CAPITOLO XXXIII - CAMERIERA E PADRONA

 

 

Intanto, come abbiamo detto, nonostante i saggi consigli di Athos e i suoi rimorsi, d'Artagnan s'innamorava sempre più di Milady, tanto che non trascurava di andare ogni giorno a farle una corte alla quale l'avventuroso Guascone era convinto che, prima o poi, essa avrebbe finito per corrispondere. Una sera che si recava spensieratamente da lei, felice come colui che aspetta una pioggia d'oro, egli incontrò sotto la porta carraia la cameriera; ma questa volta la bella Ketty non si accontentò di sorridergli passando, ma lo prese gentilmente per la mano. "Bene!" pensò d'Artagnan "è incaricata di qualche ambasciata per me da parte della sua padrona; certo mi darà qualche appuntamento che non ha osato darmi ella stessa." E guardò la bella figliuola con aria da conquistatore. "Vorrei dirvi due parole, signor cavaliere…" balbettò la cameriera. "Parla, ragazza mia" disse d'Artagnan "parla, ti ascolto." "Qui è impossibile perché quanto debbo dirvi è troppo lungo e soprattutto troppo segreto." "E come si può fare allora?" "Se il signor cavaliere volesse seguirmi" disse timidamente Ketty. "Dove vorrai, mia bella ragazza." "Allora venite." E Ketty, che non aveva lasciato la mano di d'Artagnan, lo trascinò su per una piccola scala buia che girava, e dopo avergli fatto salire una quindicina di gradini, aprì una porta. "Entrate, signor cavaliere" disse "qui saremo soli e potremo parlare." "Ma di chi è questa camera, bella figliuola?" domandò d'Artagnan. "E' la mia, signore, e comunica per mezzo di questa porta con quella della mia padrona. Ma state tranquillo, ella non potrà udire ciò che diremo perché non si corica mai prima di mezzanotte." D'Artagnan gettò un'occhiata intorno a sé. La stanzetta era deliziosa per il gusto e la pulizia; però, senza che lo volesse, i suoi occhi si fissarono su quella porta che, secondo quanto aveva detto Ketty, conduceva alla camera di Milady. Ketty indovinò ciò che passava nella mente del giovanotto, e sospirò. "Voi amate dunque molto la mia padrona, signor cavaliere?" domandò. "Più di quanto possa dire! Ne sono pazzo!" Ketty sospirò ancora. "Ahimè, signore" disse "è un vero peccato." "Che diavolo ci vedi di male?" domandò d'Artagnan. "Gli è che, signore" riprese Ketty "la mia padrona non vi ama minimamente." "Ah!" fece d'Artagnan. "Ti ha forse incaricato di dirmelo?" "Oh, no, signore: sono io che, mossa dall'interesse che vi porto, ho preso la risoluzione di avvertirvi." "Grazie, mia buona Ketty, ma dell'intenzione solamente, perché la tua confidenza, ne converrai, non può essermi gradita." "Vale a dire che voi non credete forse a quanto vi dico?" "Si fa sempre una certa fatica a credere a questo genere di cose, non foss'altro che per amor proprio." "Dunque non mi credete?" "Confesso che finché non ti degnerai di darmi qualche prova di quanto affermi…" "Che cosa dite di questo?" Ketty levò dal seno un bigliettino. "Per me?" chiese d'Artagnan impadronendosene subito. "No, è per un altro." "Per un altro?" "Sì." "Il suo nome! Il suo nome!" esclamò d'Artagnan. "Leggete l'indirizzo." "Il signor conte di Wardes!" Il ricordo della scena di Saint-Germain si presentò immediatamente al pensiero del presuntuoso Guascone che, con mossa rapida come un lampo, strappò la busta senza preoccuparsi del grido di Ketty spaventata di quanto egli faceva. "Dio mio!" esclamò. "Che avete fatto, signor cavaliere?" "Io? nulla" disse d'Artagnan e lesse. "Non avete risposto al mio primo biglietto; siete dunque malato o