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GIUSEPPE MAZZINI
Doveri dell'uomo
I N D I C E
Capitolo primo
Agli operai italiani
Capitolo secondo
Dio
Capitolo terzo
La Legge
Capitolo quarto
Doveri verso l'umanità
Capitolo quinto
Doveri verso la Patria
Capitolo sesto
Doveri verso la famiglia
Capitolo settimo
Doveri verso se stesso
Capitolo ottavo
Libertà
Capitolo nono
Educazione
Capitolo decimo
Associazione - Progresso
Capitolo undicesimo
Questione economica
CONCHIUSIONE
Capitolo primo
Agli operai italiani
Io voglio parlarvi dei vostri doveri. Voglio parlarvi, come il core
mi detta, delle cose più sante, che noi conosciamo, di Dio,
dell'umanità, della Patria, della Famiglia. Ascoltatemi con amore,
com'io vi parlerò con amore. La mia parola è parola di convinzione
maturata da lunghi anni di dolori e di osservazioni e di studi. I
doveri che io vi indicherò, io cerco e cercherò, finché io viva,
adempierli quanto le mie forze concedono. Posso ingannarmi, ma non
ingannarvi. Uditemi dunque fraternamente: giudicate liberamente tra
voi medesimi, se vi pare che io vi dica la verità: abbandonatemi se
vi pare che io predichi errore; ma seguitemi e operate a seconda dei
miei insegnamenti, se mi trovate apostolo della verità. L'errore è
sventura da compiangersi, ma conoscere la verità e non uniformarvi
le azioni, è delitto che cielo e terra condannano.
Perché vi parlo io dei vostri doveri prima di parlarvi dei vostri
diritti? Perché, in una società dove tutti, volontariamente o
involontariamente, vi opprimono, dove l'esercizio di tutti i diritti
che appartengono all'uomo vi è costantemente rapito, dove tutte le
infelicità sono per voi e ciò che si chiama felicità è per gli
uomini dell'altre classi, vi parlo io di sacrificio e non di
conquista? di virtù, di miglioramento morale, d'educazione, e non di
benessere materiale? È questione che debbo mettere in chiaro, prima
di andare innanzi, perché in questo appunto sta la differenza tra la
nostra scuola e molt'altre che vanno predicandosi oggi in Europa;
poi, perché questa è dimanda che sorge facilmente nell'anima
irritata dell'operaio che soffre.
Siamo poveri, schiavi, infelici: parlateci di miglioramenti
materiali, di libertà, di felicità. Diteci se siamo condannati a
sempre soffrire o se dobbiamo alla nostra volta godere. Predicate il
Dovere a' nostri padroni, alle classi che ci stanno sopra e che
trattando noi come macchine, fanno monopolio dei beni che spettano a
tutti. A noi parlate di dritti: parlate dei modi di rivendicarceli;
parlate della nostra potenza. Lasciate che abbiamo esistenza
riconosciuta; ci parlerete allora di doveri e di sacrifizio. Così
dicono molti fra i nostri operai, seguono dottrine ed associazioni
corrispondenti al loro desiderio; non dimenticando che una sola
cosa, ed è: che il linguaggio invocato da essi s'è tenuto da
cinquanta anni in poi, senza aver fruttato un menomo che di
miglioramento materiale alla condizione degli operai.
Da cinquanta anni in poi, tutto quanto s'è operato pel progresso e
pel bene contro ai governi assoluti o contro l'aristocrazia del
sangue, s'è operato in nome dei Diritti dell'uomo, in nome della
libertà come mezzo e del benessere come scopo alla vita. Tutti gli
atti della Rivoluzione Francese e dell'altre che la seguirono e la
imitarono furono conseguenza d'una “Dichiarazione dei Diritti
dell'uomo”. Tutti i lavori dei Filosofi che la prepararono furono
fondati sopra una teoria di libertà, sull'insegnamento dei propri
diritti ad ogni individuo. Tutte le scuole rivoluzionarie
predicarono all'uomo che egli è nato per la felicità, che ha diritto
di ricercarla con tutti i suoi mezzi, che nessuno ha diritto di
ostacolarlo in questa ricerca, e che egli ha quello di rovesciare
gli ostacoli incontrati sul suo cammino. E gli ostacoli furono
rovesciati: la libertà fu conquistata: durò per anni in molti paesi:
in alcuni ancora dura. La condizione del popolo ha migliorato? I
milioni che vivono alla giornata sul lavoro delle loro braccia hanno
forse acquistato una menoma parte del benessere sperato, promesso?
No: la condizione del popolo non ha migliorato; ha peggiorato anzi e
peggiora in quasi tutti i paesi. Specialmente qui, dove io scrivo,
il prezzo delle cose necessarie alla vita è andato progressivamente
aumentando, il salario dell'operaio in molti rami d'attività
progressivamente diminuendo, e la popolazione moltiplicando. In
quasi tutti i paesi, la sorte degli uomini di lavoro è diventata più
incerta, più precaria; le crisi che condannano migliaia d'operai
all'inerzia per un certo tempo si son fatte più frequenti.
L'accrescimento annuo delle emigrazioni di paese in paese, e
d'Europa alle altre parti del mondo, e la cifra sempre crescente
degli istituti di beneficenza, delle tasse pei poveri, dei
provvedimenti per la mendicità bastano a provarlo. Questi ultimi
provano anche che l'attenzione pubblica va più sempre svegliandosi
sui mali del popolo; ma la loro inefficacia a diminuire visibilmente
quei mali dimostra un aumento egualmente progressivo di miseria
nelle classi alle quali tentano provvedere.
E nondimeno, in questi ultimi cinquant'anni, le sorgenti della
ricchezza sociale e la massa dei beni materiali sono andate
crescendo. La produzione ha raddoppiato. Il commercio, attraverso
crisi continue, inevitabili nell'assenza assoluta d'organizzazione,
ha conquistato più forza d'attività e una sfera più estesa alle sue
operazioni. Le comunicazioni hanno acquistato pressoché dappertutto
sicurezza e rapidità; è diminuito, quindi, col prezzo del trasporto,
il prezzo delle derrate. E, d'altra parte, l'idea dei diritti
inerenti alla natura umana è oggimai generalmente accettata;
accettata a parole e ipocritamente anche da chi cerca, nel fatto,
eluderla. Perché dunque la condizione del popolo non ha migliorato?
Perché il consumo dei prodotti, invece di ripartirsi equamente fra
tutti i membri delle società europee, s'è concentrato nelle mani di
pochi uomini appartenenti a una nuova aristocrazia? Perché il nuovo
impulso comunicato all'industria e al commercio ha creato, non il
benessere dei più, ma il lusso smodato di alcuni?
La risposta è chiara per chi vuol internarsi un po' nelle cose. Gli
uomini son creature d'educazione, e non operano che a seconda del
principio d'educazione che loro è dato. Gli uomini che promossero le
rivoluzioni anteriori s'erano fondati sull'idea dei diritti
appartenenti all'individuo: le rivoluzioni conquistarono la libertà:
libertà individuale, libertà d'insegnamento, libertà di credenze,
libertà di commercio, libertà di ogni cosa e per tutti. Ma che mai
importavano i diritti riconosciuti a chi non avea mezzo
d'esercitarli? Che importava la libertà d'insegnamento a chi non
aveva né tempo, né mezzi per profittarne? Che importava la libertà
di commercio a chi non aveva cosa alcuna da porre in commercio, né
capitali, né credito? La società si componeva, in tutti i paesi dove
quei principi furono proclamati, d'un piccol numero d'individui
possessori del terreno, del credito, dei capitali; e di vaste
moltitudini di uomini non aventi che le proprie braccia, forzati a
darle, come arnesi di lavoro, a quei primi e a qualunque patto, per
vivere. Forzati a spendere in fatiche materiali e monotone l'intera
giornata, che cosa era per essi, costretti a combattere colla fame,
la libertà, se non una illusione, un'amara ironia? Perché nol fosse,
sarebbe stato necessario che gli uomini delle classi agiate avessero
consentito a ridurre il tempo dell'opera, a crescerne la
retribuzione, a procacciare un'educazione uniforme gratuita alle
moltitudini, a rendere gl'istrumenti del lavoro accessibili a tutti,
a costituire un credito pel lavoratore dotato di facoltà e di buone
intenzioni.
Or perché lo avrebbero fatto? Non era il benessere lo scopo supremo
della vita? Non erano i beni materiali le cose desiderabili innanzi
a tutte? Perché diminuirsene il godimento a vantaggio altrui?
S'aiuti adunque chi può. Quando la società assicura ad ognuno che
possa lo esercizio libero dei diritti spettanti alla umana natura,
fa quanto è richiesto di fare. Se v'è chi, per fatalità della
propria condizione, non può esercitarne alcuno, si rassegni e non
incolpi nessuno. Era naturale che così dicessero infatti. E questo
pensiero delle classi privilegiate di fortuna, riguardo alle classi
povere, diventò rapidamente pensiero di ogni individuo verso ogni
individuo. Ciascun uomo prese cura dei propri diritti e del
miglioramento della propria condizione, senza cercare di provvedere
all'altrui; e quando i proprii diritti si trovarono in urto con
quelli degli altri, fu guerra: guerra non di sangue, ma d'oro e di
insidie: guerra meno virile dell'altra, ma egualmente rovinosa:
guerra accanita, nella quale i forti per mezzi schiacciano
inesorabilmente i deboli o gli inesperti. In questa guerra continua,
gli uomini si educarono all'egoismo e alla avidità dei beni
materiali esclusivamente. La libertà di credenza ruppe ogni
comunione di fede. La libertà di educazione generò l'anarchia
morale. Gli uomini senza vincolo comune, senza unità di credenza
religiosa e di scopo, chiamati a godere e non altro, tentarono
ognuno la propria via, non badando se camminando su quella non
calpestassero le teste dei loro fratelli, fratelli di nome ma nemici
nel fatto. A questo siamo oggi, grazie alla teoria dei diritti.
Certo esistono diritti; ma dove i diritti di un individuo vengono a
contrasto con quelli di un altro, come sperare di conciliarli, di
metterli in armonia, senza ricorrere a qualche cosa superiore a
tutti i diritti. E dove i diritti di un individuo, di molti
individui, vengono a contrasto coi diritti del paese, a che
tribunale ricorrere? Se il diritto al benessere, al più gran
benessere possibile, spetta a tutti i viventi, chi scioglierà la
questione tra l'operaio e il capo manifatturiere? Se il diritto alla
esistenza è il primo inviolabile diritto di ogni uomo, chi può
comandare il sacrificio dell'esistenza pel miglioramento d'altri
uomini? Lo comanderete in nome della Patria, della Società, della
moltitudine dei vostri fratelli! Cos'è la Patria, per l'opinione
della quale io parlo, se non quel luogo in cui i nostri diritti
individuali sono più sicuri? Cos'è la Società, se non un convegno
d'uomini i quali hanno pattuito di mettere la forza di molti in
appoggio dei diritti di ciascuno? E voi, dopo avere insegnato per
cinquanta anni all'individuo che la Società è costituita per
assicurargli l'esercizio dei suoi diritti, vorrete dimandargli di
sacrificarli tutti alla Società, di sottomettersi, occorrendo, a
continue fatiche, alla prigione, all'esilio, per migliorarla? Dopo
avergli predicato per tutte le vie che lo scopo della vita è il
benessere, vorrete a un tratto ordinargli di perder il benessere e
la vita stessa per liberare il proprio paese dallo straniero, o per
procacciare condizioni migliori a una classe che non è la sua? Dopo
avergli parlato per anni in nome degli interessi materiali,
pretendere che egli, trovando davanti a sé ricchezza e potenza, non
stenda la mano ad afferrarle, anche a scapito dei suoi fratelli?
Operai italiani, questa non è opinione venuta senza appoggio di
fatti nella nostra mente; è storia, storia dei nostri tempi, storia
le cui pagine grondano sangue del popolo. Interrogate tutti gli
uomini che cangiarono la rivoluzione del 1830(1) in una sostituzione
di persone ad altre persone, e, a modo d'esempio, fecero dei
cadaveri dei vostri compagni di Francia, morti combattendo nelle tre
giornate, uno sgabello alla propria potenza: tutte le loro dottrine,
prima del 1830, erano fondate sulla vecchia idea dei diritti(2) non
sulla credenza nei doveri dell'uomo. Voi li chiamate in oggi
traditori ed apostati, e non furono che conseguenti alla loro
dottrina. Combattevano con sincerità il governo di Carlo X, perché
quel governo era direttamente nemico alla classe d'onde essi
uscivano, e violava e tendeva a sopprimere i loro diritti.
Combattevano in nome di quel benessere, ch'essi non possedevano
quanto pareva loro di meritare.
Alcuni erano perseguitati nella libertà del pensiero; altri, ingegni
potenti, si vedevano negletti, allontanati dagli impieghi, che
occupavano uomini di capacità inferiore alla loro. Allora anche i
mali del popolo li irritavano. Allora scrivevano arditamente e di
buona fede intorno ai diritti che appartengono a ogni uomo. Poi,
quando i loro diritti politici e intellettuali si trovarono
assicurati, quando la via agli impieghi fu loro aperta, quando
ebbero conquistato il benessere che cercavano, dimenticarono il
popolo, dimenticarono che i milioni, inferiori ad essi per
educazione e per desideri, cercavano l'esercizio d'altri diritti e
la conquista di un'altro benessere, posero l'animo in pace e non si
curarono d'altro che di sé stessi. Perché li chiamate traditori?
Perché non chiamate invece traditrice la loro dottrina? Viveva e
scriveva nello stesso tempo in Francia un uomo che non dovete
dimenticare, più potente d'ingegno che essi tutti non erano: era
allora nemico nostro; ma credeva nel dovere di sacrificare l'intera
esistenza al bene comune, alla ricerca e al trionfo della Verità:
studiava attento gli uomini e i tempi, non si lasciava sedurre dagli
applausi, né avvilire dalle delusioni: tentata e fallita una via,
ritentava sopra un'altra il miglioramento dei più: e quando i tempi
cangiati gli mostrarono un solo elemento capace d'operarlo, quando
il popolo si mostrò sull'arena più virtuoso e credente che non tutti
coloro i quali avevano preteso trattar la sua causa, egli,
Lamennais, l'autore delle Parole d'un credente(3) che avete lette
voi tutti, divenne il migliore apostolo della causa nella quale
siamo fratelli. Eccovi, in lui e negli uomini dei quali ho parlato,
rappresentata la differenza tra gli uomini dei diritti e quei del
Dovere. Ai primi la conquista dei loro diritti individuali,
togliendo ogni stimolo, basta perché s'arrestino: il lavoro dei
secondi non s'arresta qui in terra che colla vita.
