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Mercato

In senso concreto, il luogo dove avvengono le contrattazioni per la vendita e l’acquisto di determinati prodotti e dove normalmente si incontrano, tutti i giorni, o in giornate stabilite, compratori, venditori e intermediari per effettuare transazioni commerciali relative a merci varie o anche a una sola merce.

Per estensione, l’insieme degli operatori legati tra loro in determinati rapporti d’affari o, sotto altro aspetto, l’insieme delle operazioni relative a un determinato bene o gruppo di beni.

[...]

1. Tipologie di mercato

Da un punto di vista spaziale, il m. può essere locale (comunale, rionale ecc.), nazionale, internazionale o mondiale, e dallo stesso punto di vista si parla di un punto o zona nodale del m. per indicare il punto o la zona, in genere centrale, in cui passano o sono disponibili i prodotti. Secondo la teoria economica tradizionale, il sarebbe caratterizzato dalla piena trasferibilità, nel suo ambito, sia dei fattori di produzione sia dei prodotti e quindi dalla tendenza al livellamento delle produttività marginali ponderate dei fattori investiti e all’adeguamento ai costi di produzione nel lungo periodo dei prezzi dei prodotti; invece il sarebbe caratterizzato dalla completa intrasferibilità dei fattori naturali e dalla difficile trasferibilità del capitale e del lavoro, con conseguente tendenza al permanere dei dislivelli di salari, interessi, rendite e quindi anche di prezzi dei prodotti. In passato, carattere intermedio da questo punto di vista avevano il m. regionale , in cui i fattori di produzione si trasferivano sempre con qualche difficoltà pur avendo la regione un ordinamento uniforme, e il m. coloniale , che pur abbondando di fattori naturali scarseggiava di capitale e lavoro e, pertanto, era destinato a rimanere economicamente arretrato in confronto al m. metropolitano, aperto soltanto verso la madre patria e chiuso nei rapporti con gli altri.

I m. si possono distinguere inoltre, a seconda del tipo di contrattazioni, in e al minuto , e a termine . A seconda dell’oggetto delle contrattazioni, si hanno m. dei prodotti (per i prodotti industriali si parla di se si riferisce a un solo ramo d’industria e di quando il prodotto è impiegato da numerosi rami di industria) e m. dei servizi produttivi ; particolare interesse presentano: il m. del lavoro ; il m. dei capitali , distinto in m. monetario , che è il m. del denaro a breve termine, e m. finanziario , che è il m. dei capitali propriamente detti, ossia dei prestiti a medio e lungo termine; il m. dei cambi e dei titoli , in cui si distinguono il m. primario , per gli scambi dei titoli di nuova contrattazione, e il m. secondario , per le negoziazioni di titoli già in circolazione; il ecc.

A seconda che lo Stato non intervenga nel gioco della domanda e dell’offerta o vi faccia più o meno sentire il peso della sua volontà, il m. può essere libero, regolato, controllato; ed è proprio quando domanda e offerta si realizzano e incontrano liberamente – pur nel rispetto delle leggi e delle istituzioni vigenti in un dato paese – che si dovrebbe parlare di economia di m. , mentre il termine si usa spesso impropriamente con riferimento anche a situazioni che non possono dirsi di libera concorrenza assoluta; quando vigano divieti e limitazioni delle contrattazioni e i prezzi siano calmierati, può sorgere un m. parallelo clandestino, contro legge, detto m. nero , per estensione del termine borsa nera.

Perché si possa parlare dell’esistenza di un m. occorre che lo scambio del bene o dei beni considerati avvenga sistematicamente (per una singola proprietà terriera, per una singola opera d’arte non può parlarsi di un m., mentre si può parlare di un m. della terra in genere, della pittura moderna ecc., così come si parla di un m. del grano, dei metalli ecc.). In ogni m. particolare il rapporto tra la quantità economica offerta in cambio del bene e la quantità economica del bene stesso indica il prezzo del bene, e il rapporto inverso il valore della moneta in termini di quel bene.

L’insieme dei singoli m. particolari costituisce il m. generale , astrazione di cui ci si serve soprattutto per valutare in base alle variazioni del livello generale dei prezzi quelle del potere d’acquisto della moneta in termini di tutti i beni. Il m. è detto perfetto se il bene oggetto di contrattazione in un dato m. può ritenersi omogeneo, e non soltanto per considerazioni economico-tecniche obiettive ma anche per l’assenza di qualsiasi preferenza personale da parte dei compratori per l’uno o l’altro venditore dello stesso bene (preferenza che può essere creata o alterata dalla pubblicità e altri mezzi di differenziazione di prodotti omogenei; si parla a questo proposito di m. non informato quando il consumatore medio giudica della qualità dei beni e servizi che richiede in base appunto alla pubblicità), e se le condizioni delle contrattazioni avvenute sono immediatamente note a tutti gli operatori (trasparenza del m.). Nel m. perfetto le transazioni si realizzano con la massima fluidità e si può attuare la legge dell’indifferenza del prezzo di W.S. Jevons, secondo la quale in uno stesso momento, in uno stesso m. per uno stesso prodotto, il prezzo non può essere che unico.

M. imperfetto è invece quello che non risponde neanche a uno di questi requisiti. Alcuni economisti moderni, però, non presuppongono nei loro schemi di m. il requisito dell’omogeneità del prodotto, in quanto ritengono sufficiente, perché si possa parlare di m., che tra i beni offerti esista un rapporto di relativa sostituibilità per cui il prezzo di ognuno di essi risulti costantemente diverso da quello che sarebbe se non fossero in vendita gli altri (in tale ipotesi si può parlare di m. dei cereali oltre che di m. del grano, dell’orzo, del riso ecc., di m. delle automobili oltre che di m. delle Mercedes, delle Fiat ecc.).

Se ci si riferisce all’indipendenza o meno dalla volontà dei singoli operatori del prezzo che si forma sul m., pur essendo il prezzo stesso il risultato dell’incontro della domanda e dell’offerta collettiva, i m. si distinguono in m. automatici , dove il prezzo è un dato oggettivo per i richiedenti e gli offerenti, e m. non automatici , i quali si possono distinguere a loro volta a seconda del numero dei soggetti economici che in essi offrono o domandano.

Il m. si dice infine o a seconda che sia possibile o meno l’entrata o l’uscita di nuovi operatori, sia che ci si riferisca all’importazione e all’esportazione di merci o servizi provenienti al di fuori dei confini territoriali del m. (in tal senso è chiuso il m. cinto da barriere doganali insormontabili o isolato da un blocco) sia, invece, che ci si riferisca alla possibilità che sorgano all’interno del m. stesso nuove unità di produzione o di consumo accanto a quelle già esistenti e che possano facilmente uscirne.

2. Studio del mercato

Lo studio del m. e di come vi si formi il prezzo, per il gioco della domanda e dell’offerta, è antico quanto la scienza economica, ma fino a tutta la Prima guerra mondiale gli economisti si sono occupati soltanto di analizzare due forme estreme di m.: la libera concorrenza assoluta e il monopolio assoluto, trascurando di proposito le forme intermedie (a eccezione degli studi di A. Cournot, J. Bertrand e F.Y. Edgeworth sul duopolio). Motivi ideali inducevano a persistere nel ritenere modello fondamentale e sufficiente la libera concorrenza, nonostante il distacco tra teoria e realtà si andasse sempre più accentuando, e a considerare come eccezione il monopolio; inoltre si riteneva possibile l’individuazione di un prezzo di equilibrio soltanto in queste due ipotesi estreme e anche per questo non ci si preoccupava di teorizzare su ipotesi intermedie, nonostante sulla base della realtà storica se ne potessero costruire di sempre più numerose. Si pensava d’altra parte che i sistemi concreti fossero comunque sempre interpretabili riferendosi alternativamente o allo schema del monopolio (cui sono legati soprattutto i nomi di A. Cournot, V. Pareto, E. Barone, L. Amoroso) o a quello della pura concorrenza (L. Walras, Pareto, F.Y. Edgeworth, A. Marshall), a seconda del prevalere dell’uno o dell’altro nella struttura dei singoli sistemi. Le guerre mondiali determinarono però alcune trasformazioni nella realtà economica e ne ac­centuarono altre già in corso, tanto da costringere a prendere atto che la teoria rischiava di non aver più riferimento con i fatti; così, sulla via aperta da P. Sraffa nel 1925, si è svolta una radicale revisione della teoria delle forme di m. per opera di W. Eucken, W. Fellner, F. Machlup, H. von Stackelberg, R. Triffin e soprattutto di E. Chamberlin e J. Robinson, che hanno analizzato il funzionamento del m. nelle varie ipotesi di concorrenza imperfetta o monopolistica.

La classificazione delle forme di m. può essere fatta in base a vari criteri, a quelli cioè dell’indipendenza, della formazione più o meno libera del prezzo, dell’indifferenza; si può anche ricorrere a questo scopo al criterio dell’elasticità di sostituzione e a quello dell’elasticità indiretta. La classificazione più semplice è quella che distingue le forme di m. a seconda del numero dei soggetti economici che vi partecipano e che prevede soltanto quattro forme, se si limita alle due ipotesi di moltissimi soggetti da ambo le parti (concorrenza bilaterale) o di un solo soggetto da ambo le parti (monopolio bilaterale o monopolio con monopsonio) e alle due ipotesi incrociate (concorrenza di domanda con monopolio d’offerta e concorrenza d’offerta con monopolio di domanda o monopsonio). Qualora si inseriscano anche dal lato dell’offerta e della domanda le ipotesi intermedie di poche grosse unità di produzione e di consumo (oligopolio e oligopsonio), il numero delle possibili forme di m. sale a seconda che il m. sia perfetto o imperfetto, e tenendo anche conto dell’apertura o chiusura del m. da parte della domanda e da quella dell’offerta. Eucken ha ritenuto tuttavia questa tipologia ancora insufficiente, e addirittura Stackelberg è arrivato a prevedere 900 forme di mercato. È inoltre da considerare che, distinguendo tra periodo breve e periodo lungo, possono essere fatte ulteriori classificazioni tenendo conto delle possibili reazioni, sulle dimensioni degli impianti delle altre imprese, alle variazioni del prezzo praticate da un’impresa del gruppo. Tuttavia, in base al numero degli operatori e all’omogeneità o meno della merce, le forme di m. da ritenersi teoricamente interessanti e veramente utili per l’interpretazione dei fenomeni reali sono poche.

3. Definizioni

Analisi di m.è lo studio, impropriamente assimilato alla ricerca di m., del m. da un punto di vista globale o in un suo aspetto particolare, e può valersi di dati raccolti all’interno di un’impresa, e all’esterno, attraverso la consultazione di elementi statistici già rilevati e di altre fonti note, oppu­re di altri mezzi di ricerca, quali le vere e proprie ricerche di mercato. È realizzata dal responsabile del marketing dell’impresa per conoscere la natura, le caratteristiche e la distribuzione dei fenomeni di cui deve tenere conto nelle sue decisioni.