avete dimenticato con che occhi mi guardavate al ballo del conte di Guisa? Eccovi l'occasione, conte! Non lasciatevela sfuggire!" D'Artagnan impallidì; il suo amor proprio ferito gli faceva credere di soffrire per amore. "Povero caro signor d'Artagnan!" disse Ketty con una voce piena di compassione stringendogli nuovamente le mani. "Tu mi compiangi, buona creatura!" disse d'Artagnan. "Oh, sì! con tutto il cuore! perché so che cosa è l'amore!" "Tu sai che cos'è l'amore?" disse d'Artagnan guardandola per la prima volta con una certa attenzione. "Ahimè, sì." "Ebbene, invece di compiangermi, faresti meglio ad aiutarmi a vendicarmi della tua padrona." "E che genere di vendetta vorreste prendervi?" "Quella di trionfare di lei, di soppiantare il mio rivale." "Non vi aiuterò mai per questo, signor cavaliere" disse Ketty impetuosamente. "E perché?" domandò d'Artagnan. "Per due ragioni." "Quali?" "La prima è che la mia padrona non vi amerà mai." "E che ne sai tu?" "Voi l'avete ferita al cuore." "Io? E come posso averla ferita, io che da quando la conosco vivo ai suoi piedi come uno schiavo? Se lo sai, dimmelo, te ne scongiuro." "Non confesserò mai ciò se non all'uomo… che saprà leggermi in fondo al cuore." D'Artagnan guardò Ketty per la seconda volta. La giovane era così fresca e bella che molte duchesse avrebbero dato loro corona per assomigliarle. "Ketty" disse "io saprò leggere nel tuo cuore, se lo vorrai." E le diede un bacio per il quale la povera figliuola diventò rossa come una ciliegia. "Oh, no! Voi non mi amate!" esclamò Ketty. "Voi amate la mia padrona, me lo avete detto poco fa." "Ed è questo che ti impedisce di dirmi la seconda ragione?" "La seconda ragione, signor cavaliere" rispose Ketty resa ardita prima dal bacio, poi dall'espressione degli occhi del giovanotto "è che in amore ciascuno pensa a sé." Allora solamente d'Artagnan si ricordò le occhiate languide di Ketty, gli incontri in anticamera, sulle scale, nel corridoio, lo sfiorarsi delle mani ogni volta che la incontrava, i sospiri soffocati; ma, assorbito dal desiderio di piacere alla grande dama, egli aveva trascurato la servetta; chi caccia l'aquila non può preoccuparsi del passero. Questa volta il nostro Guascone vide con un solo colpo d'occhio quale partito potesse trarre dall'amore che Ketty gli aveva allora allora confessato in modo così ingenuo e sfrontato; intercettazione delle lettere indirizzate al conte di Wardes, presenza di un'informatrice nella piazzaforte, ingresso a tutte le ore nella camera di Ketty che era contigua a quella della padrona. Il perfido, come si vede, sacrificava già mentalmente la povera figliuola pur di avere Milady per amore o per forza. "Ebbene" disse alla ragazza "mia cara Ketty, vuoi una prova del mio amore del quale dubiti?" "Di quale amore?" domandò la servetta. "Di quello che sono pronto a provare per te." "Qual è la prova che mi offrite?" "Vuoi che questa sera passi con te il tempo che di solito passo con la tua padrona?" "Oh! sì" esclamò Ketty battendo le mani "ben volentieri." "Ebbene, mia cara bambina" e d'Artagnan sedette in una poltrona "vieni qui; voglio dirti che sei la più bella cameriera che lo abbia mai visto." E parlò così bene e con tanta foga che la poveretta, la quale non desiderava se non di essere convinta, gli credette… Tuttavia, con grande meraviglia di d'Artagnan, la graziosa Ketty si difendeva con energia. Il tempo passa presto quando lo si impiega nell'attaccare e nel difendersi. Mezzanotte suonò e quasi simultaneamente si udì squillare