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La Voce

è stata una rivista italiana di cultura e politica. Fu fondata nel 1908 da Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini. Attraverso diverse fasi continuò le pubblicazioni fino al 1916. È stata una delle più importanti riviste culturali del Novecento.

"La Voce aprirà le sue colonne come finora non aveva mai fatto, alla creazione artistica dei suoi collaboratori. Essa pubblicherà non soltanto novelle, racconti, versi, non soltanto disegni originali e riproduzioni di quadri e di sculture, ma ogni forma di lirica, dal diario al frammento, dallo schizzo all'impressione. Purché ci sia VITA".

Nella storia de "La Voce" si possono individuare quattro fasi che corrispondono anche al cambiamento redazionale:
* Una prima fase va dal dicembre 1908, inizio della pubblicazione sotto la direzione di Giuseppe Prezzolini, fino al novembre 1911 quando, in occasione della campagna di Libia Gaetano Salvemini, collaboratore, lascia la rivista per fondare la sua "Unità".
* Una seconda fase va dal 1912 fino alla fine del 1913 quando la direzione viene assunta da Giovanni Papini.
 * Una terza fase che dura solamente un anno, 1914, nella quale Prezzolini riprende la direzione della rivista.
* Una quarta fase che dura dalla fine del 1914 al 1916 quando Prezzolini cede la direzione a Giuseppe De Robertis.

La Fondazione

Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini provenivano dall'esperienza del Leonardo, rivista letteraria dalla breve vita (1903-1907). Nel 1908 cominciarono a progettare la nuova rivista. Non doveva essere un periodico di sola letteratura, ma doveva raggiungere tutti gli intellettuali italiani, di qualsiasi vocazione artistica. Esisteva già sulla piazza di Firenze una rivista letteraria, Il Marzocco. Obiettivo di Prezzolini fu superare il diretto concorrente. Durante tutta la fase preparatoria, Prezzolini e Papini si mantennero in contatto epistolare con Benedetto Croce, che svolse un prezioso lavoro di consulenza. Il nome della rivista fu scelto da Prezzolini. La testata fu progettata da Ardengo Soffici. In prima pagina compariva un unico articolo (un "articolo di copertina" diremmo oggi), su quattro colonne. La tiratura iniziale fu di 2.000 copie.

Nel manifesto che appare sul primo numero della rivista, il 27 dicembre 1908, l'editoriale prezzoliniano dichiara: "Non promettiamo di essere dei geni, di sviscerare il mistero del mondo e di determinare il preciso e quotidiano menu delle azioni che occorrono per diventare grandi uomini. Ma promettiamo di essere ONESTI e SINCERI. Noi sentiamo fortemente l'eticità della vita intellettuale, e ci muove il vomito a vedere la miseria e l'angustia e il rivoltante traffico che si fa delle cose dello spirito. Sono queste le infinite forme d'arbitrio che intendiamo DENUNCIARE e COMBATTERE. Tutti le conoscono, molti ne parlano; nessuno le addita pubblicamente. Sono i giudizi leggeri e avventati senza possibilità di discussione, la ciarlataneria di artisti deficienti e di pensatori senza reni, il lucro e il mestiere dei fabbricanti di letteratura, la vuota formulistica che risolve automaticamente ogni problema. Di LAVORARE abbiamo voglia. Già ci proponiamo di tener dietro a certi movimenti sociali che si complicano di ideologie, come il modernismo e il sindacalismo; di INFORMARE, senza troppa smania di novità, di quel che meglio si fa all'estero; di PROPORRE riforme e miglioramenti alle biblioteche pubbliche, di OCCUPARCI della crisi morale delle università italiane; di SEGNALARE le opere degne di lettura e di COMMENTARE le viltà della vita contemporanea".

La prima fase (1908-1911)

La rivista nacque con lo scopo di dare una missione civile all'intellettuale, il quale non deve vivere come se fosse immerso solo nella sua arte, cioè separato dal mondo. La Voce avviò una battaglia di rinnovamento culturale e civile, criticando anche la classe dirigente per la sua inadeguatezza a governare un fase storica caratterizzata da veloci cambiamenti. Tale programma fu realizzato nella prima fase della rivista grazie alla collaborazione di validi intellettuali, come Benedetto Croce, Giovanni Amendola (che scriveva articoli sulla questione dell'analfabetismo), Gaetano Salvemini (che scriveva sulla questione universitaria), Emilio Cecchi, Romolo Murri, Luigi Einaudi. La Voce riscosse un immediato successo. In poco tempo la tiratura passò dalle 2.000 copie iniziali a 2.500 (dopo l'ottavo numero) fino ad attestarsi su una media di 3.000. Radicata a Firenze, la rivista ottenne ottimi consensi anche a Torino, Bologna, Milano e Pisa. In poco tempo La Voce aveva conquistato il suo spazio tra le riviste culturali italiane.

Intellettuali e momento storico

Sorgono analisi, inchieste, numeri unici sul problema del ruolo della classe intellettuale nella società italiana, la scuola, la questione meridionale. L'impegno dei vociani si muove su due fronti: sul fronte della cultura, per un profondo rinnovamento sia del letterato che della sua produzione artistica e per una nuova realtà politico-sociale. La rivista auspica e promuove anche un cambiamento della classe dirigente del Paese. La tesi sostenuta dai vociani è quella che afferma l'unitarietà dei due fronti, in quanto il nuovo letterato potrà nascere diverso dal letterato puramente estetizzante, solo se opererà con un rapporto di osmosi in un diverso contesto civile e politico. Si notano in queste premesse la polemica contro Gabriele D'Annunzio che rappresenta i vizi dell'artista che i vociani vogliono combattere e la polemica contro Giolitti, che con la politica del trasformismo stava impoverendo la vita italiana.

