Storia
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Il complesso delle azioni umane nel corso del tempo, nel senso sia
degli eventi politici sia dei costumi e delle istituzioni in cui
esse si sono organizzate. Modernamente, anche tutto ciò che
le condiziona e ciò che esse coinvolgono (fatti geografici ed
ecologici, fatti demografici, presupposti antropologici e
sociologici, fatti economici).
Il greco Erodoto (5° sec. a.C.) introdusse il termine ἱστορία
per indicare sia l’attività di ricerca sia i suoi esiti.
Caratteristico del concetto di s. è la sua ambiguità
semantica, in quanto esso indica tanto le res gestae (gli
«eventi»), quanto l’historia rerum gestarum (il
«racconto degli eventi»). Anche nella riflessione sulla
s. sono due le connotazioni del termine, che può essere
inteso come filosofia della s. (riflessione sul corso della s.,
volta a scoprirvi un orientamento generale), e come metodologia
della s. (riflessione sul metodo della ricerca).
1.1 La s. come processo unitario
La nozione di s. come processo unitario, comprensivo delle vicende
degli uomini in tempi e luoghi diversi, e quindi coestensivo con lo
sviluppo stesso dell’umanità, è una nozione
tipicamente moderna, che si formò nel 18° sec., in
concomitanza con la nascita di quella che Voltaire per primo
designò come filosofia della storia. Il suo sorgere
presuppone il passaggio dalla s. di vicende circoscritte nel tempo e
nello spazio alla s. tout court e lo svincolamento delle res gestae
dall’historia: la s. diventa così un oggetto a sé
stante, una realtà che va colta nella sua unità e
nella sua articolazione e a questo scopo sorge l’esigenza di una s.
universale e, al limite, di una filosofia della s. che si colloca su
un piano ulteriore rispetto a essa.
Alla base di questo passaggio vi è l’allargamento
dell’orizzonte storico che si compie in virtù delle
esplorazioni oceaniche, della scoperta del Nuovo Mondo, dei nuovi
rapporti con l’Oriente, e quindi la conoscenza di società e
culture estranee a quella europea. Dalla consapevolezza che la s. di
queste società è indipendente e irriducibile al
processo che dall’antichità greco-romana ha condotto
all’Europa moderna, sorge l’esigenza di una s. universale in grado
di abbracciare anch’esse. La Philosophie de l’histoire di Voltaire
fornisce un quadro della s. dell’umanità dallo stato
selvaggio alla civiltà non limitato all’ambito europeo.
L’unità della s. si presenta quindi come un processo che
abbraccia le vicende dei singoli popoli e li mette in rapporto tra
loro. Le singole nazioni hanno i loro costumi e il loro ‘spirito’
peculiare, ma si incontrano e si scontrano in un teatro comune.
La nozione di s. risponde quindi in primo luogo a un’esigenza di
collegamento di processi distinti e differenziati, che può
essere soddisfatta attraverso la comparazionedei modi di vita, delle
strutture politiche, dei sistemi di credenza, rivolta a determinare
le condizioni del sorgere e della permanenza delle diverse forme di
governo (Montesquieu), oppure a distinguere ciò che deriva
dalla natura degli uomini, non soggetta a mutamento, e ciò
che è invece prodotto della consuetudine (Voltaire). Oppure
può essere soddisfatta considerando i singoli popoli come
momenti successivi di un unico processo.
L’unità del processo non esclude però un’articolazione
interna, sia essa costituita da una pluralità di percorsi o
direzioni di sviluppo oppure anche da unità in esso comprese.
Il momento della pluralità apparirà sempre più
marcato nelle formulazioni novecentesche della nozione di s.: per W.