il campanello di Milady. "Gran Dio!" esclamò Ketty. "Ecco che la padrona mi chiama. Andatevene via subito!" D'Artagnan si alzò e prese il cappello come se avesse l'intenzione di obbedire; poi, aprendo vivamente lo sportello di un grande armadio, invece di aprire la porta delle scale, vi si rannicchiò dentro, fra gli abiti e le vestaglie di Milady. "Che cosa fate?" esclamò Ketty. D'Artagnan, che s'era già impadronito della chiave, si chiuse nell'armadio senza rispondere. "Ebbene!" gridò Milady con voce aspra "perché non venite quando suono? Dormivate forse?" D'Artagnan sentì aprire con violenza la porta di comunicazione. "Eccomi, Milady, eccomi" esclamò Ketty correndo incontro alla padrona. Tutte due rientrarono nella camera da letto e siccome la porta di comunicazione rimase aperta, d'Artagnan poté udire ancora per un po' Milady sgridare la sua cameriera; poi finalmente essa si calmò e la conversazione cadde su di lui mentre Ketty preparava la padrona per la notte. "Ebbene" disse Milady "questa sera il nostro Guascone non si è visto." "Come, signora" disse Ketty "non è venuto? Possibile che sia volubile prima di esser felice?" "Oh, no! Conviene pensare che sia stato impegnato col signor di Tréville o col signor Des Essarts. Me ne intendo, io, Ketty, lo tengo stretto quello lì." "Che ne farà la signora?" "Che ne farò!… State tranquilla, Ketty, fra me e quell'uomo c'è una cosa che egli ignora… poco c'è mancato che per causa sua io perdessi la stima di Sua Eminenza… Oh, mi vendicherò!…" "Credevo che Milady lo amasse!" "Io amarlo? Ma io lo detesto! Uno sciocco che ha fra le mani la vita di lord Winter e non lo uccide e mi fa perdere così trecentomila lire di rendita." "E' vero" disse Ketty "vostro figlio era il solo erede di suo zio e fino a che egli fosse stato maggiorenne voi avreste goduto di tutta la sua ricchezza." D'Artagnan fremette fino al midollo delle ossa sentendo quella dolce creatura rimproverargli con quella voce stridente che faceva tanta fatica a nascondere nella conversazione, di non aver ucciso un uomo ch'egli aveva visto colmarla di cortesie. "Cosicché" continuò Milady "mi sarei già vendicata, se il Cardinale, non so perché, non mi avesse raccomandato di trattarlo bene." "Sì, ma la signora non è stata altrettanto gentile con quella donnetta ch'egli amava." "Oh! La merciaia di via dei Fossoyeurs? Ma non ha egli già dimenticato che essa esista? Bella vendetta, in fede mia!" Un sudore freddo scorreva sulla fronte di d'Artagnan: quella donna era dunque un mostro? Si rimise ad ascoltare, per non perdere una parola di quanto essa avrebbe detto, ma per sua disgrazia la toletta era finita. "Bene" disse Milady "tornate in camera vostra e domani cercate di avere una risposta alla lettera che vi ho dato." "Per il signor di Wardes?" disse Ketty. "Per lui, per il signor di Wardes." "Ecco uno" disse Ketty "per il quale ho l'impressione che proviate ben altri sentimenti che non per quel povero signor d'Artagnan." "Uscite" disse Milady "i commenti non mi piacciono." D'Artagnan sentì richiudere la porta, poi il rumore dei catenacci che Milady faceva scorrere dalla sua parte per chiudersi in camera sua. Anche Ketty, più silenziosamente che poté, diede un giro di chiave e d'Artagnan uscì allora dall'armadio. "Mio Dio! Che avete?" chiese Ketty sottovoce. "Come siete pallido!" "Che odiosa creatura!" mormorò d'Artagnan. "Parlate piano e uscite!" disse Ketty "non c'è che un tramezzo tra la mia camera e quella di Milady, e dall'una si sente tutto ciò che si dice