La defezione di Salvemini

Questa fu dunque la linea intrapresa dalla rivista nella sua prima fase, anche se a causa delle diverse idee politiche dei suoi collaboratori, divennero inevitabili alcune differenze di valutazione. Le differenze di vedute all'interno della redazione emersero in tutta la loro profondità in occasione della Campagna di Libia. All'inizio del 1911, mentre il dibattito politico si sviluppava attorno al dilemma se «andare a Tripoli» o meno, Prezzolini dedicò un fascicolo speciale alla Questione meridionale (16 marzo), con saggi di Luigi Einaudi e Giustino Fortunato. Sulla questione di Tripoli, La Voce intervenne con un altro numero speciale (17 agosto) in cui Prezzolini e Gaetano Salvemini valutarono l'opportunità economica di una simile impresa. La loro conclusione fu riassunta nel titolo: «Perché non si deve andare a Tripoli». Salvemini condusse un'accesa campagna sulla rivista scrivendo contro "l'alluvione di menzogne con cui i nazionalisti rendevano popolare l'idea di conquistare la Libia, terra promessa dove gli Arabi ci aspettavano a braccia aperte". Il 5 ottobre, a pochi giorni dall'avvio della spedizione militare, Giovanni Amendola pubblicava un articolo con il quale chiudeva le polemiche e appoggiava l'iniziativa del governo. La sua era la posizione ufficiale de La Voce. Da parte sua, Prezzolini, a guerra iniziata affermava sulla rivista essere "un dovere di disciplina nazionale sacrificare le personali vedute dinanzi all'interesse pubblico". Pochi giorni dopo Salvemini, contrario ad ogni forma di nazionalismo, abbandonò "La Voce".

La seconda fase (1912-1913)

In seguito all'allontanamento di Salvemini, La Voce nel 1912 passa sotto la direzione di Giovanni Papini. Con il nuovo direttore vengono dunque annunciati nuovi obiettivi e delineati i nuovi propositi della rivista. La nuova dichiarazione di intenti vuole fortemente un ritorno alla pura letteratura, abbandonando quel rapporto tra letteratura e vita nazionale che aveva improntato le pagine della rivista nella sua prima fase. Senza dubbio in questa seconda fase la cultura italiana visse un importante arricchimento. Attraverso i numerosi articoli apparsi sulla rivista infatti gli italiani poterono conoscere tante esperienze letterarie fondamentali di altri paesi, attraverso autori quali ad esempio Stephane Mallarmé, André Gide, Paul Claudel e Henrik Ibsen. Il 31 ottobre la direzione torna a Prezzolini, che non cambia la linea editoriale, ma anzi allarga il suo interesse a tutte le forme d'arte. Egli stesso introduce qualche articolo sul cinema, che all'epoca non compare nelle riviste culturali. Nei mesi successivi gli articoli di Amendola e Slataper si fanno sempre più radi. Il gruppo di collaboratori subisce un'ulteriore disgregazione quando, alla fine dell'anno, Giovanni Papini e Ardengo Soffici lasciano per fondare una propria rivista, Lacerba, che presto otterrà un successo di vendite superiore alla Voce.

La terza fase (1914)

Col n. 1 del 13 gennaio 1914, "La Voce" passa da settimanale a quindicinale, cambia formato (da foglio a quaderno) e si dà un nuovo sottotitolo: «Rivista d'idealismo militante». La rivista riprende la linea editoriale originaria: i temi principali sono la cultura e la politica. I nuovi collaboratori, Longhi, De Robertis, Omodeo e Saitta, sono tutti di estrazione gentiliana, a decretare il passaggio dalla filosofia di Croce a quella di Gentile. Il clima è cambiato: non è più tempo di essere equidistanti. La Voce, pur restando un giornale libero, prende posizione e sceglie l'interventismo. Alla fine dell'anno avviene la defezione di Prezzolini, che si trasferisce a Roma.

La quarta fase (1914-1916)

Alla fine del 1914 La Voce passa sotto la direzione di Giuseppe De Robertis che ne fa un periodico esclusivamente letterario. De Robertis dimostra fin dalle prime pagine la sua antipatia per le inquadrature storiche che cercano i rapporti esistenti tra l'artista e il momento storico. Egli punta esclusivamente sul fatto artistico, sull'aspetto artistico del poeta utilizzando un metodo critico che si risolve quasi esclusivamente sulla parola e sulla concezione di una poesia pura, libera da intralci oratori o intellettualistici.

De Robertis e la poetica del frammento

De Robertis sostiene che la dimensione poetica è realizzabile nel frammento venendo così a formulare quella poetica del frammento che opererà per qualche decennio nella letteratura italiana e che troverà la sua migliore applicazione nelle forme dell'ermetismo. Sulle pagine della rivista appariranno in questi anni i primi versi di quegli autori che assumeranno in seguito un ruolo fondamentale nella nostra letteratura: Giuseppe Ungaretti, Aldo Palazzeschi, Dino Campana, Corrado Govoni, Riccardo Bacchelli, Vincenzo Cardarelli, Clemente Rebora.

L'ultimo numero della rivista guidata da De Robertis uscirà il 31 dicembre 1916.