Area (o zona) di m. è l’area che gravita per gli acquisti su un centro urbano che può considerarsene il capoluogo commerciale in quanto esercita la sua attrazione sui consumatori di tutta l’area. Secondo la legge di gravitazione del commercio al dettaglio proposta da W.J. Reilly, il potere di attrazione esercitato da un centro urbano sulle varie parti dell’area è direttamente proporzionale alla massa della sua popolazione e inversamente proporzionale alla distanza. Questa legge, oltre che per misurare il potere di attrazione dei vari centri, è di grande utilità per delimitare le aree di mercato.

Costo del m. è detto l’insieme delle spese necessarie per l’organizzazione del m., comprese le remunerazioni degli intermediari, costo che grava in parte sul richiedente e in parte sugli offerenti ed è in genere più elevato dei costi di produzione e di trasporto in quanto la catena dei passaggi dal produttore al consumatore è piuttosto lunga e l’organizzazione dell’attività commerciale è quasi sempre tutt’altro che perfetta.

Operazioni di m. aperto sono gli acquisti e le vendite di titoli pubblici da parte della banca centrale al fine di immettere o di ritirare dalla circolazione biglietti, in modo da accrescere o ridurre indirettamente i fondi liquidi disponibili presso le banche ordinarie con conseguente possibilità per queste ultime di espandere o contrarre il credito. Oltre a stimolare o frenare gli affari, agendo sulla liquidità del m. monetario, la banca centrale può con queste operazioni neutralizzare gli effetti sulla circolazione e sui prezzi di eventuali deflussi o afflussi di oro verso l’estero e dall’estero. Le operazioni di m. aperto sono state a volte preferite alla classica manovra dello sconto, pur essendo onerose per la banca, sia perché, potendo non essere palesi a tutti, non producono i turbamenti psicologici che talora derivano invece da variazioni del saggio ufficiale di sconto (specialmente del rialzo), sia per la loro maggiore tempestività e per la grande adattabilità dal punto di vista amministrativo, sia infine perché si sperava che i loro effetti non potessero essere eventualmente frustrati dalla scarsa elasticità della domanda di credito (in realtà la loro influenza restrittiva in periodi di espansione economica è risultata maggiore dell’influenza stimolante in periodi di depressione). Per questo, dopo la Seconda guerra mondiale sono state largamente usate, con risultati non omogenei, in particolare per attuare la cosiddetta politica del denaro a buon mercato.

Potere di m.è la capacità di influire sul m., e quindi sul prezzo di un bene, più degli altri offerenti o richiedenti; è strettamente legato a situazioni diverse dalla libera concorrenza e può spingersi fino all’assoluto controllo del m. in caso di monopolio.

4. M. finanziari

Il m. finanziario, in generale, è il luogo di creazione e di scambio di attività finanziarie. Grazie alla globalizzazione dei m. e alla diffusione del sistema telematico di negoziazione non è più necessaria l’esistenza di un luogo fisico dove effettuare gli scambi. I m. finanziari sono detti a pronti (o spot) quando l’attività finanziaria è scambiata con pronta consegna, a termine (o futures) quando la consegna è differita a un determinato momento futuro. Appartengono a questa seconda categoria i m. di strumenti derivati , così chiamati poiché il loro prezzo deriva dagli strumenti finanziari a pronti sottostanti il contratto (azioni od obbligazioni). Per quanto, nella maggior parte delle economie, le attività finan­ziarie siano scambiate in m. organizzati, l’esistenza di un m. finanziario non è una condizione necessaria per la creazione e lo scambio di strumenti finanziari. Le contrattazioni che avvengono al di fuori dei m. regolamentati danno origine ai m. over the counter (fuori borsa).

I m. finanziari, insieme alle istituzioni finanziarie, in particolare gli intermediari, costituiscono il sistema finanziario, che favorisce l’incontro tra la domanda e l’offerta di fondi.

I m. finanziari consentono, in primo luogo, l’allocazione delle risorse dei singoli individui: attraverso l’acquisto di titoli, eventualmente effettuato per il tramite di intermediari specializzati, gli individui hanno la possibilità di scegliere le modalità di mantenimento della propria ricchezza. In secondo luogo, i m. finanziari consentono l’allocazione delle risorse delle imprese: le unità produttive o imprese che emettono titoli per raccogliere finanziamenti offrono questi ultimi sul m. finanziario che, attribuendo prezzi diversi a titoli di diverse imprese, alloca le risorse che riesce ad attirare tra i diversi offerenti. Infine, i m. finanziari costituiscono una fonte d’informazione.

I prezzi delle attività sono determinati nei m. finanziari in base all’interazione tra domanda e offerta, riflettendo le informazioni e le preferenze degli operatori nel m. e, quindi, segnalando in che modo i fondi dovrebbero essere allocati tra le attività finanziarie. Attraverso i prezzi, il m. finanziario fornisce informazioni che sono facilmente accessibili a tutti gli operatori (riducendo il costo legato all’acquisizione d’informazioni) e determinanti per intraprendere varie attività economiche. L’informazione contenuta nei prezzi raccoglie in sé i diversi livelli della stessa a disposizione dei singoli operatori, che in quanto tali sono più o meno informati. In un m. perfetto l’informazione è distribuita simmetricamente fra tutti gli operatori; quando invece la distribuzione dell’informazione è asimmetrica, il m. è imperfetto. In generale, quanto più i prezzi sono indicativi dell’informazione esistente, tanto più il m. assolve al meglio il suo ruolo e consente di fare previsioni più accurate, migliorando così la qualità e l’efficacia delle iniziative e delle decisioni prese dagli operatori. Maggiore è la varietà dei titoli esistenti sul m., migliore è il grado di realizzazione delle tre funzioni proprie del m. finanziario.

I m. finanziari si distinguono in m. primari e m. secondari. Nel vengono negoziati titoli di prima emissione, che non sono cioè ancora in circolazione e devono essere collocati sul mercato. La funzione del m. primario è quella di procurare risorse finanziarie alle imprese. Il m. secondario , nel quale vengono negoziati titoli già in circolazione, ha invece la funzione di permettere cambiamenti nelle attività detenute nei portafogli e di rendere flessibile l’allocazione delle risorse effettuata dagli investitori. L’efficienza del m. primario e la sua capacità di assorbimento sono subordinate all’efficienza e alla liquidità di quello secondario. Infatti, quanto più un m. è liquido, tanto più facile risulterà la vendita di un titolo; quanto più un m. è efficiente, tanto minore sarà l’effetto sul prezzo determinato dalla vendita di un singolo titolo.

5. Parametri valutativi

Esistono diversi parametri che vengono comunemente utilizzati per valutare le caratteristiche funzionali dei m., tra cui il livello di perfezione, l’efficienza, l’ampiezza, la profondità (o spessore), la frammentazione e l’elasticità. Preliminarmente va osservato che le diverse forme organizzative hanno un’influenza determinante sul meccanismo di formazione del livello dei prezzi e soprattutto sulla dispersione che si genera intorno a esso. Il grado di perfezione del m., come già detto, dipende dall’omogeneità delle informazioni degli operatori.

Per quanto riguarda l’efficienza del m., è opportuno distinguere tra due concetti di efficienza: l’efficienza valutativa e l’efficienza informativa. Un m. è efficiente secondo il criterio valutativo quando i prezzi riflettono il valore intrinseco dei titoli. Un m. è invece efficiente sotto il profilo informativo quando i prezzi dei titoli riflettono le informazioni relative agli stessi. I due concetti di efficienza non necessariamente coesistono sul mercato. Nel caso delle ‘bolle speculative’, il m. è influenzato dal comportamento imitativo degli operatori che, avendo la convinzione che un titolo continuerà a salire, provocano con i loro acquisti un effettivo rialzo del suo valore. In questo caso tale valore tende a creare autoalimentazioni e si discosta dal suo valore intrinseco o fondamentale, ovvero dal valore legato, per es., all’andamento dei redditi di impresa, al percepimento dei quali le azioni danno diritto pro-quota.

Un m. si definisce quando ordini di acquisto e di vendita non determinano ampie variazioni dei prezzi, consentendo di riassorbire eventuali sbilanci temporanei tra domanda e offerta. La capacità stabilizzatrice del m. sarà ancora più forte se il m. è anche ampio , ovvero se il volume degli ordini eseguibili a prezzi vicini a quelli correnti è elevato. L’ consiste nella capacità delle variazioni nei prezzi, determinate da squilibri negli ordini di acquisto e di vendita, di attirare nuovi ordini capaci di stabilizzare il mercato.

La frammentazione è un’imperfezione del m. che dipende dalle difficoltà di comunicazione degli operatori, dovute a loro volta a carenze nei collegamenti o alla diversità nella velocità di circolazione delle informazioni tra mercati. A causa della frammentazione del m., gli operatori potrebbero trovarsi a eseguire negoziazioni a prezzi peggiori di quelli potenzialmente ottenibili per la difficoltà di conoscere le posizioni di eventuali controparti. I moderni sistemi di negoziazione, basati su tecnologie informatiche che consentono la diffusione delle informazioni in tempo reale, contribuiscono in maniera determinante alla soluzione dei problemi relativi alla frammentazione dei mercati.

6. Struttura dei m. finanziari

La struttura dei m. finanziari è l’insieme di sistemi e procedure che definiscono le negoziazioni. Le principali forme organizzative dei m. finanziari sono: m. a ricer­ca autonoma; m. di brokers; m. di dealers, intermediari non indipendenti (under­writers, sottoscrittori, nel m. primario), e di market makers, operatori indipendenti; m. ad asta. Il m. a ricerca autonoma è quello nel quale gli operatori cercano le controparti per proprio conto, e rappresenta la forma più elementare di mercato. Tale forma di m. è la più lontana dalla perfezione. In genere essa è determinata dalla scarsità dei volumi di negoziazioni, che non rende conveniente per gli intermediari intervenire nel mercato. I sono intermediari specializzati nella ricerca di controparti. Essi si impegnano a trovare una controparte al cliente (mantenendone di solito riservata l’identità) e di contrattare il prezzo, ricevendo per il loro servizio una commissione. Il o il market maker , a differenza del broker, assume posizioni in proprio ponendosi come diretta controparte del proprio cliente. In questo modo garantisce l’immediatezza dell’esecuzione dell’ordine, e la sua remunerazione è data dalla differenza tra prezzi di acquisto e prezzi di vendita (spread). La funzione dei dealers o dei market makers è di dare liquidità al mercato.

Il m. ad asta , rispetto alle altre forme di m. analizzate, è quello che consente di raggiungere il maggior livello di perfezione, poiché consente di confrontare simultaneamente le proposte di tutte le controparti. Perché il meccanismo funzioni è tuttavia necessario che il m. presenti una certa regolarità e numerosità degli ordini e che questi abbiano caratteristiche e tagli omogenei. Le tecniche di asta più utilizzate sono l’asta a chiamata e l’asta continua. Nell’asta a chiamata il prezzo viene fissato dopo aver raccolto tutti gli ordini in modo da massimizzare l’incontro tra domanda e offerta. Nell’asta continua i prezzi si formano sequenzialmente, ogni volta che per un ordine viene trovato un altro ordine di segno opposto, e quindi un prezzo di equilibrio. In questo modo i prezzi vengono continuamente aggiornati incorporando le informazioni che arrivano al mercato.

