Cap, IV

Socialisti e anarchici contemporanei a Marx

 

Pierre Joseph Proudhon (1803-1865)

Proudhon nacque a Besançon in Francia da un fabbricante di barili per birra. A sedici anni, dopo un'infanzia spesa in lavori familiari per lo più rurali, entrò nella scuola della città, nonostante la famiglia fosse troppo povera per garantirgli i libri necessari. A diciannove anni entrò a lavorare nel campo della stampa, per poi diventare revisore di opere ecclesiastiche in via di pubblicazione. Acquistò in questo modo una discreta conoscenza in ambito teologico che coltivò studiando ebraico e comparandolo al greco, al latino e al francese. Scrisse anche un trattato di grammatica generale, Essai de grammaire génerale, che costituisce una prima prova della sua audacia intellettuale. Nel 1838 ottenne la borsa di studio Suard di 1500 franchi annui per tre anni, offerta in dono dall'Accademia di Besançon come incoraggiamento per le giovani promesse.

Interessi in politica

Nel 1839 scrisse il trattato L'Utilité de la célébration du dimanche, che contiene i primi germogli delle sue idee rivoluzionarie. In questo periodo inoltre si recò a Parigi dove condusse una vita povera, ascetica e dedita allo studio, entrando tuttavia in contatto con gli ideali socialisti che allora fomentavano la capitale francese. Nel 1840 pubblicò Qu'est-ce que la propriété?, Cos'é la proprietà?, in cui sostiene la sua ormai celebre tesi secondo cui "la propriété, c'est le vol","la proprietà è un furto", che gli valse l'antipatia dei membri direttivi dell'Accademia di Besançon, che tuttavia non riuscirono a ritirargli la borsa di studio. Infine nel 1846 diede alla luce la sua più grande opera, il Systéme def contradictions économiques ou Philosophie de la misère,Il sistema delle contraddizioni economiche o La filosofia della povertà. Per qualche tempo Proudhon portò avanti una piccola tipografia a Besançon, ma senza successo. Successivamente divenne una sorta di manager per un'impresa commerciale di Lione. Nel 1847 tuttavia lasciò questo impiego e alla fine si stabilì a Parigi, dove era ora celebrato come uno dei massimi esponenti dell'innovazione. In quest'anno divenne inoltre un massone. Nella corrispondenza con Giuseppe Ferrari sull´unione italiana Proudhon criticava Mazzini in quanto massone (Correspondance vol IX Paris, ed A. Lacroix 1875) e si lamentava spesso di essere perseguito dalla massoneria. Criticando Marx lo definiva in senso spregiativo "massone ebreo" . Nel 1847(nel suo periodo investigativo vedi Silvia Rota Ghibaudi ed. Milano Giuffre` 1965) Proudhon fu avvicinato dalla massoneria ma non divenne massone.

