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Storia di Firenze
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Il Trecento
Il culmine economico
Il primo Trecento segnò nuovi record per l'economia, l'arte e
la cultura fiorentina. In quegli anni si lavorò al
completamento dei grandi cantieri aperti nel Duecento (Cattedrale,
Palazzo vecchio e mura) e se ne iniziarono di nuovi: il Campanile di
Giotto, Orsanmichele, la Loggia della Signoria e la Loggia del
Bigallo, che sono in genere considerati il canto del cigno
dell'architettura gotica a Firenze.
L'economia era trainata dalle imprese bancarie (degli Spini, dei
Frescobaldi, dei Bardi, dei Peruzzi, dei Mozzi, degli Acciaiuoli e
dei Bonaccorsi), che prestavano denaro ad alto tasso (e ad alto
rischio) ai papi di Avignone ed ai sovrani di tutta Europa
(soprattutto ai re di Francia e di Inghilterra), e dalle industrie
manifatturiere, soprattutto laniere: è stato calcolato che a
Firenze si raffinassero e si producessero direttamente tra il 7% e
il 10% di tutti i panni di lana prodotti in Occidente, con una
grande richiesta di tinture pregiate, di allume (fissante per i
colori) e di manodopera, la quale era impiegata nelle circa trenta
fasi della lavorazione dei fiocchi di lana fino alla pregiata
stoffa. Il commercio, le attività bancarie e quelle
manifatturiere si sostenevano a vicenda generando un circolo
virtuoso che macinava straordinarie ricchezze, le quali non
toccavano però la gran parte dei malpagati ceti subalterni
della città e del contado.
Debolezza militare
La Firenze del Trecento era però debole militarmente, come
dimostrarono alcune sconfitte nei primi decenni del Trecento, che
compromisero il prestigio cittadino, ma non portarono a
rovesciamenti istituzionali: la battaglia di Montecatini del 1315 e
la battaglia di Altopascio del 1325, entrambe contro le forze
ghibelline.
Firenze dopotutto si stava avviando a diventare guida di uno stato
regionale, con un territorio di influenza che andava dal Basso
Valdarno, al Chianti, alla Valdelsa all'Alto Valdarno fino
all'Appennino, con influenza su centri minori e città come
Prato, Pistoia e poi Arezzo.
Il crack finanziario
L'avvio della guerra dei Cent'Anni portò la notizia
dell'insolvenza di Re Edoardo III d'Inghilterra, al quale molti
banchieri fiorentini avevano prestato ingenti somme di denaro.
Ciò avviò una serie di fallimenti a catena disastrosi
per l'economia cittadina.
Già nel 1311 fallirono i Mozzi e nel 1326 gli Scali. Il 4
novembre 1333 una disastrosa alluvione spazzava via tre dei quattro
ponti sull'Arno, trascinando via anche l'antica statua di Marte
protettrice della città, che fu interpretato come un triste
presagio.
Il periodo più nero si ebbe tra il 1342 e il 1346 quando
fallirono a catena i Bardi, i Peruzzi, gli Acciaiuoli e i
Bonaccorsi. Ma le famiglie magnatizie riuscirono a salvare parte
della ricchezza riconvertendole in feudi e castelli, furono i
piccoli medi risparmiatori a veder scomparire i loro capitali messi
a fruttare.
Il Duca di Atene
Per rimediare a una situazione sociale sull'orlo del collasso ed
alla conseguente instabilità politica si decise di affidare
la balìa (il governo) a un nobile francese già
conosciuto a Firenze durante la sua visita al seguito di Carlo di
Calabria nel 1325-1327: Gualtieri VI di Brienne, duca nominale di
Atene.
La sua politica fece però presto pentire i fiorentini, poco
inclini a sopportare i suoi colpi di testa, le iniziative arroganti
e gli atteggiamenti superbamente cavallereschi. Il Duca di Atene,
cercando di svincolarsi dal sostegno della classe magnatizia che lo
aveva chiamato in città, iniziò a promuovere una
politica moderatamente favorevole ai ceti subalterni, probabilmente
con l'interesse di costituirsi una base di appoggio indipendente. I
popolo minuto, tra i quali spiccavano per numero i lavoratori
subalterni dell'Arte della Lana (i "Ciompi"), era infatti al di
fuori dell'organizzazione delle Arti, quindi anche della vita
politica, e riceveva bassi salari che permettevano solo una magra
sussistenza contando spesso sul sostegno degli ospedali e delle
istituzioni caritatevoli della città.
Questa politica fu la goccia che fece traboccare il vaso per i
già diffidenti "popolani grassi" che gli avevano affidato la
balìa, che iniziarono a congiurare contro di lui, anche con
più iniziative indipendenti, rovesciandolo e costringendolo
alla fuga il 26 luglio 1343, giornata di Sant'Anna che rimase negli
annali cittadini come data da festeggiare per la ritrovata libertas.