E tra i popoli interamente schiavi, dove la lotta ha ben altri
pericoli, dove ogni passo che si move verso il bene è segnato dal
sangue d'un martire, dove il lavoro contro l'ingiustizia dominatrice
è necessariamente segreto e privo dei conforti della pubblicità e
della lode, quale obbligo, quale stimolo alla costanza può mantenere
sulla via del bene gli uomini che riducono la santa guerra sociale
che noi sosteniamo a un combattimento pei loro diritti? Parlo,
s'intende, della generalità e non delle eccezioni che esistono in
tutte le dottrine. Perché, sedato il tumulto di spiriti e il
movimento di reazione contro la tirannide che trascina naturalmente
alla lotta la gioventù, dopo qualche anno di sforzi, dopo delusioni
inevitabili in impresa siffatta, quegli uomini non si
stancherebbero? Perché non preferirebbero il riposo comunque a una
vita irrequieta, agitata di contrasti e pericoli, che può un giorno
o l'altro finire in una prigione, sul patibolo, o nello esilio? è
storia pur troppo dei più fra gli Italiani d'oggidì, imbevuti come
sono delle vecchie idee francesi: tristissima storia; ma come
interromperla se non cangiando il principio da cui partono per
dirigersi? Come e in nome di chi convincerli che i pericoli e le
delusioni devono farli più forti, che hanno a combattere non per
alcuni anni, ma per tutta la loro vita? Chi può dire ad un uomo:
segui a lottare per i tuoi diritti, quando lottare per essi gli
costa più caro che non l'abbandonarli?
E chi può, anche in una società costituita su basi più giuste che
non le attuali, convincere un uomo fondato unicamente sulla teoria
dei diritti, ch'egli ha da mantenersi sulla via comune e occuparsi
di dare sviluppo al pensiero sociale? Ponete che ei si ribelli;
ponete che egli si senta forte e vi dica: rompo il patto sociale: le
mie tendenze, le mie facoltà mi chiamano altrove; ho diritto sacro,
inviolabile, di svilupparle, e mi pongo in guerra contro tutti:
quale risposta potrete voi dargli stando alla dottrina? Che diritto
avete voi di punirlo perché siete maggiorità, d'imporgli ubbidienza
a leggi che non si accordano coi suoi desiderii, colle sue
aspirazioni individuali? Che diritto avete voi di punirlo quand'ei
le viola? I diritti appartengono eguali ad ogni individuo: la
convivenza sociale non può crearne uno solo. La Società ha più
forza, non più diritti dell'individuo. Come dunque proverete voi
all'individuo ch'ei deve confondere la sua volontà colla volontà de'
suoi fratelli nella Patria e nell'umanità? Col carnefice, colle
prigioni? Le Società fin ora esistenti hanno fatto così. Ma questa è
guerra, e noi vogliam pace: è repressione tirannica, e noi vogliamo
educazione.
EDUCAZIONE, abbiamo detto; ed è la gran parola che racchiude tutta
quanta la nostra dottrina. La questione vitale che s'agita nel
nostro secolo è una questione di Educazione. Si tratta non stabilire
un nuovo ordine di cose colla violenza; un ordine di cose stabilito
colla violenza è sempre tirannico foss'anche migliore del vecchio:
si tratta di rovesciare colla forza la forza brutale che s'oppone in
oggi a ogni tentativo di miglioramento, di proporre al consenso
della Nazione, messa in libertà, d'esprimere la sua volontà,
l'ordine che par migliore e di educare con tutti i mezzi possibili
gli uomini a svilupparlo, ad operare conformemente. Colla teoria dei
diritti possiamo insorgere e rovesciare gli ostacoli; ma non fondare
forte e durevole l'armonia di tutti gli elementi che compongono la
Nazione. Colla teoria della felicità, del benessere dato per oggetto
primo alla vita, noi formeremo uomini egoisti, adoratori della
materia, che porteranno le vecchie passioni nell'ordine nuovo e lo
corromperanno pochi mesi dopo. Si tratta dunque di trovare un
principio educatore superiore a siffatta teoria, che guidi gli
uomini al meglio, che insegni loro la costanza nel sacrificio, che
li vincoli a' loro fratelli senza farli dipendenti dall'idea d'un
solo o dalla forza di tutti. E questo principio è il DOVERE. Bisogna
convincere gli uomini ch'essi, figli d'un solo Dio, hanno ad essere
qui in terra esecutori d'una sola legge - che ognuno d'essi deve
vivere, non per sé, ma per gli altri - che lo scopo della loro vita
non è quello d'essere più o meno felici, ma di rendere sé stessi e
gli altri migliori - che il combattere l'ingiustizia e l'errore a
benefizio dei loro fratelli e dovunque si trova, è non solamente
diritto, ma dovere: dovere da non negligersi senza colpa - dovere di
tutta la vita.
Operai Italiani, fratelli miei! intendetemi bene. Quand'io dico, che
la conoscenza dei loro diritti non basta agli uomini per operare un
miglioramento importante e durevole, non chiedo che rinunzino a
questi diritti; dico soltanto che non sono se non una conseguenza di
doveri adempiti e che bisogna cominciare da questi per giungere a
quelli. E quand'io dico, che proponendo come scopo alla vita la
felicità, il benessere, interessi materiali, corriamo rischio di
creare egoisti, non intendo che non dobbiate occuparvene; dico che
gli interessi materiali, cercati soli, proposti non come mezzi ma
come fine, conducono sempre a quel tristissimo risultato. Quando,
sotto gli imperatori, gli antichi Romani si limitavano a chiedere
pane e divertimenti, erano la razza più abietta che dar si possa; e
dopo aver subita la tirannia stolida e feroce degli Imperatori,
cadevano vilmente schiavi dei Barbari che invadevano. In Francia e
altrove i nemici d'ogni progresso sociale hanno seminato la
corruzione e tentano sviare le menti dall'idea di mutamento,
cercando sviluppo all'attività materiale. E noi aiuteremo il nemica
colle nostre mani? I miglioramenti materiali sono essenziali, e noi
combatteremo per conquistarceli; ma non perché importi unicamente
agli uomini d'essere ben nudriti e alloggiati; bensì perché la
coscienza della vostra dignità e il vostro sviluppo morale non
possono venirvi, finché vi state com'oggi in un continuo duello
colla miseria! Voi lavorate dieci o dodici ore della giornata: come
potete trovar tempo per educarvi? I più tra voi guadagnano appena
tanto da sostenere sé e la loro famiglia: come possono trovar mezzi
per educarsi? La precarietà e le interruzioni del vostro lavoro vi
fanno trapassare dalla eccessiva operosità alle abitudini dello
sfaccendato: come potreste acquistar le tendenze all'ordine, alla
regolarità, all'assiduità? La scarsezza del vostro guadagno sopprime
ogni speranza di risparmio efficace e tale che possa un giorno
giovare ai vostri figli o agli anni della vostra vecchiaia: come
potreste educarvi ad abitudini d'economia? Molti fra voi sono
costretti dalla miseria a separare i fanciulli, non diremo dalle
cure - quali cure d'educazione possono dare ai figli le povere mogli
degli operai? - ma dall'amore e dallo sguardo delle madri,
cacciandoli, per alcuni soldi, ai lavori nocivi delle manifatture;
come possono, in condizione siffatta, svilupparsi, ingentilirsi i
sentimenti di famiglia? Non avete diritti di cittadini, né
partecipazione alcuna d'elezione e di voto alle leggi che regolano i
vostri atti e la vostra vita: come potreste avere coscienza di
cittadini e zelo per lo Stato e affetto sincero alle leggi? La
giustizia è inegualmente distribuita fra voi e l'altre classi:
d'onde imparereste il rispetto e l'amore alla giustizia? La Società
vi tratta senz'ombra di simpatia: d'onde imparereste a simpatizzare
colla Società? Voi dunque avete bisogno che cangino le vostre
condizioni materiali, perché possiate svilupparvi moralmente: avete
bisogno di lavorare meno per poter consacrare alcune ore della
vostra giornata al progresso dell'anima vostra: avete bisogno di una
retribuzione di lavoro che vi ponga in grado di accumulare risparmi,
d'acquietarvi l'animo sull'avvenire, di purificarvi sopra tutto
d'ogni sentimento di reazione, d'ogni impulso di vendetta, d'ogni
pensiero d'ingiustizia verso chi vi fu ingiusto. Dovete dunque
cercare, e otterrete questo come mutamento; ma dovete cercarlo come
mezzo, non fine: cercarlo per senso di dovere, non unicamente di
diritto: cercarlo per farvi migliori, non unicamente per farvi
materialmente felici. Dove no, quale differenza sarebbe tra voi e i
vostri tiranni? Essi son tali precisamente, perché non guardano che
al benessere, alle voluttà, alla potenza.
Farvi migliori: questo ha da essere lo scopo della vostra vita.
Farvi stabilmente meno infelici, voi noi potete, se non migliorando.
I tiranni sorgerebbero a mille tra voi, se voi non combatteste che
in nome degli interessi materiali, o d'una certa organizzazione.
Poco importa che mutiate le organizzazioni, se lasciate voi stessi e
gli altri colle passioni e coll'egoismo dell'oggi: le organizzazioni
sono come certe piante che danno veleno o rimedio a seconda delle
operazioni di chi le ministra. Gli uomini buoni fanno buone le
organizzazioni cattive, i malvagi fanno triste le buone. Si tratta
di render migliori e convinte dei loro doveri le classi ch'oggi,
volontariamente o involontariamente, v'opprimono; né potete
riescirvi se non cominciando a fare, quanto è possibile, migliori
voi stessi.
Quando dunque udite dirvi dagli uomini, che predicano la necessità
d'un cangiamento sociale, ch'essi lo produrranno invocando
unicamente i vostri diritti, siate loro riconoscenti delle buone
intenzioni, ma diffidate della riuscita. I mali del povero sono
noti, in parte almeno, alle classi agiate; noti ma non sentiti.
Nell'indifferenza generale nata dalla mancanza d'una fede comune,
nell'egoismo, conseguenza inevitabile della predicazione continuata
da tanti anni del benessere materiale, quei che non soffrono si sono
a poco a poco avvezzi a considerare quei mali come una triste
necessità dell'ordine sociale o a lasciare la cura dei rimedi alle
generazioni che verranno. La difficoltà non è nel convincerli; è nel
riscoterli dall'inerzia, nel ridurli, convinti che siano, ad agire,
ad associarsi, ad affratellarsi con voi per conquistare
l'organizzazione sociale, che porrà fine, per quanto le condizioni
dell'Umanità lo concedono, ai vostri mali e ai loro terrori. Ora
questa è l'opera della fede, della fede nella missione che Dio ha
dato alla creatura umana qui sulla Terra, nella responsabilità che
pesa su tutti coloro che non la compiono, nel Dovere che impone a
ciascuno di operare continuamente e con sacrifizio a norma del Vero.
Tutte le dottrine possibili di diritti e di benessere materiale non
potranno che condurvi a tentativi che, se rimarranno isolati o
unicamente appoggiati sulle vostre forze, non riesciranno: non
potranno che preparare il più grave dei delitti sociali: una guerra
civile fra classe e classe.
Operai italiani! fratelli miei! Quando Cristo venne e cangiò la
faccia del mondo, ei non parlò dei diritti ai ricchi, che non
avevano bisogno di conquistarli; a' poveri, che ne avrebbero forse
abusato ad imitazione dei ricchi: non parlò d'utile o d'interessi a
una gente, che gl'interessi e l'utile avevano corrotto: parlò di
Amore, di Sacrificio, di Fede; disse che quegli solo sarebbe il
primo fra tutti, che avrebbe giovato a tutti coll'opera sua. Quelle
parole sussurrate nell'orecchio ad una società che non aveva più
scintilla di vita, la rianimarono, conquistarono i milioni,
conquistarono il mondo e fecero progredire d'un passo l'educazione
del genere umano. Operai Italiani! noi siamo in un epoca simile a
quella di Cristo. Viviamo in mezzo a una Società incadaverita, come
era quella dell'Impero Romano, col bisogno nell'animo di ravvivarla,
di trasformarla, d'associare tutti i membri e i lavori in una sola
fede, sotto una sola legge, verso uno scopo: sviluppo libero
progressivo di tutte le facoltà che Dio ha messo in germe nella sua
creatura. Cerchiamo che Dio regni sulla terra siccome nel Cielo, o
meglio che la terra sia una preparazione al Cielo, e la Società un
tentativo di avvicinamento progressivo al pensiero Divino.
Ma ogni atto di Cristo rappresentava la fede che ei predicava, e
intorno a lui v'erano apostoli che incarnavano nei loro atti la fede
che essi avevano accettata. Siate tali e vincerete. Predicate il
Dovere agli uomini delle classi che vi stanno sopra, e compite, per
quanto è possibile, i doveri vostri: predicate la virtù, il
sacrifizio, l'amore; e siate virtuosi e pronti al sacrifizio e
all'amore. Esprimete coraggiosamente i vostri bisogni e le vostre
idee; ma senz'ira, senza reazione, senza minaccia: la più potente
minaccia, se v'è chi ne abbia bisogno, è la fermezza, non
l'irritazione del linguaggio, mentre propagate tra i vostri compagni
l'idea dei loro futuri destini, l'idea d'una nazione, che darà loro
nome, educazione, lavoro e retribuzione proporzionata e coscienza e
missione d'uomini mentre infondete in essi il sentimento della lotta
inevitabile, alla quale essi devono prepararsi per conquistarla
contro le forze dei tristi nostri governi e dello straniero(4) -
cercate istruirvi, migliorare, educarvi alla piena conoscenza e alla
pratica dei vostri doveri. È lavoro questo impossibile in gran parte
d'Italia per le moltitudini: nessun piano d'educazione popolare può
verificarsi tra noi senza un cangiamento nella condizione materiale
del popolo, e senza una rivoluzione politica: chi s'illude a
sperarlo e lo predica come preparativo indispensabile ad ogni
tentativo d'emancipazione, predica l'inerzia, non altro. Ma i pochi
tra voi, ai quali le circostanze corrono un po' migliori e il
soggiorno in paesi stranieri concede mezzi più liberi d'educazione,
lo possono, quindi lo devono. E i pochi tra voi, imbevuti una volta
dei veri principii dai quali dipende l'educazione d'un Popolo,
basteranno a spargerli fra le migliaia, a dirigerlo sulla via e
proteggerlo dai sofismi e dalle false dottrine che verranno a
insidiarlo.