Dilthey il mondo storico è una connessione dinamica che
comprende in sé una molteplicità di connessioni
dinamiche rappresentate dai sistemi di cultura e di organizzazione
sociale, ma anche dalle epoche che in esso si succedono, ognuna
contrassegnata da propri valori e dalla tendenza a realizzare
determinati scopi. Per la filosofia della s. di G.H.F. Hegel, la s.
universale è la realizzazione progressiva dello spirito del
mondo, attraverso il succedersi dei diversi spiriti dei popoli. La
filosofia della s. hegeliana non è l’unica concezione del
processo storico che faccia appello a un soggetto unitario: analogo
è, per esempio, il ruolo dell’umanità in A. Comte, o
dell’evoluzione nella ‘vulgata’ positivistica di ispirazione
spenceriana. In tutti questi casi l’unità del processo
storico trova il proprio fondamento nell’unità del soggetto
che si realizza nel suo corso.
Ma l’unità della s. può essere concepita anche come
unità di fine. Il processo storico può cioè
essere inteso come un succedersi di momenti orientati verso la
realizzazione di uno scopo, e il suo significato esser riposto in
essa. La considerazione hegeliana degli individui come strumenti
dello spirito del mondo comporta che i loro bisogni e i loro
interessi diventino il mezzo con il quale si compie lo sviluppo
dell’autocoscienza. Il fine della s. può essere concepito in
modi differenti: come intrinseco al processo storico, oppure come
assegnato a esso dal di fuori, dalla natura, o ancora come stabilito
da un essere superiore che lo dirige così come governa, con
le sue leggi, la natura stessa. Nel primo caso la s. è
considerata come un processo teleologicamente orientato in forma
autonoma, contrassegnato dal trapasso da un originario stato
selvaggio di esistenza dell’uomo a uno stato di barbarie e quindi di
civiltà, o finalizzato al conseguimento della libertà
o alla soppressione dello stato di alienazione prodotto dalla
proprietà dei mezzi di produzione e dalla conseguente
riduzione del lavoro umano a merce. Nel secondo caso la s. è
considerata come parte integrante della natura, sottoposta alle
medesime sue leggi oppure a leggi che ne costituiscono una
specificazione, e più precisamente come una fase, di solito
l’ultima, di un processo evolutivo che dal mondo inorganico conduce
a quello organico, e dalla vita alla coscienza. Nel terzo caso la s.
si configura come l’attuazione di un piano provvidenziale che ha
come fine il regno di Dio, sia esso realizzabile sulla terra o in un
mondo ultraterreno. Queste diverse forme di unità si
presentano variamente combinate nella cultura moderna.
2. Concezioni cicliche e concezioni lineari
A una concezione ciclica della s., che vede nelle vicende umane il
ripetersi di un medesimo processo, si contrappone la concezione
lineare, che considera le vicende umane come una successione
caratterizzata dalla relativa novità di quanto accade.
L’immagine del tempo come cerchio e quella del tempo come linea o
freccia costituiscono i modelli più generali di
interpretazione della storia. Il modello ciclico, che riflette per
un verso il ritmo del giorno e della notte, per l’altro l’alternarsi
delle stagioni e dei raccolti, è il più antico;
comporta l’assimilazione delle vicende umane a quelle naturali
ovvero l’indistinzione tra natura e cultura. Le sue radici affondano
nel pensiero mitico.
Si è ritenuta propria dell’antichità una visione
ciclica del tempo, mentre si è attribuita alla tradizione
ebraico-cristiana, in particolare alla visione teologica di matrice
agostiniana, l’elaborazione di una visione lineare. Il pensiero
greco ha elaborato teorie cicliche sia a livello cosmologico, sia in
ambito più propriamente politico, come nella dottrina che
istituisce un rapporto di successione tra le diverse forme di
governo. Ma in esso vi sono anche teorie che concepiscono lo
sviluppo dell’umanità come un processo di decadenza a partire
da un’originaria età dell’oro (Esiodo), o da una costituzione
perfetta (Platone); in generale, la storiografia greca e quella
romana non si ispirano a una concezione generale della storia.
Né la concezione lineare costituisce la caratteristica
distintiva della visione ebraica della s., e neppure di quella
cristiana. A base della prima vi è piuttosto la nozione di un
patto con Dio, che adempirà con l’invio di un messia la
promessa del riscatto dall’oppressione; la continuità del
racconto biblico riflette appunto la convinzione dell’intervento
costante della divinità a sostegno del proprio popolo.