nell'altra." "E' proprio per questo che non uscirò" disse d'Artagnan. "Ma come!" esclamò Ketty arrossendo. "O per lo meno uscirò… più tardi." E attirò Ketty a sé; non c'era più modo di resistere; la resistenza fa di solito molto rumore, per cui Ketty cedette. Era un impeto di vendetta contro Milady. D'Artagnan pensò che avevano ragione coloro che dicono essere la vendetta il piacere degli dèi. Per cui, se avesse avuto un po' di cuore, egli si sarebbe accontentato di questa nuova conquista; ma d'Artagnan non aveva che ambizione e orgoglio. Tuttavia, bisogna dire a sua lode che, approfittando della propria influenza su Ketty, egli cercò, per prima cosa, di sapere che cosa era successo della signora Bonacieux; ma la povera ragazza giurò sul crocifisso a d'Artagnan che non sapeva nulla di nulla, giacché la sua padrona non rivelava i propri segreti che a metà; però credeva di potere assicurarlo che essa non era morta. Quanto alla causa per la quale Milady aveva corso pericolo di perdere l'amicizia del Cardinale, Ketty non ne sapeva di più, ma questa volta d'Artagnan ne sapeva più di lei: siccome aveva scorto Milady sopra un bastimento arrestato in porto nel momento in cui egli lasciava l'Inghilterra, immaginava che si trattasse della questione dei fermagli di diamanti. Ma ciò che appariva più chiaro, in tutto ciò, era che il vero odio, l'odio profondo, l'odio inveterato di Milady per lui dipendeva dal fatto ch'egli non aveva ucciso suo cognato. Il giorno dopo d'Artagnan tornò da Milady e la trovò di pessimo umore, immaginò che fosse la mancata risposta del signor di Wardes a irritarla così. Ketty entrò, ma Milady la ricevette molto duramente. Un'occhiata che essa lanciò a d'Artagnan voleva dire: "Vedete quanto soffro per causa vostra". Però, verso la fine della serata, la bella leonessa si addolcì, ascoltò sorridendo le dolci parole di d'Artagnan e gli diede persino la mano da baciare. Quando il giovanotto uscì non sapeva più che pensare; ma siccome era un ragazzo al quale non si faceva tanto facilmente perdere la testa, mentre faceva la corte a Milady, aveva già architettato un suo piccolo piano. Trovò Ketty alla porta e come la sera prima salì in camera sua per aver notizie. Ketty era stata molto maltrattata, la sua padrona l'aveva accusata di trascuratezza. Essa non sapeva spiegarsi il silenzio del signor di Wardes e le aveva ordinato di svegliarla alle nove per ricevere una terza lettera. D'Artagnan le fece promettere di portare a lui quella lettera la mattina seguente; la povera ragazza promise tutto ci che volle il suo amante: era pazza. Le cose si svolsero come la sera prima; d'Artagnan si chiuse nell'armadio. Milady chiamò, fece toletta, licenziò Ketty e richiuse la porta; come il giorno prima, d'Artagnan ritornò a casa alle cinque del mattino. Alle undici arrivò Ketty col nuovo biglietto di Milady; questa volta, la povera ragazza non tentò neppure di negarlo a d'Artagnan; lo lasciò fare; essa apparteneva anima e corpo al suo bel soldato. D'Artagnan aprì la lettera e lesse quel che segue: "Ecco la terza volta che vi scrivo per dirvi che vi amo. State attento che non vi scriva una quarta per dirvi che vi odio. Se siete pentito del modo con cui avete agito con me, la ragazza che vi consegnerà il presente biglietto vi dirà come un uomo galante possa ottenere d'essere perdonato." D'Artagnan mentre leggeva, arrossì e impallidì più volte. "Oh! voi l'amate sempre!" disse Ketty che non aveva staccato neppure per un momento gli occhi dal viso del