Capitolo secondo
Dio
L'origine dei vostri Doveri sta in Dio. La definizione dei vostri
DovERI sta nella sua Legge. La scoperta progressiva e l'applicazione
della sua Legge appartengono all'Umanità.
Dio esiste. Noi non dobbiamo né vogliamo provarvelo: tentarlo ci
sembrerebbe bestemmia, come negarlo, follia. Dio esiste perché noi
esistiamo. Dio vive nella nostra coscienza, nella coscienza
dell'Umanità, e nell'Universo che ci circonda. La nostra coscienza
lo invoca nei momenti più solenni di dolore e di gioia. L'Umanità ha
potuto trasformarne, guastarne, non mai sopprimerne il santo nome.
L'Universo lo manifesta coll'ordine, coll'armonia, colla
intelligenza dei suoi moti e delle sue leggi. Non vi sono atei fra
voi: se ve ne fossero, sarebbero degni non di maledizione, ma di
compianto. Colui che può negare Dio davanti ad una notte stellata,
davanti alla sepoltura de' suoi più cari, davanti al martirio, è
grandemente infelice o grandemente colpevole. Il primo ateo fu
senz'alcun dubbio un uomo che avea celato un delitto agli altri
uomini e cercava, negando Dio, liberarsi dell'unico testimonio a cui
non poteva celarlo e soffocare il rimorso che lo tormentava: forse
fu un tiranno che avea rapito colla libertà metà dell'anima a' suoi
fratelli e tentava sostituire l'adorazione della Forza brutale alla
fede nel Dovere e nel Diritto immortale. Dopo lui, vennero qua e là,
di secolo in secolo, uomini che per aberrazione di filosofia
insinuarono l'ateismo, ma pochissimi e vergognosi: - vennero, in
momenti non lontani da noi, moltitudini, che per irritazione contro
un'idea di Dio falsa, stolta, architettata a proprio benefizio da
una casta o da un potere tirannico, negarono Dio medesimo; ma fu un
istante, e in quell'istante adorarono, tanto avevano bisogno di Dio,
la dea Ragione, la dea Natura. Oggi, vi sono uomini che aborrono da
ogni religione, perché vedono la corruzione nelle credenze attuali e
non indovinano la purità di quelle dell'avvenire; ma nessun tra loro
osa dirsi ateo: vi sono preti che prostituiscono il nome di Dio ai
calcoli della venalità, o al terrore dei potenti: vi sono tiranni
che lo imposturano invocandolo a protettore delle loro tirannidi; ma
perché la luce del sole ci viene spesso offuscata e guasta da sozzi
vapori, negheremo il sole o la potenza vivificatrice del suo raggio
sull'universo? Perché dalla libertà i malvagi possono talvolta far
sorgere l'anarchia, malediremo alla libertà? La fede in Dio brilla
d'una luce immortale attraverso tutte le imposture e le corruttele
che gli uomini addensano intorno a quel nome. Le imposture e le
corruttele passano, come passano le tirannidi: Dio resta, come resta
il Popolo, immagine di Dio sulla terra. Come il popolo, attraverso
schiavitù, patimenti e miserie, conquista a grado a grado coscienza,
forza, emancipazione, il nome santo di Dio sorge dalle rovine dei
culti corrotti a splendere, circondato d'un culto più puro, più
fervido e più ragionevole.
Io dunque non vi parlo di Dio per dimostrarvene l'esistenza, o per
dirvi che dovete adorarlo: voi lo adorate, anche non nominandolo,
ogni qualvolta voi sentite la vostra vita e la vita degli esseri che
vi stanno intorno: ma per dirvi come dovete adorarlo; per ammonirvi
intorno a un errore che domina le menti di molti tra gli uomini
delle classi che vi dirigono, e, per esempio loro, di molti tra voi:
errore grave e rovinoso quanto è l'ateismo.
Questo errore è la separazione più o meno dichiarata, di Dio
dall'opera sua, dalla Terra sulla quale voi dovete compire un
periodo della vostra vita.
Avete, da una parte, una gente che vi dice: “Sta bene: Dio esiste;
ma voi non potete più che ammetterlo ed adorarlo. La relazione tra
lui e gli uomini, nessuno può intenderla o dichiararla. È questione
da dibattersi fra Dio medesimo e la vostra coscienza. Pensate
intorno a questo ciò che volete, ma non proponete la vostra credenza
ai vostri simili; non cercate d'applicarla alle cose di questa
terra. La politica è una cosa, la religione un'altra. Non le
confondete. Lasciate le cose del Cielo al potere spirituale
stabilito, qualunque ei siasi, salvo a voi di non credergli, se vi
pare ch'ei tradisca la sua missione: lasciate che ognuno pensi e
creda a suo modo; voi non dovete occuparvi in comune che delle cose
della terra. Materialisti o spiritualisti, credete voi nella
libertà, o nell'eguaglianza degli uomini? volete il ben essere per
la maggiorità? volete il suffragio universale? Riunitevi per
ottenere codesto intento; non avete bisogno per questo d'intendervi
sulle quistioni che riguardano il cielo.”
Avete d'altra parte uomini che vi dicono: “Dio esiste; ma così
grande, troppo superiore a tutte le cose create, perché voi possiate
sperar di raggiungerlo coll'opere umane. La terra è fango. La vita è
un giorno. Distaccatevi dalla prima quanto più potete: non date
valore che non merita alla seconda. Che sono mai tutti gli interessi
terreni a fronte della vita immortale dell'anima vostra? Pensate a
questa: guardate al Cielo. Che v'importa se voi vivete quaggiù in un
modo o in un altro? Siete destinati a morire; e Dio vi giudicherà
secondo i pensieri che avrete dato, non alla terra, ma a Lui.
Soffrite? Benedite al Signore che vi manda quei patimenti.
L'esistenza terrena è una prova. La vostra è terra d'esilio.
Sprezzatela ed innalzatevi. Di mezzo ai patimenti, alla miseria,
alla schiavitù, voi potete rivolgervi a Dio, e santificarvi
nell'adorazione di Lui, nella preghiera, nella fede in un avvenire
che vi compenserà largamente, e nel disprezzo delle cose mondane.”
Di quei che così vi parlano, i primi non amano Dio; i secondi non lo
conoscono.
L'uomo è uno, direte ai primi. Voi non potete troncarlo in due, e
far sì ch'egli concordi con voi nei principii che devono regolare
l'ordinamento della Società quand'ei differisca intorno all'origine
sua, ai suoi destini e alla sua legge di vita quaggiù. Le religioni
governano il mondo. Quando gli uomini dell'India credevano d'essere
nati, gli uni dalla testa, altri dalle braccia, altri dai piedi di
Brama, Divinità loro, ordinavano la Società secondo la divisione
degli uomini in caste, assegnavano agli uni ereditariamente il
lavoro intellettuale, ad altri la milizia, ad altri le opere
servili, e si condannavano a una immobilità che ancor dura e durerà,
finché la credenza in quel principio non cada.
Quando i Cristiani dichiararono al mondo, che gli uomini erano tutti
figli di Dio e fratelli di Lui, tutte le dottrine dei legislatori e
dei teosofi dell'antichità, che stabilivano l'esistenza di due
nature negli uomini, non valsero ad impedire l'abolizione della
schiavitù, e quindi un ordinamento radicalmente diverso nella
Società. Ad ogni progresso delle credenze religiose, noi possiamo
mostrarvi corrispondente alla storia dell'Umanità un progresso
sociale: alla vostra dottrina d'indifferenza in fatto di religione,
voi non potete mostrarci altra conseguenza che l'anarchia. Voi avete
potuto distruggere, non mai fondare: smentiteci, se potete. A forza
d'esagerare un principio contenuto nel Protestantesimo, e che oggi
il Protestantesimo, pur sente il bisogno di abbandonare - a forza di
dedurre tutte le vostre idee unicamente dall'indipendenza
dell'individuo - voi siete giunti, a che? all'anarchia, cioè
all'oppressione del debole, che non ha mezzi, né tempo, né
istruzione per esercitare i propri diritti, nell'ordinamento
politico; all'egoismo, cioè all'isolamento e alla rovina del debole
che non può aiutarsi da sé nella morale. Ma noi vogliamo
Associazione: come ottenerla sicura se non da fratelli che credono
negli stessi principii regolatori, che s'uniscono nella stessa fede,
che giurino nell'istesso nome? Vogliamo educazione: come darla o
riceverla, se non in virtù d'un principio che contenga l'espressione
delle nostre credenze sull'origine, sul fine, sulla legge di vita
dell'uomo su questa terra? Vogliamo educazione comune: come darla o
riceverla, senza una fede comune? Vogliamo formare Nazione: come
riescirvi, se non credendo in uno scopo comune, in un dovere comune?
E donde possiamo noi dedurre un dovere comune? se non dall'idea che
ci formiamo di Dio e della sua relazione con noi? Certo: il
suffragio universale è cosa eccellente; è il solo mezzo legale col
quale un paese possa, senza crisi violente ogni tanto, governarsi;
ma il suffragio universale in un paese dominato da una fede darà
l'espressione della tendenza, della volontà nazionale; in un paese
privo di credenze comuni, cosa mai potrà esprimere se non
l'interesse numericamente più forte e l'oppressione di tutti gli
altri? Tutte le riforme politiche in ogni paese irreligioso, o non
curante di religione, dureranno quanto il capriccio o l'interesse
degli individui vorranno e non più. L'esperienza degli ultimi
cinquanta anni ci ha addottrinati, su questo punto, abbastanza.
Agli altri che vi parlano del Cielo, scompagnandolo dalla Terra, voi
direte che cielo e terra sono, come la via e il termine della via,
una cosa sola. Non dite che la terra è fango: la terra è Dio: Dio la
creava perché per essa salissimo a Lui. La terra non è un soggiorno
di espiazione o di tentazione: è il luogo del nostro lavoro per un
fine di miglioramento, del nostro sviluppo verso un grado
d'esistenza superiore. Dio ci creava non per la contemplazione, ma
per l'azione: ci creava ad immagine sua, ed egli è Pensiero ed
Azione, anzi non v'è in lui pensiero che non si traduca in azione.
Noi dobbiamo, dite, sprezzare tutte le cose mondane e calpestare la
vita terrena, per occuparci della celeste; ma cos'è la vita terrena,
se non un preludio della celeste, un avviamento a raggiungerla? non
v'avvedete che voi benedicendo l'ultimo gradino della scala per la
quale noi tutti dobbiamo salire, e maledicendo al primo, ci troncate
la vita?
La vita d'un'anima è sacra, in ogni suo periodo: nel periodo terreno
come negli altri che seguiranno; bensì, ogni periodo dev'essere
preparazione all'altro, ogni sviluppo temporaneo deve giovare allo
sviluppo continuo ascendente alla vita immortale che Dio trasfuse in
ciascuno di noi e nella Umanità complessiva che cresce coll'Opera di
ciascuno di noi. Or Dio v'ha messo quaggiù sulla terra: v'ha messo
intorno milioni di esseri simili a voi, il cui pensiero si alimenta
del vostro pensiero, il cui miglioramento progredisce col vostro,
la cui vita si feconda della vostra vita: v'ha dato, a salvarvi dai
pericoli dell'isolamento, bisogni che non potete soddisfar soli, e
istinti predominanti sociali che dormono nei bruti e che vi
distinguono da essi: v'ha steso intorno quel mondo che voi chiamate
Materia, magnifico di bellezza, pregno di vita, d'una vita che, non
dovete dimenticarlo, si mostra per ogni dove tanto che vi si vegga
il segno di Dio, ma aspetta nondimeno l'opera vostra, dipende nelle
sue manifestazioni da voi, e si moltiplica di potenza quanto più la
vostra attività si moltiplica: v'ha posto dentro simpatie
inestinguibili, la pietà per chi geme, la gioia per chi sorride,
l'ira contro chi opprime la creatura, il desiderio incessante del
Vero, l'ammirazione pel Genio che scopre qualche parte del vero,
l'entusiasmo per chi lo traduce in azione giovevole a tutti, la
venerazione religiosa per chi, non potendo farlo trionfare, muore
martire, portando col proprio sangue testimonianza per esso - e voi
negate, sprezzate questi indizii della vostra missione che Dio v'ha
profuso d'intorno, anzi cacciate l'anatema sui segni suoi,
chiamandoci a concentrare tutte le nostre forze in una opera di
purificazione interna, imperfetta, impossibile quando è solitaria!
Or Dio non punisce chi la pensa così? Non degrada egli lo schiavo?
Non sommerge egli negli appetiti sensuali, negli istinti ciechi di
quella che voi chiamate materia, metà dell'anima del povero
giornaliero costretto a consumare, senza lume d'educazione, in una
serie d'atti fisici, la vita divina? Trovate fede religiosa più viva
nel servo Russo che non nel Polacco combattente le battaglie della
patria e della Libertà? Trovate amore più fervente di Dio nel
suddito avvilito d'un Papa e d'un Re tiranno, che non nel
repubblicano Lombardo del dodicesimo secolo e nel repubblicano
Fiorentino del decimoquarto? Dov'è lo spirito di Dio ivi è la
libertà, ha detto uno dei più potenti Apostoli che noi conosciamo; e
la religione ch'ei predicava decretò l'abolizione della schiavitù;
chi può intendere e adorare convenientemente Dio strisciandosi ai
piedi della sua creatura? La vostra non è religione, è setta
d'uomini che hanno dimenticato la loro origine, le battaglie che i
loro padri sostennero contro una società incadaverita, e le vittorie
che riportarono trasformando quel mondo terrestre ch'oggi voi, o
contemplatori, sprezzate. Qualunque forte credenza sorga fra le
rovine delle vecchie esaurite, trasformerà l'ordinamento sociale
esistente, perché ogni forte credenza cerca applicarsi a tutti i
rami dell'attività umana; perché la terra ha cercato sempre, in ogni
epoca, conformarsi al cielo in cui essa credeva; perché tutta intera
la storia dell'Umanità ripete, sotto forme diverse e a gradi
diversi, secondo i tempi, la parola registrata nella Orazione
Domenicale del Cristianesimo: Venga il tuo regno sulla terra, o
Signore, siccome è nel cielo.