Proudhon e la Rivoluzione del 1848

Proudhon rimase sorpreso dalla Rivoluzione del 1848. Partecipò alla rivolta di Febbraio e alla stesura di quello che definiva "la prima proclamazione repubblicana" della nuova repubblica. Tuttavia ebbe una cattiva impressione del nuovo governo provvisorio, capeggiato da Dupont de l'Eure, un politico di vecchio stampo, oltre che da liberali quali Lamertine, Ledru-Rollin, Crémieux, Burdeau ed altri, che anteponevano la riforma politica a quella socio-economica, che Proudhon considerava basilare. Proudhon pubblicò il proprio punto di vista circa le riforme da affrontare, che fu completato nel 1849, dal titolo Solution du probléme social, Soluzione della questione sociale, nel quale mette a punto un sistema di mutua cooperazione finanziaria tra lavoratori. Riteneva infatti che solamente questo avrebbe potuto trasferire il controllo delle relazioni economiche dai banchieri e dai capitalisti ai lavoratori veri e propri. La parte centrale del suo progetto era la fondazione di una banca che fornisse credito a un basso tasso di interesse ed emanasse banconote per sostituire le valute basate sull'oro. Durante la Seconda Repubblica Francese Proudhon godette di un enorme impatto sul pubblico grazie alla sua attività giornalistica. Era coinvolto in quattro differenti testate: Le Représentant du Peuple (February 1848 - August 1848), Le Peuple (September 1848 - June 1849), La Voix du Peuple (September 1849 - May 1850) e Le Peuple de 1850 (June 1850 - October 1850). Il suo stile polemico, unito all'immagine di osservatore esterno che egli aveva di se stesso, produsse un giornalismo cinico e combattivo che attirava molti lavoratori francesi, nonostante ne allontanasse altri. Criticò ripetutamente le forze armate del governo e promosse la riforma del credito. Alla fine tentò di fondare una banca popolare, Banque du peuple, nel 1849, ma nonostante le oltre 13.000 firme (soprattutto da parte di lavoratori), le emissioni furono limitate a 18.000 franchi e l'intera impresa abortì. Proudhon si candidò per l'assemblea costituente nell'Aprile del 1848, ma non fu eletto, sebbene il suo nome apparse nei ballottaggi a Parigi, Lione, Besançon e Lille. Tuttavia ottenne il successo nelle elezioni complementari tenutesi il 4 giugno e militò come deputato durante i dibattiti per l' Ateliers Nationaux, creato per un decreto del repubblicano Louis Blanc nel Febbraio 1848. L' Ateliers Nationaux doveva garantire l'impiego ai disoccupati, ma Proudhon non fu mai entusiasta di quest'attività, considerandola essenzialmente un'istituzione caritatevole che non risolveva i problemi del sistema economico. Inoltre era contro la sua eliminazione, a meno che non fosse stata trovata una alternativa per i lavoratori che vi erano impiegati. Rimase fortemente colpito dalla violenza della rivoluzione nel 1848, provocata dalla chiusura dell' Ateliers Nationaux. In seguito visitando di persona le barricate ebbe modo di realizzare che la sua presenza alla Bastiglia allora fu una delle azioni più onorevoli della sua vita. Ma in generale, durante gli eventi tumultuosi del 1848, Proudhon si oppose alle insurrezioni predicando una conciliazione pacifica, una decisione che era coerente con il suo impiego contro la violenza: disapprovò difatti le rivolte e le dimostrazioni di Febbraio, Maggio e Giugno 1848. Proudhon morì il 19 gennaio 1865 e fu seppellito a Parigi, nel cimitero di Monparnasse nella cappella di famiglia.

Il pensiero

Proudhon è il primo intellettuale conosciuto per essersi definito "anarchico". Egli definì l'anarchia come "la mancanza di sovrani" in Che cos'è la proprietà? e come il bisogno di "una società senza autorità" in L'idea generale della Rivoluzione. Estese poi questa analisi oltre le mere istituzioni politiche, affermando che "proprietario" è sinonimo di "padrone". Per Proudhon infatti:

«"Capitale" in campo politico è sinonimo di "governo". La concezione economica di capitalismo, quella politica di governo e quella teologica di Chiesa sono tre concetti identici, collegati in modi differenti. Attaccare uno solo di loro equivale ad attaccarli tutti. Quello che il capitale fa al lavoro, e lo Stato alla libertà, la Chiesa lo fa allo spirito. Questa trinità di assolutismo è rovinosa nella pratica tanto quanto nella filosofia. I mezzi più efficienti per opprimere il popolo sarebbero simultaneamente sopprimere e schiavizzare il suo corpo, la sua volontà e la sua ragione. »

Una eccezione all'anarchismo è il suo sessismo, che spingerà Joseph Déjacque(come anche i successivi anarchici) ad accusare Proudhon di essere incoerente con le sue idee anarchiche.Un sessismo dovuto alla difficile vita del lavoratore dove venivano sfruttati donne e bambine. Il ruolo delle donne e´ legato all´importanza nella famiglia e vede la loro emancipazione quando l´uomo sara´in grado di "emanciparsi" nei lavori domestici("sistema delle contraddizioni economiche o Filosofia della Miseria ed. U.T.E.T 1975).