All'eroica rimozione del Duca d'Atene erano stati dedicati anche
cicli di affreschi, come la Cacciata del Duca d'Atene dell'Orcagna
in Palazzo Vecchio, oggi quasi completamente perduti.
Primi tumulti: la sommossa di Ciuto Brandini
Subito dopo la cacciata di Gualtieri montò il disagio, e i
primi tumulti si ebbero nell'autunno dell'anno dopo, quando furono
prontamente soffocati senza sopire però il malcontento.
Pochi mesi dopo, nel mese di maggio 1345, entra in scena il
cardatore Ciuto Brandini, del quartiere artigianale settentrionale
di San Pier Maggiore[9]: Ciuto organizzò uno sciopero e delle
adunanze per le vie della città, in Piazza Santa Croce e alla
Loggia dei Servi di Maria, ma il tentativo di associare i propri
compagni di lavoro in una 'fratellanza' che raccogliesse le adesioni
di operai e artigiani fallì: arrestato con i figli il 24
maggio 1345, fu giudicato dal podestà e in pochi giorni
mandato a morte per decapitazione. L'esperienza di Ciuto può
essere considerata l'antesignana di quanto sarebbe successo con il
tumulto dei Ciompi di oltre trent'anni dopo.
L'oligarchia delle Arti
Il "Popolo Grasso", ormai aperto anche all'ingresso delle famiglie
magnatizie che avessero reso particolari servigi alla Repubblica,
seppe sfruttare la situazione per accentrare definitivamente il
potere nelle proprie mani. Ormai le decisioni spettavano al
gonfaloniere di giustizia, agli otto priori delle Arti, al Consiglio
dei Buonomini ed a quello dei sedici gonfalonieri di Compagnia
(quattro per ciascuna nuova circoscrizione dei quartieri, divisi a
loro volta in quattro "gonfaloni" per la riscossione erariale e per
la leva militare, nonostante in città si facesse ormai ampio
uso di truppe mercenarie).
La "peste nera"
L'epidemia della peste nera del 1348 colpì tutta l'Europa,
dando il colpo di grazia ad un'economia che stava già subendo
un generale ristagno.
Alcune quantificazioni parlano di una riduzione della popolazione
fiorentina compreso tra il 40% e il 60%, simile a quella di altre
grandi città dell'epoca. Comunque le stime variano di anche
molto: dai circa 120.000-90.000 abitanti di inizio del Trecento, si
calcolano perdite fino ad arrivare ad una popolazione di 50.000
unità o addirittura 30-25.000. In ogni caso i primi dati
storicamente accertabili si hanno nel 1427 con le stime catastali,
che calcolano una popolazione di circa 70.000 unità[10]. Va
considerato che molti erano anche scappati dalla città per la
paura del contagio, come testimonia nel suo eccezionale resoconto
della peste Giovanni Boccaccio, che proprio nel Decameron ritrasse
quella società cortese ed aurea sull'orlo della scomparsa.
La scarsità di manodopera portò alla paralisi delle
attività economiche, comprese quelle agricole che aggravarono
la situazione con annate di grave carestia. Infine completano il
difficile quadro le frequenti guerre e le razzie delle Compagnie di
Ventura.
Popolo Grasso e Popolo Minuto
A Firenze come in altre città del Centro-Italia la
gravità della situazione ebbe come conseguenza una serie di
agitazioni dei ceti subalterni ridotti alla miseria.
Dal 1343 l'accesso agli organi governativi venne ridefinito con il
sistema delle "imborsazioni", cioè l'estrazione a sorte dei
nomi dei candidati inseriti entro "borse". I nomi imborsati erano
scelti tra i cittadini del popolo grasso, epurati però dai
nomi sgradevoli al ceto dirigente tramite la magistrature speciale
della Parte Guelfa, che poteva "ammonire" (cioè epurare dalle
liste) i cittadini dichiarandoli "ghibellini".
Erano esclusi tutti gli esponenti del popolo minuto, che non solo
non avevano alcuna Arte alla quale partecipare, ma non possedevano
nemmeno il diritto di riunirsi per qualsiasi scopo, nemmeno in
confraternite religiose. Si ebbe una situazione quindi dove da una
parte vi erano le famiglie guelfe dirigenti, arroccate sulla loro
posizione predominante, e dall'altra i loro opponenti politici,
esclusi dalle cariche, assieme ai ceti subalterni. tra il 1350 e il
1375 si ebbe sempre più evidente uno schieramento trasversale
che si opponeva al Popolo Grasso, comprendente alcune famiglie
magnatizie, le famiglie giunte fresche dal contado in cerca di
maggiore fortuna colmando i vuoti lasciati entro le mura dalla
pestilenza, e il Popolo Minuto, che veniva sempre più spesso
accattivato con vari accorgimenti.
