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Complesso degli eventi politici e sociali (1789-99), che posero fine
all’ancien régime in Francia.
In un contesto di crisi dovuta al crescente indebitamento statale,
alla perdita di prestigio della monarchia e alla difesa
intransigente dei privilegi da parte dei ceti nobiliari, l’opinione
pubblica francese cominciò ad avanzare richieste di
rappresentanza politica, sull’esempio della Rivoluzione americana
(1773-83). La situazione di crisi obbligò il re Luigi XVI a
convocare (5 maggio 1789) gli Stati generali di nobiltà,
clero e Terzo stato (cahiers de doléances1). Convocati entro
il vecchio sistema monarchico-feudale allo scopo di fornire al
sovrano i mezzi per colmare il deficit di bilancio, essi, per
volontà del Terzo stato, si trasformarono presto in ben
altro. La prima disputa fu sul sistema di votazione. Si doveva farlo
per ordine o pro capite? Il Terzo stato forzò la mano e il 17
giugno i suoi deputati si proclamarono Assemblea nazionale,
confermando, il successivo 20 giugno (giuramento della pallacorda),
l’impegno a rappresentare tutta la nazione. Il re dichiarò
sciolta il successivo 23 l’adunanza, ma il rifiuto di questa a
obbedire e il montare della crisi spinse infine i rappresentanti
degli altri due ordini a riconoscere la legittimità
dell’Assemblea del Terzo stato, che il 9 luglio 1789 si
proclamò Assemblea nazionale costituente e si arrogò
il potere di dotare la Francia di una costituzione e di risanarne le
piaghe.
Dall’Assemblea la spinta rivoluzionaria passò al Paese; si
ebbero così, accanto alla rivoluzione borghese, una
rivoluzione popolare, il cui momento più saliente fu
l’assalto alla Bastiglia e la sua distruzione (14 luglio), e una
serie di rivolte contadine provocate in primo luogo dalla carestia
(assalti ai castelli, fenomeno della «grande paura»
ecc.). La confluenza di queste tre forze provocò i due atti
più solenni di questo inizio rivoluzionario: il voto della
notte del 4 ag. 1789, con il quale l’Assemblea costituente
abolì tutti i privilegi di natura feudale, e quello (20-26
ag.) della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, vero
atto di morte dell’antico regime.
L’opposizione della corte e l’atteggiamento oscillante del re Luigi
XVI da una parte, l’organizzazione dell’opinione pubblica in club
dall’altra diedero nuova esca al torrente rivoluzionario: il 5-6
ott. turbe di popolo parigino, rovesciatesi a Versailles,
costrinsero la famiglia reale e l’Assemblea stessa a trasferirsi a
Parigi, ove, sotto la diretta e continua pressione della piazza, la
situazione precipitò (fuga di parte cospicua della
nobiltà all’estero; «complotto con lo straniero»
degli emigrati; costituzione civile del clero; tentata fuga da
Varennes del re Luigi XVI nel giugno 1791; sorgere delle prime
correnti repubblicane). La monarchia, tuttavia, si salvò
grazie alla volontà dell’alta borghesia, i cui deputati,
timorosi della carica eversiva popolare, nel sett. 1791 fecero
giungere in porto una Costituzione basata sul sistema censitario e
sulla monarchia costituzionale; il 1° ott. 1791, sciolta
l’Assemblea costituente, fu eletta l’Assemblea legislativa, prevista
appunto dalla Costituzione.
La fase successiva, che vide il prevalere deciso delle forze
propriamente rivoluzionarie e il tracollo della monarchia, fu
strettamente connessa alla minaccia straniera (alleanza
austro-prussiana in funzione antifrancese seguita dalla
dichiarazione di guerra del 20 apr. 1792 che il partito girondino
impose a Luigi XVI). Dopo i primi rovesci (penetrando in territorio
francese, i prussiani occupavano Longwy e Verdun, gli austriaci
Thionville), divenuta la monarchia ancora più sospetta, ne
derivarono le manifestazioni del 20 giugno 1792 e soprattutto la
giornata del 10 ag., in buona parte opera di Danton, con l’arresto
del re e della sua famiglia e la proclamazione fatta dall’Assemblea
della decadenza della monarchia. Seguirono, in settembre, le stragi
di centinaia di «sospetti» e la proclamazione (21 sett.)
della Repubblica da parte della nuova assemblea, la Convenzione,
eletta a suffragio universale in sostituzione della Legislativa, e
riunitasi lo stesso giorno della vittoria di Valmy sulle forze della
coalizione antirivoluzionaria (20 sett.). Si apriva così un
nuovo periodo, caratterizzato dalla definitiva liquidazione del
passato (processo con condanna a morte ed esecuzione di Luigi XVI
nel genn. 1793, di Maria Antonietta nell’ottobre) e dall’aggravarsi
del pericolo esterno.