Nei suoi primi lavori Proudhon analizzò la natura e i problemi dell'economia capitalistica e le sue critiche non si limitarono solo al capitalismo, ma riguardarono anche i socialisti suoi contemporanei. Da Che cos'è la proprietà? alla pubblicazione postuma di La teoria della proprietà, dichiarò che "la proprietà è un furto", "la proprietà è insostenibile", "la proprietà è dispotismo" e "la proprietà è libertà". Quando infatti disse "la proprietà è un furto", si riferiva ai possidenti terrieri e ai capitalisti i cui proventi considerava come furti nei confronti dei lavoratori. Per Proudhon il lavoratore di un capitalista è "subordinato, sfruttato: la sua condizione permanente è di obbedienza". Nell'affermare che "la proprietà è libertà", si riferiva invece non solo al prodotto del lavoro individuale, ma anche a quello di contadini e artigiani che ricavano beni dalla vendita dei propri servizi e del proprio surplus.

Per Proudhon l'unica e legittima fonte di proprietà è il lavoro. Quello che chiunque può produrre è di sua proprietà: invocava l'indipendenza dei lavoratori e condannava la proprietà capitalistica dei mezzi di produzione. Rigettò strenuamente alla pari il possesso dei mezzi di produzione da parte della società intera, sostenendo in Che cos'è la proprietà? che "tutto il capitale sociale accumulato, non è di esclusiva proprietà di nessuno". E perciò non approva che la società possegga tutti i mezzi di produzione o tutti i beni terrieri, ma propone piuttosto che chi ne fruisce li possegga (sotto il controllo da parte della società, tramite le regolazioni di mercato). Proudhon si definì socialista ma si oppose al possesso da parte dello Stato dei beni in favore di una proprietà da parte dei lavoratori stessi, organizzati in associazioni. Ciò ne fece uno dei primi intellettuali liberal-socialisti e gli procurò grande influenza nella teorizzazione di un possibile sistema autogestionale. Chiamò questo concetto di fruizione-proprietà, "possesso", e questo sistema economico "mutualismo".

Proudhon aveva molte critiche alla proprietà di terre e capitali, incluse critiche morali, economiche, politiche e di libertà individuale. In una di queste critiche afferma che la proprietà crea profitto, genera instabilità e induce a circoli di debiti che superano la capacità di produzione, spingendo ad aumentare la crescita all'infinito. Un'altra critica afferma che la proprietà crea squilibri sociali e fenomeni di dispotismo che si ritorcono contro i lavoratori stipendiati, soggetti all'autorità illegittima dei datori di lavoro. Verso la fine della sua vita, Proudhon modificò in parte le su originarie convinzioni nel Del principio federativo. In esso definisce il federalismo come teoria dello stato basato sul contratto politico (o di federazione). Afferma che lo stato, per essere coerente con il suo principio, deve equilibrare nella legge l'autorità con la libertà e che questo si ottiene ponendo a perno del loro equilibrio il contratto politico o di federazione fra le persone responsabili. Potrebbe essere questa la "religione civile dell'umanità" per i prossimi secoli. È cosiderato il padre del federalismo integrale.

Nella sua forma di governo ideale, egli rifiuta la presenza di uno stato perché considerato un'istituzione assurda, finalizzata semplicemente allo sfruttamento del lavoro altrui da parte di alcuni uomini. Egli rifiuta ogni tipo di potere al di sopra dell'individuo, ivi compreso Dio che, in ambito religioso, è esattamente come lo stato in ambito politico e la proprietà in quello economico: istituzioni illegittime finalizzate al controllo degli altri uomini ed al loro sfruttamento.

«L’anarchia è una forma di governo o di costituzione nella quale la coscienza pubblica e privata, formata dallo sviluppo della scienza e del diritto, basta da sola a mantenere l’ordine ed a garantire tutte le libertà.»

