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«"Il vostro Claudio è fuggito, Messalina trema…" Era
obbligato il popolo a saper la storia romana per conoscere la sua
felicità? »
(Vincenzo Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione
napoletana del 1799)
La Repubblica Napoletana del 1799 (a volte anche detta Repubblica
Partenopea) fu una repubblica proclamata a Napoli nel 1799 ed
esistita per alcuni mesi sull'onda della Prima Campagna d'Italia
delle truppe della Francia repubblicana dopo la Rivoluzione
francese.
Il contesto storico e la nascita della Repubblica
I giacobini a Napoli
Allo scoppiare della Rivoluzione Francese nel 1789 non vi sono
immediate ripercussioni a Napoli; è solo dopo la caduta della
monarchia francese e la morte per ghigliottina dei reali di Francia
che la politica del Re di Napoli e Sicilia Ferdinando IV e della sua
consorte Maria Carolina d'Asburgo-Lorena (tra l'altro sorella di
Maria Antonietta) comincia ad avere un chiaro carattere antifrancese
e antigiacobino. Il Regno di Napoli aderisce alla I coalizione
antifrancese e cominciano nel mentre le prime, seppur blande,
repressioni sul fronte interno contro le personalità
sospettate di "simpatie" giacobine.
Su ispirazione del farmacista Carlo Lauberg nascono due diverse
prime società segrete rivoluzionarie: una fautrice di una
monarchia costituzionale (LOMO - Libertà o morte) e un'altra
fautrice di una Repubblica democratica (ROMO - Repubblica o morte).
Seguono i primi arresti (52) e le prime condanne a morte (3).
Nel 1796 le truppe francesi, guidate dal generale Napoleone
Bonaparte cominciano a riportare significativi successi in Italia;
le armate napoletane, pur forti di circa 30.000 uomini, il 5 giugno
sono costrette all'armistizio di Brescia, e a lasciare ai soli
austriaci l'onere della resistenza ai francesi. Nei due anni
successivi i francesi continuano a dilagare in Italia; l'una dopo
l'altra vengono proclamate delle repubbliche "sorelle", filofrancesi
e giacobine (la Repubblica Ligure e la Repubblica Cisalpina nel
1797, la Repubblica Romana nel 1798). Nel frattempo il generale
Bonaparte ha lasciato l'Italia tentando la campagna d'Egitto.
Conquista francese del Regno di Napoli
Il 23 ottobre del 1798, nonostante l'armistizio di Brescia (poi
ratificato nel Trattato di Parigi), con Napoleone in Egitto e i
francesi a Roma, il Regno di Napoli entrava nuovamente in guerra con
i francesi, con l'appoggio della flotta inglese comandata
dall'ammiraglio Horatio Nelson, vincitore di Abukir. L'esercito
napoletano, forte di 70.000 uomini reclutati in poche settimane e
comandato dal generale austriaco Karl von Mack entrò nella
Repubblica Romana con l'intenzione dichiarata di ristabilire
l'autorità papale.
Dopo solo sei giorni Ferdinando IV arrivò a Roma, dove
atteggiandosi a conquistatore fu oggetto delle ironie locali, ma una
immediata e risoluta controffensiva dell'armata francese del
generale Jean Étienne Championnet sbaragliò
rapidamente l'esercito napoletano alla battaglia di Civita
Castellana e i borbonici furono costretti alla ritirata che ben
presto si trasformò in rotta. L'avanzata francese fu
caratterizzata da devastazioni e saccheggi; il generale Championnet
risparmiò solo Arpino, "patria di Cicerone e Caio Mario".
Il Re tornò precipitosamente a Napoli, e il 21 dicembre si
imbarcò di nascosto sul Vanguard dell'ammiraglio Horatio
Nelson con tutta la famiglia e John Acton, in fuga verso Palermo
(portandosi dietro, tra l'altro, il denaro dei banchi e i tesori
della corona). Venne affidato al conte Francesco Pignatelli
l'incarico di vicario generale e da questi fu dato ordine di
distruggere la flotta, che venne incendiata. Seguirono alcuni giorni
di confusione e anarchia. Mentre gli eletti del popolo rivendicarono
il diritto di rappresentare il re, il 12 gennaio del 1799 il conte
Pignatelli concluse, a Sparanise, la resa col generale Championnet.