L’occupazione francese del Belgio seguita alla grande vittoria di
Jemappes (6 nov. 1792) e poi l’esecuzione del re avevano indotto
l’Inghilterra, la Spagna e alcune minori potenze europee alla
guerra; la prima coalizione antifrancese (1° febbr.) otteneva
decisivi successi già nel marzo, rioccupando per la vittoria
di Neerewinden il Belgio e penetrando in Francia da Oriente, mentre
truppe spagnole oltrepassavano il confine meridionale. All’incubo
dell’occupazione militare straniera si aggiungeva inoltre il
precipitare della situazione finanziaria interna per le eccessive
emissioni di assegnati, il duello mortale tra i girondini2
e i giacobini3 (rappresentanti della borghesia
degli affari e federalisti i primi, democratici e centralisti i
secondi) e la rivolta antirivoluzionaria scoppiata in vari luoghi
(Vandea soprattutto, e Bretagna). Sgominato il partito della Gironda
nella giornata del 2 giugno 1793, il potere si accentrò nelle
mani del vero capo del partito giacobino, M. Robespierre4,
sostenuto dai club sanculotti5.
Fu il periodo del Terrore6, dominato dal Comitato di
salute pubblica e contraddistinto da uno sforzo continuo e fortunato
contro la pressione militare straniera (finché la battaglia
di Fleurus, 26 giugno 1794, aprì nuovamente il Belgio agli
eserciti repubblicani), da un esperimento di economia regolata
(legge del Maximum che pose il calmiere sui generi alimentari),
dall’ascesa politica delle classi meno abbienti (artigiani
soprattutto). Ma la lotta intrapresa da Robespierre con le ali
estreme del suo stesso partito (la destra dantonista e la sinistra
hebertista), insieme con gli eccessi della sua dittatura provocarono
il crollo della politica giacobina e la giornata del 9 termidoro (27
luglio 1794).
Con la caduta di Robespierre e la reazione termidoriana cessò
la fase radicale della rivoluzione; la parte più ricca della
borghesia riprese il sopravvento e, varata la Costituzione dell’ott.
1795, che affidava il governo a un Direttorio di cinque membri, e il
potere legislativo a un’Assemblea divisa in due Camere, ebbe inizio
il periodo del Direttorio, oscillante senza posa tra una possibile
restaurazione monarchica (colpo di Stato del 22 fiorile VI,
cioè 11 maggio 1798) e una ripresa neogiacobina (cospirazione
di Babeuf7; colpo di Stato del 18 fruttidoro).
Si giunse allora, grazie anche alle incessanti guerre che
provocarono la trasformazione del soldato-cittadino del 1793 in
soldato professionale, all’instaurazione della dittatura militare di
Napoleone sancita da un colpo di Stato militare (18-19 brumaio
1799), che trasferì il potere a un triumvirato in cui sedeva
con gli altri due consoli, Seyès e Ducos. La Costituzione
dell’anno VIII (1799), sancì il passaggio a un’altra fase
della vicenda francese segnata dal potere di Napoleone I Bonaparte8,
il quale stabilizzò le conquiste rivoluzionarie e nel
contempo continuò l’iniziativa militare contro le coalizioni
avverse conseguendo per lungo tempo importanti successi.
Le conquiste della Rivoluzione.