Venga il regno di Dio sulla terra, siccome è nel cielo: sia questa,
o fratelli miei, meglio intesa e applicata che non fu per
l'addietro, la vostra parola di fede, la vostra preghiera:
ripetetela e operate perché si verifichi. Lasciate ch'altri tenti
persuadervi la rassegnazione passiva, l'indifferenza alle cose
terrene, la sommissione ad ogni potere temporale anche ingiusto,
replicandovi, male intesa, quell'altra parola: “Rendete a Cesare ciò
ch'è il Cesare e ciò ch'è di Dio a Dio”.
Possono dirvi cosa che non sia di Dio? Nulla è di Cesare se non
quanto è conforme alla Legge Divina. Cesare, ossia il potere
temporale, il governo civile non è che il mandatario, l'esecutore,
quanto le sue forze e i tempi concedono, del disegno di Dio: dove
tradisce il mandato, è vostro, non diremo diritto, ma dovere
mutarlo. A che siete quaggiù, se non per affaticarvi a sviluppare
coi vostri mezzi e nella vostra sfera il concetto di Dio? A che
professare di credere nell'unità del genere umano, conseguenza
inevitabile dell'Unità di Dio, se non lavorate a vivificarla
combattendo le divisioni arbitrarie, le inimicizie che separano
tuttavia le diverse tribù formanti l'Umanità? A che credere nella
Libertà umana, base della umana responsabilità, se non ci adoperiamo
a distruggere tutti gli ostacoli che impediscono la prima e viziano
la seconda? A che parlare di Fratellanza, pur concedendo che i
nostri fratelli siano ogni dì conculcati, avvinti, sprezzati? La
terra è la nostra lavoreria: non bisogna maledirla; bisogna
santificarla. Le forze materiali che ci troviamo d'intorno sono i
nostri strumenti di lavoro; non bisogna ripudiarli, bisogna
costantemente, ardentemente dirigerli al bene.
Ma questo, voi, senza Dio, non potete. V'ho parlato di Doveri: v'ho
insegnato che la sola conoscenza dei vostri Diritti non basta a
guidarci durevolmente sulle vie del bene, non basta a darvi quel
miglioramento progressivo, continuo, nella vostra condizione, che
voi cercate: or bene, senza Dio, donde il Dovere? senza Dio, voi, a
qualunque sistema civile vogliate appigliarvi, non potete trovare
altra base che la Forza cieca, brutale, tirannica. Di qui non
s'esce. O lo sviluppo delle cose umane dipende da una legge di
provvidenza che noi tutti siamo incaricati di scoprire e di
applicare, o è affidato al caso, alle circostanze del momento,
all'uomo che sa meglio avvalersene. O dobbiamo obbedire a Dio, o
servire ad uomini, uno o più non porta. Se non regna una mente
suprema su tutte le menti umane, chi può salvarci dall'arbitrio dei
nostri simili, quando si trovino più potenti di noi? Se non esiste
una Legge santa, inviolabile, non creata dagli uomini, quale norma
avremo per giudicare se un atto è giusto o non lo è? In nome di chi,
in nome di che protesteremo contro l'oppressione e l'ineguaglianza?
Senza Dio, non v'è altro dominatore che il Fatto: il Fatto davanti
al quale i materialisti s'inchinano sempre, abbia nome Rivoluzione o
Bonaparte: il Fatto del quale i materialisti anch'oggi, in Italia ed
altrove, si fanno scudo per giustificare l'inerzia anche dove
concordano teoricamente coi nostri principii. Or, comanderemo noi
loro sacrificio, il martirio in nome delle nostre opinioni
individuali? Cangeremo, in virtù solamente dei nostri interessi, la
teorica in pratica, il principio astratto in azione? Disingannatevi.
Finché parleremo a individui, in nome di quanto il nostro intelletto
individuale ci suggerisce, avremo quel ch'oggi abbiamo: adesione a
parole, non opera. Il grido che suonò in tutte le grandi
rivoluzioni, il grido Dio lo vuole! Dio lo vuole! delle Crociate,
può solo convertire gl'inerti in attivi, dar animo ai paurosi,
entusiasmo di sacrifizio ai calcolatori, fede a chi respinge col
dubbio ogni umano concetto. Provate agli uomini che l'opera
d'emancipazione e di sviluppo progressivo alla quale voi li
chiamate, stia nel disegno di Dio: nessuno si ribellerà. Provate
loro che l'opera terrestre da compirsi quaggiù è essenzialmente
connessa colla loro vita immortale: tutti i calcoli del momento
spariranno davanti all'importanza dell'avvenire. Senza Dio, voi
potete imporre, non persuadere: potete essere tiranni od oppressori
alla volta vostra, non Educatori ed Apostoli.
Dio lo vuole, Dio lo vuole! È grido di popolo, o fratelli; è grido
del vostro popolo, grido nazionale Italiano. Non vi lasciate
ingannare, o voi che lavorate con sincerità d'amore per la vostra
Nazione, da chi vi dirà forse che la tendenza Italiana non è che
tentazione politica, e che lo spirito religioso s'è dipartito da
essa. Lo spirito religioso non si dipartì mai dall'Italia finché
l'Italia, comunque divisa, fu grande ed attiva; si dipartì, quando
nel secolo decimosesto, caduta Firenze, caduta sotto le armi
straniere di Carlo V, e sotto i raggiri dei Papi ogni libertà di
vita Italiana, noi cominciammo a perdere tendenze nazionali e a
vivere spagnuoli, tedeschi e francesi. Allora i nostri letterati
incominciarono a far da buffoni ai principi e ad accarezzare la
svogliatezza dei padroni, ridendo di tutti e di tutto. Allora i
nostri preti, vedendo impossibile ogni applicazione di verità
religiosa, incominciarono a far bottega del culto, e a pensare a se
stessi, non al popolo ch'essi dovevano illuminare e proteggere. E
allora il popolo, sprezzato dai letterati, tradito e spolpato dai
preti, esiliato da ogni influenza nelle cose pubbliche, cominciò a
vendicarsi ridendo dei letterati, diffidando dei preti, ribellandosi
a tutte le credenze, poi che vedeva corrotta l'antica e non poteva
presentire più in là. Da quel tempo in poi, noi ci trasciniamo tra
le superstizioni comandate dall'abitudine o dai governi e la
incredulità, abietti e impotenti. Ma noi vogliamo risorgere grandi
ed onorati. E ricorderemo la tradizione Nazionale. Ricorderemo che
col nome di Dio sulla bocca e colle insegne della loro fede nel
centro della battaglia, i nostri fratelli lombardi vincevano, nel
dodicesimo secolo, gl'invasori tedeschi, e riconquistavano le loro
libertà manomesse. Ricorderemo che i repubblicani delle città
toscane si radunavano al parlamento nei templi. Ricorderemo gli
Artigiani Fiorentini che, respingendo il partito di sottomettere
all'impero della famiglia Medici la loro libertà democratica,
elessero, per voto solenne, Cristo capo della Repubblica - e il
frate Savonarola predicante a un tempo il dogma di Dio e quello del
popolo - e i Genovesi del 1746 liberatori, a furia di sassate, e del
nome di Maria protettrice, della loro città dall'esercito tedesco
che la occupava, e una catena d'altri fatti simili a questi, ne'
quali il pensiero religioso protesse e fecondò il pensiero popolare
Italiano.
E il pensiero religioso dorme, aspettando sviluppo, nel nostro
popolo: chi saprà suscitarlo, avrà fatto più per la Nazione che non
con venti sette politiche. Forse all'assenza di questo pensiero
negli imitatori delle costituzioni e tattiche monarchiche forestiere
che condussero i tentativi passati d'insurrezione in Italia, tanto
quanto all'assenza d'uno scopo apertamente popolare, è dovuta la
freddezza con che il popolo guardò finora a quei tentativi.
Predicate dunque, o fratelli, in nome di Dio. Chi ha cuore italiano
vi seguirà.
Predicate in nome di Dio. I letterati sorrideranno: dimandate ai
letterati che cosa hanno fatto per la loro patria. I preti vi
scomunicheranno: dite ai preti che voi conoscete Dio più ch'essi non
fanno, e che tra Dio e la sua Legge, voi non avete bisogno
d'intermediari. Il popolo v'intenderà e ripeterà con voi: “Crediamo
in Dio Padre Intelletto ed amore, Creatore ed Educatore
dell'Umanità”. E in quella parola, voi e il Popolo vincerete.
Capitolo terzo
La Legge
Voi avete vita: dunque avete una legge di vita. Non c'è vita senza
legge. Qualunque cosa esiste, esiste in un certo modo, secondo certe
condizioni, con una certa legge. Una legge d'aggregazione governa i
minerali: una legge di sviluppo governa le piante: una legge di moto
governa gli astri: una legge governa voi e la vostra vita: legge
tanto più nobile ed alta quanto più voi siete superiori a tutte le
cose create sulla terra. Svilupparvi, agire, vivere secondo la
vostra legge è il primo, anzi l'unico vostro dovere.
Dio v'ha dato la vita; Dio v'ha dunque data la legge; Dio è l'unico
Legislatore della razza umana. La sua legge è l'unica alla quale voi
dobbiate ubbidire. Le leggi umane non sono valide e buone se non in
quanto vi si uniformano, spiegandola ed applicandola: sono tristi
ogni qualvolta la contradicono o se ne discostano: ed è non
solamente vostro diritto, ma vostro dovere disubbidirle e abolirle.
Chi meglio spiega ed applica ai casi umani la legge di Dio, è vostro
capo legittimo: amatelo e seguitelo. Ma da Dio in fuori, non avete,
né potete, senza tradirlo e ribellarvi da lui, avere padrone.
Nella coscienza della vostra legge di vita, della LEGGE DI DIO, sta
dunque il fondamento della morale, la regola delle vostre azioni e
dei vostri doveri, la misura della vostra responsabilità: in essa
sta pure la vostra difesa contro le leggi ingiuste che l'arbitrio
d'un uomo o di più uomini può tentare d'imporvi. Voi non potete,
senza conoscerla, prender nomi o diritti d'uomini. Tutti i diritti
hanno la loro origine in una legge, e voi, ogni qualvolta non potete
invocarla, potete essere tiranni o schiavi, non altro: tiranni se
siete forti, schiavi dell'altrui forza se siete deboli. Ad essere
uomini, vi bisogna conoscere la legge che distingue la natura umana
da quella dei bruti, delle piante, dei minerali, e conformarvi le
vostre azioni.
Or, come conoscerla?
È questa la dimanda che in tutti i tempi l'Umanità ha indirizzato a
quanti hanno pronunziato la parola: legge, doveri; e le risposte
sono anch'oggi diverse.
Gli uni hanno risposto mostrando un Codice, un libro e dicendo: “Qui
dentro è tutta la legge morale.” Gli altri hanno detto: “Ogni uomo
interroghi il proprio core; ivi sta la definizione del bene e del
male.” Altri ancora, rigettando il giudizio dell'individuo, ha
invocato il consenso universale, e dichiarato che dove l'umanità
concorda in una credenza, quella è la vera.
Erravano tutti. E la storia del genere umano dichiarava impotenti,
con fatti irrecusabili, tutte queste risposte.
Quei che affermano trovarsi in un libro o sulla bocca d'un solo uomo
tutta quanta la legge morale, dimenticano che non v'è codice dal
quale l'Umanità, dopo una credenza di secoli, non si sia scostata
per cercarne e ispirarne un'altro migliore, e che non v'è ragione,
oggi specialmente, di credere che l'Umanità cangi di metodo.
A quel che sostengono la sola coscienza dell'individuo essere la
norma del vero e del falso, ossia del bene e del male, basta
ricordare, che nessuna religione, per santa che fosse, è stata senza
eretici, senza dissidenti convinti e presti ad affrontare il
martirio in nome della loro coscienza.
Oggi il Protestantesimo si divide e suddivide in mille sette tutte
fondate sui diritti della coscienza dell'individuo; tutte accanite a
farsi guerra tra loro, e perpetuanti l'anarchia di credenze, vera e
sola sorgente della discordia che tormenta socialmente e
politicamente i popoli dell'Europa.
E d'altra parte, agli uomini che rinnegano la testimonianza della
coscienza dell'individuo per richiamarsi unicamente al consenso
dell'Umanità in una credenza, basta ricordare come tutte le grandi
idee che migliorano l'Umanità, cominciarono a manifestarsi in
opposizione a credenze che l'Umanità consentiva, e furono predicate
da individui che l'Umanità derise, perseguitò, crocefisse.
Ciascuna dunque di queste norme è insufficiente a ottenere la
conoscenza della LEGGE DI DIO, della Verità! E nondimeno, la
coscienza dell'individuo è santa: il consenso comune dell'Umanità è
santo: e chiunque rinunzia a interrogare questo o quella, si priva
d'un mezzo essenziale per conoscere la verità. L'errore generale fin
qui è stato quello di volerla raggiungere con un solo di questi
mezzi esclusivamente: errore decisivo e funestissimo nelle
conseguenze, perché non si può stabilire la coscienza
dell'individuo, sola norma della verità, senza cadere nell'anarchia;
non si può invocare come inappellabile il consenso generale in un
momento dato, senza soffocare la libertà umana e rovinare nella
tirannide.
Così - e cito questi esempi per mostrare come da queste prime basi
dipenda, più che generalmente non si crede, tutto quanto l'edifizio
sociale - così gli uomini, servendo allo stesso errore, hanno
ordinato la società politica, gli uni sul rispetto unicamente dei
diritti dell'individuo, dimenticando interamente la missione
educatrice della società; gli altri unicamente sui diritti, sociali,
sacrificando la libertà e l'azione dell'individuo(5). E la Francia
dopo la sua grande rivoluzione, e l'Inghilterra segnatamente,
c'insegnarono come il primo sistema non conduca che alla
ineguaglianza e all'oppressione dei più; il Comunismo, fra gli
altri, ci mostrerebbe, se potesse mai trapassare allo stato di
fatto, come il secondo condanni a pietrificarsi la società
togliendone ogni moto e ogni facoltà di progresso.