7. Tipologie dei prodotti negoziati

Facendo riferimento ai prodotti negoziati, i m. finanziari si dividono in m. monetari, obbligazionari, azionari, dei cambi e dei prodotti derivati. Il processo d’innovazione finanziaria, soprattutto in seguito al processo di cartolarizzazione, ha creato nuovi e originali valori mobiliari, arricchendo la tipologia di azioni e di obbligazioni ma anche aggiungendo nuovi certificati e i prodotti derivati. Tra i prodotti derivati si distinguono, per es., le opzioni e i futures. Essi non sono veri e propri titoli di provenienza di un emittente, ma piuttosto speciali contratti conclusi tra gli investitori. Le opzioni sono dei contratti che danno diritto (ma non obbligo) ad acquistare (call) o a vendere (put) determinati titoli. Come tali sono soggetti a una valutazione da parte degli operatori interessati e quindi sono oggetto di contrattazione e di prezzo negli appositi mercati. I futures differiscono in generale dalle opzioni perché sono contratti che hanno un valore minimo prestabilito, e perché presentano gradi di rischio superiori a quelli delle opzioni.

Nei m. organizzati la liquidazione dei contratti di opzione o dei futures avviene attraverso organizzazioni specializzate, le clearing houses (in Italia, Cassa di compensazione e garanzia). Queste organizzazioni si interpongono negli scambi, quale venditore e acquirente rispettivamente del compratore o del venditore, garantendo il buon fine delle negoziazioni.

I m. dei prodotti derivati, come quelli degli swaps (contratti in cui le parti si scambiano a una certa data i differenziali d’interesse o dei cambi delle valute coinvolte), hanno giocato un ruolo fondamentale nella globalizzazione dei mercati. In primo luogo essi hanno ridotto la separatezza tra i m. dei diversi prodotti, spingendo gli operatori ad agire coprendosi dai vari rischi, per es. il rischio di cambio con contratti a termine che fissano il prezzo di riacquisto di una data valuta. Questo sistema è stato utilizzato soprattutto dalle imprese industriali per coprirsi dal rischio connesso alla variazione del prezzo delle materie prime. Grazie ai vari sistemi di copertura (hedging), e quindi grazie anche ai derivati, il m. dei cambi e il m. delle materie prime sono divenuti m. in cui i rischi sono diversificabili.

Con riferimento ai prodotti negoziati, è opportuno richiamare il cosiddetto euromercato , dove sono scambiate le eurobbligazioni , ossia valori mobiliari emessi da un ente emittente di un paese nella valuta di un secondo paese e che circolano sulla piazza di un terzo paese. Le transazioni che avvengono sull’euromercato sono al di fuori della giurisdizione di un singolo paese.

8. Segmenti d’attività

Tradizionalmente i m. finanziari erano suddivisi in m. creditizio o monetario, m. dei cambi, m. assicurativo e m. mobiliare. Questa ripartizione trovava fondamento nella diversità dei prodotti scambiati sui quattro segmenti di m. e nella diversità del ruolo degli intermediari. Ormai le barriere tra i diversi segmenti di m. stanno cadendo: basti pensare ai conti correnti bancari collegati a un fondo d’investimento, che eliminano la linea di confine tra m. del credito e m. obbligazionario. Altro esempio sono gli strumenti che, pur essendo tipici del m. mobiliare, consentono di operare su tutte le scadenze, dal breve al lungo termine. Tra questi le quote di fondi monetari, o le azioni delle SICAV. Si pensi anche alle obbligazioni convertibili o con warrants, che danno il diritto a entrare in possesso di azioni e collegano il m. obbligazionario con quello azionario. Anche i prodotti assicurativi si sono avvicinati alle forme di risparmio monetarie, dando la possibilità agli investitori di investire il proprio risparmio garantendosi allo stesso tempo la copertura rispetto a determinati rischi.

La domanda di attività finanziarie che proviene dagli investitori è in genere motivata da esigenze di copertura o da moventi speculativi ed è comunque determinata dall’incertezza sui possibili stati futuri del mondo. I modelli finanziari che spiegano le scelte d’investimento si basano appunto sull’incertezza e sulle preferenze dell’investitore-consumatore, descritte da una funzione di utilità che a sua volta dipende dal grado di avversione al rischio dell’investitore. La maggior parte di questi modelli fonda le decisioni d’investimento sulla relazione inversa fra rendimento e rischio delle attività finanziarie, misurando il rischio come la variabilità (volatilità) dei rendimenti del titolo. Esistono due tipi di rischio: il rischio diversificabile e il rischio sistemico, o non diversificabile. Il primo può essere ridotto o eliminato attraverso un’opportuna combinazione dei titoli che compongono il portafoglio, che può però ridurre contemporaneamente anche la probabilità di avere rendimenti elevati. Esiste invece una componente del rischio che non può essere eliminata mediante diversificazione: il cosiddetto rischio sistemico, legato a eventi che colpiscono indistintamente tutti i titoli, come calamità naturali, guerre, crisi politiche o economiche.

L’offerta di attività finanziarie proviene dagli emittenti, che possono essere distinti in pubblici o privati. L’impresa privata che deve reperire i fondi per i propri investimenti si trova di fronte a due ordini di scelte: deve decidere innanzitutto se entrare nel m. (dividendo quindi la proprietà dell’impresa con altri operatori) piuttosto che ricorrere al debito; deve poi decidere se realizzare una semplice offerta nei confronti del pubblico oppure entrare nel m. regolamentato. Il secondo tipo di collocamento dei titoli è finalizzato alla loro quotazione, ma sottopone l’impresa a un insieme di controlli e di regole che potrebbero risultare eccessivamente onerosi.

9. Globalizzazione del mercato

Diversi fattori hanno contribuito a quel processo di ampliamento dei m. finanziari su scala mondiale noto come processo di globalizzazione finanziaria. I tre fattori più rilevanti, che si sono sviluppati indipendentemente, sono: le innovazioni tecnologiche; la deregolamentazione del m. e delle istituzioni; l’aumento degli investitori istituzionali nei m. finanziari. Le innovazioni tecnologiche hanno completamente rivoluzionato i tradizionali sistemi di negoziazione, di controllo dei m. mondiali e di analisi dei dati finanziari. Grazie ai sistemi telematici, è infatti possibile accedere alle informazioni relative ai m. mondiali in tempo reale, avvalersi delle tecniche di analisi dei dati per individuare le caratteristiche di rendimento e di rischio delle diverse attività finanziarie ed eventuali possibilità di arbitraggio, eseguire in pochi secondi ordini su questi m. attraverso un terminale. La deregolamentazione è consistita nella liberalizzazione nel movimento dei capitali e nell’eliminazione di restrizioni amministrative nella gran parte dei paesi emergenti e di quelli più sviluppati. L’impulso iniziale alla liberalizzazione e all’integrazione dei m. finanziari europei è partito dal Regno Unito che ha liberalizzato il m. azionario e quello dei titoli di Stato, inducendo così progressivamente anche gli altri paesi a intraprendere analoghi provvedimenti. Il processo è poi stato rafforzato dalle direttive della Comunità Europea. Infine, le attività finanziarie degli investitori istituzionali, espresse in percentuale del PIL, sono cresciute sensibilmente in tutti i paesi industrializzati.

10. Psicologia di mercato

La psicologia di m. si occupa delle leggi psicologiche che stanno alla base della regolazione della domanda e dell’offerta e dei loro rapporti reciproci. È un settore della psicologia applicata che si è sviluppato sotto la pressione dei compiti che l’economia sottoponeva alla psicologia. Mediante il chiarimento dei motivi e delle determinanti del comportamento economico, la psicologia di m. tenta di indicare il modo in cui si può influire su determinati momenti elaborando tecniche, come quelle proposte dalla psicologia della propaganda.


Enciclopedia delle Scienze Sociali (1996)

di Mario Deaglio

Mercato

sommario: 1. Definizione e tassonomia del mercato. a) Concorrenza perfetta e imperfetta. b) Monopolio, cartello, monopsonio, monopolio bilaterale. c) Alcuni casi particolari di mercato. 2. La complessità dei mercati reali. a) Soggetti, motivazioni, intervento pubblico. b) Estensioni recenti del mercato. c) Mercati irregolari e malavitosi. 3. Le interpretazioni del mercato. a) Il 'filone centrale' del pensiero economico. b) Marx e il filone marxista. c) La rivoluzione keynesiana e la reazione successiva. d) Schumpeter e Hayek: due interpretazioni eterodosse. e) Altre interpretazioni del mercato. 4. Lo sviluppo storico del mercato. a) Il problema dell'origine del mercato. b) L'evoluzione del mercato tra tecnologie e regole. c) Le tendenze attuali. 5. I limiti del mercato. □ Bibliografia.

1. Definizione e tassonomia del mercato

Dicesi mercato un insieme di scambi di natura economica, o comunque a essa riconducibile, aventi per oggetto un diritto reale (proprietà, uso, ecc.) su beni, materiali o immateriali, già esistenti o di futura realizzazione, oppure una prestazione (lavoro, ecc.). Tradizionalmente si dice mercato anche il luogo in cui avvengono gli scambi; con i moderni mezzi di comunicazione tale luogo può essere anche soltanto virtuale, essendo le transazioni possibili senza contiguità fisica tra le parti.

Per l'esistenza di un mercato sono necessarie le seguenti condizioni.
1. La libertà d'azione dei partecipanti, i quali possono essere soggetti individuali o collettivi. Tale libertà si concreta in un potere autonomo di scelta tra comportamenti diversi; essa è, peraltro, variamente limitata da restrizioni di tipo giuridico e dalle risorse di cui i partecipanti hanno la disponibilità.
2. Un complesso di regole per lo svolgimento degli scambi, alle quali i partecipanti devono uniformarsi, e un'organizzazione che ne cura il rispetto.
3. Un prezzo, o un insieme di prezzi, relativo all'oggetto dello scambio, che si formi, almeno parzialmente, a seguito delle preferenze dei partecipanti e non già per semplice imposizione dal centro.
4. Un mezzo di pagamento accettato da tutti i partecipanti.