Alla base della visione cristiana vi è l’assunzione di un
evento straordinario, l’incarnazione di Dio in Cristo e il suo
sacrificio, come evento centrale della s., spartiacque tra
l’umanità da redimere e l’umanità redenta, al di
là del quale si apre il tempo della speranza in un regno non
più terreno ma ultraterreno. Più che il carattere
lineare, è il rapporto con la salvezza che costituisce la
base della visione cristiana della s., qual è stata elaborata
a partire da s. Agostino: ciò comporta la finalizzazione
della s. intera alla s. della salvezza, che consente di recuperare
la teoria della successione degli imperi – già largamente
diffusa nella cultura ellenistica – e di considerare l’unificazione
politica del mondo civile sotto l’impero di Roma come condizione
della diffusione del messaggio cristiano. Per quanto riguarda il
futuro, comporta una prospettiva escatologica che può dar
luogo all’attesa di una imminente fine del mondo, e quindi del
giudizio finale, o, come in Gioacchino da Fiore, all’attesa del
regno dello spirito, che seguirà il secondo regno, inaugurato
dall’avvento di Cristo.
L’età moderna segna l’affermazione della concezione lineare,
il più delle volte nei termini di un processo positivo, di un
graduale avanzamento dell’umanità verso un livello di vita
superiore; concezione ciclica e concezione lineare continuano
comunque a sussistere entrambe, sebbene in misura diversa, trovando
alimento anche nello sviluppo del sapere scientifico.
La maggior parte delle teorie della s. formulate a partire dal
18° sec. mira a determinare una linea di sviluppo
dell’umanità a cui ricondurre le vicende particolari dei
singoli popoli. Ciò comporta per un verso l’integrazione in
un quadro unitario anche delle società extraeuropee, per
l’altro la considerazione dell’Europa moderna come culmine di un
processo del quale queste altre società diventano – in una
prospettiva universale – momenti preparatori. I tentativi di
declinare al plurale la nozione di civiltà rimangono allo
stato di enunciazioni. Ancora nel 19° sec. l’evoluzionismo,
applicato al mondo storico, mette capo all’individuazione di una
linea di sviluppo comune sia alle società storiche, sia (in
ambito antropologico) alle culture ‘primitive’.
Sovente, nelle teorie della s. concezione ciclica e concezione
lineare si combinano, e sono compresenti in uno stesso autore. Nella
prima metà del 18° sec., nella teoria dei corsi e ricorsi
storici di G. Vico, la s. ideale eterna, che costituisce il modello
di sviluppo di tutte le nazioni, prevede un ritorno all’indietro,
che segna l’inizio di un nuovo ciclo; alla fine del secolo, per J.G.
Herder il ciclo storico diventa un elemento interno a un processo
che presenta, nel suo insieme, un carattere lineare. Nel 20°
sec. si avrà un parziale ritorno alla concezione ciclica,
sulla base dell’assunzione di un modello organicistico; ma
ciò avverrà lasciando cadere, e anzi respingendo
apertamente, il presupposto dell’unità del processo storico.
3. Progresso e decadenza
Progresso e decadenza costituiscono i due poli opposti della
concezione lineare della storia. L’età moderna è
contrassegnata da una concezione che concepisce il processo storico
come progresso. Le teorie del progresso fanno spesso ricorso
all’analogia tra sviluppo dell’individuo e sviluppo del genere
umano, e concepiscono perciò quest’ultimo come una sequenza
di fasi corrispondenti alle diverse età dell’uomo. Per F.