Lo sconvolgimento causato dalla R.f. fu profondo. Cadde il regime
delle divisioni e dei privilegi di classe, fu soppresso il sistema
feudale, si imposero i principi del moderno Stato di diritto, venne
elaborata una legislazione moderna e la si raccolse in un codice, si
affermarono le grandi linee del liberalismo e della democrazia, la
nazione si affiancò come personalità politica e morale
allo Stato e ne divenne protagonista, governo e amministrazione
furono razionalizzati e modernizzati nelle loro strutture, gli
eserciti di mestiere vennero sostituiti da quelli di leva, la
borghesia divenne il centro di gravitazione e di integrazione della
vita sociale, fu adottato il principio del merito e della competenza
in luogo di quello della nascita, e insieme con l’ordinamento
politico e i rapporti con la Chiesa venne laicizzata anche
l’istruzione. Certo, non si trattò di svolgimenti lineari e
del tutto coerenti. Numerose furono le sopravvivenze dell’antico
regime. La Chiesa dimostrò un forte radicamento sociale. Le
spinte liberali e liberistiche prevalsero alla fine largamente su
quelle democratiche e sull’intervento statale nell’economia. Ma
l’edificio rapidamente costruito dalla Rivoluzione dimostrò
nei suoi tratti essenziali un’incrollabile solidità; e la
prova migliore fu data dal fatto che anche le potenze nemiche della
Francia rivoluzionaria e di Napoleone si uniformarono via via ai
nuovi principi.
Note
1 Cahiers de doleance
In Francia, documenti di protesta presentati all’assemblea degli
Stati Generali dai rappresentanti di clero, nobiltà e terzo
stato. Erano di due tipi: quelli stilati nelle assemblee preliminari
delle parrocchie e delle corporazioni e quelli compilati
direttamente nelle assemblee elettorali di clero e nobiltà.
Ne sono rimasti 60.000, unanimi nel chiedere contro l’assolutismo la
riforma della fiscalità, la libertà di stampa e una
costituzione che ponesse limiti ai poteri del re. I c. del clero e
della nobiltà, tuttavia, ribadivano i propri privilegi
ammettendo l’eguaglianza fiscale ma non quella dei diritti, mentre i
c. del terzo stato reclamavano eguaglianza civile integrale e
soppressione dei diritti feudali.
2 Girondini
Gruppo politico della Rivoluzione francese, formatosi all’Assemblea
legislativa (1791) attorno alla frazione dei deputati del
dipartimento della Gironda, quali P.-V. Vergniaud, M.-É.
Guadet, M. Isnard, A. Gensonné e soprattutto J.-M. Roland de
la Platière, J.-P. Brissot, J. Pétion, A.-N. Condorcet
ecc. Capo ne era Brissot (donde anche il nome di brissotins ai suoi
seguaci). Nell’Assemblea il gruppo assunse atteggiamento radicale e
antimonarchico e impose a Luigi XVI la dichiarazione di guerra alle
potenze europee (24 apr. 1792). Ma le posizioni girondine furono
superate dalla grande crisi del giugno-agosto 1792 e alla
Convenzione, dopo una iniziale prevalenza, i g. si trovarono contro
i montagnardi guidati da Danton e da Robespierre. Il 2 giugno 1793
la lunga lotta, svoltasi sulla base della supremazia o meno di
Parigi sui dipartimenti, si chiuse con la sconfitta e la
proscrizione dei g.: invano essi tentarono la riscossa provocando
una insurrezione federalista nei dipartimenti: i più salirono
il patibolo. Solo con la reazione termidoriana i pochi g. superstiti
ritornarono alla Convenzione.
3 Giacobini
Durante la Rivoluzione francese gli appartenenti al club des
jacobins, associazione politica il cui nome derivava dalla sua sede,
l’ex convento parigino dei domenicani (Jacobins) in via Saint
Honoré. Sorto nel maggio 1789 come Club breton, divenuto poi
Société des amis de la constitution, il club dei g.
rimase, fino al 1792, precluso ai minori ceti sociali per l’alta
quota d’iscrizione; esso imponeva una rigida disciplina ai suoi
membri, pena l’epurazione. Prevalentemente monarchico-costituzionale
fino alla metà del 1790 (il loro motto era La loi), si
orientò rapidamente verso concezioni di repubblicanesimo
intransigente. Forti di una base popolare, i g. portarono (31
maggio-2 giugno 1793) un colpo decisivo al governo girondino;
l’orientamento del club dei g. è bene espresso da
Robespierre, secondo il quale, per salvare la Repubblica,
«bisogna che il popolo si allei con la Convenzione e la
Convenzione si serva del popolo». Mentre i girondini si
appoggiavano alla borghesia provinciale, i g. potevano contare sui
sanculotti parigini che dominavano la Comune, ma anche sul ceto
operaio-artigianale di alcune province. Sebbene la loro parola
d’ordine fosse improntata al patriottismo e all’intransigenza
repubblicana, la Rivoluzione che essi compirono rovesciando il 2
giugno la Gironda fu più che un rivolgimento politico:
interpreti della protesta popolare contro il carovita, i g.
