello.
a) Concorrenza perfetta e imperfetta
Il mercato di concorrenza perfetta richiede condizioni molto
restrittive, quali l'omogeneità dell'oggetto dello
scambio, la pluralità dei venditori (normalmente
identificati con i produttori del bene venduto) e dei compratori
- gli uni e gli altri animati dalla volontà di rendere
massimo il proprio vantaggio -, l'esiguità delle quote di
mercato dei singoli, tali che le decisioni di ciascun operatore
non possano influenzare il prezzo. Il prezzo si forma pertanto
in maniera impersonale, per tentativi, oppure mediante l'opera
di un agente esterno (il 'banditore'). Il mercato di concorrenza
perfetta richiede inoltre l'istantaneità e la
disponibilità generale delle informazioni relative ai
prezzi e alle quantità scambiate e la possibilità
dei partecipanti di entrare e uscire dal mercato stesso senza
costi né barriere di altro tipo (v. Walras, 1896³).
Tali condizioni possono sussistere anche solo allo stato
potenziale: perché si realizzi un comportamento
concorrenziale è sufficiente la presenza virtuale, non
quella reale, di un gran numero di partecipanti, ossia
l'istantanea possibilità di accesso al mercato di
qualsiasi soggetto. Non è necessario che i mercati siano
'contesi', è sufficiente che essi siano 'contendibili'
(contestable markets) (v. Baumol, Panzar e Willig, 1982).
In queste condizioni si determina un prezzo di equilibrio al
quale tutte le quantità offerte vengono acquistate e si
realizza un ottimo paretiano, ossia la condizione in cui
è impossibile migliorare la posizione di un qualsiasi
partecipante al mercato senza peggiorare la posizione di almeno
un altro partecipante (v. Pareto, 1906). È questo il
fondamento dell'utilità sociale del mercato.
La concorrenza perfetta è assai rara, per non dire
inesistente, nella realtà. La telematica, tuttavia,
rendendo possibile la sostanziale istantaneità e
l'universale disponibilità a basso costo delle
informazioni di mercato, ha contribuito, unitamente alla
riduzione delle barriere legali all'entrata, a determinare
condizioni non troppo distanti dalla concorrenza perfetta in
alcuni mercati finanziari (v. § 1c).
La formazione impersonale del prezzo non conduce a un'effettiva
competizione tra i partecipanti, e quindi all'interdipendenza
delle loro decisioni, quanto piuttosto a una sequenza di eventi
che tende a escludere dal mercato i produttori meno efficienti,
per una sorta di selezione naturale (v. § 3c). I
partecipanti non hanno alcun potere sul mercato; i profitti, al
di là della remunerazione del capitale che equilibra i
mercati finanziari, hanno carattere transitorio.
Potere e profitti compaiono invece quando si abbandonano alcune
delle condizioni definitorie di cui sopra e si passa alle varie
forme della concorrenza imperfetta (v. Robinson, 1933; v.
Chamberlin, 1933). Se si segue questo percorso intellettuale, un
primo caso di scostamento dalla concorrenza perfetta si ha con
l'attenuazione della condizione di numerosità dei
venditori, permanendo quelle della numerosità dei
compratori e dell'omogeneità del bene scambiato. Si
è allora in regime di oligopolio, un mercato in cui, dal
lato dei venditori, il basso numero fa cadere la condizione di
irrilevanza della quota di mercato del singolo, mentre, dal lato
degli acquirenti, la persistente numerosità esclude
qualsiasi influenza sul prezzo. I venditori sono quindi in
effettiva competizione tra loro e le decisioni di uno di essi
sulle quantità da vendere e sul prezzo da richiedere
possono essere influenzate da, e a loro volta influenzare,
quelle degli altri venditori. È frequente nell'oligopolio
la presenza di un'impresa dominante, generalmente di dimensioni
maggiori, la quale fissa il prezzo (oppure la quantità
che intende produrre) senza tener conto delle altre; queste
ultime regolano le proprie decisioni sul comportamento della
prima.
Ciascun produttore cerca allora di introdurre elementi
migliorativi o distintivi nel suo prodotto, differenziando
ciò che vende anche solo per piccoli particolari, come la
marca, e trasferendo la competizione sul piano qualitativo. Si
perde così il requisito della omogeneità del
prodotto e il mercato che ne consegue è detto di
concorrenza monopolistica. Nella concorrenza monopolistica
ciascun venditore è monopolista (v. § 1b) del
proprio prodotto, ma i prodotti sono tra loro sostituibili, sia
pure imperfettamente, nella scelta degli acquirenti.
Tra oligopolio e concorrenza monopolistica esiste un continuum
logico che ne rende difficile l'esatta differenziazione. Qualora
sussistano differenze secondarie tra i prodotti, entrambi gli
schemi possono di fatto essere utilizzati per l'analisi di un
particolare mercato. Nelle moderne economie di mercato la grande
maggioranza dei beni di consumo e di investimento è
scambiata in condizioni di oligopolio-concorrenza monopolistica,
al punto che con il termine 'mercato' si intende spesso non
già la concorrenza perfetta bensì l'insieme degli
scambi in tali condizioni.
La vera differenziazione dei mercati non deriva tanto dalla
numerosità dei venditori quanto dall'effettivo livello
delle barriere all'ingresso (v. § 2a; v. Bain, 1956; v.
Sylos Labini, 1956), che possono essere dovute a vincoli
tecnologici, distanze geografiche, abitudini, norme legislative.
La natura concorrenziale di un mercato non ha quindi carattere
assoluto, nel senso che è presente oppure manca del
tutto; esistono piuttosto diversi livelli di
concorrenzialità, che, come si vedrà (v. cap. 4),
caratterizzano i vari periodi storici.
b) Monopolio, cartello, monopsonio, monopolio bilaterale
Se si annulla, invece che attenuare, la condizione di
numerosità dei produttori-venditori, si ha il monopolio.
Nel monopolio esiste un solo venditore che fronteggia una
pluralità di compratori. Il monopolista fissa il prezzo
del proprio prodotto in base alle sue conoscenze delle
caratteristiche della domanda aggregata degli acquirenti, la
quale non deve essere direttamente influenzata dal prezzo di
altri prodotti, in quanto, in tal caso, si avrebbe concorrenza
monopolistica (v. § 1a). Si immagina quindi quale
quantità sarà complessivamente acquistata a
ciascuno dei possibili prezzi e tra questi fisserà quello
che meglio si confà ai suoi obiettivi.
A parità di struttura produttiva e di condizioni di
domanda, il monopolista, se intende conseguire il massimo
profitto, produce una quantità inferiore a quella che si
realizzerebbe in un mercato di concorrenza perfetta e la vende a
un prezzo superiore. Spesso può aumentare i propri
profitti tenendo un comportamento discriminante, ossia
praticando prezzi differenziati a diverse categorie di
acquirenti oppure per diverse quantità vendute. Il
profitto del monopolista è superiore a quello
(corrispondente alla remunerazione di equilibrio del capitale)
che i produttori complessivamente realizzano sul mercato di
concorrenza perfetta e riduce quindi, in maniera corrispondente,
il vantaggio (surplus) che gli acquirenti derivano dal mercato.
