CAPITOLO XL – IL CARDINALE

 

 

Il Cardinale appoggiò il gomito sul manoscritto e la guancia sulla mano, poi guardò per un attimo il giovanotto. Nessuno aveva un occhio più profondamente penetrante di quello di Richelieu, e d'Artagnan sentì quello sguardo trascorrere per tutte le sue vene come una febbre. Purtuttavia rimase impassibile tenendo il cappello in mano, attendendo, senza troppo orgoglio ma anche senza umiltà, che il Cardinale gli rivolgesse la parola. "Signore" gli disse il Cardinale "siete voi un d'Artagnan del Bearn?" "Si, Monsignore" rispose il giovanotto. "Vi sono molti rami di d'Artagnan a Tarbes e nei dintorni" disse il Cardinale "a quale appartenete?" "Sono il figlio di colui che fece le guerre religiose col gran re Enrico, padre di Sua Graziosa Maestà." "Proprio così. E siete voi che sette od otto mesi fa lasciaste il vostro paese per venire a Parigi a cercar fortuna?" "Sì, Monsignore." "Siete venuto passando da Meung, dove vi capitò qualche cosa, non so bene che cosa, ma, infine, qualche cosa di spiacevole." "Monsignore" disse d'Artagnan "ecco quel che mi capitò…" "Inutile, inutile" disse il Cardinale con un sorriso che dimostrava come egli sapesse la cosa così bene come colui che voleva raccontargliela "voi eravate raccomandato al signor di Tréville, è vero?" "Sì, Monsignore, ma proprio in quel disgraziato incidente di Meung…" "Perdeste la lettera" terminò Sua Eminenza "sì, lo so; ma il signor di Tréville, che è un buon fisionomista e che conosce gli uomini a prima vista, vi fece entrare nella compagnia di suo cognato il signor Des Essarts e vi lasciò sperare di farvi entrare, un giorno o l'altro, nei moschettieri." "Monsignore è perfettamente informato" osservò d'Artagnan. "Da allora vi sono capitate molte cose; siete andato a passeggiare dietro i Certosini un giorno in cui sarebbe stato meglio che foste da tutt'altra parte; poi, insieme con i vostri amici, avete fatto un viaggio alle acque di Forges; essi si fermarono lungo la strada, ma voi continuaste il viaggio per la semplicissima ragione che avevate degli affari da sbrigare in Inghilterra." "Monsignore" mormorò d'Artagnan interdetto "andavo…" "A caccia, a Windsor o altrove, ciò non mi riguarda. Lo so, perché nella posizione in cui sono, debbo saper tutto. Al vostro ritorno foste ricevuto da un'augusta persona e vedo con piacere che avete serbato il ricordo ch'ella vi ha donato." D'Artagnan portò la mano al diamante ricevuto dalla Regina e fu pronto a voltarne il costone all'interno, ma ormai era troppo tardi. "Il giorno dopo" continuò il Cardinale "avete ricevuto la visita di Cavois, che veniva a pregarvi di recarvi al mio palazzo; voi non gli avete reso la visita, e avete avuto torto." "Monsignore, credevo di essere dispiaciuto a Vostra Eminenza." "E perché, signore? Spiacermi per avere eseguito gli ordini dei vostri superiori con più intelligenza e coraggio di qualunque altro? Spiacermi quando meritavate degli elogi? Io punisco coloro che non obbediscono e non coloro che, come voi, obbediscono… troppo bene. E, in prova di ciò, vi prego di ricordare la data del giorno in cui vi feci dire di venire da me e cercate di richiamare alla memoria ciò che vi capitò la stessa sera." Proprio in quella sera era stata rapita la signora Bonacieux. D'Artagnan fremette pensando che appena mezz'ora prima la povera donna gli era passata vicina sempre in balìa, probabilmente, della stessa potenza che l'aveva fatta sparire. "Infine" continuò il Cardinale "siccome da un poco in qua non avevo sentito parlare di voi, ho voluto sapere ciò che facevate. D'altronde, voi mi dovete bene qualche ringraziamento, poiché non potete non aver notato con quanti riguardi siete stato trattato in ogni circostanza." D'Artagnan s'inchinò rispettosamente. "E questo" continuò il Cardinale "dipendeva non soltanto da un naturale senso di equità, ma anche da un piano che io mi ero tracciato nei vostri riguardi." Il giovanotto era sempre più stupito. "Volevo