esautorarono l’alta borghesia degli affaristi. Comunque, già
alla vigilia del Terrore, il club non possedeva un orientamento
unitario, ma appariva diviso dietro alcune personalità
dominanti: Danton riteneva di poter trattare coi girondini, mentre
Robespierre giudicava inevitabile la guerra civile; la posizione
estrema era rappresentata da Hébert che, sebbene membro del
club dei cordiglieri, nell’agosto 1793 godeva anche fra i g. di un
vasto seguito. Durante il Terrore, Robespierre riteneva, insieme a
Saint-Just, che la prassi eccezionale di governo dovesse durare fin
tanto che i beni dei controrivoluzionari e dei sospetti fossero
stati distribuiti ai repubblicani poveri; i g. furono allora il
sostegno del Comitato di salute pubblica, che aveva praticamente
esautorato la Convenzione (luglio 1793-luglio 1794). Con la reazione
termidoriana i g. persero gradualmente la loro influenza: sotto i
colpi dei «moscardini» e della jeunesse dorée
rifluì l’ondata rivoluzionaria popolare. Il 19 nov. 1794 fu
decisa la chiusura del club.
Dai giacobini al giacobinismo. Alla fine del 18° sec., in
Italia, il termine fu usato dai conservatori con toni polemici per
indicare gli esponenti del movimento repubblicano del 1796-99. Il
termine «giacobinismo» è poi entrato nel lessico
politico con il dibattito storiografico sulla Rivoluzione francese:
secondo l’interpretazione liberale esso avrebbe costituito una
deviazione autoritaria e terroristica del processo di pacifica
transizione alla monarchia costituzionale avviato dal 1789. Le
interpretazioni di tipo democratico-radicale hanno individuato nel
giacobinismo un momento di rottura violenta con il mondo feudale e
monarchico-reazionario, con un’accentuazione positiva delle sue
istanze di rinnovamento e rigenerazione etica e sociale, basate
sulla centralità del principio di giustizia. Il concetto di
giacobinismo è da ultimo passato a indicare, per estensione,
comportamenti politici ritenuti affini all’esperienza storica del
club, in cui la direzione politica dall’alto del movimento di massa
e il volontarismo di un gruppo anche ristretto di rivoluzionari sono
visti come elementi essenziali.
4 Robespierre, Maximilien-François-Isidore de.
Uomo politico (Arras 1758 - Parigi 1794). Fu tra le maggiori
personalità della Rivoluzione francese. Divenuto capo del
club dei giacobini, si oppose con intransigenza alle forze
rivoluzionarie moderate. Riuscì a prevalere, ma
inevitabilmente finì per assumere un potere dittatoriale.
Figura al centro di giudizi radicali, prima condannata come emblema
dell'estremismo rivoluzionario, poi rivalutata da pensatori come A.
Mathiez e dalla storiografia di orientamento marxista, R. è
stato successivamente oggetto di una valutazione più
equilibrata, che ha collocato la sua politica all'interno di una
emergenza rivoluzionaria che richiedeva atti estremi.
Vita e attività.
Studente borsista (1769-81) del collegio Louis-le Grand, terminati
gli studi, esercitò l'avvocatura ad Arras. Nel 1789 fu eletto
deputato agli Stati Generali; intransigente nei suoi principi
democratici, si mise in luce alla Costituente, dove si espresse su
tutte le maggiori questioni dibattute e i suoi interventi gli
valsero grande popolarità presso il popolo parigino;
contemporaneamente crebbe la sua influenza nel club dei giacobini,
di cui divenne presidente nel marzo 1790. Dopo la tentata fuga del
re (20 giugno 1791), attaccò la propaganda bellicosa condotta
dai brissottini nell'Assemblea legislativa, temendo una coalizione
europea antirivoluzionaria all'esterno e la dittatura all'interno.
Iniziate le ostilità (20 apr. 1792), i primi insuccessi
militari e il veto del re ai decreti dell'Assemblea volti a
rafforzare le difese del paese diedero fondamento alle sue critiche.
