Fascismo


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 Movimento fondato in Italia da B. Mussolini il 23 marzo 1919 a Milano e sistema politico che ne conseguì con la conquista del potere nel 1922. Ispirato a un'ideologia antiborghese, ostile alle istituzioni liberali e parlamentari, il fascismo si proponeva obiettivi legati alla tradizione del sindacalismo rivoluzionario, al futurismo, al nazionalismo e all'imperialismo.

§ Nel linguaggio contemporaneo il termine fascismo ha finito per acquistare un valore polemico e spregiativo, che va al di là del suo significato storico-politico. In modo spesso equivoco e pretestuoso, col termine fascismo si suole definire non solo ogni atteggiamento reazionario, conservatore e imperialista, ma squalificare qualunque avversario, col risultato di trasformare un vocabolo, riferito a una precisa esperienza storica, in un'ipotetica e fuorviante categoria sociologica.

Cenni storici: le origini

Benché non costituisca un fenomeno esclusivamente italiano, il fascismo ha avuto origine nel nostro Paese come reazione e conseguenza della grave crisi politica ed economica seguita alla prima guerra mondiale. La classe dirigente, erede dello Stato liberale post-risorgimentale, aveva voluto spingere l'Italia nel conflitto, senza prevedere le gravissime perdite umane e materiali che ne sarebbero derivate. Così, dopo la fine vittoriosa, anziché godere i frutti della guerra, si era trovata improvvisamente costretta a dover fronteggiare una situazione difficilissima di tensioni e contrasti interni, dove gli interessi dei gruppi economico-sociali privilegiati si scontravano con le nuove aspirazioni della maggioranza della popolazione, fino allora tenuta ai margini della vita dello Stato. Questo processo di maturazione civile e politica dei ceti più poveri e incolti aveva ricevuto una notevole spinta a contatto col dramma dell'esperienza bellica, ma il ritorno alla normalità non aveva offerto a milioni di reduci la meritata ricompensa dopo i lunghi anni di pericoli e sofferenze in trincea. Anzi, insieme al dissesto delle finanze pubbliche, che i responsabili al governo non riuscivano a sanare, l'aumento dei prezzi e il diffondersi della disoccupazione alimentavano l'inquietante spirale delle agitazioni popolari. In questo sconvolgimento sociale, dove l'inefficienza economica stimolò il rafforzamento dei partiti di massa, con una forte crescita dei socialisti, soprattutto fra gli operai, e un'affermazione del Partito Popolare fra i cattolici dell'ambiente contadino, nacque e si andò affermando il movimento fascista.

Cenni storici: fondazione e sviluppo del movimento

Già nel 1915 Mussolini, leader del fascismo, aveva fondato i Fasci d'azione rivoluzionaria, con scopi puramente interventistici, risposta immediata e risoluta al neutralismo socialista che lo aveva costretto ad abbandonare il partito dove aveva fino ad allora militato. Sull'eco degli stessi principi, conclamanti la lotta per la lotta, la gioia liberatrice e fecondatrice dell'azione, Mussolini fondò a Milano il 23 marzo 1919 i Fasci italiani di combattimento. Fu questa la prima cellula di un movimento che si trasformò in Partito Nazionale Fascista e che conquistò il potere.

Alla riunione di piazza San Sepolcro a Milano parteciparono un centinaio di persone (questi primi fascisti furono chiamati sansepolcristi), tra cui: Ferruccio Vecchi, Michele Bianchi, Mario Giampaoli, Mario Carli, Filippo Tommaso Marinetti. Il movimento aveva un programma vago ed era alla ricerca di un'ideologia. Tentava di fondere i motivi nazionalistici, cari soprattutto agli ex combattenti, con la polemica contro l'inefficienza del parlamentarismo, che trovava facili consensi anche negli ambienti piccolo-borghesi.