esporvi questo piano il giorno in cui riceveste il mio primo invito, ma voi non veniste. Fortunatamente, nulla è andato perduto per questo ritardo e oggi lo sentirete. Sedetevi qui, davanti a me, signor d'Artagnan; siete nobile abbastanza perché non dobbiate ascoltarmi stando in piedi." E il Cardinale indicò una sedia al giovanotto, il quale era così stupito di ciò che accadeva che, per obbedire, attese un secondo segno del suo interlocutore. "Voi siete coraggioso, signor d'Artagnan" continuò Sua Eminenza "voi siete prudente, il che è meglio. Io amo gli uomini intelligenti e di cuore; non spaventatevi" aggiunse sorridendo "quando dico uomini di cuore, voglio dire coraggiosi; ma, sebbene siate giovanissimo e alle vostre prime armi, voi avete dei nemici assai potenti; se non starete in guardia, essi vi perderanno." "Ahimè, Monsignore" rispose il giovinotto "essi potranno farlo molto facilmente, senza dubbio, perché sono forti, hanno molti appoggi, e io sono solo!" "E' vero; ma sebbene siate solo, molto avete fatto e di più farete, non ne dubito. Però credo che abbiate bisogno d'esser guidato nell'avventurosa carriera che avete scelto; perché, se non m'inganno, siete venuto a Parigi con l'ambiziosa idea di far fortuna." "Sono nell'età delle folli speranze, Monsignore" disse d'Artagnan. "Solo per gli sciocchi vi sono folli speranze, signore, e voi siete un uomo di spirito. Vediamo, che cosa direste per esempio se vi dessi un grado nelle mie guardie; e il comando di una compagnia, subito dopo la guerra?" "Ah, Monsignore!" "Accettate, è vero?" "Monsignore!" ripeté d'Artagnan con imbarazzo. "Come, rifiutate?" esclamò il Cardinale meravigliato. "Sono nelle guardie di Sua Maestà, Monsignore, e non ho ragione di esserne scontento." "Mi sembra" disse Sua Eminenza "che le mie guardie siano anche le guardie del Re; e che servendo in qualunque compagnia francese, si serva il Re." "Monsignore, Vostra Eminenza ha male interpretato le mie parole." "Volete un pretesto, è vero? Capisco. Ebbene, questo pretesto lo avete. L'avanzamento, la campagna che si inizia, l'occasione che vi offro, ecco per il mondo, per voi, il bisogno di una protezione sicura; perché è bene sappiate, signor d'Artagnan, che ho ricevuto delle gravi lagnanze sul conto vostro; voi non consacrate i vostri giorni e le vostre notti all'esclusivo servizio del Re." D'Artagnan arrossì. "D'altronde" continuò il Cardinale posando le mani sopra un mucchio di carte "ho qui tutto un incartamento che vi riguarda; ma prima di leggerlo ho voluto parlare con voi. So che siete un uomo risoluto e i vostri servigi, ben diretti, anziché guidarvi al male, potrebbero procurarvi grandi vantaggi. Suvvia, riflettete e decidetevi." "La vostra bontà mi confonde, Monsignore" rispose d'Artagnan "e riconosco in Vostra Eminenza una grandezza d'animo che mi rende piccolo come un verme della terra; ma poiché Monsignore vuol permettermi di parlare con franchezza…" D'Artagnan si arrestò. "Parlate, parlate." "Ebbene, dirò a Vostra Eminenza che tutti i miei amici sono nei moschettieri o nelle guardie del Re, e che i miei nemici, per un'inspiegabile fatalità, sono nelle guardie dell'Eminenza Vostra; sarei dunque male accolto qui e malvisto là se accettassi ciò che Monsignore mi offre." "Avreste forse già l'orgogliosa idea che io non vi stimi per quel che valete, signore?" disse il Cardinale con un sorriso sdegnoso. "Vostra Eminenza è cento volte troppo buono con me e, al contrario, io penso di non aver fatto ancora abbastanza per meritare la sua bontà. L'assedio di La Rochelle sta per cominciare, Monsignore; servirò dunque sotto gli occhi di Vostra Eminenza e se avrò la fortuna di comportarmi in modo degno di attirare i suoi sguardi, ebbene!, dopo avrò per lo meno dietro di me qualche azione brillante che giustificherà la protezione della quale l'Eminenza Vostra vuole onorarmi. Ogni cosa a suo tempo, Monsignore; forse più tardi avrò il diritto di far dono di me