Il 10 ag. 1792 entrò nel Consiglio generale del Comune
parigino, insorto il giorno stesso; di questo fu l'anima fino al suo
ingresso alla Convenzione nazionale, che si riunì il 20 sett.
1792; eletto deputato di Parigi, sedette nelle file della Montagna,
guidando l'aspra lotta, politica e ideologica, contro i girondini.
Dopo la condanna di Luigi XVI, di cui aveva chiesto il pronto
giudizio motivato da ragioni di salute pubblica, avviò, con
le denunce contro la Gironda portate alla Convenzione (10 apr. 1793)
e al club giacobino (26 maggio), l'insurrezione popolare (31 maggio
- 2 giugno) che abbatté la fazione girondina. Il 27 luglio
entrò nel Comitato di salute pubblica, imprimendovi una
rigidissima pratica di governo; soffocate le sommosse girondine e
realiste nel paese, eliminò (marzo 1794) la fazione
hebertista (alle cui tendenze opponeva una concezione di democrazia
fondata sulla piccola proprietà), sacrificando poi alla
sinistra i dantonisti, fautori di una politica moderata. Contrario
alla campagna di scristianizzazione avviata da J.-R. Hébert,
contro il rischio della caduta del controllo morale esercitato dalla
religione sostenne e impose (maggio 1794) il culto laico dell'Ente
Supremo. Già minato il consenso popolare dall'adozione della
legge del Maximum generale, l'intensificazione della repressione e
l'allontanamento della minaccia esterna (vittoria di Fleurus, 26
giugno) saldarono nella Convenzione le diverse componenti avverse a
R.; nella seduta del 9 termidoro (27 luglio) venne posto sotto
accusa e arrestato. Liberato dai suoi sostenitori, fu catturato
dalle milizie della Convenzione nell'Hôtel de Ville e
giustiziato il giorno successivo.
5 Sanculotto (fr. «sans culotte»)
Il termine fu inizialmente coniato (1791-92) in accezione
spregiativa dagli aristocratici francesi per indicare coloro i
quali, tra i partecipanti al processo rivoluzionario in corso,
indossavano i pantaloni lunghi, anziché i calzoni corti e le
calze di seta caratteristici dell’abbigliamento della
nobiltà. Il termine dunque designa una forza attiva della
Rivoluzione francese appartenente alla piccola borghesia e al
proletariato, soprattutto di Parigi, che sostenne le posizioni
più radicalmente democratiche, incarnate da Robespierre,
Marat, Hébert, confluendo in parte tra i giacobini.
Organizzati in club e sezioni, protagonisti nelle fasi più
drammatiche della rivoluzione e molto attivi durante il Terrore,
attraverso i «comitati di sorveglianza» (1792-93), i s.
affrontarono i problemi relativi alla difficoltà
dell’approvvigionamento e all’aumento dei prezzi, reclamando la
regolamentazione dell’economia. Sostenitori della democrazia
diretta, diffusero ampiamente l’uso dell’appellativo di
«cittadino». Dopo la caduta di Robespierre (1794), i s.
finirono con il perdere il proprio ruolo politico.
6 Terrore
Periodo della Rivoluzione francese che va dall’espulsione dei
girondini dalla Convenzione (2 giugno 1793) alla caduta di M.
Robespierre (27 luglio 1794), caratterizzato dall’accentramento del
potere nelle mani del leader dei giacobini (Robespierre) e dei suoi
collaboratori e dalla sistematica repressione del dissenso. Sospesa
l’applicazione della Costituzione del 1793, il regime fu retto dal
Comitato di salute pubblica, che dirigeva la diplomazia, la guerra e
la vita economica, e dal Comitato di sicurezza generale, che
applicava le nuove leggi sui sospetti e regolava l’attività
dei tribunali straordinari. L’abolizione dell’istruttoria e degli
avvocati difensori, la rapidità del giudizio e la
pubblicità del voto dei giurati, l’elevatissimo numero delle
condanne capitali, qualificarono il T. soprattutto dal punto di
vista giudiziario. Quest’ultimo aspetto in particolare ha orientato
in un primo momento il giudizio storiografico sul periodo, di cui
sono stati in seguito sottolineati elementi più complessi: la
funzione transitoria di un governo forte, capace di assicurare la
vittoria contro la coalizione europea, e l’attuazione di una
politica economico-sociale, fondata sull’attuazione di un’economia
regolata e su provvedimenti di assistenza pubblica, che segnò
l’ascesa politica delle classi meno abbienti.