L'aumento del profitto del venditore e la riduzione del surplus
degli acquirenti danno una somma negativa che viene detta
perdita netta di monopolio.Da quali fattori può trarre
origine una situazione di monopolio, dal momento che essa
comporta una perdita netta di tipo sociale? Si possono
individuare quattro casi.
1. Un'innovazione tecnologica tale da conferire all'innovatore
un'esclusiva, talvolta protetta da un'apposita legislazione
(brevetto) che ne impedisca la diffusione. È il caso oggi
più frequente e può produrre effetti positivi
sulla crescita, in quanto alla perdita netta per la
collettività, derivante dall'esistenza del monopolio
stesso, fa da contropartita una migliore soddisfazione dei
bisogni. Questo monopolio ha carattere temporaneo per
l'invecchiamento fisiologico dell'innovazione o la scadenza del
brevetto, e lascia in eredità un incremento del
patrimonio tecnologico. Il venire meno delle barriere
monopolistiche fa allora evolvere il mercato verso forme di
concorrenza monopolistica-oligopolistica (v. § 1a).
2. Il 'monopolio naturale', che si verifica quando un
determinato volume produttivo può essere raggiunto in
maniera efficiente, con le tecnologie correnti, soltanto se
esiste un unico produttore-venditore (come accade, per esempio,
nel settore della produzione-distribuzione di elettricità
o in quello dei trasporti ferroviari). In questo caso la
contropartita del monopolio è la più favorevole
struttura dei costi; il monopolista naturale è spesso
un'azienda pubblica che non si propone l'obiettivo del massimo
profitto, ma è anzi tenuta a praticare prezzi 'politici'
con il solo vincolo di coprire i costi o addirittura di
contenere le perdite entro un livello prefissato, finanziato
mediante la tassazione.
3. Il monopolio di Stato, normalmente con finalità
fiscali (vendita di sigarette e tabacchi). In questo caso il
prezzo è, anche sensibilmente, superiore al costo.
4. Il monopolio sancito per legge a favore di privati con scopi
di politica industriale (sviluppo in esclusiva di determinate
attività) o anche solo di potere (per esempio il
monopolio del commercio con l'Oriente da parte delle Compagnie
delle Indie inglese e olandese).
Una forma particolare di monopolio è il cartello, un
accordo tra più produttori che stabiliscono di agire
congiuntamente predeterminando il prezzo di vendita della merce
e spartendosene, mediante l'attribuzione di quote di produzione,
la quantità da produrre, in genere allo scopo di rendere
massimi i profitti. Nel cartello il medesimo volume produttivo
di un monopolista viene realizzato da un consorzio di produttori
tra loro indipendenti, con la conseguente assenza dei benefici
derivanti dalle economie di scala di un'analoga produzione
monopolistica. Per la sua scarsissima utilità sociale, il
cartello è, di regola, considerato negativamente dalle
legislazioni della maggioranza dei paesi. Un esempio di cartello
è rappresentato dall'OPEC, l'organizzazione dei paesi
esportatori di petrolio, fondata nel 1960.
Speculare al monopolio è il monopsonio, un mercato
caratterizzato dalla presenza di un solo acquirente,
fronteggiato da una pluralità di venditori. Condizioni di
monopsonio si verificano, non di rado, nei mercati dei fattori
produttivi e, in particolare, nel mercato del lavoro, quando,
per esempio, una sola grande impresa si confronta con lavoratori
disorganizzati; quando però i lavoratori si organizzano e
si danno una rappresentanza unitaria, si ha un caso di monopolio
bilaterale, in cui un monopsonista (spesso un'organizzazione che
raggruppa tutte le imprese di un settore o di un'area
geografica) è fronteggiato da un monopolista (in questo
caso un'organizzazione sindacale che ha il mandato di negoziare
per tutti i lavoratori un contratto collettivo di lavoro).
c) Alcuni casi particolari di mercato
1. Il mercato del lavoro è normalmente caratterizzato
da una situazione di quasi monopolio bilaterale, che vede
contrapposti i rappresentanti dei lavoratori e quelli delle
imprese, e da un considerevole intervento regolatore pubblico,
che si concreta anche in una funzione istituzionale di
mediazione e di indirizzo. Entrambe le parti dispongono di
strumenti di pressione: i lavoratori possono far ricorso a varie
forme di sciopero, le imprese alla serrata. Il risultato delle
trattative, affrontate con questi strumenti, dipende
dall'interazione tra le strategie adottate dalle parti e
l'azione pubblica, ed è efficacemente descrivibile
mediante la teoria dei giochi.
Negli anni novanta questa rappresentazione schematica subisce
numerose modifiche. La maggiore libertà di iniziativa
consente alle imprese di usare come strumento di pressione anche
la prospettiva di chiudere o trasferire gli impianti. D'altro
canto il maggior contenuto di 'capitale umano' della prestazione
lavorativa sta di fatto 'personalizzando' il lavoro; sulla
contrattazione collettiva sopra delineata si innesta
così, in misura molto maggiore che in passato, una
contrattazione individuale o di piccoli gruppi, riguardante,
oltre che la retribuzione, le modalità di esecuzione del
lavoro (flessibile, a tempo parziale, ecc.), le prospettive
future (opportunità di partecipare a corsi che comportino
un arricchimento professionale, sviluppo della carriera), i
fringe benefits, o retribuzione in natura (uso gratuito di
un'autovettura, di un telefono portatile, ecc.).
2. Il mercato dei capitali finanziari, tradizionalmente
incentrato nelle borse valori e nelle banche (in passato sovente
di proprietà pubblica), ha subito modificazioni
fondamentali nel corso dell'ultimo decennio. La funzione
bancaria di intermediazione dei capitali è stata ridotta
dalla possibilità dei grandi operatori di emettere
direttamente titoli di debito (securitization) scambiati nei
principali centri finanziari, in stretto collegamento
telematico.
Nel corso degli anni ottanta i movimenti di capitale a livello
mondiale sono stati liberalizzati, si è ampliato il
numero delle società quotate nelle borse, sono comparsi
nuovi operatori quali i fondi comuni di investimento, i fondi
pensione e i fondi chiusi. All'innovazione tecnologica si sono
aggiunte importanti innovazioni normative, spesso coordinate a
livello mondiale, tendenti a impedire l'uso di informazioni
riservate (insider trading), a ridurre le occasioni di frode, a
garantire in vario modo una maggiore trasparenza (offerte
pubbliche di acquisto e di vendita).Sono stati introdotti
numerosi nuovi strumenti finanziari (certificati di deposito,
contratti 'pronti contro termine', contratti futures, ecc.) che
consentono impieghi fortemente differenziati per
quantità, rischio e durata. La maggior mobilità
dei capitali ha grandemente ridotto il potere delle banche
centrali di indirizzare e controllare i mercati.
3. Il mercato delle abitazioni è caratterizzato da un
fattore produttivo non riproducibile (il terreno) con prezzo
derivante non già dal costo di produzione bensì
dalla scarsità, e fortemente influenzato dalle decisioni
pubbliche riguardanti l'edificabilità, gli oneri di
urbanizzazione, ecc. La specificità di ciascuna
abitazione fa sì che sia carente il requisito
dell'omogeneità del bene scambiato, e che le informazioni
sui prezzi abbiano un minor grado di generalità.