stesso, ora si direbbe che mi vendo." "Vale a dire che rifiutate di servirmi, signore" disse il Cardinale con un dispetto attraverso il quale trapelava tuttavia una certa stima "rimanete dunque libero e siate costante nei vostri odi e nelle vostre simpatie." "Monsignore…" "Bene, bene" continuò il Cardinale "non ve ne serbo rancore; lo capite, è già abbastanza faticoso difendere i propri amici e ricompensarli, perché ci si debba occupare anche dei nemici; tuttavia voglio darvi un consiglio: comportatevi bene, signor d'Artagnan, perché dal momento che non vi proteggerò più, non comprerei la vostra vita per un obolo." "Mi sforzerò, Monsignore" assicurò il Guascone con nobile fierezza. "E più tardi, se dovesse capitarvi qualche disgrazia" disse Richelieu con intenzione "ricordatevi che sono stato io a provocare questo incontro e che ho fatto tutto il possibile perché questa disgrazia non vi colpisse." "Qualunque cosa mi capiti" esclamò d'Artagnan mettendosi una mano sul petto e inchinandosi "serberò eterna riconoscenza a Vostra Eminenza per quanto ha fatto in questo momento per me." "Ebbene, ci rivedremo dopo la guerra, come avete detto voi stesso, signor d'Artagnan; vi osserverò attentamente, perché anch'io sarò laggiù" soggiunse il Cardinale indicando una magnifica armatura che doveva indossare "e al nostro ritorno, ebbene, faremo i conti." "Ah! Monsignore, ve ne scongiuro, risparmiatemi il peso del vostro corruccio; rimanete neutrale, Monsignore, se vi pare che io agisca da galantuomo." "Giovanotto" disse Richelieu "se mi si presenterà l'occasione di ripetervi ciò che vi ho detto oggi, lo farò, ve lo prometto." Quest'ultima frase di Richelieu esprimeva un dubbio terribile; era un avvertimento e d'Artagnan ne fu costernato più che da una minaccia. Il Cardinale cercava dunque di preservarlo da qualche sciagura che lo minacciava? Aprì la bocca per rispondere, ma con un gesto altero il Cardinale lo congedò. D'Artagnan uscì ma alla porta per poco il cuore non gli mancò e fu lì per rientrare; ma la figura grave e severa di Athos gli apparve: se avesse stretto il patto che il Cardinale gli proponeva, Athos non gli avrebbe mai più stretto la mano, Athos lo avrebbe rinnegato. Fu questo timore a trattenerlo, il che dimostra quale possente influenza eserciti un carattere veramente nobile su tutti coloro che lo circondano. D'Artagnan scese la stessa scala che aveva salito entrando e trovò sulla porta Athos e i quattro moschettieri che aspettavano il suo ritorno e cominciavano a essere inquieti. Con una parola d'Artagnan li rassicurò e Planchet corse ad avvertire gli altri posti che era inutile montare ulteriormente la guardia, poiché il suo padrone era uscito sano e salvo dal Palazzo Cardinale. Tornati a casa di Athos, Aramis e Porthos s'informarono delle cause di quello strano appuntamento; ma d'Artagnan si limitò a dir loro che Richelieu lo aveva fatto chiamare per proporgli di entrare nelle sue guardie col grado di alfiere, e che aveva rifiutato. "E avete fatto bene" esclamarono a una voce Porthos e Aramis. Athos si immerse in una profonda fantasticheria e non rispose nulla; ma quando si trovò solo col suo giovane amico, disse: "Voi avete fatto ciò che dovevate fare; ma forse avete fatto male." D'Artagnan sospirò perché quella voce rispondeva a una voce segreta della sua anima, la quale lo avvertiva che doveva prepararsi a grandi disgrazie. Il giorno dopo passò in preparativi per la partenza; d'Artagnan andò a salutare il signor di Tréville. Si credeva che la separazione delle guardie dai moschettieri sarebbe stata momentanea perché il Re teneva parlamento quello stesso giorno e doveva partire il dì seguente. Il signor di Tréville si limitò dunque a chiedere a d'Artagnan se avesse bisogno di lui, ma d'Artagnan rispose fieramente che aveva tutto quanto gli occorreva. La notte riunì tutti i camerati della compagnia delle guardie del signor Des Essarts e della compagnia dei moschettieri del signor di Tréville