7 Babeuf, François-Noël, detto Gracchus.
Rivoluzionario francese (Saint-Quentin 1760 - Vendôme 1797).
S'interessò ai problemi sociali nella sua attività di
amministratore terriero e già nel Cadastre perpétuel
(1789) fa intravedere audaci affermazioni. Nella Rivoluzione non
ebbe parte importante nei primi anni; dopo il 9 termidoro, diede
prova di antirobespierrismo (Du système de
dépopulation, 1795), ma la reazione termidoriana diede al suo
pensiero e alla sua azione una chiarezza prima non raggiunta.
Attraverso il giornale Le défenseur de la liberté de
la presse, poi Le tribun du peuple (in cui firmava Gracchus), B.
tese al ripristino della costituzione del 1793 come punto di
partenza per successive esperienze socialistiche. Tale azione
culminò in una cospirazione; arrestato, fu condannato a
morte. Cercò di suicidarsi prima di salire sul patibolo.
8 Napoleóne I Bonaparte (fino al 1796 Buonaparte)
imperatore dei Francesi.
Nacque ad Ajaccio il 15 ag. 1769, morì a Longwood, nell'isola
di S. Elena, il 5 maggio 1821; figlio di Carlo e Letizia Ramolino.
Collegiale ad Autun, Brienne, Parigi, fu poi luogotenente
d'artiglieria (1785) e tentò in seguito la fortuna politica e
militare in Corsica (nel 1791 era capo-battaglione della guardia
nazionale ad Ajaccio, nel febbr. 1793 condusse il suo battaglione di
guardie nazionali nella spedizione della Maddalena, miseramente
fallita, nell'apr.-maggio 1793 prese posizione, con il fratello
Luciano, contro P. Paoli, per cui dovette fuggire in Francia).
Comandante subalterno nel blocco di Tolone (ott. 1793), si
acquistò il grado di generale e quindi il comando
dell'artiglieria dell'esercito d'Italia. Sospettato di giacobinismo
per l'amicizia con A. Robespierre, subì un breve arresto;
destinato a un comando in Vandea, rifiutò e fu radiato dai
quadri (apr. 1795). Divenuto amico di P. Barras conobbe presso di
lui Giuseppina de Beauharnais (che sposò il 9 marzo 1796); e
per incarico di Barras difese energicamente la Convenzione contro i
realisti (13 vendemmiale). Ottenne così il comando
dell'esercito dell'interno, poi di quello d'Italia. Presa
l'offensiva (9 apr. 1796), batté separatamente (Montenotte,
Millesimo e Dego) gli Austro-Sardi, costringendo questi ultimi
all'armistizio di Cherasco (28 apr. 1796), quelli, dopo le vittorie
di Lonato, Arcole, Rivoli, e la resa di Mantova, ai preliminari di
pace di Leoben (18 apr. 1797). Occupata la Lombardia, ricostituisce
sul modello francese le repubbliche di Genova e di Venezia e toglie
al papa la Romagna (armistizio di Bologna, 23 giugno 1796; trattato
di Tolentino, 18 febbr. 1797). Poi, col trattato di Campoformio (17
ott. 1797), conferma alla Francia il Belgio e le annette le Isole
Ionie, ponendo fine all'indipendenza di Venezia, il cui territorio
passava all'Austria (ad eccezione di Bergamo e Brescia incorporate
nella nuova Repubblica Cisalpina).
Preposto, a Parigi, a una spedizione contro le isole britanniche, la
devia verso l'Egitto, ove sbarca il 2 luglio 1798 e vince alle
Piramidi, in Siria (ma è fermato a S. Giovanni d'Acri), ad
Abukir (dove la sua flotta era stata, il 1° ag., distrutta da
Nelson). Tornato in Francia con pochi seguaci (9 ott. 1799), vi
compie, un mese dopo (18 brumaio), un colpo di stato, con la
dispersione del Consiglio dei Cinquecento e la sostituzione del
Direttorio con un collegio di tre consoli, assumendo egli stesso il
titolo di primo console.