L'offerta è potenzialmente costituita da tutte le
abitazioni esistenti e non solo da quelle nuove. Le variazioni
del prezzo influenzano, pertanto, la ricchezza oltre che il
reddito, interessando quindi tutti i proprietari e non solo i
partecipanti al mercato.
A un'estrema libertà di prezzi sul mercato della
proprietà ha fatto tradizionalmente riscontro, in Europa,
l'intervento pubblico nel mercato degli affitti, sia sul piano
normativo (equo canone, blocco dei fitti, ecc.) sia mediante
l'affitto a prezzi moderati di immobili di proprietà di
enti pubblici. Ciò ha consentito di raggiungere fini
sociali immediati, ma ha anche disincentivato la costruzione di
case da parte dei privati a scopo di affitto, e reso molto
realistico il rischio di ingerenze politiche nell'assegnazione
delle case di proprietà pubblica.
In tempi recenti si osservano la graduale liberalizzazione degli
affitti, la vendita di parte degli alloggi pubblici agli
inquilini, nuove regole sui mutui (aumento della quota
anticipata dalle banche), che consentono una maggior diffusione
della proprietà immobiliare. I nuovi fondi immobiliari
consentono l'impiego in abitazioni anche di capitali finanziari
molto piccoli, riducendo la barriera all'ingresso; funzione in
qualche modo analoga ha, nel caso degli alloggi per le vacanze,
la multiproprietà, una frammentazione temporale del
diritto di proprietà.
2. La complessità dei mercati reali
a) Soggetti, motivazioni, intervento pubblico
Una moderna economia di mercato è caratterizzata da
situazioni ben più complesse di quelle sopra
schematicamente descritte. A tale maggiore complessità
concorrono i seguenti fattori.
1. L'identificazione del produttore-venditore è oggi
resa difficile dalla presenza, accanto all'impresa
tradizionale, di 'gruppi', di joint ventures, di accordi
produttivi o di vendita dei tipi più vari nonché
di imprese di proprietà pubblica (come quelle a
partecipazione statale in Italia).
2. Le motivazioni dell'impresa sono ben diverse dal semplice
perseguimento del massimo profitto. Gli obiettivi risultano
normalmente molto articolati e difficilmente riconducibili a
comportamenti massimizzanti (v. Simon, 1992): possono, per
esempio, comprendere il raggiungimento di un determinato
livello di profitti e di una determinata quota di mercato, la
loro stabilità o crescita nel tempo, la
continuità del gruppo dirigente, la sconfitta di un
concorrente monopolistico. Per imprese di proprietà
pubblica la ricerca del profitto può essere temperata
da considerazioni politico-sociali (come l'obbligo di
investire prioritariamente in certi settori o aree
geografiche). Sempre maggior peso (negli Stati Uniti il 7%
dell'occupazione complessiva), infine, assumono i produttori
privati senza fini di lucro (università, organizzazioni
sanitarie, cooperative di lavoro, ecc.) che perseguono
obiettivi di natura non economica (v. Salamon e Anheier,
1993).
3. Sulla natura dei mercati incide fortemente la regolazione
pubblica. Essa può, tra l'altro, imporre un determinato
prezzo oppure fissarne i livelli massimi (tipici in Italia,
fino a tempi recenti, quelli dei prodotti petroliferi,
nonché l'equo canone per gli affitti) e minimi (salari
contrattuali), oppure dettare regole che stabiliscano
caratteristiche merceologiche dei beni o modalità per
lo svolgimento dei servizi. Costituendo vere e proprie
barriere all'ingresso, tali regole contribuiscono a
determinare il grado di concorrenzialità del mercato. I
pubblici poteri possono poi decidere imposte, sussidi diretti
o indiretti, incentivi e disincentivi di natura fiscale o di
altro tipo, nell'intento di influenzare le scelte degli
operatori, orientandone gli investimenti verso regioni non
sufficientemente sviluppate o verso attività
particolari, come la ricerca scientifica. Possono infine agire
in prima persona con varie finalità, costituendo
aziende pubbliche.
La realtà odierna delle economie di mercato si
configura quindi come un complicato intreccio delle forme
teoriche originarie: una sorta di grande, sperimentale, non
assestato 'brodo di coltura', che le discipline
economico-aziendali, oltre a quelle economiche 'pure', cercano
di esplorare e descrivere per poi poterne catalogare con
sicurezza tutte le componenti.
b) Estensioni recenti del mercato
Nel corso degli anni ottanta e novanta si è
verificata una forte estensione del mercato come strumento
regolatore di attività in precedenza prevalentemente
gratuite o soggette a regolamentazione amministrativa; questo
passaggio è particolarmente rilevante nello sport,
nella cultura, nella sanità. Il meccanismo del mercato
comincia inoltre a essere applicato anche alla soluzione dei
problemi ecologici.Nello sport si è fortemente esteso
l'ambito delle prestazioni di eccellenza a pagamento rispetto
a quelle a carattere gratuito e dilettantesco. Si sono formate
vere e proprie 'imprese sportive', il cui scopo è il
conseguimento di profitti mediante il coordinamento delle
prestazioni dei singoli atleti e la 'vendita' di un gioco di
squadra direttamente agli spettatori oppure a organizzazioni
(sponsors) che ne fanno un uso promozionale o pubblicitario.
La caratteristica principale di queste imprese è che
sono prevalentemente dotate di capitale umano. Negli sport
individuali (sci, tennis, golf) l'impresa sportiva è
spesso costituita dallo sportivo stesso che amministra il
proprio capitale con l'ausilio di professionisti stipendiati
(agenti, allenatori, ecc.).
L'organizzazione dei mercati sportivi implica momenti
formalizzati, ormai a livello internazionale, di scambio (per
esempio, il 'mercato' dei giocatori di calcio) e di produzione
(tornei e manifestazioni sportive) nonché un sistema di
autoregolazione, affidato a organismi autonomi di categoria
aventi il potere di comminare sanzioni.
Per quanto riguarda la cultura, il mercato dei diritti
d'autore e delle opere dell'ingegno, già sviluppato a
livello nazionale, si è esteso a livello internazionale
con occasioni formalizzate, come le 'fiere del libro' e le
grandi aste periodiche di opere d'arte gestite da
organizzazioni apposite, che garantiscono l'autenticità
del prodotto ed emettono veri e propri listini dei prezzi. Un
altro sviluppo riguarda l'attività universitaria, per
la quale alla regolamentazione amministrativa comincia a
sostituirsi, a partire dal Nordamerica, un vero e proprio
'mercato degli accademici', con salari differenziati in base a
giudizi di valore. Infine, l'organizzazione dei musei sta
evolvendo in senso imprenditoriale, sia pure senza fini di
lucro, con l'inserimento, su un'offerta di base
tendenzialmente gratuita o a basso prezzo, di attività,
come mostre e altre occasioni culturali, il cui costo è
totalmente sopportato da visitatori e sponsors.
Nel settore sanitario, accanto agli ospedali pubblici, stanno
comparendo, a partire dagli Stati Uniti, grandi organizzazioni
ospedaliere aventi forma societaria e fini di lucro. In Europa
l'evoluzione dei sistemi sanitari pubblici tende, a cominciare
dalla Gran Bretagna, a fare degli ambulatori medici vere e
proprie imprese, soggette alle pressioni competitive del
mercato, sia pure all'interno del settore pubblico. In molti
paesi esiste un mercato del sangue umano; in forme più
o meno ufficiali e legali esistono anche mercati degli organi.