che avevano stretto amicizia fra loro. Si separavano per rivedersi quando piacesse a Dio e se piacesse a Dio. La notte, com'è facile immaginare, trascorse quindi assai rumorosamente perché in simili casi non c'è altro mezzo per combattere l'estrema preoccupazione che l'estrema spensieratezza. Il giorno dopo, ai primi squilli delle trombe, gli amici si lasciarono; i moschettieri corsero al palazzo del signor di Tréville, le guardie a quello del signor Des Essarts. Il capitano condusse le loro compagnie al Louvre e il Re le passò in rivista. Il Re era triste e pareva malato, il che gli toglieva un po' della sua grande aria abituale. Infatti, il giorno prima era stato assalito dalla febbre, in parlamento, mentre teneva il suo letto di giustizia{31}. Però era ugualmente risoluto a partire quella stessa sera e, nonostante le osservazioni fattegli in proposito, aveva voluto passare la rivista, sperando, con una prima energica reazione, di riuscire a vincere il male che stava impadronendosi di lui. Finita la rivista, solo le guardie si misero in marcia, perché i moschettieri dovevano partire soltanto col Re, il che permise a Porthos di andare a fare un giretto in Via degli Orsi col suo magnifico equipaggio. La procuratrice lo vide passare, vestito della sua nuova uniforme, sul suo bel cavallo. Essa amava troppo Porthos per lasciarlo partire così; gli fece segno di scendere da cavallo e di andare da lei. Porthos era magnifico; i suoi speroni tintinnavano, la sua corazza scintillava, la spada gli batteva fieramente sulle gambe. Questa volta gli scrivani non tentarono neppure di sorridere, tanto Porthos aveva l'aria di un uomo abituato a tagliare le orecchie agli insolenti. Il moschettiere fu introdotto alla presenza di mastro Coquenard, e l'occhio piccolo e grigio di questi ebbe un lampo di collera vedendo suo cugino così nuovo e fiammante. Però un pensiero recondito lo racconsolò un poco; tutti dicevano che la guerra sarebbe stata lunga e difficile, ed egli sperava con tutto il cuore che Porthos ci avrebbe lasciato la pelle. Porthos presentò i suoi complimenti a mastro Coquenard e gli fece i suoi saluti; mastro Coquenard gli augurò ogni specie di prosperità. Quanto alla signora Coquenard, ella non seppe trattenere le lacrime; ma anche questo sfogo del suo dolore non fece cattiva impressione, perché si sapeva che ella amava molto i suoi parenti, per i quali si era sempre accapigliata molto col marito. I veri addii però furono fatti nella camera della signora Coquenard; e furono strazianti. Finché la procuratrice poté scorgere il suo amante, agitò disperatamente il fazzoletto sporgendosi dalla finestra. Porthos ricevette tutte queste prove di tenerezza da uomo abituato a simili dimostrazioni; solamente, allorché fu all'angolo della strada, si tolse il cappello e lo agitò in aria in segno di saluto. Aramis, dal canto suo, scriveva una lunga lettera. A chi? Nessuno lo avrebbe potuto dire. Ma nella camera vicina, Ketty, che doveva partire la stessa sera per Tours, aspettava questa lettera misteriosa. Athos beveva a piccoli sorsi l'ultima bottiglia del suo vino di Spagna. Nel frattempo d'Artagnan sfilava con la sua compagnia. Arrivato al sobborgo Sant'Antonio, si volse per guardare allegramente la Bastiglia; ma poiché guardava soltanto la Bastiglia, non vide Milady che, in sella a un cavallo di color isabella, lo indicava col dito a due uomini dal viso sinistro che si avvicinarono immediatamente al reparto per riconoscerlo. A un'interrogazione che rivolsero con lo sguardo a Milady, essa con un cenno del capo fece capire che era proprio lui. Poi, ben certa che non vi sarebbero stati errori nell'esecuzione dei suoi ordini, spronò il cavallo e disparve. I due uomini seguirono la compagnia, e una volta usciti dal sobborgo Sant'Antonio, salirono su due cavalli già sellati che un domestico senza livrea teneva per le briglie aspettandoli.

 

 

 

 

 

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