giovanotto. "No, Ketty, ti sbagli, non l'amo più ma voglio vendicarmi del suo disprezzo." "Conosco la vostra vendetta, me ne avete parlato già." "Che te ne importa, Ketty! Sai pure che amo soltanto te! "Come si può sapere una cosa simile?" "Dal disprezzo che le infliggerò." Ketty sospirò. D'Artagnan prese una penna e scrisse: "Signora, fino a questo momento ero in dubbio che i vostri due biglietti fossero indirizzati proprio a me tanto mi credevo indegno di un simile onore; d'altronde, ero così malato che in ogni caso avrei esitato a rispondervi. Ma oggi debbo proprio credere alla vostra immensa bontà, poiché non solo la vostra lettera ma anche la vostra cameriera mi affermano che ho la fortuna di essere amato da voi. Essa non ha bisogno di suggerirmi in che modo un gentiluomo possa ottenere il desiderato perdono. Verrò dunque a chiedervi il mio questa sera alle undici. Tardare un solo giorno sarebbe ora ai miei occhi come farvi una nuova offesa. Colui che avete reso il più felice dei mortali, Conte di Wardes." Questa lettera era prima di tutto un falso, in secondo luogo un'indelicatezza; ed era anche, giudicando dal punto di vista delle nostre usanze moderne, un'infamia; ma a quell'epoca non si guardava tanto per il sottile. D'altronde d'Artagnan sapeva per via delle ammissioni stesse di Milady che questa era colpevole di ben altri tradimenti, e non aveva per lei nessuna stima. Tuttavia, ad onta di questa disistima, si rendeva conto che ardeva per quella donna di una passione insensata. Una passione ebbra di disprezzo; passione o desiderio, come meglio si preferisce. L'intenzione di d'Artagnan era semplicissima; dalla camera di Ketty egli sarebbe passato in quella della sua padrona, avrebbe approfittato del primo momento di sorpresa, di vergogna, di terrore per vincerla; forse l'impresa sarebbe fallita, ma bisognava pur fidare nel caso. Fra otto giorni la campagna sarebbe incominciata; d'Artagnan non aveva quindi il tempo di filare il perfetto amore. "A te" disse il giovanotto consegnando a Ketty la lettera già sigillata "porta questo biglietto a Milady; è la risposta del signor di Wardes." La povera Ketty divenne pallida come una morta, ella immaginava che cosa contenesse il biglietto. "Ascolta, mia cara bambina" le disse d'Artagnan "tu capisci che, in un modo o in un altro, questa storia deve finire; Milady può scoprire che tu hai consegnato il primo biglietto al mio servo, invece di consegnarlo a quello del conte; e che sono stato io a dissigillare gli altri che avrebbero dovuto essere dissigillati dal signor conte di Wardes; in tal caso, Milady ti scaccerà, e tu che la conosci sai che non è donna da indietreggiare di fronte ad alcun genere di vendetta." "Ahimè!" esclamò Ketty "per chi mi sono esposta a tutto ciò?" "Per me, lo so, bella mia" disse il giovanotto "e te ne sono riconoscentissimo, te lo giuro." "Ma, infine, che cosa contiene questo biglietto?" "Te lo dirà Milady." "Ah, voi non mi amate!" esclamò Ketty. "Come sono disgraziata!" A questo rimprovero c'è una risposta che inganna tutte le donne, e d'Artagnan fece in modo che Ketty rimanesse nel più grande inganno. Tuttavia, ella pianse molto prima di decidersi a consegnare la lettera a Milady; alla fine però si decise; era tutto ciò che voleva il Guascone. D'altronde, egli le promise che sarebbe restato poco con la sua padrona e che, uscendo dalla camera di Milady, sarebbe andato da lei. Questa promessa finì di consolare la povera Ketty.

 

 

 

 

 

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