L'esistenza stessa del mercato amplia la gamma delle scelte economiche non solo di chi effettivamente vi partecipa ma anche di chi, pur decidendo di non farlo, può parteciparvi. Il mercato è quindi un bene collettivo e aumenta il benessere sociale, pur in presenza di numerosi limiti ed effetti negativi (v. cap. 5). Le economie in cui sono presenti tutte le condizioni sopra elencate, e in cui sono altresì libere e decentrate le scelte di produzione per la maggior parte dei beni e servizi, possono essere definite economie di mercato.
Lo studio delle caratteristiche dei mercati e delle loro conseguenze è argomento precipuo dell'economia politica, ma interessa anche le discipline giuridiche, la storia economica e la sociologia. Pur nella diversità delle interpretazioni (v. cap. 3), l'analisi economica ha sviluppato una tassonomia del mercato ormai sufficientemente consolidata, sia pure con qualche variazione terminologica e concettuale.Essa si basa sul carattere paradigmatico del mercato di concorrenza perfetta (v. § 1a), adottato come modello di riferimento e talora indicato come il mercato tout court, mentre le altre forme di mercato sono considerate come varianti o scostamenti da tale modello.

a) Concorrenza perfetta e imperfetta

Il mercato di concorrenza perfetta richiede condizioni molto restrittive, quali l'omogeneità dell'oggetto dello scambio, la pluralità dei venditori (normalmente identificati con i produttori del bene venduto) e dei compratori - gli uni e gli altri animati dalla volontà di rendere massimo il proprio vantaggio -, l'esiguità delle quote di mercato dei singoli, tali che le decisioni di ciascun operatore non possano influenzare il prezzo. Il prezzo si forma pertanto in maniera impersonale, per tentativi, oppure mediante l'opera di un agente esterno (il 'banditore'). Il mercato di concorrenza perfetta richiede inoltre l'istantaneità e la disponibilità generale delle informazioni relative ai prezzi e alle quantità scambiate e la possibilità dei partecipanti di entrare e uscire dal mercato stesso senza costi né barriere di altro tipo (v. Walras, 1896³).

Tali condizioni possono sussistere anche solo allo stato potenziale: perché si realizzi un comportamento concorrenziale è sufficiente la presenza virtuale, non quella reale, di un gran numero di partecipanti, ossia l'istantanea possibilità di accesso al mercato di qualsiasi soggetto. Non è necessario che i mercati siano 'contesi', è sufficiente che essi siano 'contendibili' (contestable markets) (v. Baumol, Panzar e Willig, 1982).
In queste condizioni si determina un prezzo di equilibrio al quale tutte le quantità offerte vengono acquistate e si realizza un ottimo paretiano, ossia la condizione in cui è impossibile migliorare la posizione di un qualsiasi partecipante al mercato senza peggiorare la posizione di almeno un altro partecipante (v. Pareto, 1906). È questo il fondamento dell'utilità sociale del mercato.

La concorrenza perfetta è assai rara, per non dire inesistente, nella realtà. La telematica, tuttavia, rendendo possibile la sostanziale istantaneità e l'universale disponibilità a basso costo delle informazioni di mercato, ha contribuito, unitamente alla riduzione delle barriere legali all'entrata, a determinare condizioni non troppo distanti dalla concorrenza perfetta in alcuni mercati finanziari (v. § 1c).

La formazione impersonale del prezzo non conduce a un'effettiva competizione tra i partecipanti, e quindi all'interdipendenza delle loro decisioni, quanto piuttosto a una sequenza di eventi che tende a escludere dal mercato i produttori meno efficienti, per una sorta di selezione naturale (v. § 3c). I partecipanti non hanno alcun potere sul mercato; i profitti, al di là della remunerazione del capitale che equilibra i mercati finanziari, hanno carattere transitorio.

Potere e profitti compaiono invece quando si abbandonano alcune delle condizioni definitorie di cui sopra e si passa alle varie forme della concorrenza imperfetta (v. Robinson, 1933; v. Chamberlin, 1933). Se si segue questo percorso intellettuale, un primo caso di scostamento dalla concorrenza perfetta si ha con l'attenuazione della condizione di numerosità dei venditori, permanendo quelle della numerosità dei compratori e dell'omogeneità del bene scambiato. Si è allora in regime di oligopolio, un mercato in cui, dal lato dei venditori, il basso numero fa cadere la condizione di irrilevanza della quota di mercato del singolo, mentre, dal lato degli acquirenti, la persistente numerosità esclude qualsiasi influenza sul prezzo. I venditori sono quindi in effettiva competizione tra loro e le decisioni di uno di essi sulle quantità da vendere e sul prezzo da richiedere possono essere influenzate da, e a loro volta influenzare, quelle degli altri venditori. È frequente nell'oligopolio la presenza di un'impresa dominante, generalmente di dimensioni maggiori, la quale fissa il prezzo (oppure la quantità che intende produrre) senza tener conto delle altre; queste ultime regolano le proprie decisioni sul comportamento della prima.

Ciascun produttore cerca allora di introdurre elementi migliorativi o distintivi nel suo prodotto, differenziando ciò che vende anche solo per piccoli particolari, come la marca, e trasferendo la competizione sul piano qualitativo. Si perde così il requisito della omogeneità del prodotto e il mercato che ne consegue è detto di concorrenza monopolistica. Nella concorrenza monopolistica ciascun venditore è monopolista (v. § 1b) del proprio prodotto, ma i prodotti sono tra loro sostituibili, sia pure imperfettamente, nella scelta degli acquirenti.
Tra oligopolio e concorrenza monopolistica esiste un continuum logico che ne rende difficile l'esatta differenziazione. Qualora sussistano differenze secondarie tra i prodotti, entrambi gli schemi possono di fatto essere utilizzati per l'analisi di un particolare mercato. Nelle moderne economie di mercato la grande maggioranza dei beni di consumo e di investimento è scambiata in condizioni di oligopolio-concorrenza monopolistica, al punto che con il termine 'mercato' si intende spesso non già la concorrenza perfetta bensì l'insieme degli scambi in tali condizioni.

La vera differenziazione dei mercati non deriva tanto dalla numerosità dei venditori quanto dall'effettivo livello delle barriere all'ingresso (v. § 2a; v. Bain, 1956; v. Sylos Labini, 1956), che possono essere dovute a vincoli tecnologici, distanze geografiche, abitudini, norme legislative. La natura concorrenziale di un mercato non ha quindi carattere assoluto, nel senso che è presente oppure manca del tutto; esistono piuttosto diversi livelli di concorrenzialità, che, come si vedrà (v. cap. 4), caratterizzano i vari periodi storici.

b) Monopolio, cartello, monopsonio, monopolio bilaterale

Se si annulla, invece che attenuare, la condizione di numerosità dei produttori-venditori, si ha il monopolio. Nel monopolio esiste un solo venditore che fronteggia una pluralità di compratori. Il monopolista fissa il prezzo del proprio prodotto in base alle sue conoscenze delle caratteristiche della domanda aggregata degli acquirenti, la quale non deve essere direttamente influenzata dal prezzo di altri prodotti, in quanto, in tal caso, si avrebbe concorrenza monopolistica (v. § 1a). Si immagina quindi quale quantità sarà complessivamente acquistata a ciascuno dei possibili prezzi e tra questi fisserà quello che meglio si confà ai suoi obiettivi.

A parità di struttura produttiva e di condizioni di domanda, il monopolista, se intende conseguire il massimo profitto, produce una quantità inferiore a quella che si realizzerebbe in un mercato di concorrenza perfetta e la vende a un prezzo superiore. Spesso può aumentare i propri profitti tenendo un comportamento discriminante, ossia praticando prezzi differenziati a diverse categorie di acquirenti oppure per diverse quantità vendute. Il profitto del monopolista è superiore a quello (corrispondente alla remunerazione di equilibrio del capitale) che i produttori complessivamente realizzano sul mercato di concorrenza perfetta e riduce quindi, in maniera corrispondente, il vantaggio (surplus) che gli acquirenti derivano dal mercato. L'aumento del profitto del venditore e la riduzione del surplus degli acquirenti danno una somma negativa che viene detta perdita netta di monopolio.Da quali fattori può trarre origine una situazione di monopolio, dal momento che essa comporta una perdita netta di tipo sociale? Si possono individuare quattro casi.

1. Un'innovazione tecnologica tale da conferire all'innovatore un'esclusiva, talvolta protetta da un'apposita legislazione (brevetto) che ne impedisca la diffusione. È il caso oggi più frequente e può produrre effetti positivi sulla crescita, in quanto alla perdita netta per la collettività, derivante dall'esistenza del monopolio stesso, fa da contropartita una migliore soddisfazione dei bisogni. Questo monopolio ha carattere temporaneo per l'invecchiamento fisiologico dell'innovazione o la scadenza del brevetto, e lascia in eredità un incremento del patrimonio tecnologico. Il venire meno delle barriere monopolistiche fa allora evolvere il mercato verso forme di concorrenza monopolistica-oligopolistica (v. § 1a).

2. Il 'monopolio naturale', che si verifica quando un determinato volume produttivo può essere raggiunto in maniera efficiente, con le tecnologie correnti, soltanto se esiste un unico produttore-venditore (come accade, per esempio, nel settore della produzione-distribuzione di elettricità o in quello dei trasporti ferroviari). In questo caso la contropartita del monopolio è la più favorevole struttura dei costi; il monopolista naturale è spesso un'azienda pubblica che non si propone l'obiettivo del massimo profitto, ma è anzi tenuta a praticare prezzi 'politici' con il solo vincolo di coprire i costi o addirittura di contenere le perdite entro un livello prefissato, finanziato mediante la tassazione.

3. Il monopolio di Stato, normalmente con finalità fiscali (vendita di sigarette e tabacchi). In questo caso il prezzo è, anche sensibilmente, superiore al costo.

4. Il monopolio sancito per legge a favore di privati con scopi di politica industriale (sviluppo in esclusiva di determinate attività) o anche solo di potere (per esempio il monopolio del commercio con l'Oriente da parte delle Compagnie delle Indie inglese e olandese).

Una forma particolare di monopolio è il cartello, un accordo tra più produttori che stabiliscono di agire congiuntamente predeterminando il prezzo di vendita della merce e spartendosene, mediante l'attribuzione di quote di produzione, la quantità da produrre, in genere allo scopo di rendere massimi i profitti. Nel cartello il medesimo volume produttivo di un monopolista viene realizzato da un consorzio di produttori tra loro indipendenti, con la conseguente assenza dei benefici derivanti dalle economie di scala di un'analoga produzione monopolistica. Per la sua scarsissima utilità sociale, il cartello è, di regola, considerato negativamente dalle legislazioni della maggioranza dei paesi. Un esempio di cartello è rappresentato dall'OPEC, l'organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, fondata nel 1960.