Bacone, e dopo di lui per molti moderni, l’antichità
rappresenta l’infanzia dell’umanità, il mondo moderno la
maturità. La prova della superiorità dei moderni
rispetto agli antichi è indicata nella possibilità di
avvalersi dell’esperienza di questi ultimi, di accrescere il
patrimonio di sapere da essi acquisito e tramandato. Il tempo stesso
diventa così fattore di progresso, o per lo meno il suo
metro; il futuro si presenta quindi (Condorcet), come un terreno
aperto al progresso indefinito dell’uomo, destinato a modificare la
sua stessa natura fisica e morale. In seguito, il posto che un
popolo occupa nel tempo verrà fatto coincidere con il grado
di sviluppo che esso rappresenta nel cammino ascendente
dell’umanità. Per Hegel ogni popolo è un momento nel
processo di realizzazione dello spirito del mondo, e quindi nel
cammino verso la libertà: una visione del processo storico in
cui non c’è posto per arresti o per un ritorno all’indietro
del cammino dell’umanità. Nel passaggio dall’una all’altra
formazione economica della società K. Marx vede all’opera un
processo cumulativo, rappresentato dallo sviluppo della divisione
del lavoro che contrassegna il processo produttivo.
Ma l’analogia tra sviluppo dell’individuo e sviluppo del genere
umano si prestava a essere utilizzata anche in funzione di una
teoria della decadenza: dopo la maturità l’individuo
invecchia e giunge a morte, attraverso un declino più o meno
lungo. Le teorie della decadenza fanno leva su questa fase terminale
per affermare il necessario declino di ogni popolo, una volta
pervenuto al suo pieno sviluppo: è per esempio il caso di
Vico. Non sempre progresso e decadenza si escludono. Montesquieu
considera la decadenza romana come il risultato naturale della
potenza e della grandezza di Roma. Sulla stessa linea E. Gibbon
istituisce un rapporto tra prosperità e caduta, tra ascesa e
declino. Prima di Condorcet le teorie settecentesche del progresso
riconoscono dunque l’esistenza di periodi di stasi o di declino:
anche l’Europa, dopo la caduta dell’Impero romano, è andata
incontro a un lungo declino da cui è uscita faticosamente e
di recente, da un lato con la nascita della scienza moderna e lo
sviluppo di nuove tecniche rivolte al dominio della natura,
dall’altro con il nuovo assetto politico fondato sulle monarchie
nazionali. Al pari che nel passato, anche in futuro l’umanità
potrà conoscere arresti nel suo sviluppo, periodi di declino.
D. Hume considera naturale la decadenza dei popoli una volta
raggiunto uno stato di perfezione. Così l’alternarsi di
progresso e di decadenza consente anche il recupero di una visione
ciclica, solo che questa non si riferisce più
all’umanità nel suo complesso, ma ai singoli popoli. Il
progresso dell’umanità si realizza pertanto attraverso il
ciclo ascendente e discendente dei popoli che, in modo analogo agli
individui, sono destinati a decadere dopo aver raggiunto la loro
maturità.
4. Il senso della storia
Alla base della ricerca del sensodella s. stanno lo spettacolo della
transitorietà delle cose, delle alterne fortune degli uomini,
delle città e degli imperi, oppure il problema del
significato dell’esistenza individuale e della possibilità di
salvezza.
Un’impostazione del problema consiste nel concepire la s.
dell’umanità come parte integrante della natura, ove le
vicende umane sono considerate omogenee a quelle di qualsiasi altro
elemento naturale. L’evoluzionismo ottocentesco ha visto nella s.
dell’umanità la fase ultima di un processo iniziato con
l’evoluzione inorganica e con quella organica: essa presenta
caratteristiche nuove, ma è in ogni caso sottoposta a leggi
evolutive. Questa impostazione mette capo alla negazione di un senso
specifico della s. distinto da quello del processo generale
dell’evoluzione: la ricerca del senso della s. richiede infatti il
riconoscimento di una differenza tra esistenza umana e natura, tra
la collocazione dell’uomo nel mondo e il posto che vi occupano altri
esseri.
Il significato delle vicende storiche dell’umanità può
essere determinato nello sviluppo stesso o nel rapporto tra lo
sviluppo e un elemento esterno, trascendente il corso della s.: nel
primo caso il senso della s. coincide con la sua direzione di
sviluppo; nel secondo, è individuato nella realizzazione di
un piano stabilito dalla volontà di un essere superiore, alla
cui realizzazione gli uomini possono, al massimo, cooperare. La
prima concezione si ritrova di solito nelle teorie della s. come
progresso; la seconda è indifferente all’alternativa tra
progresso e decadenza, in quanto li considera entrambi in funzione
di un piano provvidenziale.