Negli Stati Uniti è in atto un tentativo per estendere
il mercato ai problemi ecologici - un tempo ritenuti estranei
al suo ambito oggettivo - per quanto riguarda l'inquinamento
industriale dovuto a specifiche e misurabili emissioni di fumi
e gas nocivi. Si obbligano i produttori a munirsi,
acquistandoli sul mercato, di speciali 'diritti a inquinare',
emessi dall'amministrazione pubblica. I danni all'ambiente
entrano così a far parte dei costi di produzione. Tali
diritti possono ugualmente essere acquistati da organizzazioni
ecologiste che rendono così più caro
l'inquinamento. Il prezzo di questi diritti fornisce una
misura congiunta della necessità tecnologica e della
sensibilità sociale all'inquinamento, non
necessariamente dell'effettiva gravità del fenomeno.
c) Mercati irregolari e malavitosi
I mercati irregolari possono sorgere quando la
regolamentazione del mercato non corrisponde ai desideri
generali ma il costo politico della sua modifica è
troppo elevato. Fu così per i 'mercatini' dei paesi
dell'Est europeo nell'ultima fase del socialismo reale,
tollerati dalle autorità ma non resi ufficiali nel
timore di sollevare gravi conflitti interni e internazionali.
I mercati irregolari possono altresì sorgere quando
l'interesse a modificare le regole è proprio di una
minoranza che non ha alcuna speranza di vederlo ufficialmente
sanzionato, ma la natura dell'infrazione non suscita gravi
reazioni repressive. In entrambi i casi alle regole
'ufficiali' del mercato si sostituiscono regole di fatto (per
esempio comportamenti diffusi di evasione fiscale).
Il più tradizionale mercato irregolare è quello
del cosiddetto 'lavoro nero', che vede un produttore
monopsonista infrangere le regole ufficiali della
contrattazione e confrontarsi con una pluralità di
lavoratori non organizzati. L'esito è solitamente un
salario inferiore a quello minimo dei mercati ufficiali, e
spesso non vengono rispettate altre modalità della
prestazione (norme di sicurezza). Esistono però altre
forme di mercato irregolare del lavoro in cui un lavoratore
autonomo specializzato (per esempio un falegname, un
idraulico, ecc.) è in condizioni di monopolio sul
mercato locale e vende la sua prestazione alle famiglie
imponendo prezzo e modalità (per esempio l'evasione
d'imposta).
Un mercato irregolare che infrange le leggi penali può
essere definito mercato malavitoso. Perché si dia luogo
a un tale mercato è indispensabile la libera decisione
di acquirenti e venditori di parteciparvi, come avviene per i
mercati della droga, i più importanti mercati
malavitosi per volume d'affari.La loro articolazione è
complessa e non interamente nota. Al livello della droga
grezza ci si trova prevalentemente in presenza di un
monopsonio, con una pluralità di produttori agricoli
che vendono a un unico acquirente. Per il passaggio
successivo, ossia la lavorazione di base e la vendita
internazionale ai paesi consumatori, prevale l'organizzazione
'a cartello' dei venditori (v. § 1b). Nei paesi
consumatori la forma più normale di vendita
all'acquirente finale è costituita da una serie di
monopoli locali in cui un unico venditore rifornisce un'area
delimitata; i monopolisti mostrano spesso comportamenti
collusivi, con prezzi non troppo differenti. In alcuni casi,
però, soprattutto in presenza di tipi alternativi di
droga, si può parlare di concorrenza monopolistica
anomala, condotta sovente con metodi violenti.
3. Le interpretazioni del mercato
a) Il 'filone centrale' del pensiero economico
Il cosiddetto 'filone centrale' del pensiero economico
(mainstream economics) tradizionalmente attribuisce la
massima importanza al mercato quale meccanismo di
regolazione sociale e non solamente economica. Al suo
interno si sono succedute, nel corso di circa duecento anni,
interpretazioni diverse, ma non contrastanti, del mercato,
generalmente collegate ai paradigmi di volta in volta
dominanti del pensiero scientifico e filosofico.
La prima trattazione sistematica del mercato, dovuta agli
economisti classici, è direttamente tributaria
dell'empirismo inglese e del giusnaturalismo francese, dai
quali acquisisce i concetti di 'ordine naturale' e di 'stato
di natura'. Questi presuppongono la naturale capacità
del sistema economico di riprodursi e di restare in
equilibrio (v. Quesnay, 1758), la libera estrinsecazione
delle attività umane nell'ambito delle leggi (v.
Locke, 1689), una naturale 'simpatia' tra i singoli (v. Smith, 1776).
Nella potente teorizzazione smithiana esiste, per ciascun
prodotto, un 'prezzo naturale' che consente di remunerare in
maniera 'normale' i fattori della produzione. Il prezzo
effettivo di mercato tende a quello naturale, pur
discostandosene per perturbazioni di ogni tipo. Essenziale
non è quindi l'equilibrio, bensì la tendenza a
raggiungerlo: condizioni generali di libertà, con
l'assenza di barriere all'ingresso e all'uscita, la
mobilità del capitale e (in misura minore per Smith)
del lavoro, la disponibilità delle informazioni
determinano spostamenti dei fattori produttivi da un mercato
all'altro, operando nel senso di rendere uguali il saggio di
profitto e il saggio salariale e di aumentare l'efficienza
della produzione.Il mercato è perciò inteso
soprattutto come un meccanismo attraverso il quale la
società si autoregola, una 'mano invisibile' che
realizza un vantaggio generale mediante il perseguimento
dell'interesse individuale, peraltro espresso nell'ambito di
norme morali condivise e di un apposito contesto
giuridico-istituzionale.
La concezione smithiana, che fa da sfondo anche al sistema
economico di Ricardo, fu
variamente sviluppata nel corso della prima metà
dell'Ottocento, tra l'altro da Say (v., 1803), il quale,
partendo dall'osservazione che il valore della produzione
complessiva è uguale a quello dei redditi
distribuiti, concluse che la produzione crea potere
d'acquisto ed enunciò la sua celebre e controversa
'legge dei mercati', secondo cui l'offerta crea la propria
domanda.
Nella seconda metà dell'Ottocento l'influsso del
positivismo induce gli economisti neoclassici ad accentuare,
accanto all'importanza della libertà, quella della
razionalità individuale. L'influenza della fisica li
porta ad affinare il concetto di equilibrio con l'uso di
strumenti logici e matematici.
Il pensiero neoclassico tende così a sviluppare leggi
'scientifiche' dell'economia per le quali le contingenze
storiche hanno scarsa rilevanza. Il modello del mercato
viene formalizzato mediante l'introduzione delle curve
collettive di domanda e di offerta, mentre viene abbandonato
il concetto di prezzo naturale. Il prezzo di mercato e la
quantità scambiata sul mercato diventano così
le risultanti matematiche dell'incontro di queste curve.