Speculare al monopolio è il monopsonio, un mercato caratterizzato dalla presenza di un solo acquirente, fronteggiato da una pluralità di venditori. Condizioni di monopsonio si verificano, non di rado, nei mercati dei fattori produttivi e, in particolare, nel mercato del lavoro, quando, per esempio, una sola grande impresa si confronta con lavoratori disorganizzati; quando però i lavoratori si organizzano e si danno una rappresentanza unitaria, si ha un caso di monopolio bilaterale, in cui un monopsonista (spesso un'organizzazione che raggruppa tutte le imprese di un settore o di un'area geografica) è fronteggiato da un monopolista (in questo caso un'organizzazione sindacale che ha il mandato di negoziare per tutti i lavoratori un contratto collettivo di lavoro).

c) Alcuni casi particolari di mercato

1. Il mercato del lavoro è normalmente caratterizzato da una situazione di quasi monopolio bilaterale, che vede contrapposti i rappresentanti dei lavoratori e quelli delle imprese, e da un considerevole intervento regolatore pubblico, che si concreta anche in una funzione istituzionale di mediazione e di indirizzo. Entrambe le parti dispongono di strumenti di pressione: i lavoratori possono far ricorso a varie forme di sciopero, le imprese alla serrata. Il risultato delle trattative, affrontate con questi strumenti, dipende dall'interazione tra le strategie adottate dalle parti e l'azione pubblica, ed è efficacemente descrivibile mediante la teoria dei giochi.
Negli anni novanta questa rappresentazione schematica subisce numerose modifiche. La maggiore libertà di iniziativa consente alle imprese di usare come strumento di pressione anche la prospettiva di chiudere o trasferire gli impianti. D'altro canto il maggior contenuto di 'capitale umano' della prestazione lavorativa sta di fatto 'personalizzando' il lavoro; sulla contrattazione collettiva sopra delineata si innesta così, in misura molto maggiore che in passato, una contrattazione individuale o di piccoli gruppi, riguardante, oltre che la retribuzione, le modalità di esecuzione del lavoro (flessibile, a tempo parziale, ecc.), le prospettive future (opportunità di partecipare a corsi che comportino un arricchimento professionale, sviluppo della carriera), i fringe benefits, o retribuzione in natura (uso gratuito di un'autovettura, di un telefono portatile, ecc.).

2. Il mercato dei capitali finanziari, tradizionalmente incentrato nelle borse valori e nelle banche (in passato sovente di proprietà pubblica), ha subito modificazioni fondamentali nel corso dell'ultimo decennio. La funzione bancaria di intermediazione dei capitali è stata ridotta dalla possibilità dei grandi operatori di emettere direttamente titoli di debito (securitization) scambiati nei principali centri finanziari, in stretto collegamento telematico.
Nel corso degli anni ottanta i movimenti di capitale a livello mondiale sono stati liberalizzati, si è ampliato il numero delle società quotate nelle borse, sono comparsi nuovi operatori quali i fondi comuni di investimento, i fondi pensione e i fondi chiusi. All'innovazione tecnologica si sono aggiunte importanti innovazioni normative, spesso coordinate a livello mondiale, tendenti a impedire l'uso di informazioni riservate (insider trading), a ridurre le occasioni di frode, a garantire in vario modo una maggiore trasparenza (offerte pubbliche di acquisto e di vendita).Sono stati introdotti numerosi nuovi strumenti finanziari (certificati di deposito, contratti 'pronti contro termine', contratti futures, ecc.) che consentono impieghi fortemente differenziati per quantità, rischio e durata. La maggior mobilità dei capitali ha grandemente ridotto il potere delle banche centrali di indirizzare e controllare i mercati.

3. Il mercato delle abitazioni è caratterizzato da un fattore produttivo non riproducibile (il terreno) con prezzo derivante non già dal costo di produzione bensì dalla scarsità, e fortemente influenzato dalle decisioni pubbliche riguardanti l'edificabilità, gli oneri di urbanizzazione, ecc. La specificità di ciascuna abitazione fa sì che sia carente il requisito dell'omogeneità del bene scambiato, e che le informazioni sui prezzi abbiano un minor grado di generalità. L'offerta è potenzialmente costituita da tutte le abitazioni esistenti e non solo da quelle nuove. Le variazioni del prezzo influenzano, pertanto, la ricchezza oltre che il reddito, interessando quindi tutti i proprietari e non solo i partecipanti al mercato.

A un'estrema libertà di prezzi sul mercato della proprietà ha fatto tradizionalmente riscontro, in Europa, l'intervento pubblico nel mercato degli affitti, sia sul piano normativo (equo canone, blocco dei fitti, ecc.) sia mediante l'affitto a prezzi moderati di immobili di proprietà di enti pubblici. Ciò ha consentito di raggiungere fini sociali immediati, ma ha anche disincentivato la costruzione di case da parte dei privati a scopo di affitto, e reso molto realistico il rischio di ingerenze politiche nell'assegnazione delle case di proprietà pubblica.
In tempi recenti si osservano la graduale liberalizzazione degli affitti, la vendita di parte degli alloggi pubblici agli inquilini, nuove regole sui mutui (aumento della quota anticipata dalle banche), che consentono una maggior diffusione della proprietà immobiliare. I nuovi fondi immobiliari consentono l'impiego in abitazioni anche di capitali finanziari molto piccoli, riducendo la barriera all'ingresso; funzione in qualche modo analoga ha, nel caso degli alloggi per le vacanze, la multiproprietà, una frammentazione temporale del diritto di proprietà.

2. La complessità dei mercati reali

a) Soggetti, motivazioni, intervento pubblico

Una moderna economia di mercato è caratterizzata da situazioni ben più complesse di quelle sopra schematicamente descritte. A tale maggiore complessità concorrono i seguenti fattori.

1. L'identificazione del produttore-venditore è oggi resa difficile dalla presenza, accanto all'impresa tradizionale, di 'gruppi', di joint ventures, di accordi produttivi o di vendita dei tipi più vari nonché di imprese di proprietà pubblica (come quelle a partecipazione statale in Italia).

2. Le motivazioni dell'impresa sono ben diverse dal semplice perseguimento del massimo profitto. Gli obiettivi risultano normalmente molto articolati e difficilmente riconducibili a comportamenti massimizzanti (v. Simon, 1992): possono, per esempio, comprendere il raggiungimento di un determinato livello di profitti e di una determinata quota di mercato, la loro stabilità o crescita nel tempo, la continuità del gruppo dirigente, la sconfitta di un concorrente monopolistico. Per imprese di proprietà pubblica la ricerca del profitto può essere temperata da considerazioni politico-sociali (come l'obbligo di investire prioritariamente in certi settori o aree geografiche). Sempre maggior peso (negli Stati Uniti il 7% dell'occupazione complessiva), infine, assumono i produttori privati senza fini di lucro (università, organizzazioni sanitarie, cooperative di lavoro, ecc.) che perseguono obiettivi di natura non economica (v. Salamon e Anheier, 1993).

3. Sulla natura dei mercati incide fortemente la regolazione pubblica. Essa può, tra l'altro, imporre un determinato prezzo oppure fissarne i livelli massimi (tipici in Italia, fino a tempi recenti, quelli dei prodotti petroliferi, nonché l'equo canone per gli affitti) e minimi (salari contrattuali), oppure dettare regole che stabiliscano caratteristiche merceologiche dei beni o modalità per lo svolgimento dei servizi. Costituendo vere e proprie barriere all'ingresso, tali regole contribuiscono a determinare il grado di concorrenzialità del mercato. I pubblici poteri possono poi decidere imposte, sussidi diretti o indiretti, incentivi e disincentivi di natura fiscale o di altro tipo, nell'intento di influenzare le scelte degli operatori, orientandone gli investimenti verso regioni non sufficientemente sviluppate o verso attività particolari, come la ricerca scientifica. Possono infine agire in prima persona con varie finalità, costituendo aziende pubbliche.

La realtà odierna delle economie di mercato si configura quindi come un complicato intreccio delle forme teoriche originarie: una sorta di grande, sperimentale, non assestato 'brodo di coltura', che le discipline economico-aziendali, oltre a quelle economiche 'pure', cercano di esplorare e descrivere per poi poterne catalogare con sicurezza tutte le componenti.

b) Estensioni recenti del mercato

Nel corso degli anni ottanta e novanta si è verificata una forte estensione del mercato come strumento regolatore di attività in precedenza prevalentemente gratuite o soggette a regolamentazione amministrativa; questo passaggio è particolarmente rilevante nello sport, nella cultura, nella sanità. Il meccanismo del mercato comincia inoltre a essere applicato anche alla soluzione dei problemi ecologici.Nello sport si è fortemente esteso l'ambito delle prestazioni di eccellenza a pagamento rispetto a quelle a carattere gratuito e dilettantesco. Si sono formate vere e proprie 'imprese sportive', il cui scopo è il conseguimento di profitti mediante il coordinamento delle prestazioni dei singoli atleti e la 'vendita' di un gioco di squadra direttamente agli spettatori oppure a organizzazioni (sponsors) che ne fanno un uso promozionale o pubblicitario. La caratteristica principale di queste imprese è che sono prevalentemente dotate di capitale umano. Negli sport individuali (sci, tennis, golf) l'impresa sportiva è spesso costituita dallo sportivo stesso che amministra il proprio capitale con l'ausilio di professionisti stipendiati (agenti, allenatori, ecc.).

L'organizzazione dei mercati sportivi implica momenti formalizzati, ormai a livello internazionale, di scambio (per esempio, il 'mercato' dei giocatori di calcio) e di produzione (tornei e manifestazioni sportive) nonché un sistema di autoregolazione, affidato a organismi autonomi di categoria aventi il potere di comminare sanzioni.
Per quanto riguarda la cultura, il mercato dei diritti d'autore e delle opere dell'ingegno, già sviluppato a livello nazionale, si è esteso a livello internazionale con occasioni formalizzate, come le 'fiere del libro' e le grandi aste periodiche di opere d'arte gestite da organizzazioni apposite, che garantiscono l'autenticità del prodotto ed emettono veri e propri listini dei prezzi. Un altro sviluppo riguarda l'attività universitaria, per la quale alla regolamentazione amministrativa comincia a sostituirsi, a partire dal Nordamerica, un vero e proprio 'mercato degli accademici', con salari differenziati in base a giudizi di valore. Infine, l'organizzazione dei musei sta evolvendo in senso imprenditoriale, sia pure senza fini di lucro, con l'inserimento, su un'offerta di base tendenzialmente gratuita o a basso prezzo, di attività, come mostre e altre occasioni culturali, il cui costo è totalmente sopportato da visitatori e sponsors.

Nel settore sanitario, accanto agli ospedali pubblici, stanno comparendo, a partire dagli Stati Uniti, grandi organizzazioni ospedaliere aventi forma societaria e fini di lucro. In Europa l'evoluzione dei sistemi sanitari pubblici tende, a cominciare dalla Gran Bretagna, a fare degli ambulatori medici vere e proprie imprese, soggette alle pressioni competitive del mercato, sia pure all'interno del settore pubblico. In molti paesi esiste un mercato del sangue umano; in forme più o meno ufficiali e legali esistono anche mercati degli organi.

Negli Stati Uniti è in atto un tentativo per estendere il mercato ai problemi ecologici - un tempo ritenuti estranei al suo ambito oggettivo - per quanto riguarda l'inquinamento industriale dovuto a specifiche e misurabili emissioni di fumi e gas nocivi. Si obbligano i produttori a munirsi, acquistandoli sul mercato, di speciali 'diritti a inquinare', emessi dall'amministrazione pubblica. I danni all'ambiente entrano così a far parte dei costi di produzione. Tali diritti possono ugualmente essere acquistati da organizzazioni ecologiste che rendono così più caro l'inquinamento. Il prezzo di questi diritti fornisce una misura congiunta della necessità tecnologica e della sensibilità sociale all'inquinamento, non necessariamente dell'effettiva gravità del fenomeno.

c) Mercati irregolari e malavitosi

I mercati irregolari possono sorgere quando la regolamentazione del mercato non corrisponde ai desideri generali ma il costo politico della sua modifica è troppo elevato. Fu così per i 'mercatini' dei paesi dell'Est europeo nell'ultima fase del socialismo reale, tollerati dalle autorità ma non resi ufficiali nel timore di sollevare gravi conflitti interni e internazionali. I mercati irregolari possono altresì sorgere quando l'interesse a modificare le regole è proprio di una minoranza che non ha alcuna speranza di vederlo ufficialmente sanzionato, ma la natura dell'infrazione non suscita gravi reazioni repressive. In entrambi i casi alle regole 'ufficiali' del mercato si sostituiscono regole di fatto (per esempio comportamenti diffusi di evasione fiscale).