La guerra degli Otto Santi
Nel 1375 i legati pontifici stavano ri-assoggettando i territori
dello Stato della Chiesa in vista di un imminente ritorno del papa a
Roma da Avignone.
I legati, tutti di origine francese e mal visti dalla popolazione
locale, erano alle prese con altri problemi in Emilia-Romagna quando
giunse da Firenze la richiesta di grano che il cardinale a Bologna
Guglielmo di Noellet declinò seccamente. L'azione venne
interpretata come un tentativo di indebolire Firenze prima di
provare a conquistarla, aggravata dall'ingresso delle truppe di
Giovanni Acuto nel territorio fiorentino (sebbene il legato si
affrettasse a smentire che il condottiero inglese fosse ancora al
soldo della Chiesa). I fiorentini vennero incitati alla rivolta
soprattutto attraverso i ceti subalterni dai semiereticali
"fraticelli" nemici della ricchezza della corte avignonese. Per
rivalsa venne quindi dichiarata guerra alla Santa Sede, fomentando
la rivolta anche nelle altre città assoggettate al papato.
A Firenze venne creata una magistratura apposita degli "Otto di
Guerra". Nel 1376 si unì alla lega Bologna, fortemente
sovvenzionata a ribellarsi da Firenze: a scopo dimostrativo Giovanni
Acuto compiva pochi giorni dopo l'eccidio di Forlì. Fu allora
(31 marzo 1376) che Papa Gregorio XI decise di scomunicare i
fiorentini dichiarando decaduto qualsiasi credito verso di loro ed
iniziando con lo scacciare seicento di loro da Avignone confiscando
tutti i loro beni.
La contromossa dei fiorentini fu quella di iniziare a chiamare gli
otto magistrati della guerra "Otto santi", a sottolineare la
legittimità morale delle loro rivendicazioni.
Quando Caterina da Siena, grande mediatrice tra gli interessi
opposti dei fiorentini e del papato, ottenne il rientro del papa in
Italia (in viaggio dal 13 settembre 1376 al 17 gennaio 1377), si
aprirono nuove trattative, che però non ebbero l'esito
sperato. Con la tregua stipulata da Bologna, i fiorentini decisero
di arruolare Giovanni Acuto dalla loro parte (aprile 1377), mentre
il clero fiorentino veniva pesantemente tassato ed obbligato a
riaprire le chiese e celebrare le funzioni.
L'intransigenza degli Otto (la cui mancata deposizione era ormai
l'unico motivo di attrito col pontefice) venne mediata
dall'intervento di Bernabò Visconti, che convocò una
conferenza di trattative a Sarzana (12 marzo 1378) interrotta pochi
giorni dopo (il 27) per la morte di Gregorio XI. Con l'elezione di
Urbano VI si riuscì a trovare la pace, firmata il 28 luglio
1378 a Tivoli. I fiorentini si impegnarono a pagare, in cambio della
cancellazione dell'interdizione, la somma di 250.000 fiorini che
vennero poi pagati solo in parte.
Il Tumulto dei Ciompi
Dopo il peso avuto nella guerra degli Otto Santi, il "Popolo Minuto"
non tardò ad alzare di nuovo la propria voce, questa volta
con una serie di rivendicazioni che segnarono una notevole scossa
nelle istituzioni della Repubblica: nel luglio 1378 scoppiava il
Tumulto dei Ciompi, con il quale i sottoposti dell'Arte della Lana
(chiamati appunto "Ciompi") rivendicavano salari più alti,
condizioni di vita migliori e il riconoscimento giuridico della loro
professione in un'Arte. Per la prima volta (o quasi) in Europa una
classe lavorativa "proletaria" rivendicava maggiori diritti e la
loro protesta, forse anche grazie ad un effetto sorpresa, fu
coronata da un rapido successo. Tuttavia le divisioni interne,
acuminate volutamente dal "Popolo Grasso", portarono anche a una
veloce sconfitta dei "Ciompi" e l'annullamento delle riforme
ottenute entro il 1382.
L'ascesa degli Albizi
Dopo la repressione dei Ciompi, il potere politico tornò in
mano ad un ristretto numero di famiglie di banchieri, tra cui la
famiglia Albizzi (governo oligarchico 1382-1434) che cercarono di
evitare che Firenze si trasformasse in una signoria. I tempi erano
maturi per il tramonto della forma più propriamente comunale
e per il passaggio alla forma signorile. Gli Albizzi non
disdegnavano di usare la violenza e, grazie al controllo delle liste
dei cittadini da eleggere, si era creata un solido schieramento di
famiglie alleate, che seppe debellare i rivali: prima i Ricci, poi
gli Alberti, i quali avevano cerato appoggio anche dal il ceto
subalterno. Ma se gli Albizi rappresentavano la vecchia oligarchia,
il nuovo che avanzava, delle nuove famiglie inurbate ed arricchitesi
di recente, si coalizzò presto attorno alla famiglia dei
Medici (assieme alle simpatie delle Arti "mediane" e "minori"),
creando le premesse per un prossimo scontro frontale.