La visione della s. come realizzazione di un piano a essa esterno ha
sempre un fondamento religioso. Questa prospettiva provvidenziale
è propria delle religioni monoteistiche sorte sul tronco
della tradizione ebraica che vedono nella s. il teatro dell’agire
divino. Soprattutto il cristianesimo ha dato vita a una teologia
della s. incentrata sull’azione redentrice di Dio fattosi uomo, e
sulla subordinazione delle vicende umane allo scopo della salvezza
sia dei singoli sia dell’umanità nel suo complesso. La
concezione della s. come realizzazione di un piano provvidenziale
mette capo a una considerazione del processo storico come s. sacra.
Ma la s. sacra può essere contrapposta alla s. profana,
oppure inglobarla in sé: nel primo caso costituisce una
sezione verticale del processo storico, essa sola fornita di senso:
è la s. della ‘città di Dio’, costruita muovendo dal
racconto biblico della creazione del mondo al momento centrale
dell’incarnazione, per proseguire quindi nella s. della Chiesa
ritenuta istituzione di origine divina. In questa maniera la s.
profana risulta irrilevante per la realizzazione del piano
provvidenziale, e quindi priva di significato, oppure le viene
attribuito un significato subordinato. Nel secondo caso il processo
storico acquista senso in quanto ogni suo momento è visto in
collegamento con il piano provvidenziale: quando Herder indica nella
s. dell’umanità «il corso di Dio attraverso le
nazioni», o Hegel concepisce la s. universale come sviluppo
dello spirito del mondo, la s. intera risulta sacralizzata (anche se
in Hegel è una versione secolarizzata della provvidenza).
Provvidenza e progresso vengono quindi a coincidere; lo sviluppo
dell’umanità verso un livello di vita superiore rientra
anch’esso nel disegno divino.
Le teorie della s. come progresso trasferiscono da Dio
all’umanità la capacità di organizzare le vicende
umane in base a un piano. La s. è il cammino attraverso cui
l’umanità si solleva dallo stato selvaggio alla
civiltà, non governato da alcun disegno provvidenziale:
è il risultato dell’opera degli uomini nel corso di
innumerevoli generazioni, da inconsapevole a sempre più
consapevole. I fini che gli uomini perseguono sono posti da essi
stessi; le società si sono organizzate sulla base di progetti
umani, la religione stessa è un prodotto dell’uomo che ha
contribuito all’incivilimento dell’umanità; quando si
è associata al fanatismo e all’intolleranza, è stata
invece fattore di barbarie. Entrambe queste alternative fanno
riferimento alla s. considerata come processo unitario;
presuppongono cioè un senso immanente oppure trascendente,
che in qualche modo sovrasta l’agire del singolo individuo.
Il declino delle teorie del progresso, a partire da metà
19° sec., ha messo in crisi anche la ricerca del senso: se nel
processo storico non si può ravvisare una direzione
più di quanto vi si possa scorgere la realizzazione della
volontà divina, allora esso non ha neppure più un
senso immanente, intrinseco al processo stesso. La s. riceve il
proprio senso dall’agire degli uomini che la producono, o dal sapere
storico che ne interpreta, ricostruendole, le vicende; la ricerca
del senso si risolve così nello sforzo di dare significato
agli avvenimenti.
5. La s. e le ‘storie’
Con lo storicismo contemporaneo, a partire da Dilthey, il problema
della s. si è trasformato nel problema della storicità
dell’uomo, della sua capacità di proporsi scopi e di produrre
valori diversi da epoca a epoca, da società a società.