Il più tradizionale mercato irregolare è quello del cosiddetto 'lavoro nero', che vede un produttore monopsonista infrangere le regole ufficiali della contrattazione e confrontarsi con una pluralità di lavoratori non organizzati. L'esito è solitamente un salario inferiore a quello minimo dei mercati ufficiali, e spesso non vengono rispettate altre modalità della prestazione (norme di sicurezza). Esistono però altre forme di mercato irregolare del lavoro in cui un lavoratore autonomo specializzato (per esempio un falegname, un idraulico, ecc.) è in condizioni di monopolio sul mercato locale e vende la sua prestazione alle famiglie imponendo prezzo e modalità (per esempio l'evasione d'imposta).

Un mercato irregolare che infrange le leggi penali può essere definito mercato malavitoso. Perché si dia luogo a un tale mercato è indispensabile la libera decisione di acquirenti e venditori di parteciparvi, come avviene per i mercati della droga, i più importanti mercati malavitosi per volume d'affari.La loro articolazione è complessa e non interamente nota. Al livello della droga grezza ci si trova prevalentemente in presenza di un monopsonio, con una pluralità di produttori agricoli che vendono a un unico acquirente. Per il passaggio successivo, ossia la lavorazione di base e la vendita internazionale ai paesi consumatori, prevale l'organizzazione 'a cartello' dei venditori (v. § 1b). Nei paesi consumatori la forma più normale di vendita all'acquirente finale è costituita da una serie di monopoli locali in cui un unico venditore rifornisce un'area delimitata; i monopolisti mostrano spesso comportamenti collusivi, con prezzi non troppo differenti. In alcuni casi, però, soprattutto in presenza di tipi alternativi di droga, si può parlare di concorrenza monopolistica anomala, condotta sovente con metodi violenti.

3. Le interpretazioni del mercato

a) Il 'filone centrale' del pensiero economico

Il cosiddetto 'filone centrale' del pensiero economico (mainstream economics) tradizionalmente attribuisce la massima importanza al mercato quale meccanismo di regolazione sociale e non solamente economica. Al suo interno si sono succedute, nel corso di circa duecento anni, interpretazioni diverse, ma non contrastanti, del mercato, generalmente collegate ai paradigmi di volta in volta dominanti del pensiero scientifico e filosofico.

La prima trattazione sistematica del mercato, dovuta agli economisti classici, è direttamente tributaria dell'empirismo inglese e del giusnaturalismo francese, dai quali acquisisce i concetti di 'ordine naturale' e di 'stato di natura'. Questi presuppongono la naturale capacità del sistema economico di riprodursi e di restare in equilibrio (v. Quesnay, 1758), la libera estrinsecazione delle attività umane nell'ambito delle leggi (v. Locke, 1689), una naturale 'simpatia' tra i singoli (v. Smith, 1776).

Nella potente teorizzazione smithiana esiste, per ciascun prodotto, un 'prezzo naturale' che consente di remunerare in maniera 'normale' i fattori della produzione. Il prezzo effettivo di mercato tende a quello naturale, pur discostandosene per perturbazioni di ogni tipo. Essenziale non è quindi l'equilibrio, bensì la tendenza a raggiungerlo: condizioni generali di libertà, con l'assenza di barriere all'ingresso e all'uscita, la mobilità del capitale e (in misura minore per Smith) del lavoro, la disponibilità delle informazioni determinano spostamenti dei fattori produttivi da un mercato all'altro, operando nel senso di rendere uguali il saggio di profitto e il saggio salariale e di aumentare l'efficienza della produzione.Il mercato è perciò inteso soprattutto come un meccanismo attraverso il quale la società si autoregola, una 'mano invisibile' che realizza un vantaggio generale mediante il perseguimento dell'interesse individuale, peraltro espresso nell'ambito di norme morali condivise e di un apposito contesto giuridico-istituzionale.

La concezione smithiana, che fa da sfondo anche al sistema economico di Ricardo, fu variamente sviluppata nel corso della prima metà dell'Ottocento, tra l'altro da Say (v., 1803), il quale, partendo dall'osservazione che il valore della produzione complessiva è uguale a quello dei redditi distribuiti, concluse che la produzione crea potere d'acquisto ed enunciò la sua celebre e controversa 'legge dei mercati', secondo cui l'offerta crea la propria domanda.

Nella seconda metà dell'Ottocento l'influsso del positivismo induce gli economisti neoclassici ad accentuare, accanto all'importanza della libertà, quella della razionalità individuale. L'influenza della fisica li porta ad affinare il concetto di equilibrio con l'uso di strumenti logici e matematici.

Il pensiero neoclassico tende così a sviluppare leggi 'scientifiche' dell'economia per le quali le contingenze storiche hanno scarsa rilevanza. Il modello del mercato viene formalizzato mediante l'introduzione delle curve collettive di domanda e di offerta, mentre viene abbandonato il concetto di prezzo naturale. Il prezzo di mercato e la quantità scambiata sul mercato diventano così le risultanti matematiche dell'incontro di queste curve.
Il prezzo che così si realizza pone i mercati in condizioni di equilibrio, nel senso che nulla resta invenduto, mentre ad altri prezzi si manifestano sovrabbondanze e scarsità. Si dimostra in tal modo che l'equilibrio, nella formulazione neoclassica, è unico e stabile e che il mercato naturalmente evolve verso tale equilibrio, dal quale non si allontana senza modificazioni esterne.

Secondo i neoclassici, il mercato di concorrenza perfetta è in grado di assicurare l'allocazione efficiente delle risorse e l'assenza di disoccupazione involontaria, sostanzialmente senza interventi dall'esterno. Questa teoria lascia poco spazio, forse per reazione alla loro importanza nel pensiero di Marx (v. § 3b), agli effetti sociali del mercato, che trovano una trattazione estesa soltanto nell'opera di Marshall. Il liberismo economico dei neoclassici diverge gradualmente dal liberalismo, che vede nei mercati null'altro che un mezzo per giungere a più generali forme di libertà (v. Croce, 1928).

b) Marx e il filone marxista

La concezione del mercato di Marx si caratterizza per il ruolo dell'analisi del potere all'interno del mercato. Marx, il cui pensiero ha radici classiche, attribuisce un contenuto sociologico ai fattori della produzione identificandoli con le classi sociali che li detengono (il capitale con la borghesia e il lavoro salariato con il proletariato).
Per Marx (v., 1867-1894) tutto il potere è concentrato nel capitale: con il mercato è il capitale, e non il lavoro, a essere posto in condizioni di libertà. Il mercato, sovrastruttura funzionale all'economia capitalista e sostanzialmente esistente solo dentro di essa, è il luogo dello scontro tra le due classi sociali - la borghesia e il proletariato -, e le ricorrenti crisi cicliche di tale economia sfoceranno nella crisi finale del capitalismo.

Marx attribuisce altresì un valore negativo al concetto di 'merce', in quanto bene scambiato sul mercato. La merce, infatti, configura un particolare rapporto tra l'uomo e le cose, derivante dal suo essere scambiata al suo valore-lavoro. Tale valore sintetizza determinati rapporti di produzione, l'esistenza del profitto, il dominio dell'uomo sull'uomo.Il problema del calcolo economico nel socialismo, ossia dei valori da attribuire a beni e fattori produttivi in assenza di mercato, si era già posto in particolare con Enrico Barone (v., 1908). Dopo la Rivoluzione russa del 1917, la realizzazione di una società senza mercato divenne un problema pratico da risolversi mediante prezzi amministrati, imposti da un ente centrale di governo dell'economia. Come fissarli, però, senza rinunciare a quell'efficienza allocativa che è una conseguenza naturale del mercato?

Una soluzione di questo problema è stata fornita da Lange e Lerner. L'ente centrale di programmazione svolge le funzioni istituzionali del mercato; fissa, cioè, prezzi, salari e tassi di interesse in modo da uguagliare domanda e offerta; simula i processi di mercato decentrando varie decisioni, ma riservandone alcune (come il tasso di accumulazione) al pianificatore centrale (v. Lange, 1936).

In direzione opposta si colloca la soluzione implicita nel cosiddetto 'esperimento iugoslavo', basato sul concetto di autogestione delle unità produttive da parte dei lavoratori; esso riserva al pianificatore centrale, almeno in via di principio, soltanto compiti di coordinamento, informazione e concertazione volontaria.

c) La rivoluzione keynesiana e la reazione successiva

La grande crisi del capitalismo degli anni trenta costituisce il clima culturale entro cui si sviluppa la concezione del mercato di J.M. Keynes. Per Keynes, il mercato può non raggiungere naturalmente le condizioni di piena occupazione, previste dalla 'legge di Say' e formalizzate dagli economisti neoclassici, perché la domanda effettiva può rivelarsi inferiore all'offerta complessiva, determinando situazioni di crisi e di disoccupazione involontaria. La domanda deve, in tal caso, essere stimolata con interventi pubblici espansivi diretti (programmi di spesa pubblica) o indiretti (stimoli fiscali alla spesa di individui e imprese).

Su queste linee la scuola keynesiana sviluppò l'idea di un intervento attivo dei pubblici poteri, teorizzando la compatibilità del meccanismo del mercato con la fissazione di obiettivi nazionali e settoriali di sviluppo nell'ambito di una programmazione 'flessibile' diretta dal centro (v. Shonfield, 1965) e la necessità, in questo contesto, di una concertazione tra le parti sociali ('politica dei redditi') promossa dal governo per predeterminare il tasso dei salari e dei profitti.

Questa concezione del mercato, che oggi appare riduttiva, fu a suo tempo intesa come l'ancora di salvezza di un capitalismo minacciato, oltre che dalla crisi interna, dallo scontro con il socialismo reale. Negli anni cinquanta Keynes fu attaccato da sinistra come il rappresentante del neocapitalismo che cercava di salvare il sistema di mercato; due decenni più tardi venne attaccato come esponente di un pensiero sostanzialmente contrario al mercato.

L'azione di governo dei mercati teorizzata dal keynesismo comportava interventi restrittivi oltre che espansivi della domanda globale. Dopo una lunga fase espansiva in cui le ricette keynesiane si rivelarono efficaci, i livelli di spesa si consolidarono e si rivelò sempre più difficile ridimensionare la domanda anche per il peso relativamente scarso attribuito alla politica monetaria. Si aprì così la via all'inflazione degli anni settanta.