Alla notizia della capitolazione il popolo di Napoli e di parte
delle province insorse violentemente in funzione antifrancese:
è la rivolta dei cosiddetti lazzari, che oppose una forte
resistenza all'avanzata francese. Il Vicario abbandonò la
città, ormai in preda all'anarchia, il 17 gennaio. Nel
frattempo nella città scesero però in campo anche i
repubblicani, i giacobini e i filofrancesi e si giunse alla guerra
civile: il 20 gennaio i filofrancesi riuscirono con uno stratagemma
a entrare nella fortezza di Castel Sant'Elmo, da cui aprirono il
fuoco sui lazzari che ancora contendevano l'ingresso della
città ai francesi. Cannoneggiati alle spalle, furono
costretti a disperdersi e il generale Championnet riuscì a
schiacciare la resistenza. Circa 3.000 popolani antifrancesi furono
uccisi negli scontri.
Proclamazione della Repubblica
Il 23 gennaio, con l'approvazione e l'appoggio dei comandante
dell'esercito francese, viene proclamata la Repubblica Napoletana.
Nasce un governo provvisorio di venti membri, poi portato a
venticinque, tra cui Carlo Lauberg (il primo presidente), Ignazio
Ciaia (suo successore dalla fine di febbraio), il giurista Francesco
Mario Pagano, Melchiorre Delfico, Domenico Cirillo e Pasquale Baffi,
Cesare Paribelli. Il governo si articola in sei Comitati (Centrale,
Militare, Legislazione, Polizia Generale, Finanza, Amministrazione
Interna), che poi formano l'Assemblea Legislativa ed esercitano il
potere esecutivo in attesa dell'organizzazione definitiva del
governo. Il 2 febbraio si pubblica il primo numero del Monitore
Napoletano, il giornale ufficiale del governo provvisorio, diretto
da Eleonora Pimentel Fonseca, una letterata in passato vicina
all'ambiente di corte. Vedono la luce molti altri fogli, ma la loro
fortuna sarà limitata anche a causa del diffuso
analfabetismo.
La vita e la caduta della Repubblica
La vita della neonata Repubblica è difficile fin dagli inizi:
manca l'adesione popolare e quella delle province non occupate
dall'esercito francese; sebbene i repubblicani siano spesso
personalità di grande rilievo e cultura, sono anche
eccessivamente dottrinari e lontani dalla conoscenza dei reali
bisogni del popolo napoletano. Inoltre la Repubblica ha un'autonomia
estremamente limitata, sottoposta di fatto alla dittatura di
Championnet e alle difficoltà finanziarie causate
principalmente dalle richieste dell'esercito francese costantemente
in armi sul suo territorio. Non si riuscirà mai a costituire
un vero e proprio esercito ottenendo solo limitati successi nella
democratizzazione delle province.
A questo si aggiunge una repressione spietata e sanguinaria contro
gli oppositori del regime che certo non aiuta a conquistare le
simpatie popolari; difatti durante i pochi mesi della repubblica
moltissime persone vengono condannate a morte e fucilate dopo
sommari processi politici.
Il primo governo provvisorio vara una sola legge importante, di cui
fu promotore uno dei componenti dell'esecutivo, Giuseppe Leonardo
Albanese, ed è quella per l'abolizione dei fedecommessi e le
primogeniture (29 gennaio 1799). Il 25 aprile viene approvata la
legge di eversione della feudalità, sulla base di criteri
relativamente radicali, che non potrà però avere
neppure un principio di attuazione in conseguenza del susseguente
repentino crollo della Repubblica. Non si riesce invece ad approvare
il progetto di costituzione preparato dalla precedente commissione
legislativa (e dovuto soprattutto a Mario Pagano) mentre nel
frattempo, nel resto delle province, la situazione comincia a
precipitare.
Il cardinale Fabrizio Ruffo è intanto sbarcato il 7 febbraio
in Calabria con l'assenso regio e pochi compagni, riuscendo a
costituire in poco tempo un'armata popolare (l'Esercito della Santa
Fede) e a impadronirsi rapidamente della regione e quindi della
Basilicata e delle Puglie.