“Noi ci permettiamo di essere aristocratici e democratici, conservatori e progressisti, reazionari e rivoluzionari, legalisti e illegalisti, a seconda delle circostanze di tempo, di luogo e di ambiente”, dichiarò Mussolini, il quale, oltre a interpretare gli ideali patriottici della piccola borghesia, capì che la debolezza della classe dirigente, incapace di stabilizzare la situazione economica e sociale, si poteva vincere solo conquistando i favori dei gruppi dominanti del padronato industriale e dei proprietari terrieri, sempre più intolleranti verso le manifestazioni popolari e pronti ad appoggiare chiunque fosse disposto a usare la mano forte.

Così, nel giro di pochi mesi la propaganda fascista conquistò terreno e, senza far segreto di una volontà autoritaria, dichiaratamente antidemocratica, cercò di sfruttare il malcontento e di incanalare la spinta reazionaria delle forze borghesi e conservatrici, già deluse per la “vittoria mutilata” a Versailles e atterrite dalla volontà di ascesa delle classi popolari, che sembravano voler scuotere e schiacciare il tradizionale assetto gerarchico della società italiana.

Inoltre, insieme al crescente squilibrio fra Nord e Sud, esasperato dai contrasti interni fra ceti padronali e proletariato operaio e contadino, il passaggio dalla vecchia economia agricolo-artigianale alla grande industria capitalistica (specie nel triangolo Milano-Torino-Genova) tendeva ad accrescere il peso dei più forti gruppi imprenditoriali, ma nello stesso tempo portava alla ribalta il proletariato operaio, sminuendo il ruolo che i ceti medi avevano continuato a svolgere dal periodo post-risorgimentale fino agli anni giolittiani del primo Novecento.

Il fascismo, nella misura in cui rifiutava ogni piattaforma di lotta fra le classi e faceva appello al principio della superiore unità nazionale, intesa come un mitico organismo vivente cui dovevano essere subordinati tutti gli interessi particolaristici, parve inizialmente fornire un'efficace alternativa tanto alla debolezza di una classe politica dilaniata da insanabili contrasti interni, che mettevano capo a continue crisi di governo, quanto alle velleità massimalistiche del sovversivismo rosso, che si scontrava con le opposte cautele delle centrali sindacali, ancora fiduciose di spingere la borghesia sulla via delle riforme. Ma proprio l'esaltazione di un ipotetico primato nazionale, da raggiungere non più nel segno della politica liberale, che aveva caratterizzato tutto il periodo del Risorgimento e la storia postunitaria, si esprimeva attraverso un esplicito rifiuto degli ideali democratici.

Una vigorosa difesa della “diseguaglianza irrimediabile e feconda e benefica degli uomini” accentuò il ricorso ai metodi della violenza fisica, con l'intervento delle squadre d'azione, che si diffusero alla prima sconfitta politica accusata dal movimento nelle elezioni del 16 novembre 1919: il fascismo riuscì infatti a presentarsi solo a Milano dove ottenne 4795 voti (1064 a Mussolini). Certamente il movimento mussoliniano pagò anche l'errore di avere appoggiato l'impresa dannunziana di Fiume (12 settembre 1919) che non trovò eco in un'Italia stanca di imprese belliche e velleitarie.

Intanto i Fasci furono subito costituiti anche a Genova, Bergamo, Verona, Treviso, Napoli, Pavia, Brescia, Cremona, Trieste, Parma, Bologna, Roma. L'infiltrazione nella zona industriale e agraria era avvenuta, la presenza nella capitale assicurata. L'alta industria aveva trovato nel fascismo la forza da opporre alle rivendicazioni operaie, agli scioperi, alle durezze della lotta sociale che raggiunse il vertice con l'occupazione delle fabbriche nel 1920, mentre nella Valle Padana e nell'Italia meridionale, dove dominava la grande proprietà fondiaria e il bracciantato soffriva delle peggiori condizioni di sottoccupazione e dove i contadini alla testa di organismi sindacali avevano tentato l'occupazione delle terre, il fascismo divenne lo strumento della reazione e sviluppò massicci attacchi contro gli avversari, con spedizioni punitive, incendi, devastazioni, assassini, soprattutto nei confronti dei socialisti e dei cattolici-popolari.