Ferdinand Lassalle (1825–1864)

Figlio di un mercante ebreo, studiò a Breslavia e a Berlino, ove divenne un fervente hegeliano. socialista tedesco, prese parte alla rivoluzione del 1848 e fu fondatore dell’Associazione generale dei lavoratori tedeschi nel 1863, primo nucleo del Partito socialdemocratico. Pubblicò il Programma operaio (1862). Lassalle, che fu un hegeliano dell’ala conservatrice, propagandò la cosiddetta "legge ferrea dei salari", che sanciva l’impossibilità di continui aumenti salariali. Egli era un perfetto idealista; in opposizione al marxismo, Lassalle spiegava che mentre la società borghese “garantiva” l'illimitato sviluppo delle forze produttive, l'idea morale del proletariato è quella di rendere la produzione ed i servizi utili per la comunità. Lassalle credeva che il proletariato rappresentasse la comunità, solidarietà e reciprocità di interessi. Credeva quindi che la causa dei lavoratori è perciò la causa dell'umanità: quando il proletariato guadagna supremazia politica, si crea allora un più alto grado di moralità, di cultura e di scienza, le quali portano ad uno sviluppo della civiltà. Lassalle, come Hegel, credeva nello Stato quale organo di diritto e di giustizia. Credeva quindi che l proletariato potesse vincere solo attraverso lo Stato; in Scienza ed operaio, scrisse:

"Il corso storico è una lotta contro la natura, contro l'ignoranza e l'impotenza, e, quindi, contro la schiavitù e contro ogni genere di sottomissione alla quale siam stati sottomessi dalle leggi stesse di natura sin dall'inizio della storia. Il progressivo superamento di tale impotenza è l'evoluzione della libertà, della quale la storia dà prova. In questa battaglia l'umanità non avrebbe fatto alcun passo avanti se gli uomini avessero deciso di lottare singolarmente, ognuno per se stesso. Lo Stato è la contemplata unità e la cosciente cooperazione degli individui in un organismo morale unico; la sua funzione è quella di portare avanti questa battaglia, attraverso una combinazione che moltiplica di un milione di volte le forze di tutti gli individui in esso concentrati e che accresce di un milione di volte il potere che ogni singolo individuo sarebbe capace di esercitare singolarmente".

Spiego quindi che "il compito dello Stato è l'educazione e lo sviluppo della libertà del genere umano". Inutile rimarcare ulteriormente le differenza tra questa visione dello Stato, che, in quanto portatore della causa del proletariato. Rende inutile la necessità di una rivoluzione, e la l'interpretazione materialista, la quale giudica lo Stato come lo strumento dell'oppressione di una classe sulle altre.

In quanto unico leader socialista della sua generazione non costretto all’esilio, riuscì comunque, malgrado i suoi difetti teorici, ad esercitare una forte influenza sul movimento proletario tedesco. I suoi seguaci parteciparono alla fondazione del Partito socialdemocratico tedesco.

Ucciso in duello dal Conte di Racowitza il 31 agosto 1864. In una lettera del 7 agosto 1862 ad Engels, Marx scriveva, a proposito di Lassalle: “politicamente non concordiamo in nulla fuor che in alcuni scopi finali alquanto distanti”. Infatti, in opposizione all’idea dell’autoemancipazione proletaria per via rivoluzionaria, Lassalle propugnava un “socialismo dall’alto”, pilotato dallo Stato, inteso hegelianamente come il vertice, il “Dio in terra”. Inoltre, Lassalle dà molta importanza ai singoli individui: nel suo dramma storico Franz von Sickingen, egli presenta le grandi lotte politico-religiose della Riforma sotto l’angolo visuale dei “Grandi Uomini”. Addirittura, Lassalle conduce trattative segrete con Bismarck, al quale promette il sostegno dell’Associazione in cambio di un intervento sociale dello Stato prussiano. Convinto del proprio ruolo messianico di “Grande Liberatore” degli operai, Lassalle mette in piedi, nell’Associazione, una struttura organizzativa ultracentralizzata, autoritaria, antidemocratica, quasi dittatoriale, nella convinzione della “tendenza istintiva della classe operaia alla dittatura” (come scriverà a Bismarck). Marx attacca impietosamente Lassalle, paragonandolo al personaggio del suo dramma (Sickingen) che vuole costringere Carlo V (fuori dal dramma, Bismarck) a porsi alla testa del movimento operaio. Nella Critica del Programma di Gotha, la critica marxiana si fa più pugnace: “è degno della fantasia di Lassalle che si possa costruire con l’ausilio dello Stato una nuova società, come si costruisce una nuova ferrovia!”. Inoltre, Marx sottopone a critica due aspetti che connotano il pensiero lassalliano: a) il messianesimo (che lo avvicina all’aborrito Proudhon), b) il settarismo. In una lettera a Kugelmann del 23 febbraio 1865, Marx scrive che Lassalle si presentava agli operai come un “redentore così ciarlatanesco che prometteva di portarli con un salto nella Terra promessa”.