Queste difficoltà contribuirono all'affermarsi di una concezione del mercato che si richiama al pensiero neoclassico e pone soprattutto l'accento sui caratteri di razionalità del comportamento individuale. Secondo tale concezione, neppure le aspettative dei partecipanti al mercato sono plasmate dall'esperienza storica, ma sono aspettative razionali; essendo razionali, gli individui effettuano da sé e per sé quell'attività di programmazione che il governo non appare in grado di svolgere con successo. L'azione di politica economica viene giudicata inutile, d'importanza secondaria o addirittura dannosa eccetto che per il controllo della crescita della massa monetaria (da effettuarsi, in ogni caso, sulla base di parametri oggettivi). Da concetto tributario di discipline filosofiche e scientifiche, il mercato diventa, con i nuovi economisti classici, esso stesso un paradigma forte: una società di uomini liberi può essere definita come un insieme di mercati, purché si intenda come mercato, in senso più ampio di quello tradizionale nell'analisi economica, qualsiasi tipo di scambi volontari, anche di natura non pecuniaria.

L'allargamento del concetto di mercato a (quasi) tutti i fenomeni economico-sociali fa sì che il mercato stesso non rivesta soltanto la funzione di distributore ottimale di risorse economiche, ma tenda altresì a diventare il principale, se non l'unico, meccanismo di regolazione dei rapporti e di coordinamento tra gli individui (v. Bosanquet, 1983). I meccanismi selettivi della concorrenza (v. § 1a) vengono interpretati talora in senso darwiniano (v. Nelson e Winter, 1982), giustificando in tal modo il comportamento 'spietato' e comunque non collaborativo verso i più deboli.

Un esempio importante di estensione del concetto di mercato è dato dalla sua applicazione alla famiglia, giustificata e spiegata in chiave razionale quale risultato della mutua convenienza dei suoi membri (v. Schultz, 1979; v. Becker, 1981). In quest'impostazione allo Stato e a tutte le istituzioni collettive non può non essere attribuita un'origine contrattualistica. Il processo politico di una democrazia viene interpretato come 'mercato politico' (v. Buchanan e Tollison, 1972). L'organo politico rappresentativo viene inteso come produttore di decisioni che gli elettori 'acquistano' mediante il voto, scegliendo tra le offerte dei candidati quella meno lontana dai loro desideri, su un mercato con caratteri concorrenziali.

d) Schumpeter e Hayek: due interpretazioni eterodosse

Due interpretazioni originali del mercato, dense di sviluppi e di conseguenze, sono dovute a due economisti austriaci quasi contemporanei: Schumpeter (nato nel 1883) e Hayek (nato nel 1899).

Per Schumpeter l'imprenditore non 'partecipa' ai mercati, li 'crea', in quanto vi si presenta con prodotti nuovi, in grado di generare profitti monopolistici transitori. Il mercato è il luogo in cui la validità di tale 'creazione' viene verificata attraverso la 'distruzione creatrice' dei prodotti esistenti. Artefici di questa distruzione creatrice sono, per Schumpeter, soprattutto le grandi imprese, tendenti al monopolio, al quale, peraltro, giungono solo per periodi limitati di tempo, data la transitorietà del loro vantaggio creativo. Il profitto monopolistico associato a questa fase è un compenso per l'attività innovativa (v. Schumpeter, 1942).

Si realizza così una concorrenza giocata a colpi di innovazioni, portatrice non già di equilibrio, bensì di squilibri, e come tale generatrice di progresso. Le innovazioni si verificano generalmente a grappoli o 'sciami' e sono quindi concentrate nel tempo; esse danno in tal modo origine a 'onde lunghe', di durata pluridecennale, con alternanza di diverse velocità di espansione, che caratterizzano l'esperienza storica delle economie di mercato.

Hayek è un esponente di primo piano del liberismo, ma la sua idea del mercato si differenzia nettamente da quella del 'filone centrale' dell'economia. Per Hayek il sistema di mercato deve intendersi essenzialmente come un meccanismo di trasmissione diretta di conoscenze attraverso i segnali rappresentati dai prezzi. Mentre però la concorrenza perfetta ipotizza conoscenza perfetta, nel modello di mercato hayekiano (che egli chiama 'catallassi' appositamente per distinguerlo dalla concorrenza) le conoscenze sono necessariamente parziali e imperfette e solo attraverso il mercato si coordinano. Mentre la concorrenza perfetta conduce a un equilibrio stazionario, l'equilibrio della catallassi hayekiana ha carattere evolutivo e vi è in esso lo spazio per l'innovazione imprenditoriale (v. Hayek, 1973-1979).

Per Hayek la società progredisce facendo uso di conoscenze disperse, che non possono essere riunite e sintetizzate da un pianificatore centrale o anche solo da un organismo di coordinamento del mercato. L'ordine di mercato non deve essere quindi rozzamente inteso come un mezzo che consente di giungere a un fine predeterminato, bensì semplicemente come un processo di scambio che consente agli individui di agire in maniera sufficientemente prevedibile in un mondo mutevole e incerto.

e) Altre interpretazioni del mercato

In quanto elemento di importanza crescente nell'ordine sociale, il mercato ha attirato l'attenzione delle Chiese, che, in genere, lo giudicano favorevolmente, pur con limitazioni varie. Ciò è evidente nella Bibbia e nel Corano, il quale ammette esplicitamente il profitto e implicitamente assegna un ruolo allo Stato nel caso di monopoli naturali. Tuttavia il buon imprenditore musulmano deve pagare prezzi 'equi' e retribuzioni 'ragionevoli'; sussiste la proibizione dell'interesse, che viene però superata da un'associazione in partecipazione del creditore all'attività del debitore.Il pensiero protestante, in particolare, considera il mercato luogo di estrinsecazione della libertà individuale. Autorevoli interpretazioni (Weber, Sombart, Tawney) vedono un collegamento diretto tra l'etica protestante e la diffusione del capitalismo.

Per la Chiesa cattolica il limite del mercato è l'"originale destinazione comune dei beni creati". Nella Centesimus annus di Giovanni Paolo II si opera una distinzione tra bisogni 'solvibili' e risorse 'vendibili', da un lato, per i quali il libero mercato è riconosciuto come strumento efficace, e gli altri bisogni. Prima ancora dello scambio "qualcosa è dovuto all'uomo perché uomo" (Centesimus annus, 34). Un ulteriore limite del mercato è individuato nella necessità di difendere i beni collettivi (Centesimus annus, 40).

4. Lo sviluppo storico del mercato

a) Il problema dell'origine del mercato

È questione ampiamente dibattuta tra gli storici e gli antropologi se il mercato sia una componente essenziale delle comunità umane oppure se sorga solo in tempi relativamente recenti. Su questa seconda posizione si colloca un filone di pensiero che ha le sue radici nella concezione marxiana del mercato (v. § 3b) e in Polanyi un autorevole esponente. Polanyi (v., 1944) sostiene che l'economia di mercato sarebbe stata pressoché inesistente prima del IV secolo a.C. e fa risalire alla rivoluzione industriale il momento della 'grande trasformazione', quando essa divenne il paradigma dominante della società occidentale. Prima di allora non il profitto bensì il dovere, l'onore e il prestigio avrebbero dominato i rapporti economici. I prezzi sarebbero, sì, esistiti, ma sarebbero stati determinati dalla tradizione, scarsamente e lentamente sensibili al mutare della domanda e dell'offerta. Da posizioni ideologicamente molto distanti anche Hayek (v. § 3d) afferma l'esistenza di uno stadio 'tribale' dello sviluppo umano, anteriore al mercato (v. Hayek, 1973-1979).

Recenti scoperte archeologiche hanno rivelato l'esistenza, tra la Mesopotamia e la Palestina, nel II millennio a.C., di una sofisticata rete commerciale, e rendono quindi difficile sostenere in pieno questa tesi; appare però evidente che rapporti 'tradizionali' nel senso di Polanyi e di Hayek dovessero essere ampiamente presenti in società in cui il costo delle comunicazioni era altissimo e quindi il commercio era comunque limitato a beni di elevato valore.
Fu solo con l'Impero romano che si svilupparono mercati e commerci che, per certi versi, possono essere definiti 'di massa', come dimostra il vettovagliamento di grandi concentrazioni urbane, a cominciare da Roma stessa, con grano proveniente dalla Sicilia e dall'Africa. La ricerca storica non ha chiarito appieno il contesto istituzionale e creditizio del mercato nell'Impero romano, ma è ben documentata la tendenza secolare all'aumento dell'ingerenza pubblica che giunge fino all'imposizione estesa di prezzi amministrati, limitando comunque il grado di concorrenzialità. Il frantumarsi dell'unità geoeconomica del Mediterraneo, con l'invasione araba e lo spostamento a nord del centro politico dell'Europa, provocò una sensibile riduzione degli scambi - e quindi dell'importanza dei mercati - in tutta l'Europa occidentale. Nell'economia curtense dell'alto Medioevo il feudo tende all'autarchia e il mercato ha carattere occasionale o sporadico con una limitatissima circolazione monetaria.

b) L'evoluzione del mercato tra tecnologie e regole

Dopo il Mille, il mercato, pur riguardando una piccola parte della produzione, prevalentemente incentrata sulle attività tessili e su alcuni beni di lusso, rinacque con forme giuridiche specifiche (nelle fiere veniva sospesa l'efficacia delle leggi normali) e specifici strumenti e istituzioni finanziarie (le 'lettere di cambio' e le banche). A causa dell'elevatissima incidenza del costo dei trasporti, l'organizzazione dei commerci necessitava di una concentrazione di capitali spesso più rilevante di quella necessaria per la produzione, realizzata con tecnologie preindustriali. Si formò così una classe 'capitalista' di natura mercantile e di respiro internazionale operante in condizioni di tipo concorrenziale; parallelamente, per i prodotti di uso locale, il sistema delle corporazioni diede origine a un mercato strettamente regolato con prezzi rigidi ed elevatissime barriere all'entrata.

Tra il Quattrocento e il Settecento, mentre permaneva la rigida regolazione dei mercati locali, specialmente urbani, il 'grande commercio' si organizzò a livello mondiale; si affermarono lentamente e in maniera spesso contrastata i mercati di alcuni prodotti agricoli (il tè, le spezie, il cotone e simili), con le grandi compagnie commerciali, l'attività bancaria e le borse (v. Wallerstein, 1974-1980; v. Braudel, 1979). Contemporaneamente, con le leggi inglesi sulle enclosures e il graduale passaggio, nell'Europa occidentale, dai beni feudali ai beni allodiali, si affermò il diritto di proprietà privata sulla terra e con esso la possibilità di alienarla (v. Deane, 1965). Nacque un mercato dei fondi agricoli, premessa a una riorganizzazione produttiva dell'agricoltura, resa possibile da nuove tecniche di coltivazione e allevamento, che la orientò maggiormente allo scambio. Il lavoro salariato con retribuzione monetaria sostituì gradualmente il lavoro servile e i compensi in natura.