Giolitti, reputando che il fascismo sarebbe stato un fenomeno transitorio, consentì alla sua strumentalizzazione per spegnere la carica rivoluzionaria dei socialisti, nel presupposto che la lotta contro rossi e bianchi avrebbe smorzato la carica dei neri per il conseguito ideale della lotta per la lotta.

Cenni storici: la Dottrina del fascismo

Il movimento fascista, divenuto partito (novembre 1921), cercò di darsi una dottrina e, poiché il “grande momento” per i socialisti era passato, Mussolini, prima di puntare decisamente al potere, tentò la politica delle alleanze. Entrò, per le elezioni del 1921, nei blocchi nazionali giolittiani, ottenne un primo successo mandando alla camera 35 deputati e cercò l'alleanza con i socialisti e i popolari. Era l'equivoco di una grande coalizione che portò al patto di pacificazione con i socialisti (agosto dello stesso anno) ma che non convinse i fascisti intransigenti e rappresentò una parentesi brevissima, perché pochi mesi dopo riprendevano scontri, lotte, violenze e il fascismo nuovamente autonomo, se così può dirsi, si appoggiava ai liberali, convinti o fiduciosi che il movimento di Mussolini avrebbe restituito a molti il senso dello Stato.

E infatti Mussolini espose nella sua Dottrina del fascismo una concezione dello Stato che sembrava riallacciarsi al pensiero risorgimentale, nutrito di concetti idealistici hegeliani (accolti del resto dallo stesso Croce che non intuì subito la minaccia del fascismo, sperando di vedervi soltanto forze nuove capaci di un loro apporto risoluto e vivificante); ma in realtà il fascismo pretende di costruire uno Stato che accoglie in sé ogni individualità per annullarla nella concezione di una propria priorità assoluta volta solo ad affermare il primato del dominio e della forza. E lo Stato fascista accoglie in sé il cittadino solo in quanto parte di un tutto e riconoscerà la sua libertà nella libertà dello Stato, contro la concezione risorgimentale e liberale che nello Stato vede l'organo supremo per garantire la libertà individuale.

L'assolutismo dello Stato diventa facilmente assolutismo di guida, unicità di potere, volontà di uno. Di conseguenza, il drastico annullamento della volontà individuale significherà esaltazione mistica del sacrificio, subordinazione assoluta alla volontà del capo per il bene della patria. Il fallimento dello sciopero legalitario dell'agosto 1922, la dimostrazione fascista di saper intervenire contro ogni tentativo di sovversione aprirono senz'altro al fascismo la via del potere.

Cenni storici: la marcia su Roma e la conquista del potere

La marcia su Roma (28 ottobre 1922) non fu tuttavia la conquista del potere, ma il cammino verso il potere e, mentre socialisti e comunisti si schierarono subito all'opposizione, molti rappresentanti della vecchia classe politica liberale, non diversamente da una parte dei popolari, si illusero di poter controllare l'ascesa del fascismo al potere, incanalandolo nell'ambito della vita democratico-parlamentare. Il primo governo di Mussolini, formato da fascisti, da liberali, da popolari e da indipendenti, poté così ottenere una larga maggioranza alla Camera (306 voti a favore e 116 contrari).