Il prezzo che così si realizza pone i mercati in
condizioni di equilibrio, nel senso che nulla resta
invenduto, mentre ad altri prezzi si manifestano
sovrabbondanze e scarsità. Si dimostra in tal modo
che l'equilibrio, nella formulazione neoclassica, è
unico e stabile e che il mercato naturalmente evolve verso
tale equilibrio, dal quale non si allontana senza
modificazioni esterne.
Secondo i neoclassici, il mercato di concorrenza perfetta
è in grado di assicurare l'allocazione efficiente
delle risorse e l'assenza di disoccupazione involontaria,
sostanzialmente senza interventi dall'esterno. Questa teoria
lascia poco spazio, forse per reazione alla loro importanza
nel pensiero di Marx (v. § 3b), agli effetti sociali
del mercato, che trovano una trattazione estesa soltanto
nell'opera di Marshall. Il liberismo economico dei
neoclassici diverge gradualmente dal liberalismo, che vede
nei mercati null'altro che un mezzo per giungere a
più generali forme di libertà (v. Croce,
1928).
b) Marx e il filone marxista
La concezione del mercato di Marx
si caratterizza per il ruolo dell'analisi del potere
all'interno del mercato. Marx, il cui pensiero ha radici
classiche, attribuisce un contenuto sociologico ai fattori
della produzione identificandoli con le classi sociali che
li detengono (il capitale con la borghesia e il lavoro
salariato con il proletariato).
Per Marx (v., 1867-1894) tutto il potere è
concentrato nel capitale: con il mercato è il
capitale, e non il lavoro, a essere posto in condizioni di
libertà. Il mercato, sovrastruttura funzionale
all'economia capitalista e sostanzialmente esistente solo
dentro di essa, è il luogo dello scontro tra le due
classi sociali - la borghesia e il proletariato -, e le
ricorrenti crisi cicliche di tale economia sfoceranno nella
crisi finale del capitalismo.
Marx attribuisce altresì un valore negativo al
concetto di 'merce', in quanto bene scambiato sul mercato.
La merce, infatti, configura un particolare rapporto tra
l'uomo e le cose, derivante dal suo essere scambiata al suo
valore-lavoro. Tale valore sintetizza determinati rapporti
di produzione, l'esistenza del profitto, il dominio
dell'uomo sull'uomo.Il problema del calcolo economico nel
socialismo, ossia dei valori da attribuire a beni e fattori
produttivi in assenza di mercato, si era già posto in
particolare con Enrico Barone (v., 1908). Dopo la
Rivoluzione russa del 1917, la realizzazione di una
società senza mercato divenne un problema pratico da
risolversi mediante prezzi amministrati, imposti da un ente
centrale di governo dell'economia. Come fissarli,
però, senza rinunciare a quell'efficienza allocativa
che è una conseguenza naturale del mercato?
Una soluzione di questo problema è stata fornita da
Lange e Lerner. L'ente centrale di programmazione svolge le
funzioni istituzionali del mercato; fissa, cioè,
prezzi, salari e tassi di interesse in modo da uguagliare
domanda e offerta; simula i processi di mercato decentrando
varie decisioni, ma riservandone alcune (come il tasso di
accumulazione) al pianificatore centrale (v. Lange, 1936).
In direzione opposta si colloca la soluzione implicita nel
cosiddetto 'esperimento iugoslavo', basato sul concetto di
autogestione delle unità produttive da parte dei
lavoratori; esso riserva al pianificatore centrale, almeno
in via di principio, soltanto compiti di coordinamento,
informazione e concertazione volontaria.
c) La rivoluzione keynesiana e la reazione successiva
La grande crisi del capitalismo degli anni trenta
costituisce il clima culturale entro cui si sviluppa la
concezione del mercato di J.M.
Keynes. Per Keynes, il mercato può non
raggiungere naturalmente le condizioni di piena occupazione,
previste dalla 'legge di Say' e formalizzate dagli
economisti neoclassici, perché la domanda effettiva
può rivelarsi inferiore all'offerta complessiva,
determinando situazioni di crisi e di disoccupazione
involontaria. La domanda deve, in tal caso, essere stimolata
con interventi pubblici espansivi diretti (programmi di
spesa pubblica) o indiretti (stimoli fiscali alla spesa di
individui e imprese).
Su queste linee la scuola keynesiana sviluppò l'idea
di un intervento attivo dei pubblici poteri, teorizzando la
compatibilità del meccanismo del mercato con la
fissazione di obiettivi nazionali e settoriali di sviluppo
nell'ambito di una programmazione 'flessibile' diretta dal
centro (v. Shonfield, 1965) e la necessità, in questo
contesto, di una concertazione tra le parti sociali
('politica dei redditi') promossa dal governo per
predeterminare il tasso dei salari e dei profitti.
Questa concezione del mercato, che oggi appare riduttiva, fu
a suo tempo intesa come l'ancora di salvezza di un
capitalismo minacciato, oltre che dalla crisi interna, dallo
scontro con il socialismo reale. Negli anni cinquanta Keynes
fu attaccato da sinistra come il rappresentante del
neocapitalismo che cercava di salvare il sistema di mercato;
due decenni più tardi venne attaccato come esponente
di un pensiero sostanzialmente contrario al mercato.
L'azione di governo dei mercati teorizzata dal keynesismo
comportava interventi restrittivi oltre che espansivi della
domanda globale. Dopo una lunga fase espansiva in cui le
ricette keynesiane si rivelarono efficaci, i livelli di
spesa si consolidarono e si rivelò sempre più
difficile ridimensionare la domanda anche per il peso
relativamente scarso attribuito alla politica monetaria. Si
aprì così la via all'inflazione degli anni
settanta.
Queste difficoltà contribuirono all'affermarsi di una
concezione del mercato che si richiama al pensiero
neoclassico e pone soprattutto l'accento sui caratteri di
razionalità del comportamento individuale. Secondo
tale concezione, neppure le aspettative dei partecipanti al
mercato sono plasmate dall'esperienza storica, ma sono
aspettative razionali; essendo razionali, gli individui
effettuano da sé e per sé
quell'attività di programmazione che il governo non
appare in grado di svolgere con successo. L'azione di
politica economica viene giudicata inutile, d'importanza
secondaria o addirittura dannosa eccetto che per il
controllo della crescita della massa monetaria (da
effettuarsi, in ogni caso, sulla base di parametri
oggettivi). Da concetto tributario di discipline filosofiche
e scientifiche, il mercato diventa, con i nuovi economisti
classici, esso stesso un paradigma forte: una società
di uomini liberi può essere definita come un insieme
di mercati, purché si intenda come mercato, in senso
più ampio di quello tradizionale nell'analisi
economica, qualsiasi tipo di scambi volontari, anche di
natura non pecuniaria.
L'allargamento del concetto di mercato a (quasi) tutti i
fenomeni economico-sociali fa sì che il mercato
stesso non rivesta soltanto la funzione di distributore
ottimale di risorse economiche, ma tenda altresì a
diventare il principale, se non l'unico, meccanismo di
regolazione dei rapporti e di coordinamento tra gli
individui (v. Bosanquet, 1983). I meccanismi selettivi della
concorrenza (v. § 1a) vengono interpretati talora in
senso darwiniano (v. Nelson e Winter, 1982), giustificando
in tal modo il comportamento 'spietato' e comunque non
collaborativo verso i più deboli.