Ripresa la guerra contro i coalizzati, valica le Alpi (primavera
1800), vince a Marengo (14 giugno 1800) gli Austriaci costringendoli
alla pace di Lunéville (9 febbr. 1801), cui seguono profonde
modificazioni territoriali in Italia (annessione alla Francia di
Piemonte, Elba, Piombino, Parma e Piacenza; costituzione del regno
di Etruria); conclude con l'Inghilterra la pace di Amiens (25 marzo
1802). Console a vita (maggio 1802), sfuggito alla congiura di G.
Cadoudal (1803), assume su proposta del senato la corona
d'imperatore dei Francesi (Notre-Dame, 2 dic. 1804) e poi quella di
re d'Italia (duomo di Milano, 26 maggio 1805).
Nei tre anni di pace (rotta, però, con l'Inghilterra
già nel maggio 1803), spiega una grande attività
ricostruttiva: strade, industrie, banche; ordinamento
amministrativo, giudiziario, finanziario accentrato; pubblicazione
del codice civile (21 marzo 1804; seguirono poi gli altri);
creazione di una nuova nobiltà di spada e di toga; concordato
con la S. Sede (16 luglio 1801).
Formatasi, per ispirazione britannica, la 3ª coalizione
(Inghilterra, Austria, Russia, Svezia, Napoli), la flotta
franco-spagnola è battuta a Trafalgar (21 ott. 1805) da
quella inglese comandata da Nelson, ma N. assedia e batte gli
Austriaci a Ulma (15-20 ott.), gli Austro-Russi ad Austerlitz (2
dic.) e impone la pace di Presburgo (26 dic. 1805: cessione di
Venezia e altre terre austriache alla Francia e ai suoi alleati
tedeschi). Assegna il Regno di Napoli (senza la Sicilia) al fratello
Giuseppe, quello di Olanda al fratello Luigi, e forma la
Confederazione del Reno (luglio 1806).
Alla 4ª coalizione (Russia, Prussia, Inghilterra, Svezia)
oppone le vittorie di Jena e Auerstedt (14 ott. 1806) sui Prussiani,
l'occupazione di Berlino e Varsavia, le vittorie sui Russi a Eylau
(od. Bagrationovsk, 8 febbr. 1807) e Friedland (14 giugno) cui segue
la pace di Tilsit (8 luglio 1807), vera divisione dell'Europa in
sfere d'influenza tra Francia e Russia con l'adesione della Russia
al blocco continentale contro l'Inghilterra (bandito il 21 nov.
1806), e con la formazione del granducato di Varsavia (al re di
Sassonia) e del regno di Vestfalia (al fratello Girolamo).
Messo in sospetto dall'atteggiamento della Spagna, la occupa (dal
maggio 1808) e ne nomina re il fratello Giuseppe (sostituendolo a
Napoli col cognato Gioacchino Murat); ma la guerriglia degli
Spagnoli, indomabile, logora lentamente le sue forze militari,
mentre la lotta contro la Chiesa (occupazione di Roma, febbr. 1808;
imprigionamento del papa Pio VII, 5 luglio 1809) gli sottrae
popolarità presso ampî settori sociali.
Debella quindi, non senza fatica, in Baviera (19-23 apr. 1809) e a
Wagram (6 luglio) la 5ª coalizione, capeggiata dall'Austria, e
impone la pace di Schönbrunn (14 ott. 1809), che segna l'apogeo
della potenza napoleonica, per gli ampliamenti territoriali che il
trattato e i successivi provvedimenti portano all'Impero francese e
ai suoi satelliti. Coronamento della pace, dopo il ripudio della
prima moglie, sono le nozze (1° apr. 1810) con Maria Luisa
d'Austria e la nascita (20 marzo 1811) del "re di Roma".
La Russia, allarmata per le mire napoleoniche, aderisce alla
6ª coalizione: N. la invade (24 giugno 1812), vince a Borodino
(7 sett.), occupa Mosca (14 sett.); ma la città è in
preda alle fiamme e N. è costretto a iniziare verso la
Beresina una ritirata disastrosa, poi vera fuga, mentre governi e
popoli di Russia, Prussia e infine d'Austria (10 ag. 1813) si
sollevano contro di lui. Né l'offensiva ripresa nella
Sassonia (maggio 1813), né le trattative con i coalizzati gli
giovano; la sconfitta di Lipsia (16-19 ott. 1813) lo costringe a
sgombrare la Germania e a difendersi sul suolo francese (inverno
1813-14). Il 31 marzo 1814 gli Alleati occupano Parigi e il 6 aprile
N. abdica senza condizioni accettando il minuscolo dominio
dell'isola d'Elba, ove giunge il 4 maggio 1814.