Ma la speranza di una rapida normalizzazione non si realizzò, mentre lo svuotamento delle istituzioni parlamentari e l'avvio a uno Stato dittatoriale cominciarono subito con l'inquadramento delle camicie nere nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, vero esercito di partito messo direttamente agli ordini del capo del governo e con la creazione del Gran Consiglio del fascismo (11-14 gennaio 1923), destinato nel 1928 a diventare l'organo supremo che avrebbe coordinato e integrato tutte le attività del regime. Inoltre, la riforma elettorale del 1924, con la legge Acerbo (sistema maggioritario con fortissimi vantaggi per la lista di maggioranza relativa) che riduceva la rappresentanza delle forze di opposizione, non solo non mise a tacere le intimidazioni fasciste ma accentuò le violenze e i brogli elettorali, che il deputato socialista G. Matteotti denunciò alla Camera, anche se l'atto coraggioso gli costò la vita a opera di alcuni sicari fascisti (10 giugno 1924).

Nonostante lo sdegno dell'opinione pubblica e la reazione degli altri partiti che abbandonarono il Parlamento su iniziativa di Amendola (opposizione dell'Aventino), Mussolini col discorso del 3 gennaio 1925 diede una svolta decisiva al regime dittatoriale. Con quel discorso il fascismo mostrò il suo vero volto.

Cenni storici: gli strumenti della dittatura

Tra il 1925 e il 1928 furono varate le leggi (cosiddette “fascistissime”) che consacrarono la nuova struttura e lo strapotere dello Stato. Croce e con lui Giolitti, Salandra, Orlando e altri dovettero arrendersi all'evidenza. Ogni speranza legalitaria o di riporto alla legalità del fascismo cadeva. Essa moriva con la soppressione della libertà di stampa, le persecuzioni contro gli antifascisti, col ripristino della pena di morte, l'istituzione di un tribunale speciale per reati politici, l'istituzione dell'OVRA polizia politica segreta, e con l'attribuzione al potere esecutivo di emanare norme di legge.

I normali meccanismi dello Stato di diritto e i fondamenti della libertà politica e della sovranità popolare vennero sovvertiti, mentre a cominciare dal 1926 nelle amministrazioni comunali alla procedura elettiva del sindaco e del consiglio venne sostituita la nomina governativa del podestà e della consulta, così da sconvolgere l'intero ordinamento centrale e periferico nel processo di fascistizzazione dello Stato. Il Parlamento risultò svuotato di ogni prerogativa (legge sulla decadenza dei deputati comunisti e aventiniani, 1926) e le elezioni (1929) vennero ridotte a semplici plebisciti di approvazione di una lista unica di deputati designati dal Gran Consiglio.

Il capo del governo, che era contemporaneamente duce del fascismo, prese a occupare il vertice della piramide politica, che simboleggiava l'ordinamento gerarchico del regime, e venne sottratto a qualunque controllo o sanzione, con l'obbligo di rispondere solo al sovrano. Con le elezioni plebiscitarie del 1929 Mussolini poté contare su una Camera tutta composta da fascisti, e il carattere totalitario del fascismo finì rapidamente per coinvolgere ogni settore della vita italiana.

Cenni storici: la politica economica e sociale

In campo economico-sociale, per differenziarsi dal sistema liberale, che assicurava ampi margini all'iniziativa privata, e nello stesso tempo per respingere il modello collettivista, soprattutto di tipo sovietico, che imponeva una rigida pianificazione, la Carta del Lavoro tentò fin dal 1927 di dar vita a una moderna forma di corporativismo, sopprimendo ogni tipo di lotta di classe e creando le corporazioni che, previste alla dichiarazione VI della Carta del Lavoro, furono istituite alla fine del 1934; in esse i lavoratori e i datori di lavoro cercarono un'impossibile collaborazione, specialmente dopo che erano stati distrutti con la violenza gli organismi sindacali, erano state sciolte le Camere del Lavoro ed era stato vietato il diritto di sciopero.

Nonostante i costanti richiami a un programma interclassista, diretto a raggiungere la piena pace sociale, proprio la fallita esperienza del sistema corporativo resta la testimonianza forse più caratterizzante dell'incapacità del fascismo di realizzare i suoi ambiziosi obiettivi di riforma, perché i pesanti compromessi che Mussolini dovette subire, pur di mantenere il comando, non solo dai vecchi centri di potere (la corona e l'esercito soprattutto) ma anche dai maggiori centri economici (prima gli agrari, poi i gruppi del grande capitale industriale e finanziario), avviarono al fallimento i programmi di costruire una società nuova.