Un esempio importante di estensione del concetto di mercato
è dato dalla sua applicazione alla famiglia,
giustificata e spiegata in chiave razionale quale risultato
della mutua convenienza dei suoi membri (v. Schultz, 1979;
v. Becker, 1981). In quest'impostazione allo Stato e a tutte
le istituzioni collettive non può non essere
attribuita un'origine contrattualistica. Il processo
politico di una democrazia viene interpretato come 'mercato
politico' (v. Buchanan e Tollison, 1972). L'organo politico
rappresentativo viene inteso come produttore di decisioni
che gli elettori 'acquistano' mediante il voto, scegliendo
tra le offerte dei candidati quella meno lontana dai loro
desideri, su un mercato con caratteri concorrenziali.
d) Schumpeter e Hayek: due interpretazioni eterodosse
Due interpretazioni originali del mercato, dense di
sviluppi e di conseguenze, sono dovute a due economisti
austriaci quasi contemporanei: Schumpeter
(nato nel 1883) e Hayek (nato
nel 1899).
Per Schumpeter l'imprenditore non 'partecipa' ai mercati, li
'crea', in quanto vi si presenta con prodotti nuovi, in
grado di generare profitti monopolistici transitori. Il
mercato è il luogo in cui la validità di tale
'creazione' viene verificata attraverso la 'distruzione
creatrice' dei prodotti esistenti. Artefici di questa
distruzione creatrice sono, per Schumpeter, soprattutto le
grandi imprese, tendenti al monopolio, al quale, peraltro,
giungono solo per periodi limitati di tempo, data la
transitorietà del loro vantaggio creativo. Il
profitto monopolistico associato a questa fase è un
compenso per l'attività innovativa (v. Schumpeter,
1942).
Si realizza così una concorrenza giocata a colpi di
innovazioni, portatrice non già di equilibrio,
bensì di squilibri, e come tale generatrice di
progresso. Le innovazioni si verificano generalmente a
grappoli o 'sciami' e sono quindi concentrate nel tempo;
esse danno in tal modo origine a 'onde lunghe', di durata
pluridecennale, con alternanza di diverse velocità di
espansione, che caratterizzano l'esperienza storica delle
economie di mercato.
Hayek è un esponente di primo piano del liberismo, ma
la sua idea del mercato si differenzia nettamente da quella
del 'filone centrale' dell'economia. Per Hayek il sistema di
mercato deve intendersi essenzialmente come un meccanismo di
trasmissione diretta di conoscenze attraverso i segnali
rappresentati dai prezzi. Mentre però la concorrenza
perfetta ipotizza conoscenza perfetta, nel modello di
mercato hayekiano (che egli chiama 'catallassi'
appositamente per distinguerlo dalla concorrenza) le
conoscenze sono necessariamente parziali e imperfette e solo
attraverso il mercato si coordinano. Mentre la concorrenza
perfetta conduce a un equilibrio stazionario, l'equilibrio
della catallassi hayekiana ha carattere evolutivo e vi
è in esso lo spazio per l'innovazione imprenditoriale
(v. Hayek, 1973-1979).
Per Hayek la società progredisce facendo uso di
conoscenze disperse, che non possono essere riunite e
sintetizzate da un pianificatore centrale o anche solo da un
organismo di coordinamento del mercato. L'ordine di mercato
non deve essere quindi rozzamente inteso come un mezzo che
consente di giungere a un fine predeterminato, bensì
semplicemente come un processo di scambio che consente agli
individui di agire in maniera sufficientemente prevedibile
in un mondo mutevole e incerto.
e) Altre interpretazioni del mercato
In quanto elemento di importanza crescente nell'ordine
sociale, il mercato ha attirato l'attenzione delle Chiese,
che, in genere, lo giudicano favorevolmente, pur con
limitazioni varie. Ciò è evidente nella Bibbia
e nel Corano, il quale ammette esplicitamente il profitto e
implicitamente assegna un ruolo allo Stato nel caso di
monopoli naturali. Tuttavia il buon imprenditore musulmano
deve pagare prezzi 'equi' e retribuzioni 'ragionevoli';
sussiste la proibizione dell'interesse, che viene
però superata da un'associazione in partecipazione
del creditore all'attività del debitore.Il pensiero
protestante, in particolare, considera il mercato luogo di
estrinsecazione della libertà individuale. Autorevoli
interpretazioni (Weber,
Sombart, Tawney) vedono un collegamento diretto tra l'etica
protestante e la diffusione del capitalismo.
Per la Chiesa cattolica il limite del mercato è
l'"originale destinazione comune dei beni creati". Nella
Centesimus annus di Giovanni Paolo II si opera una
distinzione tra bisogni 'solvibili' e risorse 'vendibili',
da un lato, per i quali il libero mercato è
riconosciuto come strumento efficace, e gli altri bisogni.
Prima ancora dello scambio "qualcosa è dovuto
all'uomo perché uomo" (Centesimus annus, 34). Un
ulteriore limite del mercato è individuato nella
necessità di difendere i beni collettivi (Centesimus
annus, 40).
4. Lo sviluppo storico del mercato
a) Il problema dell'origine del mercato
È questione ampiamente dibattuta tra gli
storici e gli antropologi se il mercato sia una componente
essenziale delle comunità umane oppure se sorga
solo in tempi relativamente recenti. Su questa seconda
posizione si colloca un filone di pensiero che ha le sue
radici nella concezione marxiana del mercato (v. §
3b) e in Polanyi un autorevole
esponente. Polanyi (v., 1944) sostiene che l'economia di
mercato sarebbe stata pressoché inesistente prima
del IV secolo a.C. e fa risalire alla rivoluzione
industriale il momento della 'grande trasformazione',
quando essa divenne il paradigma dominante della
società occidentale. Prima di allora non il
profitto bensì il dovere, l'onore e il prestigio
avrebbero dominato i rapporti economici. I prezzi
sarebbero, sì, esistiti, ma sarebbero stati
determinati dalla tradizione, scarsamente e lentamente
sensibili al mutare della domanda e dell'offerta. Da
posizioni ideologicamente molto distanti anche Hayek (v.
§ 3d) afferma l'esistenza di uno stadio 'tribale'
dello sviluppo umano, anteriore al mercato (v. Hayek,
1973-1979).
Recenti scoperte archeologiche hanno rivelato l'esistenza,
tra la Mesopotamia e la Palestina, nel II millennio a.C.,
di una sofisticata rete commerciale, e rendono quindi
difficile sostenere in pieno questa tesi; appare
però evidente che rapporti 'tradizionali' nel senso
di Polanyi e di Hayek dovessero essere ampiamente presenti
in società in cui il costo delle comunicazioni era
altissimo e quindi il commercio era comunque limitato a
beni di elevato valore.