Nel frattempo una squadra navale inglese tenta la conquista dal
mare, ma dopo una breve occupazione dell'isola di Procida è
costretta alla ritirata dalle navi comandate dall'ammiraglio
Francesco Caracciolo, un ex ufficiale della marina borbonica.
Successivamente, nell'aprile, in seguito alle sconfitte subite dalle
truppe francesi in Italia settentrionale a opera degli Austro-Russi,
i francesi sono costretti a ritirarsi prima dalle province e in
seguito (il 7 maggio) da Napoli. I repubblicani tentano di
difendersi da soli contro l'armata sanfedista che giunge da Sud, ma
il 13 giugno la città è raggiunta e viene
riconquistata dalle armate del cardinale Ruffo nell'ultima battaglia
al Ponte della Maddalena e nonostante l'ultima strenua resistenza
del Forte di Vigliena.
Restaurazione borbonica
Agli ultimi repubblicani trincerati in Castel Sant'Elmo, Ruffo offre
un'"onorevole capitolazione" che però non è accettata
dall'ammiraglio Nelson, giunto nel frattempo a Napoli con la sua
flotta inglese. La repubblica è poi dichiarata decaduta l'8
luglio dal re Ferdinando IV di Borbone.
Nei mesi seguenti, con una giunta nominata da Ferdinando cominciano
dunque i processi contro i repubblicani: su circa 8000 prigionieri,
124 vengono mandati a morte (si veda l'elenco dei repubblicani
napoletani giustiziati nel 1799), 6 sono graziati, 222 condannati
all'ergastolo, 322 a pene minori, 288 alla deportazione e 67
all'esilio. Tra i condannati vi sono alcuni tra i nomi più
importanti della classe borghese e intellettuale di Napoli,
provenienti da diverse province meridionali, che hanno dato il loro
appoggio alla Repubblica; tra questi Pasquale Baffi, Francesco Mario
Pagano, Eleonora Pimentel Fonseca, Luisa Sanfelice, Ignazio Ciaia,
Domenico Cirillo, Giuseppe Leonardo Albanese, Vincenzio Russo,
Francesco Caracciolo, Michele Granata, Gennaro Serra di Cassano,
Niccolò Carlomagno, giustiziati, Giustino Fortunato senior,
evaso dal carcere, e Vincenzo Cuoco, condannato all'esilio, pena cui
incorre anche il vescovo Bernardo della Torre, vicario generale
dell'arcidiocesi di Napoli.
Il meridionalista Giustino Fortunato ricorda così i
giustiziati della Repubblica Napoletana:
«Parlo di quella vera
ecatombe, che stupì il mondo civile e rese attonita e
dolente tutta Italia: l'ecatombe de' giustiziati nella sola
città di Napoli dal giugno 1799 al settembre 1800 per
decreto della Giunta Militare e della Giunta di Stato. Il mondo, e
l'Italia specialmente, sa i nomi e l'eroismo di gran parte di
quegli uomini, sente ancor oggi tutto l'orrore di quelle stragi,
conosce di quanto e di quale sangue s'imbevve allora quella Piazza
del Mercato, in cui al giovinetto Corradino fu mozzo il capo il 29
ottobre del 1268, e il povero Masaniello tradito e crivellato di
palle il 16 luglio del 1647; ma pur troppo, ignora ancora tutti i
nomi di quei primi martiri della libertà napoletana!
»
(I giustiziati di Napoli del 1799)
Nel 1801 le truppe napoletane che tentano di raggiungere la
Repubblica cisalpina sono sconfitte a Siena da Gioacchino Murat;
segue l'armistizio di Foligno il 18 febbraio 1801 e in seguito la
pace di Firenze che prevede, tra l'altro, l'amnistia per i
repubblicani filofrancesi. Il Regno di Napoli rimarrà
governato dalla dinastia borbonica fino al 1806, quando le truppe
Napoleoniche apriranno a Napoli una nuova "parentesi francese",
monarchica, di circa dieci anni, dando vita al cosiddetto periodo
murattiano.
Bibliografia
Vincenzo Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione
napoletana del 1799, Milano, Rizzoli (BUR), ristampa del 1999.
Benedetto Croce, La rivoluzione napoletana del
1799. Biografie, racconti e ricerche, Bari, Laterza, 1912, 1961