La pianificazione economica varata dal conte Volpi, industriale e finanziere, chiamato al Ministero delle Finanze nel 1925, fu causa di gravi difficoltà. Fissata la lira a quota 90, l'esportazione entrò in crisi. Per frenare l'importazione vennero sanciti pesanti dazi doganali. Si dovettero ridurre stipendi e paghe del 12%. Il protezionismo favorì le industrie monopolistiche ma portò altre alla crisi. I salari italiani, nel 1930, erano al penultimo posto in Europa, seguiti solo da quelli spagnoli. I salari dei contadini venivano sempre più compressi per consentire ai produttori di sopportare la concorrenza straniera favorita dall'alto corso della lira. Il fascismo aveva autorizzato i proprietari agrari, come gli industriali, a rifarsi sui lavoratori e pubblicamente elogiava il sacrificio accettato.

Neppure il protezionismo, spinto all'estremo dell'autarchia, valse a suscitare lo sperato sviluppo economico nazionale, nonostante gli sforzi di risanamento dell'agricoltura attraverso la politica delle bonifiche (per esempio nell'Agro Pontino) e le campagne per la battaglia del grano (iniziata nel 1925), e gli ambiziosi programmi di lavori pubblici, che dal 1929 al 1934 cercarono di dare, anche attraverso la retorica urbanistica e architettonica, l'illusione di un nuovo primato, in grado di far rivivere, secondo l'immagine della propaganda fascista, i fasti e le glorie di Roma imperiale.

Cenni storici: l'organizzazione paramilitare della scuola

Anche in campo scolastico, l'istituto dell'Opera Nazionale Balilla (ONB) valse a monopolizzare, fin dalle prime classi elementari, il processo di formazione educativa dei giovani secondo il principio del credere, obbedire, combattere, che tendeva a fare di ogni cittadino essenzialmente un soldato, pronto a rispondere agli ordini e fedele esecutore delle direttive imposte dall'alto. Imbevuto di retorica, il fascismo creò una divisa per ogni italiano, dalla più tenera età fino alla maturità. Marciarono, sfilarono in ogni paese d'Italia, al grido di Viva il Duce!, figli della lupa, piccole italiane, balilla, avanguardisti, giovani fascisti e fasciste, fascisti, donne fasciste e massaie rurali, salutando romanamente, battendo il passo romano (o dell'oca).

Nella scuola fascistizzata, l'insegnamento travisò la storia. I ragazzi vennero organizzati nella GIL (Gioventù Italiana del Littorio, nata nel 1937 dalla fusione dell'ONB con i Fasci giovanili di combattimento), gli studenti universitari nei GUF (Gruppi Universitari Fascisti). Scomparve l'uso del lei; si parlò solo col voi. Nacque la scuola di mistica fascista. L'obbedienza al fascismo divenne un obbligo per gli stessi professori universitari, ai quali venne imposto il giuramento come condizione per poter mantenere la cattedra.

Cenni storici: i Patti Lateranensi

Dopo aver costretto la maggioranza degli oppositori a patire carcere e violenze (Gramsci, Amendola, Rosselli, Gobetti, per citare soltanto alcuni dei nomi più noti), o a trovare asilo politico all'estero (fuoruscitismo), per meglio rafforzare la propria posizione interna il regime fascista aveva trovato un accordo con la Chiesa cattolica, chiudendo il lungo capitolo della cosiddetta questione romana e realizzando attraverso i Patti Lateranensi del 1929 la conciliazione fra lo Stato italiano e la Santa Sede, così da garantire a Mussolini l'appoggio delle più alte gerarchie ecclesiastiche. L'accordo non fu giudicato favorevolmente dai fascisti.