Ma, sospettando che lo si voglia relegare più lontano
dall'Italia e dall'Europa, sbarca con poco seguito presso Cannes
(1° marzo 1815) e senza colpo ferire riconquista il potere a
Parigi (20 marzo). Il tentativo dura solo cento giorni e crolla a
Waterloo (18 giugno 1815).
Dopo l'abdicazione (22 giugno), N. si rifugia su una nave inglese:
considerato prigioniero, è confinato, con pochi seguaci
volontarî, nell'isola di S. Elena, dove a Longwood, sotto la
dura sorveglianza di Hudson Lowe, trascorre gli ultimi anni, minato
dal cancro, dettando le sue memorie. Le sue ceneri furono riportate
nel 1840 a Parigi, sotto la cupola degli Invalidi.
La sconfitta definitiva di N. ebbe per la Francia gravi conseguenze:
occupata per tre anni dalle potenze nemiche, fu obbligata a pagare
esose indennità di guerra; dopo un periodo di relativa pace
sociale visse lo scoppio del malumore e della vendetta del mondo
cattolico.
L'arte militare
Nelle campagne militari N., per l'attuazione dei suoi piani, si
ispirava a quello che fu detto il senso dello spazio geografico
"concreto", cioè vagliato secondo le effettive mutevoli
esigenze del momento (anziché allo "spazio astratto", secondo
la tradizione della strategia del sec. 18°, che tendeva a
uniformarsi a principî teorici fissi). Connesse a questa
intuizione fondamentale le altre caratteristiche delle campagne di
N.: segretezza, rapidità di manovra, pronto e preciso calcolo
della velocità di marcia e dello spiegamento delle colonne
proprie e altrui, allo scopo ultimo di riunire grandi forze sopra un
punto, e qui agire risolutamente. Da queste premesse si
configurò la nuova tattica di N., definita appunto da H.
Delbrück "la tattica senza schemi". "On s'engage partout
(diceva N. stesso) et après on voit". N. faceva, cioè,
precedere un "tasteggiamento" su tutta la linea del fronte, cui
seguiva l'azione decisiva, condotta con mezzi e con uomini raccolti
nel punto prescelto per la fase risolutiva della battaglia. L'azione
di sfruttamento veniva spesso impegnata dalla cavalleria e condotta
fino alla distruzione del nemico.
La figura storica
N. stesso cercò nel suo Mémorial de
Sainte-Hélène (pubblicato nel 1823 a cura del conte di
Las Cases) di collocare la sua azione in una prospettiva storica:
ormai escluso da ogni possibilità di agire, nella riflessione
degli ultimi anni volle presentare la sua opera come intesa alla
liberazione delle forze nazionali oppresse. Ma una certa
storiografia ha respinto questa interpretazione, scorgendo nella
figura di N. i caratteri del dispotismo illuminato settecentesco
(cfr. soprattutto G. Lefebvre). Anche per quanto riguarda la
funzione di N. quale diffusore in Europa dei principî
rivoluzionarî, è stato rilevato il suo duplice
atteggiamento di fronte alla rivoluzione dell'89; da una parte egli
ne realizzò alcune istanze (si pensi all'opera legislativa),
dall'altra ne contraddisse alcuni postulati fondamentali:
restaurò infatti le forme della monarchia e avviò la
costituzione di un nuovo ceto privilegiato, innalzando alla
nobiltà gli elementi, soprattutto militari, a lui fedeli. La
funzione storica di N. va individuata, pertanto, nella rottura del
vecchio equilibrio europeo, cioè di quell'assetto
internazionale che il sistema della Santa Alleanza non riuscì
a preservare dall'urto rivoluzionario del sec. 19°; e,
altrettanto, nella rottura dell'antico equilibrio sociale, avviata
in Francia già nel decennio rivoluzionario, che si
approfondì in seguito all'espansionismo napoleonico,
anch'esso suscitatore di nuove energie e forze sociali.