Michail Alexandrovič Bakunin (1814-1876)

La vita

Mikhail Bakunin nacque nel piccolo villaggio di Prjamuchino, vicino Tver. Figlio di nobili proprietari terrieri, Bakunin frequentò in gioventù la scuola di artiglieria di San Pietroburgo. Prima a Mosca e successivamente a Dresda, si appassionò di filosofia e in particolare agli scritti di Fichte, Schelling ed Hegel. Nel suo girovagare (Mosca, Berlino, Berna, Zurigo e Parigi) incontrò diverse volte Marx e Proudhon (1844-47). Nel frattempo il governo russo gli ritirò, lo status di nobile e lo condannò "in abstentia" ai lavori forzati in Siberia (1844). Nel 1847 fu espulso anche dalla Francia. L'evento che cambiò radicalmente la sua vita, fu però l'insurrezione di Dresda (aprile-maggio 1849), dopo la quale, dopo essere stato catturato dalle truppe tedesche, fu condannato, il 14 gennaio 1850, alla pena di morte, commutata in carcere a vita. Nel 1851 venne trasferito alla Fortezza di Pietro e Paolo, in Russia. In quella circostanza, su richiesta del conte Orlov, scrisse una confessione allo Zar Nicola I. Nel 1857, la pena fu commutata dall'ergastolo all'esilio a vita in Siberia (nel 1858 si sposò con la giovane polacca Antonia Kwiatkowski), da cui riuscì a scappare, attraverso il Giappone e gli Stati Uniti, nel 1861.

Nel 1864 cominciò il suo soggiorno in Italia: a metà del 1864 giunse a Firenze, dove venne accolto trionfalmente; nello stesso anno fondò il giornale "Libertà e Giustizia"; nell’'ottobre 1865 giunse a Napoli (sono di questo periodo gli articoli contro la visone statalista di Giuseppe Mazzini, grande avversario di Bakunin). Nel 1866 tentò di dare una prima impronta organizzativa al movimento anarchico italiano, fondando la Fratellanza Internazionale. Nel 1867 si stabilì a Ginevra, dove assistette al Congresso inaugurale della Lega per la Pace e la Libertà (in cui militavano i democratici di tutta Europa, tra cui Victor Hugo, Stuart Mill, Louis Blanc e Giuseppe Garibaldi, ma senza alcuna velleità rivoluzionarie), con la speranza di trascinarla su posizioni più radicali, e scrisse "Libertà, Federalismo e Anti-teologismo". Il 25 settembre del 1868, la fazione dei socialisti rivoluzionari si scisse dalla "Lega per la Pace e la Libertà", e originando l'Alleanza Internazionale dei Socialisti Democratici (sciolta poi nel 1869), aggregandosi all' Associazione Internazionale dei Lavoratori (Bakunin aderì alla sezione ginevrese). Nel 1869 entrò in contatto con il rivoluzionario russo Netchaiev e autore del "Catechismo rivoluzionario". Nel 1870, fu espulso dall'Associazione per essersi dichiarato solidale con la sezione del Giura che si era fatta simbolo dei contrasti tra autoritari e anti-autoritari. In quesi anni dovette difendersi dalle accuse infamanti che gli rivolgeva Karl Marx, secondo il quale Bakunin era spia del Partito Panslavista.