Molti furono i malumori per il pesante riscatto imposto dalla Chiesa (750 milioni in contanti e un miliardo di consolidato), ma quest'ultima, che pur vedeva il cattolicesimo riconosciuto come religione di Stato, accettava il divieto per i cattolici di organizzarsi in partiti politici. Ciò non impedì all'Azione Cattolica di svolgere la propria attività presso i giovani al di fuori dello spirito fascista, tant'è vero che nel 1931 fu accusata esplicitamente di sottrarre uomini e giovani alla disciplina fascista. Sembrò la rottura, ma si giunse al compromesso e il fascismo mantenne l'appoggio della Chiesa e dell'alta borghesia, a conferma che, nonostante la tanto conclamata dottrina dello Stato etico assoluto, l'Italia altro non era se non un Paese conservatore e burocratico, chiuso a ogni progressismo e tutore degli antichi privilegi.

Cenni storici: colonialismo e fascistizzazione

L'ascesa del fascismo culminò nel 1936 con la conquista dell'Etiopia, la proclamazione dell'impero e la vittoria sulle sanzioni economiche proclamate da cinquantadue Stati della Società delle Nazioni, che aveva condannato l'aggressione italiana in Africa. Furono sanzioni blande, cui non aderì la Germania, quasi le vecchie democrazie credessero al fascismo e al nazismo come ai necessari baluardi contro il comunismo e volessero compiacerli solo per controllarli.

Il fascismo, tuttavia, non mirava solo al colonialismo, ma a fascistizzare l'Europa. L'asse Roma-Berlino, ottobre 1936) e il contemporaneo intervento in Spagna rivelarono al mondo che gli Stati democratici nulla più potevano e dovevano concedere a un fascismo ormai pronto ad assimilare e a partecipare alla politica di espansione nazista. Il nazi-fascismo (così cominciò a essere noto) mirava ora ad annettere ogni terra dove vivessero in preponderanza tedeschi e italiani. Austria, Danzica, Sudeti per Hitler; Malta, Tunisi, Gibuti, Nizza, Canton Ticino per l'Italia. Tutte le concessioni che l'Europa democratica aveva fatto a Hitler e a Mussolini (Renania, 1936; Anschluss, 1938; Albania, 1939) furono dettate dalla speranza di salvare la pace, ma il nazi-fascismo rivelava intanto un altro aspetto della sua aberrante dottrina, il razzismo.

Cenni storici: dalle leggi razziali alla caduta di Mussolini

Seguendo l'esempio di Hitler, Mussolini promulgò le leggi razziali (1938-39), creando la prima vera grande scissione tra il Paese e il regime. L'Italia, fatalmente trascinata dalla politica nazista, si trovò coinvolta (1940), assolutamente impreparata, nella seconda guerra mondiale. Le disastrose campagne di guerra in Grecia, in Russia e in Africa settentrionale e lo sbarco delle truppe americane in Sicilia affrettarono la crisi del fascismo; il 25 luglio 1943, dopo il voto di sfiducia del Gran Consiglio, Mussolini fu costretto da Vittorio Emanuele III a lasciare il governo, subito assunto da P. Badoglio.

Cenni storici: la Repubblica Sociale Italiana e la fine del regime

Lo smarrimento e il caos nati dall'armistizio dell'8 settembre 1943 consentirono, con l'appoggio dei Tedeschi, un rigurgito di potere fascista. Mussolini, liberato dalla prigionia sul Gran Sasso, ma ormai strumento di Hitler, fondò il 23 settembre 1943 la Repubblica Sociale Italiana, che estendeva la propria giurisdizione sulla parte dell'Italia centrosettentrionale occupata dai Tedeschi e aveva come programma il manifesto di Verona, elaborato dal congresso del Partito Fascista Repubblicano nel novembre 1943. Ma gli sforzi di rilanciare il fascismo, applicando alcune misure di socializzazione in campo economico, per richiamarsi alle antiche origini popolari del movimento, fallirono di fronte al dilagare della guerra, che dimostrava imminente la disfatta nazi-fascista, mentre i movimenti di resistenza partigiana si diffondevano soprattutto nel Nord.