Così gli uni, considerando che i pretesi diritti dell'individuo
hanno ordinato, o meglio, disordinato il sistema economico, gli
danno per unica base la teoria della libera concorrenza illimitata;
mentre gli altri, non guardando che all'unità sociale, vorrebbero
fidare al governo il monopolio di tutte le forze produttrici dello
Stato: due concetti, il primo de' quali ci ha dato tutti i mali
dell'anarchia, il secondo ci darebbe l'immobilità e tutti i mali
della tirannide.
Dio v'ha dato il consenso dei vostri fratelli e la vostra coscienza,
come due ale per innalzarvi quanto è possibile sino a lui. Perché
v'ostinate a troncarne una? Perché isolarvi, assorbirvi nel mondo?
Perché voler soffocare la voce del genere umano? Ambe sono sacre:
Dio parla in ambe. Dovunque s'incontrano, dovunque il grido della
vostra coscienza è ratificato dal consenso dell'Umanità, ivi è Dio,
ivi siete certi di avere in pugno la verità: l'uno è la
verificazione dell'altro.
Se i vostri doveri non fossero che negativi, se consistessero
unicamente nel non fare il male, nel non nuocere ai vostri fratelli,
forse, nello stato di sviluppo in cui oggi sono anche i meno
educati, il grido della vostra coscienza basterebbe a dirigervi.
Siete nati al bene, e ogni qual volta voi operate direttamente
contro la Legge, ogni qual volta voi commettete ciò che gli uomini
chiamano delitto, v'è tal cosa in voi che v'accusa, tale una voce di
rimprovero che voi potrete dissimulare agli altri, ma non a voi
stessi. Ma i vostri più importanti doveri sono positivi. Non basta
il non fare: bisogna fare. Non basta limitarsi a non operare contro
la Legge: bisogna operare a seconda della Legge. Non basta il non
nuocere, bisogna giovare ai vostri fratelli. Pur troppo finora la
morale s'è presentata ai più fra gli uomini in una forma più
negativa che affermativa. Gl'interpreti della Legge hanno detto:
“non ruberai, non ammazzerai”; nessuno o pochi, hanno insegnato gli
obblighi che spettano all'uomo, e il come egli debba giovare ai suoi
simili e al disegno di Dio nella creazione. Or questo è il primo
scopo della Morale; né l'individuo, consultando unicamente la
propria coscienza, può raggiungerlo mai.
La coscienza dell'individuo parla in ragione della sua educazione,
delle sue tendenze, delle sue abitudini, delle sue passioni. La
coscienza dell'Irochese selvaggio parla un linguaggio diverso da
quello dell'Europeo incivilito del XIX secolo. La coscienza
dell'uomo libero suggerisce doveri che la coscienza dello schiavo
non sospetta nemmeno. Interrogate il povero giornaliero Napoletano o
Lombardo, al quale un cattivo prete fu l'unico apostolo di morale,
al quale, s'ei pur sa leggere, quella del catechismo Austriaco fu
l'unica lettura concessa, egli vi dirà che i suoi doveri sono lavoro
assiduo a ogni prezzo per sostenere la sua famiglia, sommissione
illimitata senza esame alle leggi quali esse siano, e il non nuocere
altrui: a chi gli parlasse di doveri che lo legano alla patria e
all'Umanità, a chi gli dicesse: “voi nuocete ai nostri fratelli,
accettando di lavorare per un prezzo inferiore all'opera, voi
peccate contro Dio e contro all'anima vostra, obbedendo a leggi che
sono ingiuste”, ei risponderebbe, come chi non intende, inarcando le
ciglia. Interrogate l'operaio Italiano, al quale circostanze
migliori o il contatto con uomini di più educato intelletto hanno
insegnato più parte del vero; ei vi dirà che la sua patria è
schiava, che i suoi fratelli sono ingiustamente condannati a vivere
in miseria materiale e morale, e ch'ei sente il dovere di
protestare, potendo, contro questa ingiustizia. Perché tanto divario
fra i suggerimenti della coscienza in due individui dello stesso
tempo e dello stesso paese? Perché fra dieci individui appartenenti
in sostanza alla stessa credenza, quella che impone lo sviluppo e il
progresso della razza umana, troviamo dieci convinzioni diverse sui
modi d'applicare la credenza alle azioni, cioè sui doveri?
Evidentemente, il grido della coscienza dell'individuo non basta, in
ogni stato di cose e senz'altra norma, a rivelargli la Legge. La
coscienza basta solo a insegnarvi che una legge esiste, non quali
sono questi doveri. Per questo il martirio non s'è mai, e comunque
l'egoismo predominasse, esiliato dall'Umanità; ma quanti martiri non
sacrificarono l'esistenza per presunti doveri, a beneficio d'errori
oggi patenti a ciascuno!
V'è dunque bisogno d'una scorta alla vostra coscienza, d'un lume che
le rompa d'intorno la tenebra, d'una norma che ne verifichi e ne
diriga gl'istinti. E questa norma è l'Intelletto e l'Umanità.
Dio ha dato intelletto a ciascun di voi, perché lo educhiate a
conoscere la sua Legge. Oggi, la miseria, gli errori inveterati da
secoli e la volontà dei vostri padroni, vi contrastano fin la
possibilità d'educarlo; e per questo v'è necessario rovesciare
quegli ostacoli colla forza. Ma quand'anche gli ostacoli saranno
tolti di mezzo, l'intelletto di ciascun di voi sarà insufficiente a
conoscere la legge di Dio, se non appoggiandosi all'intelletto
dell'umanità. La vostra vita è breve: le vostre facoltà individuali
sono deboli, incerte, e abbisognano d'un punto d'appoggio. Or Dio
v'ha messo vicino un essere la cui vita è continua, e le cui facoltà
sono la somma di tutte le facoltà individuali che si sono, da forse
quattrocento secoli, esercitate; un essere che attraverso gli errori
e le colpe degli individui migliora sempre in sapienza e moralità:
un essere nel cui sviluppo Dio ha scritto e scrive ad ogni epoca una
linea della sua Legge.
Quest'essere è l'Umanità.
L'Umanità, ha detto un pensatore del secolo scorso, è un uomo che
impara sempre. Gl'individui muoiono; ma quel tanto di vero che essi
hanno pensato, quel tanto di buono ch'essi hanno operato non va
perduto con essi: l'Umanità lo raccoglie e gli uomini che
passeggiano sulla loro sepoltura ne fanno lor pro. Ognuno di noi
nasce in oggi in una atmosfera d'idee e di credenze elaborata da
tutta l'Umanità anteriore: ognuno di noi porta, senza pur saperlo,
un elemento più o meno importante alla vita dell'Umanità successiva.
La educazione dell'Umanità progredisce come si inalzano in Oriente
quelle piramidi alle quali ogni viandante aggiunge una pietra. Noi
passiamo, viandanti d'un giorno, chiamati a compiere la nostra
educazione individuale altrove; l'educazione dell'Umanità si mostra
a lampi in ciascuno di noi, si svela lentamente, progressivamente,
continuamente nell'Umanità. L'Umanità è il Verbo vivente di Dio. Lo
spirito di Dio la feconda, e si manifestò sempre più puro, sempre
più attivo d'epoca in epoca in essa, un giorno per mezzo d'un
individuo, un altro per mezzo d'un popolo. Di lavoro in lavoro, di
credenza in credenza, l'Umanità conquista via via una nozione più
chiara della propria vita, della propria missione, di Dio e della
sua Legge.
Dio s'incarna successivamente nell'umanità. La legge di Dio è una,
sì come è Dio; ma noi lo scopriamo articolo per articolo, linea per
linea, quanto più s'accumula l'esperienza educatrice delle
generazioni che precedono, quanto più cresce in ampiezza e in
intensità l'associazione fra le razze, fra i popoli, fra
gl'individui. Nessun uomo, nessun popolo, nessun secolo può
presumere di scoprirla intera: la legge morale, la legge di vita
dell'umanità tutta quanta raccolta in associazione, quando tutte le
forze, tutte le facoltà che costituiscono l'umana natura saranno
sviluppate e in azione. Ma intanto, quella parte dell'Umanità ch'è
più inoltrata nell'educazione c'insegna col suo sviluppo parte della
legge che noi cerchiamo. Nella sua storia leggiamo il disegno di
Dio; ne' suoi bisogni i nostri doveri: doveri che mutano o per dir
meglio crescono coi bisogni, perché il nostro primo dovere sta nel
concorrere a che l'Umanità salga prontamente quel grado di
miglioramento e di educazione al quale Dio e i tempi l'hanno
preparata.
Voi dunque, a conoscere la legge di Dio, avete bisogno d'interrogare
non solamente la vostra coscienza, ma la coscienza, il consenso
dell'Umanità; a conoscere i vostri doveri, avete bisogno
d'interrogare i bisogni attuali dell'Umanità. La morale è
progressiva come l'educazione del genere umano e di voi. La morale
del Cristianesimo non era quella dei tempi Pagani: la morale del
secolo nostro non è quella di diciotto secoli addietro. Oggi i
vostri padroni, colla segregazione dell'altre classi, col divieto
d'ogni associazione, colla doppia censura imposta alla stampa
procacciano di nascondervi, coi bisogni dell'Umanità, i vostri
doveri. E nondimeno, anche prima del tempo in cui la Nazione
v'insegnerà gratuitamente dalle scuole di educazione generale la
storia dell'Umanità nel passato e i suoi bisogni presenti, voi
potete, volendo, imparare in parte almeno la prima e indovinare i
secondi. I bisogni attuali dell'Umanità emergono in espressioni più
o meno imperfette, dai fatti che occorrono ogni giorno nei paesi ai
quali non è legge assoluta l'immobilità del silenzio. Chi vi vieta,
fratelli delle terre schiave, saperli? Qual forza di sospettosa
tirannide può lungamente contendere a milioni d'uomini, moltissimi
dei quali viaggiano fuori d'Italia e rimpatriano, la conoscenza dei
fatti europei? Se le associazioni pubbliche vi sono in quasi tutta
Italia vietate(6), chi può vietar le segrete, quand'esse fuggano i
simboli e le organizzazioni complicate, e non consistano che d'una
catena fraterna stesa di paese in paese fino a toccare alcuno tra
gli infiniti punti della frontiera? Non troverete voi sopra ogni
punto della frontiera terrestre e marittima, uomini vostri, uomini
che i vostri padroni hanno cacciato fuori di patria per aver voluto
giovarvi, che vi saranno apostoli di verità, che vi diranno con
amore ciò che gli studi e le tristi facilità dell'esilio hanno loro
insegnato sui voti presenti e sulla tradizione dell'Umanità? Chi può
impedirvi, solo che voi vogliate, di ricevere alcuno degli scritti
che i vostri fratelli stampano qui nell'esilio per voi? Leggeteli e
ardeteli, sì che il giorno dopo, l'inquisizione dei vostri padroni
non li trovi fra le vostre mani e non ne faccia argomento di colpa
alle vostre famiglie; ma pur leggeteli e ripetete, quel tanto che
avrete potuto serbare a mente, ai più fidati dei vostri amici.
Aiutateci colle offerte ad allargare la sfera dell'Apostolato, a
compilare, a stampare per voi manuali di storia generale e di storia
patria. Aiutateci, moltiplicando le comunicazioni, a diffonderli.
Convincetevi che senza istruzione, voi non potete conoscere i vostri
doveri: convincetevi che dove la Società vi contende ogni
insegnamento, la responsabilità d'ogni colpa è non vostra, ma sua:
la vostra incomincia dal giorno in cui una via qualunque allo
insegnamento v'è aperta, e la negligete: dal giorno in cui vi si
mostrano mezzi per mutare una società che vi condanna all'ignoranza,
e voi non pensate ad usarne. Non siete colpevoli perché ignorate;
siete colpevoli perché vi rassegnate a ignorare - perché mentre la
vostra coscienza v'avverte che Dio non v'ha dato facoltà senza
imporvi di svilupparle, voi lasciate dormire nell'anima vostra tutte
le facoltà del pensiero - perché, mentre pur sapete che Dio non può
avervi dato l'amore del vero senza darvi i mezzi di conseguirlo,
voi, disperando, rinunziate a farne ricerca e accettate, senza
esame, per verità l'affermazione del potente e del sacerdote venduto
al potente.
Dio, Padre ed educatore dell'Umanità, rivela nello spazio e nel
tempo la sua legge all'Umanità. Interrogate la tradizione
dell'Umanità, il Consenso dei vostri fratelli, non nel cerchio
ristretto di un secolo o d'una setta, ma in tutti i secoli e nella
maggiorità degli uomini passati e presenti. Ogni volta che a quel
consenso corrisponde la voce della vostra coscienza, voi siete certi
del vero, certi d'avere una linea della legge di Dio.
Noi crediamo nell'Umanità, sola interprete della legge di Dio sulla
terra; e dal consenso dell'umanità in armonia colla nostra
coscienza, deduciamo quanto andrò via via dicendovi intorno ai
vostri doveri.
Capitolo quarto
Doveri verso l'umanità
I vostri primi doveri, primi non per tempo ma per importanza e
perché senza intendere quelli non potete compiere se non
imperfettamente gli altri, sono verso l'Umanità. Avete doveri di
cittadini, di figli, di sposi e di padri, doveri santi, inviolabili,
dei quali vi parlerò a lungo tra poco; ma ciò che fa santi e
inviolabili quei doveri, è la missione, il Dovere che la vostra
natura d'uomini vi comanda. Siete padre per educare uomini al culto
e allo sviluppo della Legge di Dio. Siete cittadini, avete una
Patria, per potere facilmente, in una sfera limitata, con concorso
di gente già stretta a voi per lingua, per tendenze, per abitudini,
operare, a beneficio degli uomini quanti sono e saranno, ciò che mal
potreste operare perduti, voi soli e deboli, nell'immenso numero dei
vostri simili. Quei che v'insegnano morale, limitando la nozione dei
vostri doveri alla famiglia o alla patria, v'insegnano, più o meno
ristretto, l'egoismo, e vi conducono al male per gli altri e per voi
medesimi. Patria e Famiglia son come due circoli segnati dentro un
circolo maggiore che li contiene; come due gradini d'una scala senza
i quali non potreste salire più in alto, ma sui quali non è permesso
arrestarvi.