Durante la guerra franco-prussiana, nel 1871 tentò di fomentare una sommossa popolare a Lione, dove costituì un Comitato di salute della Francia che proclamò l'abolizione dello Stato e la federazione dei comuni rivoluzionari (il fallimento dell'impresa lo costrinse a fuggire). Nel 1871 scrisse "La Comune di Parigi e l'Idea di Stato" e "La teoria politica di Mazzini e l'Internazionale. Dopo essere stato espulso, il 7 settembre 1872 dall'Internazionale al Congresso dell'Aia", nello stesso anno, a Saint-Imier, organizzò, con le sezioni "ribelli" dell'Internazionale (tra cui quelle del del Giura che costituirono la Federazione anarchica del Giura), il primo congresso dell'Internazionale antiautoritaria. Nel 1873 scrisse la sua unica opera completa, "Stato e Anarchia". Nell’estate del 1873, grazie ai capitali forniti dall'amico Carlo Cafiero, Bakunin poté acquistare un ampio appezzamento a Minusio (nel Canton Ticino, in Svizzera), chiamato "La Baronata", dove fece costruire una nuova abitazione. Nel 1874 Bakunin fu tra gli organizzatori dell' insurrezione di Bologna, ma il fallimento dell'impresa lo costrinse a fuggire in Svizzera, a Locarno (andò via da La Baronata a causa di una serie di incomprensioni con Cafiero, che successivamente vennero riappianate). Morì il 1°luglio di quattro anni dopo, nel 1876.

Il pensiero

In apparenza asistematico, il pensiero di Bakunin ruota attorno all'idea, fondamentale per lui, di libertà. La libertà è il bene supremo che il rivoluzionario deve cercare a qualunque costo. Bakunin non ammette che la libertà individuale venga limitata da quella degli altri:

“Io non sono veramente libero che quando tutti gli esseri umani che mi circondano, uomini e donne, non sono ugualmente liberi” .

La libertà può essere realizzata solo se ogni individuo insorge contro la società che “domina con gli uomini, con i costumi e le usanze, con la massiccia pressione dei sentimenti, dei pregiudizi e delle abitudini…la sua azione è molto più potente di quella dell’autorità dello Stato”. Ribellarsi contro questi “valori” imposti dalla società, significa ribellarsi contro se stesso, in quanto ogni individuo non è altro che il prodotto della società.

La libertà è però irrealizzabile senza l'uguaglianza di fatto (uguaglianza sociale, politica, ma soprattutto economica). I fenomeni che spingono gli uomini all'ineguaglianza e alla schiavitù sono due: Dio e la religione, lo Stato e il Capitale. Abbattuti questi, grazie a una rivoluzione strettamente popolare, si sarebbe giunti all'Anarchia.

Dio e la religione

La religione, ed in particolare il cristianesimo, hanno prodotto “l’annientamento dell’umanità a profitto della divinità”, quindi “se Dio esiste, l’uomo è uno schiavo. Ora l’uomo può, deve essere libero: dunque Dio non esiste” . (Bakunin in "Dio e lo Stato")

Bakunin ritiene che ammettere l’esistenza di Dio significa abdicare alla ragione e alla giustizia. Dio priva la libertà all’uomo non solo nel pensiero, ma anche nella vita concreta e reale: obbedire a Dio significa obbedire ai suoi rappresentanti in terra (Stato, Chiesa, preti, vescovi, re, capi di stato ecc.). Infatti ogni tiranno, ogni peggior nemico della libertà, ha legittimato la propria autorità coll’approvazione divina. L’ateo è comunque solo parzialmente libero; lo è solo spiritualmente. Per completare il proprio percorso deve trovare nella società la completa libertà sociale e individuale.