Nell'autunno-inverno 1944-45, con lo stabilizzarsi del fronte sulla linea gotica, alcuni provvedimenti, come la requisizione delle aziende e la distribuzione di viveri alla popolazione, furono l'ultimo, inutile sforzo per riguadagnare la solidarietà dell'opinione pubblica al fascismo (allora più noto col nome di Repubblica di Salò, dalla zona del lago di Garda sede dell'ultimo governo di Mussolini). Il 25 aprile 1945, mentre anche la Germania hitleriana era ormai incapace di sostenere la massiccia offensiva degli eserciti alleati (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e URSS), con la liberazione di Genova e di Milano il fascismo vedeva irrimediabilmente segnata la sua condanna a morte. Finiva così, con una disastrosa sconfitta, dopo un ventennio di errori e di orrori, quel movimento politico che fin dal suo primo manifestarsi venne avversato dai partiti democratici, ma che si affermò anche per le blandizie della borghesia, l'astensione della maggioranza e l'incomprensione di troppi intellettuali. Finito come regime politico, il fascismo sopravvive tenace come fenomeno degenerativo nel culto del nazionalismo, del militarismo e dell'ordine da conservare a dispetto della libertà di pensiero e di espressione.

Cenni storici: il fascismo in Europa

Ragioni economiche, politiche, sociali analoghe a quelle che avevano favorito l'affermarsi del fascismo in Italia, contribuirono a diffonderlo in Europa, dove mise radici più o meno profonde in diversi Paesi, ispirato non solo dall'avversione al marxismo e al bolscevismo ma da una violenta polemica contro il sistema parlamentare, e da un'esaltazione dell'idea nazionalista, dei principi del corporativismo e addirittura del fanatismo razzista. La Spagna fu tra i primi Paesi ad accogliere il fascismo e a organizzarlo in partito attraverso l'opera di Caballero, di Ledesma Ramos, di Primo de Rivera e infine di Franco; ma per imporre al Paese il regime (1938) la Spagna ebbe necessità di ottenere l'aiuto dell'Italia e della Germania, dove il nazionalsocialismo era giunto al potere con Hitler nel 1933.

Un regime fascista modellato secondo i principi del corporativismo venne creato anche in Portogallo da Salazar (1932), mentre più ristretti movimenti fascisti si affermavano in Belgio con il rexismo di Léon Degrelle e di J. Denis e in Austria con la Heimwehr, capeggiata da E. Rüdiger von Starhemberg, che dopo un primo putsch fallito nel 1931 giungeva al successo nel 1934, fondendosi coi cristiano-sociali e mettendo capo a un ibrido corporativismo che sarebbe finito due anni dopo.

L'ideologia fascista ebbe una certa eco anche in Gran Bretagna con il British Fascism capeggiato da Lintorn-Orman e con la British Union of Fascists, diretta da O. Mosley.

In Francia il fascismo prese aspetti particolari (Croix de feu, Fascisme, Cagoule, Parti Populaire Française, Faisceau), e i lineamenti ideologici trovarono gli spunti maggiori nelle tesi dell'Action Française.

In Olanda con Joris Van Severen, in Norvegia con V. Quisling, in Cecoslovacchia con Josef Tiso si ebbero movimenti fascisti di non lungo respiro, mentre un peso più considerevole nella vita politica il fascismo lo ebbe in Romania con la costituzione (1930) della Guardia di Ferro di Codreanu e in Grecia con l'ascesa al potere (1936) di Metaxâs.

Vano invece fu il primo tentativo di conquista del potere che il fascismo tentò in Ungheria con le Croci frecciate di Szálasi nel 1940, anche se poi riuscì momentaneamente nel 1944, quando però il Paese era alla vigilia della disfatta.