Siete uomini: cioè creature ragionevoli, socievoli e capaci, per
mezzo unicamente dell'associazione, d'un progresso, a cui nessuno
può assegnar limiti: e questo è quel tanto che oggi sappiamo dalla
Legge di vita data all'Umanità. Questi caratteri costituiscono la
umana natura, che vi distingue dagli altri esseri che vi circondano
e che è fidata a ciascuno di voi come un seme da far fruttare. Tutta
la vostra vita deve tendere all'esercizio e allo sviluppo ordinario
di queste facoltà fondamentali della vostra natura. Qualunque volta
voi sopprimete o lasciate sopprimere, in tutto o in parte, una di
queste facoltà, voi scadete dal rango d'uomini fra gli animali
inferiori o violate la legge della vostra vita, la Legge di Dio.
Scadete fra i bruti e violate la Legge di Dio, qualunque volta voi
sopprimete o lasciate sopprimere una delle facoltà che costituiscono
l'umana natura in voi o in altri. Ciò che Dio vuole, è non già che
la sua legge s'adempia in voi individui - se Dio non avesse voluto
che questo, ei vi avrebbe creato soli - ma che s'adempia su tutta
quanta la terra, fra tutti gli esseri ch'egli creava a immagine sua.
Ciò ch'egli vuole è che il pensiero di perfezionamento e d'amore, da
lui posto nel mondo, si riveli e splenda più sempre adorato e
rappresentato. La vostra esistenza terrestre, individuale,
limitatissima com'è per tempo e per facoltà, non può rappresentarlo
che imperfettissimo e a lampi. L'Umanità sola, continua per
generazioni e per intelletto, che si nutre dell'intelletto di tutti
i suoi membri, può svolgere via via quel divino pensiero e
applicarlo e glorificarlo. La vita vi fu dunque data da Dio perché
ne usiate a benefizio dell'Umanità, perché dirigiate le vostre
facoltà individuali allo sviluppo delle facoltà dei vostri fratelli,
perché aggiungiate con l'opera vostra un elemento qualunque
all'opera collettiva di miglioramento e di scoperta del vero, che le
generazioni, lentamente ma continuamente promuovono. Dovete educarvi
ed educare, perfezionare. Dio è in voi, non v'è dubbio; ma Dio è
pure in tutti gli uomini che popolano con voi questa terra: Dio è
nella vita di tutte le generazioni che furono, sono e saranno, e
hanno migliorato e miglioreranno progressivamente il concetto che
l'Umanità si forma di Lui, della sua Legge, e dei nostri Doveri.
Dovete adorarlo e glorificarlo per tutto ov'Egli è. L'Universo è il
suo Tempio. Ed ogni profanazione non combattuta, non espiata, del
Tempio di Dio, ricade su tutti quanti i credenti. Poco importa che
voi possiate dirvi puri: quando anche poteste, isolandovi, rimanervi
tali, se avete a due passi la corruzione e non cercate combatterla,
tradite i vostri doveri. Poco importa che adoriate nell'anima nostra
la Verità: se l'errore governa i vostri fratelli in un altro angolo
di questa terra che ci è madre comune, e voi non desiderate e non
tentate, per quanto le forze vostre vel concedono, rovesciarlo,
tradite i vostri doveri. L'immagine di Dio è sformata nell'anime
immortali dei vostri simili. Dio vuole essere adorato nella sua
Legge, e la sua Legge è fraintesa, violata, negata d'intorno a voi.
L'umana natura è falsata nei milioni d'uomini ai quali, siccome a
voi, Dio ha fidato l'adempimento concorde del suo disegno. E voi
rimanendovi inerti, osereste pure chiamarvi credenti?
Un popolo, il Greco, il Polacco, il Circasso, sorge con una bandiera
di patria e d'indipendenza, combatte, vince, o muore per quella.
Cos'è che fa battere il vostro cuore al racconto delle sue
battaglie, che lo solleva nella gioia alle sue vittorie, che lo
contrista alla sua caduta? Un uomo, vostro o straniero, si leva, nel
silenzio comune, in un angolo della terra, preferisce alcune idee,
ch'ei crede vere, le mantiene nella persecuzione e fra i ceppi, e
muore, senza rinnegarle, sul palco. Perché lo onorate col nome di
Santo e di Martire? Perché rispettate e fate rispettare dai vostri
figli la sua memoria?
E perché leggete con avidità i miracoli di amor patrio registrati
nelle storie Greche e li ripetete ai figli vostri con un senso
d'orgoglio quasi fossero storie dei vostri padri? Quei fatti Greci
son vecchi di due mila anni, e appartengono a un'epoca
d'incivilimento che non è la vostra, né lo sarà mai. Quell'uomo che
chiamate Martire, moriva forse per idee che non sono le vostre, e
troncava a ogni modo colla morte ogni via al suo progresso
individuale quaggiù. Quel popolo che ammirate nella vittoria o nella
caduta, e popolo straniero a voi, forse pressoché ignoto; parla un
linguaggio diverso, e il modo della sua esistenza non influisce
visibilmente sul vostro: che importa a voi se chi lo domina è il
Sultano o il Re di Baviera, il Russo o un governo escito dal
consenso della nazione? Ma nel vostro cuore è una voce che grida:
“Quegli uomini di due mila anni addietro, quelle popolazioni ch'oggi
combattono lontane da voi, quel martire per le idee del quale voi
non morreste, furono, sono fratelli vostri: fratelli non solo per
comunioni di origine e di natura, ma per comunione di lavoro e di
scopo. Quei Greci antichi passarono; ma l'opera loro non passò, e
senza quella voi non avreste oggi quel grado di sviluppo
intellettuale e morale che avete raggiunto. Quelle popolazioni
consacrarono col loro sangue una idea di libertà nazionale per la
quale voi combattete. Quel martire insegnava morendo che l'uomo deve
sacrificare ogni cosa e, occorrendo, la vita a quel che egli crede
essere la Verità. Poco importa ch'egli e quanti altri segnano col
loro sangue la fede tronchino qui sulla terra il proprio sviluppo
individuale: Dio provvede altrove per essi. Importa lo sviluppo
dell'Umanità. Importa che la generazione ventura sorga, ammaestrata
dalle vostre pugne e dai vostri sacrifici, più alta e più potente
che voi non siete nella intelligenza della Legge, nell'adorazione
della Verità. Importa che, fortificata dagli esempi, la natura umana
migliori e verifichi più sempre il disegno di Dio sulla terra. E in
qualunque luogo la natura migliori, in qualunque luogo si conquisti
una verità, in qualunque parte si mova un passo sulla via
dell'educazione, del progresso, della morale, è passo, è conquista
che frutterà presto o tardi a tutta quanta l'Umanità. Siete tutti
soldati d'un esercito che move per vie diverse, diviso in nuclei
diversi, alla conquista d'un solo intento. Oggi, voi non guardate
che ai vostri capi immediati; le diverse assise, le diverse parole
d'ordine, le distanze che separano i corpi d'operazione, le montagne
che celano gli uni al guardo degli altri, vi fanno spesso
dimenticare questa verità e concentrano esclusivamente la vostra
attenzione sul fine che v'è più prossimo. Ma v'è più alto di tutti
voi, chi abbraccia l'insieme e dirige le mosse. Dio solo ha il
segreto della battaglia e saprà raccogliervi tutti in un campo e
sotto una sola bandiera.
Quanta distanza tra questa credenza che fermenta nelle anime nostre
e sarà base alla morale dell'Epoca che sta per sorgere, e quelle che
davano per base alla loro morale le generazioni che oggi chiamano
antiche! E com'è stretto il legame che passa fra l'idea che noi ci
formiamo del Principio Divino e quella che ci formiamo dei nostri
doveri! I primi uomini sentivano Dio, ma senza intenderlo, senza più
cercare d'intenderlo nella sua Legge: lo sentivano nella sua
potenza, non nell'amore: concepivano confusamente una relazione
qualunque fra Lui e il proprio individuo, non altro. Poco atti a
staccarsi dalla sfera degli oggetti sensibili, lo sostanziavano in
uno di quelli, nell'albero che avevan veduto colpito dal fulmine,
nella pietra presso alla quale avevano innalzata la loro tenda,
nell'animale che s'era offerto prima al loro occhio. Era il culto
che nella storia della religione si distingue col nome di feticismo.
E allora gli uomini non conobbero che la famiglia, riproduzione in
certo modo del loro individuo: oltre il cerchio della famiglia, non
v'erano che stranieri, o più generalmente, nemici; giovare a sé e
alla famiglia, era l'unica base della morale. Più appresso, l'idea
di Dio s'ampliò. Dagli oggetti sensibili l'uomo risali timidamente
all'astrazione: generalizzò. Dio non fu più il protettore della
famiglia, ma dell'associazione di più famiglie, della città, della
gente. Al feticismo successe il politeismo, culto di molti Dei.
Allora la morale ampliò anch'essa il suo cerchio d'azione. Gli
uomini riconobbero l'esistenza dei doveri più estesi della famiglia
e lavorarono all'incremento della gente, della nazione. Pur
nondimeno, l'Umanità s'ignorava. Ogni nazione chiamava barbari gli
stranieri, li trattava siccome tali, e ne cercava colla forza e
coll'arte la conquista o l'abbassamento. Ogni nazione aveva
stranieri o barbari nel suo seno, uomini, milioni di uomini, non
ammessi ai riti religiosi dei cittadini, creduti di natura diversa,
e schiavi fra i liberi. L'unità del genere umano non poteva essere
ammessa che come conseguenza dell'unità di Dio. E l'unità di Dio,
indovinata da alcuni rari pensatori dell'antichità, manifestata
altamente da Mosè, ma colla restrizione funesta che un solo popolo
era l'eletto di Dio, non fu riconosciuta che verso lo scioglimento
dell'impero Romano, per opera del Cristianesimo; Cristo pose in
fronte alla sua credenza queste due verità inseparabili: non v'è che
un solo Dio, tutti gli uomini sono figli di Dio; e la promulgazione
di queste due verità cangiò aspetto al mondo e ampliò il cerchio
morale sino ai confini delle terre abitate. Ai doveri verso la
famiglia e verso la patria, s'aggiunsero i doveri verso l'Umanità.
Allora l'uomo imparò che dovunque ei trovava un suo simile, ivi era
un fratello per lui, un fratello dotato d'un'anima immortale come la
sua, chiamata a ricongiungersi al Creatore, e ch'ei gli dovea amore,
partecipazione della fede, e aiuto di consiglio e d'opera, dov'egli
ne abbisognasse. Allora, presentimento d'altre verità contenute in
germe nel Cristianesimo, s'udirono sulla bocca degli Apostoli parole
sublimi, inintelligibili all'antichità, male intese o tradite anche
dai successori; siccome in un corpo sono molte membra, e ciascun
membro eseguisce una diversa funzione, così, benché molti, noi siamo
un corpo solo, e membra gli uni degli altri(7). E vi sarà un solo
ovile e un solo pastore(8). Ed oggi, dopo diciotto secoli di studi
ed esperienze e fatiche, si tratta di dare sviluppo a quei germi: si
tratta d'applicare quella verità, non solamente a ciascun individuo,
ma a tutto quell'insieme di facoltà e forze umane e presenti e
future che si chiama l'UMANITÀ: si tratta di promulgare non
solamente che l'Umanità, è un corpo solo e deve essere governato da
una sola legge, ma che il primo articolo di questa Legge è:
Progresso, progresso qui sulla terra dove dobbiamo verificare quanto
più possiamo del disegno di Dio ed educarci a migliori destini. Si
tratta d'insegnare agli uomini che, se l'Umanità è un corpo solo,
noi tutti, siccome membra di quel corpo, dobbiamo lavorare al suo
sviluppo e a farne più armonica, più attiva e più potente la vita.
Si tratta di convincersi che non possiamo salire a Dio, se non per
l'anime dei nostri fratelli, e che dobbiamo migliorarle e
purificarle anche dov'esse nol chiedano. Si tratta, dacché l'Umanità
intera può sola compiere quella parte del disegno di Dio ch'ei volle
si compiesse quaggiù, di sostituire all'esercizio della carità verso
gl'individui, un lavoro d'associazione tendente a migliorar
l'insieme, di ordinare a siffatto scopo la famiglia e la patria.
Altri doveri più vasti si riveleranno a noi, nel futuro, secondo che
acquisteremo una idea meno imperfetta e più chiara della nostra
Legge di vita. Così Dio Padre, per mezzo d'una lenta, ma continua
educazione religiosa, guida al meglio l'Umanità, e in quel meglio il
nostro individuo migliora anch'esso.
Migliora in quel meglio, né senza un miglioramento comune voi potete
sperare che migliorino le condizioni morali o materiali del vostro
individuo. Voi, generalmente parlando, non potete, quando anche il
voleste, separare la vostra vita da quella dell'Umanità, vivente in
essa, d'essa, per essa. L'anima vostra, salve le eccezioni dei
pochissimi straordinariamente potenti, non può svincolarsi dalla
influenza degli elementi fra i quali si esercita; come il corpo,
comunque costituito robustamente, non può sottrarsi all'azione
d'un'aria corrotta che lo circondi. Quanti fra voi vorranno, colla
sicurezza di cacciarli incontro alle persecuzioni, educare i figli
ad una sincerità senza limiti, dove la tirannide e lo spionaggio
impongono di tacere o mentire i due terzi delle proprie opinioni?