Politica estera
Durante il periodo del governo oligarchico Firenze sviluppò
nuovamente una fiorente economia ed in politica estera
appoggiò Venezia contro i Visconti. Nel 1406 occupò
Pisa.
La libertas alle soglie del Quattrocento
L'eloquente prosa ciceroniana di Coluccio Salutati celebrava lo
scontro tra la libertas fiorentina e la "tirannia" di Giangaleazzo
Visconti desideroso di ampliare il suo dominio sull'Italia centrale.
Ma il concetto di libertas tanto caro ai fiorentini era diverso
dalle politiche sociali odierne: la libertà riguardava la
città rispetto ad enti superiori come l'Impero o i signori
esterni, ma da un punto di vista interno l'oligarchia al potere non
concedeva alcuna uguaglianza personale né libertà
politica ai ceti sottoposti: la "tirannia" viscontea per certi
aspetti si era dimostrata nel complesso meno dura, meno fiscale e
rapace, e più rispettosa delle autonomie locali che la
libertas fiorentina in Toscana.
Il Rinascimento
Mentre a Firenze era in atto un straordinario rinnovamento
artistico, architettonico e letterario che passò alla storia
come Rinascimento, le vicende politiche e militari non erano delle
migliori. Nel 1424 la città aveva subito una dura sconfitta
nella battaglia di Zagarolo e il peso della guerra, sommato alla
febbrile attività edilizia per completare la straordinaria
cupola del Duomo, rese necessaria l'imposizione di nuove tasse. Nel
1427 la Signoria impose il "catasto", il primo tentativo di
equità fiscale della storia moderna, che tassava le famiglie
in base alle stime della loro ricchezza, attingendo per la prima
volta dove il denaro era veramente concentrato cioè nelle
mani di quelle famiglie di mercanti e banchieri che padroneggiavano
anche l'attività politica. I registri del catasto sono una
straordinaria fotografia della Firenze dell'epoca. La famiglia
più ricca era quella degli Strozzi, ma, molto più
defilato, stava sorgendo un nuovo astro, quello dei Medici, venuti
dalle terre del Mugello alla fine del XII secolo, e che già
si erano guadagnati una solida fama di famiglia favorevole alle
rivendicazioni popolari.
Il popolo, escluso dal governo, tentò varie volte di
abbattere l'oligarchia, finché si alleò alla famiglia
Medici. Nel 1433 Cosimo, capo della famiglia, fu esiliato; l'anno
seguente però i suoi sostenitori ottennero il priorato e
Cosimo fu richiamato a Firenze. Il suo ritorno segnò la fine
del governo oligarchico e l'inizio della Signoria dei Medici.
Cosimo de' Medici (1414-1464) conservò le forme esteriori
della repubblica, però ottenne dal popolo la "balìa
degli squittìni", vale a dire il potere di decidere i nomi
dei candidati agli uffici del Comune. In tal modo, pur essendo da un
punto di vista formale nulla di più di un privato cittadino,
Cosimo di fatto mantenne il governo della città. Stipulando
alcune alleanze, Cosimo riuscì ad evitare che Milano o
Venezia assumessero il predominio nell'Italia settentrionale ed a
consolidare il dominio di Firenze in Toscana.
La Repubblica di Lucca fu l'unico Comune-Città-Stato che non
si sottomise mai a Firenze, rimase sempre indipendente e sovrana.
Accettò solo di annettersi al Granducato di Toscana nel 1800
e poi al Regno d'Italia.
Il primo periodo del dominio dei Medici finì con il ritorno
di un governo repubblicano, influenzato dagli insegnamenti del
radicale priore Domenicano Girolamo Savonarola (che fu giustiziato
nel 1498 e che prima di morire lasciò un trattato sul governo
di Firenze), nelle cui parole si ritrovano spesso argomenti che
saranno oggetto di controversie religiose dei secoli seguenti.
Un altro personaggio di acutezza inusuale fu Niccolò
Machiavelli, le cui indicazioni per il governo di Firenze da parte
di una figura forte sono spesso lette come una legittimazione delle
tortuosità e anche degli abusi dei politici. Il 16 maggio
1527 i fiorentini estromisero nuovamente i Medici - riportati al
potere dagli spagnoli nel 1512 - e ristabilirono una repubblica
Rimessi al loro posto per la seconda volta nel 1530, con il sostegno
sia dell'Imperatore sia del Papa, i Medici diventarono nel 1537
duchi ereditari di Firenze, e nel 1569 granduchi di Toscana,
regnando per due secoli.