Lo Stato e il Capitale

La dottrina dello Stato di Bakunin è ciò che differenzia, fin dalla loro formazione, le due correnti del socialismo ottocentesco e novecentesco. Lo Stato, per definizione di ambedue le fazioni, rappresenta quell'insieme di organi polizieschi, militari, finanziari ed ecclesiastici che permettono alla classe dominante (la borghesia) di rimanere in possesso dei suoi privilegi. La differenza si presenta però nell'utilizzo dello Stato durante il periodo rivoluzionario. Per i marxisti, infatti, si sarebbe dovuta presentare una situazione in cui lo Stato sarebbe stato arma in mano al proletariato per eliminare la controrivoluzione. Solo allora, con la dissoluzione dell'apparato statale si sarebbe passati all'assenza di classi. La posizione di Bakunin (e, con lui, di tutti gli anarchici) è che lo Stato, strumento prettamente in mano alla borghesia, non può essere usato che contro il proletariato: dato che l'intera classe sfruttata non può amministrare l'infrastruttura statale, ci vorrà una classe burocratica che lo amministri. Bakunin temeva l'inevitabile formazione di una "burocrazia rossa", padrona dello Stato e nuova dominatrice. L'ugualianza e quindi la libertà, secondo il pensatore Russo, non possono esistere nella società marxista. Lo Stato va quindi abbattuto in fase rivoluzionaria. Se lo Stato è l'aspetto politico dello sfruttamento della borghesia, il Capitale ne è quello economico. Qui le differenze del marxismo sono inesistenti (basti pensare che il primo libro de Il Capitale fu tradotto in Russo proprio da Bakunin). La differenza tra la concezione marxiana e quella bakuniana del Capitale, è che per Bakunin questo non è elemento fondante dello sfruttamento. Anche se non esplicitato, nella sua opera non viene fatto riferimento alcuno alla concezione materialistica della storia (che prevede l'aspetto economico della società come basilare per l'analisi della stessa).

La rivoluzione

Un aspetto importante del pensiero di Bakunin è l'azione rivoluzionaria. Bakunin ha perseguito per tutta la vita questo scopo e, in alcune parti della sua opera, sono rintracciabili le linee guida della concezione rivoluzionaria del pensatore russo. In primo luogo la rivoluzione deve essere essenzialmente popolare: il senso di questa affermazione va ricercato ancora nel contrasto con Marx. I comunisti credevano in un'avanguardia che dovesse guidare le masse popolari attraverso il cammino rivoluzionario. Bakunin invece prevedeva una società segreta che avrebbe dovuto solamente sobillare la rivolta, la quale poi si sarebbe auto-organizzata dal basso. Altra differenza con il marxismo è l'identificazione del soggetto rivoluzionario. Se Marx vedeva nel proletariato industriale spina dorsale della rivoluzione (mettendolo in contrapposizione con una classe agricola reazionaria), Bakunin credeva nell'unione tra il ceto contadino e il proletariato l'unica possibilità rivoluzionaria. Marx, in alcuni suoi scritti, non nega la possibilità che il trionfo del proletariato possa giungere senza spargimenti di sangue. Bakunin è invece categorico su questo punto: la rivoluzione, essendo spontanea e popolare, non può essere altro che violenta.

L'anarchia

Bakunin ha preferito non affrontare approfonditamente il problema del dopo rivoluzione, limitandosi a dare qualche idea di fondo. Se avesse dato indicazioni precise sul funzionamento delle società anarchiche, infatti, avrebbe negato la necessità di autodeterminazione delle stesse. Innanzitutto, la dottrina anarchica di Bakunin è basata sull'assenza dello sfruttamento e del governo dell'uomo sull'uomo. La produzione industriale e agricola è fondata non più sull'azienda, ma sulle libere associazioni, composte, amministrate ed autogestite dai lavoratori stessi attraverso le assemblee plenarie. L'aspetto della partecipazione diretta del popolo alla politica, ripresa dal pensiero di Proudhon, è fondata sul cosiddetto federalismo libertario, teoria che prevede una scala di assemblee organizzate dal basso verso l'alto, dalla periferia al centro. La differenza fondamentale tra l'organizzazione anarchica voluta da Bakunin e una concezione autoritaria della società consiste nella direzione delle decisioni. Se dieci libere associazioni (fabbriche, unità territoriali, ecc.) sono federate in un'associazione più grande, quest'ultima non può imporre nulla alle associazioni-membro, in nessun caso. Sono i membri delle associazioni più piccole che, riunendosi assieme, possono decidere forme di collaborazione e di reciproco aiuto, quindi il processo decisionale va dal basso all'alto. Naturalmente Bakunin non è contrario in senso assoluto alla delega, perciò le assemblee delle federazioni non devono necessariamente essere plenarie; ma il mandato è sempre revocabile e il mandatario deve obbedire all'assemblea che lo ha nominato.