Fu solo con l'Impero romano che si svilupparono mercati e
commerci che, per certi versi, possono essere definiti 'di
massa', come dimostra il vettovagliamento di grandi
concentrazioni urbane, a cominciare da Roma stessa, con
grano proveniente dalla Sicilia e dall'Africa. La ricerca
storica non ha chiarito appieno il contesto istituzionale
e creditizio del mercato nell'Impero romano, ma è
ben documentata la tendenza secolare all'aumento
dell'ingerenza pubblica che giunge fino all'imposizione
estesa di prezzi amministrati, limitando comunque il grado
di concorrenzialità. Il frantumarsi
dell'unità geoeconomica del Mediterraneo, con
l'invasione araba e lo spostamento a nord del centro
politico dell'Europa, provocò una sensibile
riduzione degli scambi - e quindi dell'importanza dei
mercati - in tutta l'Europa occidentale. Nell'economia
curtense dell'alto Medioevo il feudo tende all'autarchia e
il mercato ha carattere occasionale o sporadico con una
limitatissima circolazione monetaria.
b) L'evoluzione del mercato tra tecnologie e regole
Dopo il Mille, il mercato, pur riguardando una piccola
parte della produzione, prevalentemente incentrata sulle
attività tessili e su alcuni beni di lusso,
rinacque con forme giuridiche specifiche (nelle fiere
veniva sospesa l'efficacia delle leggi normali) e
specifici strumenti e istituzioni finanziarie (le 'lettere
di cambio' e le banche). A causa dell'elevatissima
incidenza del costo dei trasporti, l'organizzazione dei
commerci necessitava di una concentrazione di capitali
spesso più rilevante di quella necessaria per la
produzione, realizzata con tecnologie preindustriali. Si
formò così una classe 'capitalista' di
natura mercantile e di respiro internazionale operante in
condizioni di tipo concorrenziale; parallelamente, per i
prodotti di uso locale, il sistema delle corporazioni
diede origine a un mercato strettamente regolato con
prezzi rigidi ed elevatissime barriere all'entrata.
Tra il Quattrocento e il Settecento, mentre permaneva la
rigida regolazione dei mercati locali, specialmente
urbani, il 'grande commercio' si organizzò a
livello mondiale; si affermarono lentamente e in maniera
spesso contrastata i mercati di alcuni prodotti agricoli
(il tè, le spezie, il cotone e simili), con le
grandi compagnie commerciali, l'attività bancaria e
le borse (v. Wallerstein, 1974-1980; v. Braudel, 1979).
Contemporaneamente, con le leggi inglesi sulle enclosures
e il graduale passaggio, nell'Europa occidentale, dai beni
feudali ai beni allodiali, si affermò il diritto di
proprietà privata sulla terra e con esso la
possibilità di alienarla (v. Deane, 1965). Nacque
un mercato dei fondi agricoli, premessa a una
riorganizzazione produttiva dell'agricoltura, resa
possibile da nuove tecniche di coltivazione e allevamento,
che la orientò maggiormente allo scambio. Il lavoro
salariato con retribuzione monetaria sostituì
gradualmente il lavoro servile e i compensi in natura.
Lo sviluppo del mercato appare quindi fortemente
influenzato da due tipi di fattori, entrambi necessari: le
tecnologie e le regole. Dalle prime dipendono la
realizzabilità dei prodotti, le condizioni di
efficienza produttiva, il livello di concentrazione
necessaria e le barriere tecniche all'ingresso sui
mercati. Le seconde, essenzialmente stabilite da leggi,
determinano invece altri tipi di barriere, relative ai
soggetti che possono partecipare ai mercati e alle loro
possibilità operative; determinano altresì
il ruolo del settore pubblico in quanto controllore,
stimolatore e penalizzatore dell'attività economica
- tramite politiche di incentivazione e di
disincentivazione - e anche produttore.
Questa chiave interpretativa consente di dar ragione
dell'estendersi e del rafforzarsi del mercato a partire
dalla seconda metà del Settecento con la rapida
diffusione delle tecnologie industriali e il parallelo
sviluppo istituzionale dei mercati (v. North, 1990).
Appare peraltro difficile stabilire un prius storico e
logico tra tecnologie e regole, elementi tra i quali si
stabilisce una dialettica complessa. Secondo le concezioni
liberiste (v. §§ 3a e 3d) tale dialettica
è conoscibile solo sperimentalmente attraverso i
segnali dei prezzi, mentre secondo le concezioni
socialiste essa è governabile da un'autorità
pianificatrice centrale (v. § 3b).
È in ogni caso possibile stabilire che dalle
tecnologie industriali vennero due spinte opposte, con
fasi alterne di prevalenza. Le tecnologie, infatti,
richiesero da un lato crescenti concentrazioni di
capitale, con tendenza alla riduzione del numero dei
produttori-venditori; parallelamente, però, il
diffondersi delle ferrovie, delle navi a vapore, del
telegrafo ridusse il costo dei trasporti, attenuò
le barriere tecniche all'ingresso, allargò l'ambito
geografico dei mercati, favorendo l'aumento del numero dei
produttori-venditori. L'allargamento fu facilitato da
potenti ondate di innovazione tecnologica, che crearono
mercati nuovi, nei quali a condizioni temporanee di
monopolio seguirono rapidamente condizioni di oligopolio e
concorrenza monopolistica.
Si può ugualmente stabilire che lo sviluppo delle
regole procedette nel senso dell'estensione e della
specificazione dei diritti di proprietà,
soprattutto sui prodotti dell'ingegno, della
regolamentazione del mercato del lavoro, con
contrattazione collettiva in regime di quasi monopolio
bilaterale, e di quello del capitale (v. § 1c). Si
restrinsero, con la società per azioni, i limiti
della responsabilità personale del proprietario,
fino a fare del capitale un'entità anonima,
separata dalle persone dei possessori e pertanto
aggregabile in concentrazioni superiori alle
disponibilità dei singoli. Queste spinte
regolatrici contribuirono anch'esse al sorgere di un
proletariato industriale e di una borghesia detentrice del
capitale produttivo.
Nelle ricorrenti crisi cicliche prevalse la tendenza a
politiche industriali interventiste, di tipo
protezionista, con elevate tariffe doganali, sussidi,
salvataggi ed estensione dell'area produttiva pubblica.
Nei periodi di espansione si osserva invece la tendenza
all'abbattimento delle barriere, all'allargamento del
mercato, al contenimento dell'intervento
pubblico.L'ampliamento del mercato ha dato origine, nel
corso degli anni cinquanta e sessanta di questo secolo, ad
alcune centinaia di grandi gruppi industriali e finanziari
- le cosiddette 'società multinazionali' - con
attività in ambito mondiale, generalmente non
limitate a un solo settore merceologico, ma con controllo
fortemente accentrato nei singoli paesi d'origine. Queste
società hanno operato sovente in condizioni di
accentuato oligopolio e con un forte potere di
orientamento del mercato.
c) Le tendenze attuali
Si può datare dalla crisi petrolifera (1973)
l'inizio di un periodo di profonda trasformazione del
sistema di mercato. L'emergenza energetica, infatti,
stimolò la sostituzione con tecnologie elettroniche
delle tecnologie meccaniche, più dispendiose in
termini di energia. Le tecnologie elettroniche, a loro
volta, determinarono la riduzione sia delle barriere
tecniche di ingresso sia - in molti ma non in tutti i
settori - del capitale necessario per una produzione
efficiente. Esse favorirono così il
ridimensionamento delle unità produttive, la loro
localizzazione diffusa, il sorgere di imprese di
dimensioni medie o medio-piccole con interessi estesi ben
al di là del loro tradizionale ambito, locale o
nazionale.