Quanti vorranno educarli al disprezzo delle ricchezze in una società
dove l'oro è l'unica potenza che ottenga onori, influenza, rispetto,
anzi che protegga dall'arbitrio e dall'insulto dei padroni e dei
loro agenti? Chi è di voi che per amore e colle migliori intenzioni
del mondo non abbia mormorato ai suoi cari in Italia: diffidate
degli uomini; l'uomo onesto deve concentrarsi in sé stesso e fuggire
la vita Pubblica; la carità comincia da casa; e sì fatte massime
evidentemente immorali, ma suggeritevi dall'aspetto generale della
società? Qual'è la madre che, sebbene appartenente a una fede che
adora la Croce di Cristo, martire volontario dell'umanità, non abbia
cacciato le braccia intorno al collo del figlio, e tentato svolgerlo
da tentativi pericolosi pel bene de' suoi fratelli? E dov'anche
trovaste in voi la forza d'insegnare il contrario, la società intera
non distruggerebbe essa colle mille sue voci, coi mille suoi
tristissimi esempi, l'effetto della vostra parola? Potete voi stessi
purificare, innalzare l'anima vostra, in un'atmosfera di
contaminazione e d'avvilimento? E scendendo alle vostre condizioni
materiali, pensate possano migliorare stabilmente per altra via che
quella del miglioramento comune? Milioni di lire sterline sono spese
annualmente qui in Inghilterra, ov'io scrivo, dalla carità dei
privati a sollievo degli individui caduti in miseria; e la miseria
cresce annualmente, e la carità verso gli individui è provata
impotente a sanar le piaghe, e la necessità di rimedi organici
collettivi è più sempre universalmente sentita. Dove il paese è
minacciato continuamente in virtù delle leggi ingiuste che lo
governano, d'una lotta violenta fra gli oppressori e gli oppressi,
credete possono rifluire i capitali e abbondare le imprese vaste,
lunghe, costose? Dove i dazi e le proibizioni stanno nel capriccio
d'un governo assoluto che non ha chi lo moderi, e le cui spese di
eserciti di spie. d'impiegati o di pensionati crescono coi bisogni
della sua sicurezza, credete l'attività dell'industria e della
manifattura possa ricevere uno sviluppo progressivo, continuo?
Risponderete che basta ordiniate meglio il governo e le condizioni
sociali nella patria vostra? Non basta. Nessun popolo vive in oggi
esclusivamente dei propri prodotti. Voi vivete di cambi, di
importazioni e d'esportazioni.
Una nazione straniera che impoverisca, nella quale diminuisca la
cifra dei consumatori, è un mercato di meno per voi. Un commercio
straniero che, in conseguenza dei cattivi ordinamenti, soggiaccia a
crisi o a rovina, produce crisi o rovina nel vostro. I fallimenti
d'Inghilterra o d'America trascinano fallimenti Italiani. Il credito
è in oggi istituzione non nazionale, ma Europea. E inoltre, ogni
tentativo di miglioramento nazionale che voi farete avrà nemici, in
virtù delle Leghe contratte dai principi, primi ad accorgersi che la
quistione è in oggi generale, di tutti i governi. Né v'è speranza
per voi se non nel miglioramento universale, nella fratellanza fra
tutti i popoli dell'Europa e, per l'Europa, dell'umanità.
Voi dunque, o fratelli, per dovere e per utile vostro, non
dimenticherete mai che i primi vostri doveri, doveri, senza compiere
i quali voi non potete sperare di compiere quei che la patria e la
famiglia comandano, sono verso l'Umanità. La parola e l'opera vostra
siano per tutti, sì come per tutti è Dio, nel suo amore e nella sua
Legge. In qualunque terra voi siate, dovunque un uomo combatte pel
diritto, pel giusto, pel vero, ivi è un vostro fratello: dovunque un
uomo soffre, tormentato dall'errore, dall'ingiustizia, dalla
tirannide, ivi è un vostro fratello, Liberi e schiavi SIETE TUTTI
FRATELLI. Una è la vostra origine, una la legge, uno il fine per
tutti voi. Una sia la credenza, una l'azione, una la bandiera sotto
cui militate. Non dite: il linguaggio che noi parliamo è diverso: le
lagrime, l'azione, il martirio formano linguaggio comune per gli
uomini quanti sono, e che voi tutti intendete. Non dite: l'Umanità è
troppo vasta, e noi troppo deboli. Dio non misura le forze, ma le
intenzioni. Amate l'Umanità. Ad ogni opera vostra nel cerchio della
Patria o della famiglia, chiedete a voi stessi: se questo ch'io fo
fosse fatto da tutti e per tutti, gioverebbe o nuocerebbe
all'Umanità? e se la coscienza vi risponde: nuocerebbe, desistete,
desistete quand'anche vi sembri che dall'azione vostra escirebbe un
vantaggio immediato per la Patria e per la Famiglia. Siate apostoli
di questa fede, apostoli della fratellanza delle Nazioni e della
unità, oggi ammessa in principio, ma nel fatto negata, del genere
umano. Siatelo dove potete e come potete. Né Dio né gli uomini
possono esigere più da voi. Ma io vi dico che facendovi tali -
facendovi tali, dov'altro non possiate, in voi stessi - voi
gioverete all'umanità. Dio misura i gradi di educazione ch'ei fa
salire al genere umano sul numero e sulla purità dei credenti.
Quando sarete puri e numerosi, Dio che vi conta, v'aprirà il varco
all'azione.
Capitolo quinto
Doveri verso la Patria
I primi vostri Doveri, primi almeno per importanza, sono, com'io vi
dissi, verso l'Umanità. Siete uomini prima d'essere cittadini o
padri. Se non abbracciaste del vostro amore tutta quanta l'umana
famiglia - se non confessaste la fede nella sua umanità, conseguenza
dell'unità di Dio, e nell'affratellamento dei Popoli che devono
ridurla a fatto - se ovunque geme un vostro simile, ovunque la
dignità della natura umana è violata dalla menzogna o dalla
tirannide, voi non foste pronti, potendo, a soccorrere quel meschino
o non vi sentiste chiamati, potendo, a combattere per risollevare
gli ingannati o gli oppressi - voi tradireste la vostra legge di
vita e non intendereste la religione che benedirà l'avvenire.
Ma che cosa può ciascuno di voi, colle sue forze isolate, fare pel
miglioramento morale, pel progresso dell'Umanità? Vi potete
esprimere, di tempo in tempo, sterilmente la vostra credenza; potete
compiere, qualche rara volta, verso un fratello non appartenente
alle vostre terre, un'opera di carità; ma non altro. Ora la carità
non è la parola della fede avvenire. La parola della fede avvenire è
l'associazione, la cooperazione fraterna verso un intento comune,
tanto superiore alla carità, quanto l'opera di molti fra voi che
s'uniscono a inalzare concordi un edifizio per abitarvi insieme è
superiore a quella che compireste innalzando ciascuno una casupola
separata e limitandovi a ricambiarvi gli uni cogli altri aiuto di
pietre, di mattoni, di calce. Ma quest'opera comune voi, divisi di
lingua, di tendenze, d'abitudini, di facoltà, non potete tentarla.
L'individuo è troppo debole e l'Umanità troppo vasta. Mio Dio, -
prega, salpando il marinaio della Bretagna - proteggetemi: il mio
battello è sì piccolo e il nostro Oceano così grande! E quella
preghiera riassume la condizione di ciascun di voi, se non si trova
un mezzo di moltiplicare indefinitivamente le vostre forze, la
vostra potenza d'azione: Questo mezzo Dio lo trovava per voi, quando
vi dava una Patria, quando, come un saggio direttore di lavori
distribuisce le parti diverse a seconda delle capacità, ripartiva in
gruppi, in nuclei distinti l'Umanità sulla faccia del nostro globo e
cacciava il germe delle nazioni. I tristi governi hanno guastato il
disegno di Dio che voi potete vedere segnato chiaramente, per quello
almeno che riguarda la nostra Europa, dai corsi dei grandi fiumi,
dalle curve degli alti monti e dalle altre condizioni geografiche:
l'hanno guastato colla conquista, coll'avidità, colla gelosia
dell'altrui giusta potenza; guastato di tanto che oggi,
dall'Inghilterra e dalla Francia in fuori, non v'è forse Nazione i
cui confini corrispondano a quel disegno. Essi non conoscevano e non
conoscono Patria, fuorché la loro famiglia, la dinastia, l'egoismo
di casta. Ma il disegno divino si compirà senza fallo. Le divisioni
naturali, le innate spontanee tendenze dei popoli, si sostituiranno
alle divisioni arbitrarie sancite dai tristi governi. La Carta
d'Europa sarà rifatta. La Patria del Popolo risorgerà delimita dal
voto dei liberi, sulle rovine della Patria dei re, delle caste
privilegiate. Tra quelle patrie sarà armonia, affratellamento. E
allora, il lavoro dell'umanità verso il miglioramento comune, verso
la scoperta e l'applicazione della propria legge di vita, ripartito
a seconda delle capacità locali e associato, potrà compirsi per via
di sviluppo progressivo, pacifico: allora, ciascuno di voi, forte
degli effetti e dei mezzi di molti milioni d'uomini parlanti la
stessa lingua, dotati di tendenze uniformi, educati dalla stessa
tradizione storica, potrà sperare di giovare coll'opera propria a
tutta quanta l'Umanità.
A voi, uomini nati in Italia, Dio assegnava, quasi prediligendovi,
la Patria meglio definita dell'Europa. In altre terre, segnate con
limiti più incerti o interrotti, possono insorgere questioni che il
voto pacifico di tutti scioglierà un giorno, ma che hanno costato e
costeranno forse ancora lagrime e sangue: sulla vostra, no. Dio v'ha
steso intorno linee di confini sublimi, innegabili: da un lato, i
più alti monti d'Europa: l'Alpi; dall'altro: il Mare, l'immenso
Mare. Aprite un compasso: collocate una punta al nord dell'Italia,
su Parma; appuntate l'altra agli sbocchi del Varo e segnate con
essa, nella direzione delle Alpi, un semicerchio: quella punta che
andrà, compito il semicerchio, a cadere sugli sbocchi dell'Isonzo,
avrà segnato la frontiera che Dio vi dava. Sino a quella frontiera
si parla, s'intende la vostra lingua: oltre quella, non avete
diritti. Vostre sono innegabilmente la Sicilia, la Sardegna, la
Corsica, e le isole minori collocate fra quelle e la terra ferma
d'Italia. La forza brutale può ancora per poco contendervi quei
confini, ma il consenso segreto dei popoli li riconosce d'antico, e
il giorno in cui, levati unanimi all'ultima prova, pianterete la
vostra bandiera tricolore su quella frontiera, l'Europa intera
acclamerà, sorta e accettata nel consorzio delle Nazioni, l'Italia.
A quest'ultima prova dovete tendere con tutti gli sforzi.
Senza Patria, voi non avete nome, né segno, né voto, né diritti, né
battesimo di fratelli tra i popoli. Siete i bastardi dell'umanità.
Soldati senza bandiera, israeliti delle Nazioni, voi non otterrete
fede né protezione: non avrete mallevadori. Non v'illudete a
compiere, se prima non vi conquistate una Patria, la vostra
emancipazione da una ingiusta condizione sociale: dove non è Patria,
non è Patto comune al quale possiate richiamarvi: regna solo
l'egoismo degli interessi, e chi ha predominio lo serba, dacché non
v'è tutela comune a propria tutela. Non vi seduca l'idea di
migliorare, senza sciogliere prima la questione Nazionale, le vostre
condizioni materiali: non potrete riuscirvi. Le vostre associazioni
industriali, le consorterie di mutuo soccorso son buone com'opera
educatrice, come fatto economico: rimarranno sterili finché non
abbiate un'Italia. Il problema economico esige principalmente
aumento di capitale e di produzione; e finché il vostro paese è
smembrato in frazioni - finché, separati da linee doganali e
difficoltà artificiali d'ogni sorta, non avete se non mercati
ristretti dinanzi a voi - non potete sperar quell'aumento. Oggi -
non v'illudete - voi non siete la classe operaia d'Italia: siete
frazione di quella classe: impotenti, ineguali al grande intento che
vi proponete. La vostra emancipazione non potrà iniziarsi
praticamente, se non quando un Governo Nazionale, intendendo i segni
dei tempi, avrà inserito, da Roma, nella dichiarazione di Principii,
che sarà norma allo sviluppo della vita Italiana, le parole: Il
lavoro è sacro ed è la sorgente della ricchezza d'Italia.
Non vi sviate dunque dietro a speranze di progresso materiale che,
nelle vostre condizioni dell'oggi sono illusioni. La Patria sola, la
vasta e ricca patria Italiana, che si stende dalle Alpi all'ultima
terra di Sicilia, può compiere quelle speranze. Voi non potete
ottenere ciò che è vostro diritto se non obbedendo a ciò che vi
comanda il Dovere. Meritate ed avrete. Oh miei fratelli! amate la
Patria. La Patria è la nostra casa: la casa che Dio ci ha data,
ponendovi dentro una numerosa famiglia, che ci ama e che noi amiamo,
colla quale possiamo intenderci meglio e più rapidamente che non con
altri, e che per la concentrazione sopra un dato terreno e per la
natura omogenea degli elementi che essa possiede, è chiamata a un
genere speciale d'azione. La Patria è la nostra lavoreria; i
prodotti della nostra attività devono stendersi da quella a
beneficio di tutta la terra; ma gli istrumenti del lavoro che noi
possiamo meglio e più efficacemente trattare, stanno in quella e noi
non possiamo rinunziarvi senza tradire l'intenzione di Dio e senza
diminuire le nostre forze. Lavorando, secondo i veri principii per
la Patria, noi lavoriamo per l'Umanità: la patria è il punto
d'appoggio della leva che noi dobbiamo dirigere a vantaggio comune.
Perdendo quel punto d'appoggio, noi corriamo rischio di riuscire
inutili alla Patria e all'Umanità. Prima d'associarsi colle Nazioni
che compongono l'Umanità, bisogna esistere come Nazione. Non v'è
associazione che tra gli eguali; e voi non avete esistenza
collettiva riconosciuta.
L'Umanità è un grande esercito, che move alla conquista di terre
incognite, contro nemici potenti e avveduti. I popoli sono diversi
corpi, le divisioni di quell'esercito. Ciascuno ha un posto che gli
si è confidato: ciascuno ha un'operazione particolare da eseguire; e
la vittoria comune dipende dall'esattezza colla quale le diverse
operazioni saranno compite. Non turbate l'ordine della battaglia.
Non abbandonate la bandiera che Dio vi diede. Dovunque vi trovate,
in seno a qualunque popolo le circostanze vi caccino, combattete per
la libertà di quel popolo, se il momento lo esige; ma combattete
come Italiani, così che il sangue che verserete frutti onore ed
amore, non a voi solamente, ma alla vostra Patria. E Italiano sia il
pensiero continuo dell'anime vostre: Italiani siano gli atti della
vostra vita: Italiani i segni sotto i quali v'ordinate a lavorare
per l'Umanità. Non dite: io, dite: noi. La Patria s'incarni in
ciascuno di voi. Ciascuno di voi, si senta, si faccia mallevadore
dei suoi fratelli: ciascuno di voi impari a far si che in lui sia
rispettata ed amata la Patria.