È così venuta meno la possibilità di concepire
la s. come unità, come totalità onnicomprensiva. A
ciò si è affiancato l’abbandono della prospettiva
eurocentrica adottata dalle teorie della s. come progresso. Il
distacco è cominciato con lo studio delle culture considerate
primitive, di cui la ricerca antropologica dei primi decenni del
20° sec. ha posto in luce l’individualità. Applicato a
ogni società, il principio storicistico
dell’individualità ha messo in crisi la riduzione a una linea
unitaria di sviluppo.
Ma la vera svolta è avvenuta sul terreno filosofico, legata
al venir meno della fiducia nella sopravvivenza stessa della
civiltà europea all’indomani di una guerra fratricida come
quella del 1914-18. Il «tramonto dell’Occidente»
proclamato da O. Spengler si presentava come caso particolare di un
destino di morte comune a tutte le civiltà, passate e
presenti. Umanità è solo un «concetto
zoologico», e quindi non possiede una s.; storicamente
esistono le singole culture, che nascono, si sviluppano e decadono
in modo uniforme, ma rimanendo irriducibili l’una all’altra.
L’unità del processo storico si risolve così nella
pluralità delle culture. Diversa, e in polemica con quella
radicale spengleriana è l’interpretazione di A.J. Toynbee,
per il quale la s. è sì s. di civiltà, ma
è anche il luogo in cui queste si incontrano e si scontrano,
e in cui le civiltà posteriori ereditano il patrimonio
culturale di quelle che le hanno precedute. Se Spengler riprende il
concetto di ciclo applicandolo alle singole culture, Toynbee
recupera l’unità della s. e postula un progresso religioso
dell’umanità, considerando le varie civiltà come le
ruoteche consentono all’umanità di progredire verso un
livello di esistenza superiore.
Entrambe queste teorie della s. sono state sottoposte a critica,
tuttavia hanno contribuito a modificare in profondità il modo
d’intendere il processo storico. Il vecchio schema tripartito che
vedeva la s. suddivisa in Antichità, Medioevo ed Età
moderna è stato relativizzato, rivelandosi valido solo in
riferimento all’ambito europeo. La stessa continuità tra
civiltà antica e civiltà moderna appare problematica;
né la cultura europeo-occidentale può essere
considerata, alla luce dell’importanza dell’Impero bizantino e della
sua influenza nel mondo slavo, l’erede esclusiva di quella
greco-romana. Che, al di fuori dell’ambito geografico europeo, si
siano sviluppate società e culture fornite di fisionomia
specifica, e che esse abbiano percorso cammini differenti, è
oggi una tesi unanimemente riconosciuta. Anche un’interpretazione
del processo storico in chiave di progressiva razionalizzazione,
qual è quella di M. Weber, sottolinea la pluralità
delle forme e delle direzioni di tale processo e il carattere unico
dello sviluppo occidentale e del suo esito.
La pluralità delle culture e del loro processo storico non
comporta però necessariamente l’abbandono della nozione di
s., ma piuttosto la sua articolazione in diverse storiein parte
indipendenti, in parte intrecciantesi. Se le teorie storiche del
primo Novecento hanno posto in luce l’autonomia delle società
e delle culture, la loro irriducibilità a un medesimo
processo di sviluppo, le vicende posteriori hanno portato in primo
piano l’esigenza di coglierne i rapporti, di determinare come questi
siano venuti configurandosi diversamente nel corso dei secoli.
All’unità del processo storico si sostituisce così
l’unità di un quadro che permetta di rendere conto della
diversità dei percorsi seguiti dalle diverse società,
ma anche del loro incontro.
In questa visione di un processo plurale ma interrelato, concetti
come quelli di ciclo, di progresso e di decadenza, a cui le
tradizionali teorie della s. facevano riferimento, richiedono di
essere riformulati: la s. non costituisce un ciclo, ma conosce
cicli, soprattutto economici; non è né progresso
né decadenza, ma conosce momenti di sviluppo e di declino che
riguardano il più delle volte non tanto le società nel
loro insieme, quanto aspetti e settori della loro vita. L’intero
apparato concettuale della nostra comprensione della s. esige di
venir adeguato non solo ai risultati della ricerca storiografica e
delle scienze sociali, ma anche alle trasformazioni del mondo.