L'effetto congiunto di queste due tendenze ha scardinato,
in molti settori, gli antichi oligopoli (ne è un
esempio eloquente lo stesso settore dei computer),
obbligando sovente le società multinazionali a
ridurre le proprie dimensioni relative e assolute e a
concentrarsi in uno specifico settore di attività,
con l'attenuazione o la perdita della leadership dei
mercati. Contemporaneamente nuove regole commerciali
creano aree di libero scambio sempre più estese.
Tale tendenza, iniziata con la costituzione della
Comunità Europea (1957) e con gli accordi del GATT
(1948 e 1961), è culminata, attraverso un iter
tortuoso, nella costituzione, all'inizio del 1995, della
World Trade Organisation (WTO), che ha gettato le basi per
la libera circolazione non solo delle merci ma anche dei
servizi, dei brevetti, del lavoro e del capitale.
Alle regole di origine pubblica si aggiungono quelle,
spesso elaborate da organismi autonomi, che sovrintendono
ai singoli mercati. In ambedue i casi vi è la
tendenza a intervenire ampiamente in difesa degli
acquirenti sui mercati a concorrenza monopolistica
(controllo dei messaggi pubblicitari, norme a garanzia
della qualità) contro i comportamenti collusivi tra
produttori e le conseguenze negative indirette derivanti
dalla produzione (diseconomie esterne: v. cap. 5).
Privatizzazioni e riduzione dei poteri pubblici di
intervento e controllo (deregulation) attenuano la
presenza, diretta e indiretta, dello Stato nei mercati.
Quest'evoluzione ha fatto sì che, verso la
metà degli anni novanta, i mercati siano divenuti
maggiormente 'contendibili' (v. § 1a) e che il
livello di concorrenzialità delle economie di
mercato sia oggi molto elevato.
5. I limiti del mercato
Non vi è mercato se i soggetti non hanno potere
di scelta (v. cap. 1); l'assenza di tale potere si
verifica sempre in un sistema totalmente pianificato dal
centro, mentre nelle economie di mercato una simile
situazione, che comporta prezzi amministrati e
razionamento, si verifica in maniera generalizzata solo
in caso di guerra, di calamità naturali e di
altre gravi emergenze.
Ugualmente non è possibile il mercato in assenza
di regole che lo governino, oppure quando non esistono
mezzi di pagamento adeguati. Tutto ciò esclude
dal mercato gli scambi di servizi personali che
avvengono all'interno delle famiglie: nulla può
'pagare' l'assistenza gratuita di una madre a un figlio
infermo.
La natura del bene o della prestazione può essere
tale da escludere che sia oggetto di scambio, e quindi
di mercato, anche al di fuori dell'ambito familiare.
È il caso dei beni collettivi, per
l'impossibilità di formulare una domanda autonoma
(se non eventualmente, nella formulazione iperliberista,
mediante il mercato politico; v. § 3c): nessun
privato può 'comprare' la manutenzione stradale,
l'illuminazione pubblica, la sentenza di un giudice (se
ciò formalmente avviene, l'atto cambia natura) o
il servizio della polizia (se ciò avviene, anche
la prestazione della polizia cambia natura e il
poliziotto si trasforma in guardia del corpo). Vi
è quindi un fallimento del mercato, mentre
è invece possibile che i servizi pubblici,
forniti in risposta a una domanda non di mercato,
vengano prodotti a seguito di aste competitive o che
diverse unità produttive dell'amministrazione
pubblica competano tra loro per soddisfare la domanda,
ottenendo, in caso di successo, non già maggiori
profitti ma dotazioni migliori, ecc. È questo il
cosiddetto mercato interno all'amministrazione pubblica,
che si ha, per esempio, quando gli utenti possono
spendere presso diversi fornitori pubblici speciali
'buoni' (vouchers) loro assegnati che danno diritto alla
prestazione gratuita.
Vi è inoltre una forte difficoltà a far
rientrare in maniera efficiente nell'ambito degli scambi
di mercato i beni non riproducibili oppure riproducibili
in quantità limitata e in tempi lunghi, specie
quando, attraverso il loro sfruttamento, subiscono
trasformazioni, spesso irreversibili, con forti
svantaggi generali (diseconomie esterne). La
scarsità sociale sposta il confine del mercato
annettendo una parte della sfera del legittimo interesse
individuale a quella delle obbligazioni sociali. Il
trascurare questa sfera corrode la base stessa delle
economie di mercato (v. Hirsch, 1976). Per allocare
questi beni è possibile procedere con un
razionamento casuale (per esempio nel caso del
parcheggio dell'auto in una zona congestionata) o con un
razionamento consapevole (effettuato in base a criteri
esterni al mercato, ad esempio riservando un certo
numero di posti nei parcheggi alle auto dei medici,
della polizia, ecc.). La realtà mostra spesso la
coesistenza pragmatica di questi tre criteri (una parte
dei posti-auto assegnata a categorie speciali; una parte
affidata al razionamento casuale; una parte lasciata al
mercato, spesso grazie all'opera di un posteggiatore
abusivo).
Un altro limite è dato dalla spinta
all'uniformità. Secondo una massima attribuita a
Ludwig von Mises, il mercato è "produzione di
massa per le masse". In quanto meccanismo di regolazione
sociale, esso tende a ottenere risultati migliori
là dove maggiori sono le uniformità dei
beni oggetto del mercato e là dove la domanda
è meno differenziata. Il mercato esercita,
perciò, una forte spinta all'uniformità
dell'oggetto, solo in parte contrastata dalle onde
lunghe dell'innovazione.
Per l'azione delle economie di scala, i gusti delle
minoranze troveranno la loro soddisfazione a un prezzo
più elevato di quelli delle maggioranze; pur
avendo la tecnologia elettronica spesso contribuito ad
abbassare la soglia di produzione minima per poter
restare sul mercato, una domanda al di sotto di tale
soglia non trova soddisfazione sul mercato. Se un
quotidiano, per poter sopravvivere, deve vendere ogni
giorno almeno centomila copie, qualsiasi gruppo
politico, religioso o simile che non riesca ad
assicurare il volume di vendita minimo deve rinunciare a
vedere le proprie convinzioni espresse da un quotidiano
in grado di stare sul mercato.Il mercato tende inoltre a
rappresentare una soluzione 'totalizzante', nel senso
che la presenza di mercati a monte è spesso una
condizione indispensabile per il funzionamento ottimale
di un determinato mercato. Esso si propone quindi come
soluzione globale dei problemi della società e
tende a espandersi all'intera società. Ciò
può causare l'eliminazione di tutto quanto non
è in grado di stare sul mercato. Si rischia
così l'eliminazione del 'diverso'. Questo
significa che il mercato può ampliare enormemente
la gamma delle scelte in alcuni settori, fino al punto
di rendere impossibile una decisione razionale, ma
ridurla contemporaneamente in altri, eliminando le
opzioni più 'radicali' o minoritarie.
Per conservare il 'diverso' appare quindi necessario un
deliberato intervento pubblico - di tipo non
assistenziale ma promozionale - che, al limite,
costituisce la vera salvaguardia della
molteplicità e della varietà. Per il
funzionamento accettabile di un'economia di mercato
è indispensabile, anche al di là della
fornitura dei servizi pubblici, la presenza di
attività non di mercato, finanziate
volontariamente dalla collettività oppure
mediante la tassazione.