Lo sviluppo del mercato appare quindi fortemente influenzato da due tipi di fattori, entrambi necessari: le tecnologie e le regole. Dalle prime dipendono la realizzabilità dei prodotti, le condizioni di efficienza produttiva, il livello di concentrazione necessaria e le barriere tecniche all'ingresso sui mercati. Le seconde, essenzialmente stabilite da leggi, determinano invece altri tipi di barriere, relative ai soggetti che possono partecipare ai mercati e alle loro possibilità operative; determinano altresì il ruolo del settore pubblico in quanto controllore, stimolatore e penalizzatore dell'attività economica - tramite politiche di incentivazione e di disincentivazione - e anche produttore.

Questa chiave interpretativa consente di dar ragione dell'estendersi e del rafforzarsi del mercato a partire dalla seconda metà del Settecento con la rapida diffusione delle tecnologie industriali e il parallelo sviluppo istituzionale dei mercati (v. North, 1990). Appare peraltro difficile stabilire un prius storico e logico tra tecnologie e regole, elementi tra i quali si stabilisce una dialettica complessa. Secondo le concezioni liberiste (v. §§ 3a e 3d) tale dialettica è conoscibile solo sperimentalmente attraverso i segnali dei prezzi, mentre secondo le concezioni socialiste essa è governabile da un'autorità pianificatrice centrale (v. § 3b).

È in ogni caso possibile stabilire che dalle tecnologie industriali vennero due spinte opposte, con fasi alterne di prevalenza. Le tecnologie, infatti, richiesero da un lato crescenti concentrazioni di capitale, con tendenza alla riduzione del numero dei produttori-venditori; parallelamente, però, il diffondersi delle ferrovie, delle navi a vapore, del telegrafo ridusse il costo dei trasporti, attenuò le barriere tecniche all'ingresso, allargò l'ambito geografico dei mercati, favorendo l'aumento del numero dei produttori-venditori. L'allargamento fu facilitato da potenti ondate di innovazione tecnologica, che crearono mercati nuovi, nei quali a condizioni temporanee di monopolio seguirono rapidamente condizioni di oligopolio e concorrenza monopolistica.

Si può ugualmente stabilire che lo sviluppo delle regole procedette nel senso dell'estensione e della specificazione dei diritti di proprietà, soprattutto sui prodotti dell'ingegno, della regolamentazione del mercato del lavoro, con contrattazione collettiva in regime di quasi monopolio bilaterale, e di quello del capitale (v. § 1c). Si restrinsero, con la società per azioni, i limiti della responsabilità personale del proprietario, fino a fare del capitale un'entità anonima, separata dalle persone dei possessori e pertanto aggregabile in concentrazioni superiori alle disponibilità dei singoli. Queste spinte regolatrici contribuirono anch'esse al sorgere di un proletariato industriale e di una borghesia detentrice del capitale produttivo.

Nelle ricorrenti crisi cicliche prevalse la tendenza a politiche industriali interventiste, di tipo protezionista, con elevate tariffe doganali, sussidi, salvataggi ed estensione dell'area produttiva pubblica. Nei periodi di espansione si osserva invece la tendenza all'abbattimento delle barriere, all'allargamento del mercato, al contenimento dell'intervento pubblico.L'ampliamento del mercato ha dato origine, nel corso degli anni cinquanta e sessanta di questo secolo, ad alcune centinaia di grandi gruppi industriali e finanziari - le cosiddette 'società multinazionali' - con attività in ambito mondiale, generalmente non limitate a un solo settore merceologico, ma con controllo fortemente accentrato nei singoli paesi d'origine. Queste società hanno operato sovente in condizioni di accentuato oligopolio e con un forte potere di orientamento del mercato.

c) Le tendenze attuali

Si può datare dalla crisi petrolifera (1973) l'inizio di un periodo di profonda trasformazione del sistema di mercato. L'emergenza energetica, infatti, stimolò la sostituzione con tecnologie elettroniche delle tecnologie meccaniche, più dispendiose in termini di energia. Le tecnologie elettroniche, a loro volta, determinarono la riduzione sia delle barriere tecniche di ingresso sia - in molti ma non in tutti i settori - del capitale necessario per una produzione efficiente. Esse favorirono così il ridimensionamento delle unità produttive, la loro localizzazione diffusa, il sorgere di imprese di dimensioni medie o medio-piccole con interessi estesi ben al di là del loro tradizionale ambito, locale o nazionale.

L'effetto congiunto di queste due tendenze ha scardinato, in molti settori, gli antichi oligopoli (ne è un esempio eloquente lo stesso settore dei computer), obbligando sovente le società multinazionali a ridurre le proprie dimensioni relative e assolute e a concentrarsi in uno specifico settore di attività, con l'attenuazione o la perdita della leadership dei mercati. Contemporaneamente nuove regole commerciali creano aree di libero scambio sempre più estese. Tale tendenza, iniziata con la costituzione della Comunità Europea (1957) e con gli accordi del GATT (1948 e 1961), è culminata, attraverso un iter tortuoso, nella costituzione, all'inizio del 1995, della World Trade Organisation (WTO), che ha gettato le basi per la libera circolazione non solo delle merci ma anche dei servizi, dei brevetti, del lavoro e del capitale.

Alle regole di origine pubblica si aggiungono quelle, spesso elaborate da organismi autonomi, che sovrintendono ai singoli mercati. In ambedue i casi vi è la tendenza a intervenire ampiamente in difesa degli acquirenti sui mercati a concorrenza monopolistica (controllo dei messaggi pubblicitari, norme a garanzia della qualità) contro i comportamenti collusivi tra produttori e le conseguenze negative indirette derivanti dalla produzione (diseconomie esterne: v. cap. 5). Privatizzazioni e riduzione dei poteri pubblici di intervento e controllo (deregulation) attenuano la presenza, diretta e indiretta, dello Stato nei mercati.
Quest'evoluzione ha fatto sì che, verso la metà degli anni novanta, i mercati siano divenuti maggiormente 'contendibili' (v. § 1a) e che il livello di concorrenzialità delle economie di mercato sia oggi molto elevato.

5. I limiti del mercato

Non vi è mercato se i soggetti non hanno potere di scelta (v. cap. 1); l'assenza di tale potere si verifica sempre in un sistema totalmente pianificato dal centro, mentre nelle economie di mercato una simile situazione, che comporta prezzi amministrati e razionamento, si verifica in maniera generalizzata solo in caso di guerra, di calamità naturali e di altre gravi emergenze.

Ugualmente non è possibile il mercato in assenza di regole che lo governino, oppure quando non esistono mezzi di pagamento adeguati. Tutto ciò esclude dal mercato gli scambi di servizi personali che avvengono all'interno delle famiglie: nulla può 'pagare' l'assistenza gratuita di una madre a un figlio infermo.

La natura del bene o della prestazione può essere tale da escludere che sia oggetto di scambio, e quindi di mercato, anche al di fuori dell'ambito familiare. È il caso dei beni collettivi, per l'impossibilità di formulare una domanda autonoma (se non eventualmente, nella formulazione iperliberista, mediante il mercato politico; v. § 3c): nessun privato può 'comprare' la manutenzione stradale, l'illuminazione pubblica, la sentenza di un giudice (se ciò formalmente avviene, l'atto cambia natura) o il servizio della polizia (se ciò avviene, anche la prestazione della polizia cambia natura e il poliziotto si trasforma in guardia del corpo). Vi è quindi un fallimento del mercato, mentre è invece possibile che i servizi pubblici, forniti in risposta a una domanda non di mercato, vengano prodotti a seguito di aste competitive o che diverse unità produttive dell'amministrazione pubblica competano tra loro per soddisfare la domanda, ottenendo, in caso di successo, non già maggiori profitti ma dotazioni migliori, ecc. È questo il cosiddetto mercato interno all'amministrazione pubblica, che si ha, per esempio, quando gli utenti possono spendere presso diversi fornitori pubblici speciali 'buoni' (vouchers) loro assegnati che danno diritto alla prestazione gratuita.

Vi è inoltre una forte difficoltà a far rientrare in maniera efficiente nell'ambito degli scambi di mercato i beni non riproducibili oppure riproducibili in quantità limitata e in tempi lunghi, specie quando, attraverso il loro sfruttamento, subiscono trasformazioni, spesso irreversibili, con forti svantaggi generali (diseconomie esterne). La scarsità sociale sposta il confine del mercato annettendo una parte della sfera del legittimo interesse individuale a quella delle obbligazioni sociali. Il trascurare questa sfera corrode la base stessa delle economie di mercato (v. Hirsch, 1976). Per allocare questi beni è possibile procedere con un razionamento casuale (per esempio nel caso del parcheggio dell'auto in una zona congestionata) o con un razionamento consapevole (effettuato in base a criteri esterni al mercato, ad esempio riservando un certo numero di posti nei parcheggi alle auto dei medici, della polizia, ecc.). La realtà mostra spesso la coesistenza pragmatica di questi tre criteri (una parte dei posti-auto assegnata a categorie speciali; una parte affidata al razionamento casuale; una parte lasciata al mercato, spesso grazie all'opera di un posteggiatore abusivo).

Un altro limite è dato dalla spinta all'uniformità. Secondo una massima attribuita a Ludwig von Mises, il mercato è "produzione di massa per le masse". In quanto meccanismo di regolazione sociale, esso tende a ottenere risultati migliori là dove maggiori sono le uniformità dei beni oggetto del mercato e là dove la domanda è meno differenziata. Il mercato esercita, perciò, una forte spinta all'uniformità dell'oggetto, solo in parte contrastata dalle onde lunghe dell'innovazione.

Per l'azione delle economie di scala, i gusti delle minoranze troveranno la loro soddisfazione a un prezzo più elevato di quelli delle maggioranze; pur avendo la tecnologia elettronica spesso contribuito ad abbassare la soglia di produzione minima per poter restare sul mercato, una domanda al di sotto di tale soglia non trova soddisfazione sul mercato. Se un quotidiano, per poter sopravvivere, deve vendere ogni giorno almeno centomila copie, qualsiasi gruppo politico, religioso o simile che non riesca ad assicurare il volume di vendita minimo deve rinunciare a vedere le proprie convinzioni espresse da un quotidiano in grado di stare sul mercato.Il mercato tende inoltre a rappresentare una soluzione 'totalizzante', nel senso che la presenza di mercati a monte è spesso una condizione indispensabile per il funzionamento ottimale di un determinato mercato. Esso si propone quindi come soluzione globale dei problemi della società e tende a espandersi all'intera società. Ciò può causare l'eliminazione di tutto quanto non è in grado di stare sul mercato. Si rischia così l'eliminazione del 'diverso'. Questo significa che il mercato può ampliare enormemente la gamma delle scelte in alcuni settori, fino al punto di rendere impossibile una decisione razionale, ma ridurla contemporaneamente in altri, eliminando le opzioni più 'radicali' o minoritarie.

Per conservare il 'diverso' appare quindi necessario un deliberato intervento pubblico - di tipo non assistenziale ma promozionale - che, al limite, costituisce la vera salvaguardia della molteplicità e della varietà. Per il funzionamento accettabile di un'economia di mercato è indispensabile, anche al di là della fornitura dei servizi pubblici, la presenza di attività non di mercato, finanziate volontariamente dalla collettività oppure mediante la tassazione.