La Patria, è una, indivisibile. Come i membri d'una famiglia non
hanno gioia della mensa comune se un d'essi è lontano, rapito
all'affetto fraterno, così voi non abbiate gioia e riposo finché una
frazione del territorio sul quale si parla la vostra lingua è
divelta dalla Nazione.
La Patria è il segno della missione che Dio v'ha dato da compiere
nell'umanità. Le facoltà, le forze di tutti i suoi figli devono
associarsi pel compimento di quella missione. Una certa somma di
doveri e di diritti comuni spetta ad ogni uomo che risponde al chi
sei? degli altri popoli: sono Italiano. Quei doveri e quei diritti
non possono essere rappresentati che da un solo Potere uscito dal
vostro voto. La patria deve aver dunque un solo Governo. I politici
che si chiamano federalisti, e che vorrebbero far dell'Italia una
fratellanza di Stati diversi, smembrano la Patria e non ne intendono
l'Unità. Gli stati nei quali si divide in oggi l'Italia non sono
creazione del nostro popolo: uscirono da calcoli d'ambizione di
principi o di conquistatori stranieri, e non giovano che ad
accarezzare la vanità delle aristocrazie locali, alle quali è
necessaria una sfera più ristretta della grande Patria. Ciò che voi,
popolo, creaste, abbelliste, consacraste coi vostri affetti, colle
vostre gioie, coi vostri dolori, col vostro sangue, è la Città, il
Comune, non la Provincia o lo Stato. Nella Città, nel comune dove
dormono i vostri padri e vivranno i nati da voi, s'esercitano le
vostre facoltà, i vostri diritti personali, si svolge la vostra vita
d'individuo. È della vostra Città che ciascuno di voi può dire ciò
che cantano i Veneziani della loro: Venezia la xe nostra: - l'avemo
fatta nu. In essa avete bisogno di libertà, di Comune e Unità di
patria, sia dunque la vostra fede. Non dite Roma e Toscana, Roma e
Lombardia, Roma e Sicilia, dite Roma e Firenze, Roma e Siena, Roma e
Livorno, e così per tutti i comuni d'Italia: Roma per tutto ciò che
rappresenta la vita italiana, la vita della Nazione; il vostro
comune per quanto rappresenta la vita individuale. Tutte le altre
divisioni sono artificiali, e non s'appoggiano sulla vostra
tradizione Nazionale.
La Patria è una comunione di liberi e d'uguali affratellati in
concordia di lavori verso un unico fine. Voi dovete farla e
mantenerla tale. La Patria non è un aggregato, è una associazione.
Non v'è dunque veramente Patria senza un Diritto uniforme. Non v'è
Patria dove l'uniformità di quel Diritto è violata dall'esistenza di
caste, di privilegi, d'ineguaglianze - dove l'attività d'una
porzione delle forze e facoltà individuale è cancellata o assopita -
dove non è principio comune accettato, riconosciuto, sviluppato da
tutti; vi è non Nazione, non popolo, ma moltitudine, agglomerazione
fortuita d'uomini che le circostanze riunirono, che circostanze
diverse separeranno. In nome del vostro amore alla Patria, voi
combatterete senza tregua l'esistenza d'ogni privilegio, d'ogni
ineguaglianza sul suolo che v'ha dato vita. Un solo privilegio è
legittimo: il privilegio del genio, quando il Genio si mostri
affratellato colla Virtù; ma è privilegio concesso da Dio e non
dagli uomini - e quando voi lo riconoscerete seguendone le
ispirazioni, lo riconoscerete liberamente esercitando la vostra
ragione, la vostra scelta. Qualunque privilegio pretende sommessione
da voi in virtù della forza, dell'eredità, d'un diritto che non sia
diritto comune, è usurpazione, è tirannide; e voi dovete combatterla
e spegnerla. La Patria deve essere il vostro Tempio. Dio al vertice,
un Popolo d'eguali alla base; non abbiate altra formola, altra legge
morale, se non volete disonorare la Patria e voi. Le leggi
secondarie che devono via via regolare la vostra vita siano
l'applicazione progressiva di quella Legge suprema.
E perché lo siano, è necessario che tutti contribuiscano a farle. Le
leggi fatte da una sola frazione di cittadini non possono, per
natura di cose e d'uomini, riflettere che il pensiero, le
aspirazioni, i desideri, di quella frazione: rappresentano, non la
Patria, ma un terzo, un quarto, una classe, una zona della patria.
La legge deve esprimere l'aspirazione generale, promuovere l'utile
di tutti, rispondere a un battito del core della Nazione. La Nazione
intera dev'essere, dunque, direttamente o indirettamente,
legislatrice. Cedendo a pochi uomini quella missione, voi sostituite
l'egoismo d'una classe alla Patria, che è l'unione di tutte classi.
La Patria non è un territorio; il territorio non ne è la base. La
Patria è l'idea che sorge su quello; è il pensiero d'amore, il senso
di comunione che stringe in uno tutti i figli di quel territorio.
Finché un solo tra i vostri fratelli non è rappresentato dal proprio
voto nello sviluppo della vita nazionale - finché un solo vegeta
ineducato fra gli educati - finché uno solo, capace e voglioso di
lavoro, langue per mancanza di lavoro nella miseria - voi non avrete
la Patria come dovreste averla, la Patria di tutti, la patria per
tutti. Il voto, l'educazione, il lavoro, sono le tre colonne
fondamentali della Nazione; non abbiate posa finché non siano per
opera vostra solidamente innalzate.
E quando lo saranno - quando avrete assicurato a voi tutti il pane
del corpo e quello dell'anima - quando liberi, uniti, intrecciate le
destre come fratelli intorno a una madre amata, moverete in bella e
santa armonia allo sviluppo delle vostre facoltà e della missione
Italiana - ricordatevi che quella missione è l'unità morale
d'Europa: ricordatevi gl'immensi doveri ch'essa v'impone. L'Italia è
la sola terra che abbia due volte gettato la grande parola
unificatrice alle nazioni disgiunte. La vita d'Italia fu vita di
tutti. Due volte Roma fu la Metropoli, il Tempio del mondo Europeo:
la prima, quando le nostre aquile percorsero conquistatrici da un
punto all'altro le terre cognite e le prepararono all'Unità colle
istituzioni civili; la seconda, quando, domati dalla potenza della
natura, dalle grandi memorie e dall'ispirazione religiosa, i
conquistatori settentrionali, il genio d'Italia s'incarnò nel Papato
e adempì da Roma la solenne missione, cessata da quattro secoli, di
diffondere la parola Unità nell'anima ai popoli del mondo Cristiano.
Albeggia oggi per la nostra Italia una terza missione: di tanto più
vasta quanto più grande e potente dei Cesari e dei Papi sarà il
POPOLO ITALIANO, la Patria Una e Libera che voi dovete fondare. Il
presentimento di questa missione agita l'Europa e tiene incatenati
all'Italia l'occhio ed il pensiero delle Nazioni.
I vostri doveri verso la Patria stanno in ragione dell'altezza di
questa missione. Voi dovete mantenerla pura d'egoismo, incontaminata
di menzogna e delle arti di quel gesuitismo politico, che chiamano
diplomazia.
La politica della patria sarà fondata per opera vostra
sull'adorazione a' principii non sull'idolatria dell'Interesse o
dell'opportunità. L'Europa ha paesi pei quali la Libertà è sacra al
di dentro, violata sistematicamente al di fuori: popoli che dicono:
altro è il Vero, altro l'Utile, altra cosa è la teorica, altra è la
pratica. Quei paesi espieranno lungamente, inevitabilmente la loro
colpa nell'isolamento, nell'oppressione e nell'anarchia. Ma voi
sapete la missione della nostra Patria e seguirete altra via. Per
voi l'Italia avrà, sì come un solo Dio nei cieli, una sola verità,
una sola fede, una sola norma di vita politica sulla terra.
Sull'edifizio che il popolo d'Italia innalzerà più sublime del
Campidoglio e del Vaticano, voi pianterete la bandiera della Libertà
e dell'Associazione, sì che rifulga sugli occhi a tutte le Nazioni,
né la velerete mai per terrore di despoti o libidine d'interessi
d'un giorno. Avrete audacia sì come fede. Confesserete altamente il
pensiero che fermenta in core alla Italia davanti al mondo e a quei
che si dicono padroni del mondo. Non rinnegherete mai le Nazioni
sorelle. La vita della Patria si svolgerà per voi bella e forte,
libera di paure servili e di scettiche esitazioni, serbando per base
il popolo, per norma le conseguenze dei suoi principii logicamente
dedotte e energicamente applicate, per forza la forza di tutti, per
risultato il miglioramento di tutti, per fine il compimento della
missione che Dio le dava. E perché voi sarete pronti a morire per
l'Umanità, la vita della Patria sarà immortale.
Capitolo sesto
Doveri verso la famiglia
La famiglia è la Patria del core. V'è un Angiolo nella Famiglia che
rende, con una misteriosa influenza di grazie, di dolcezza e
d'amore, il compimento dei doveri meno arido, i dolori meno amari.
Le sole gioie pure e non miste di tristezza che sia dato all'uomo di
goder sulla terra, sono, merce quell'Angiolo, le gioie della
Famiglia. Chi non ha potuto, per fatalità di circostanze, vivere,
sotto l'ali dell'Angiolo, la vita serena della famiglia, ha un'ombra
di mestizia stesa sull'anima, un vuoto che nulla riempie nel core!
ed io che scrivo per voi queste pagine, lo so. Benedite Iddio che
creava quell'Angiolo, o voi che avete le gioie e le consolazioni
della Famiglia. Non la tenete in poco conto, perché vi sembri di
poter trovare altrove gioie più ferventi o consolazioni più rapide
ai vostri dolori. La famiglia ha in sé un elemento di bene raro a
trovarsi altrove, la durata. Gli affetti, in essa, vi si stendono
intorno lenti, inavvertiti, ma tenaci e durevoli siccome l'ellera
intorno alla pianta: vi seguono d'ora in ora: s'immedesimano taciti
colla vostra vita. Voi spesso non li discernete, poiché fanno parte
di voi; ma quando li perdete, sentite come un non so che d'intimo,
di necessario a vivere vi mancasse. Voi errate irrequieti e a
disagio! potete ancora procacciarvi brevi gioie o conforti; non il
conforto supremo, la calma, la calma dell'onda del lago, la calma
del sonno della fiducia, del sonno che il bambino dorme sul seno
materno.
L'Angiolo della Famiglia è la Donna. Madre, sposa, sorella, la donna
è la carezza della vita, la soavità dell'affetto diffusa sulle sue
fatiche, un riflesso sullo individuo della Provvidenza amorevole che
veglia sull'umanità: sono in essa tesori di dolcezza consolatrice
che bastano ad ammorzare qualunque dolore. Ed essa è inoltre per
ciascun di noi l'iniziatrice dell'avvenire. Il primo bacio materno
insegna al bambino l'amore. Il primo santo bacio d'amica insegna
all'uomo la speranza, la fede nella vita; e l'amore e la fede creano
il desiderio del meglio, la potenza di raggiungerlo a grado a grado,
l'avvenire insomma, il cui simbolo vivente è il bambino, legame tra
noi e le generazioni future. Per essa, la Famiglia, col suo mistero
divino di riproduzione, accenna all'eternità.
Abbiate dunque, o miei fratelli, sì come santa la Famiglia.
Abbiatela come condizione inseparabile della vita, e respingete ogni
assalto che potesse venirle mosso da uomini imbevuti di false e
brutali filosofie o da incauti che irritati in vederla sovente nido
d'egoismo e di spirito di casta, credono, come il barbaro, che il
rimedio al male sia nel sopprimerla.
La Famiglia è concetto di Dio, non vostro. Potenza umana non può
sopprimerla. Come la Patria, più assai che la Patria, la Famiglia è
un elemento della vita.
Ho detto più assai che la Patria. La Patria sacra in oggi, sparirà
forse un giorno quando ogni uomo rifletterà nella propria coscienza
la legge morale dell'umanità; la Famiglia durerà quanto l'uomo. Essa
è la culla dell'umanità. Come ogni elemento della vita umana, essa
deve essere aperta al Progresso, migliorare d'epoca in epoca le sue
tendenze, le sue aspirazioni; ma nessuno potrà cancellarla.
Far la famiglia più sempre santa e inanellata più sempre alla
Patria, è questa la vostra missione. Ciò che la Patria è per
l'umanità, la Famiglia deve esserlo per la Patria. Come io v'ho
detto che la parte della Patria è quella d'educare gli uomini, così
la parte della Famiglia è quella di educare i cittadini: Famiglia e
Patria sono i due punti estremi d'una sola linea. E dove non è così,
la Famiglia diventa Egoismo, tanto più schifoso e brutale quanto più
prostituisce, sviandola dal vero scopo, la cosa più santa: gli
affetti.
Oggi, l'egoismo regna spesso pur troppo e forzatamente nella
Famiglia. Le tristi istituzioni sociali lo generano. In una società
fondata su spie, birri, prigioni e patiboli, la povera madre,
tremante ad ogni nobile aspirazione del figlio, è sospinta ad
insegnargli la diffidenza, a dirgli: bada! l'uomo che ti parla di
Patria di Libertà d'Avvenire, e che tu vorresti stringerti al petto
non è forse che un traditore! In una società nella quale il merito è
pericoloso, e la ricchezza è la sola base della potenza, della
sicurezza, della difesa contro la persecuzione e il sopruso, il
padre è trascinato dall'affetto a dire al giovane anelante la
Verità: bada! la ricchezza è la tua tutela: la Verità sola non può
esserti scudo contro l'altrui forza, contro l'altrui corruttela. Ma
io vi parlo d'un tempo in cui, col vostro sudore e col vostro
sangue, avrete fondato ai figli una Patria di liberi, costituita sul
merito, sul bene che ciascuno di voi avrà fatto ai suoi fratelli.
Fino a quel tempo, voi pur troppo non avete innanzi che una sola via
di miglioramento, un solo supremo dovere da compiere: ordinarvi,
prepararvi, scegliere l'ora opportuna e combattere a conquistarvi
coll'insurrezione la vostra Italia. Allora soltanto potrete
soddisfare senza gravi e continui ostacoli agli altri vostri doveri.
E allora, mentr'io sarò probabilmente sotterra, rileggete queste mie
pagine: i pochi consigli fraterni ch'esse contengono vengono da un
core che v'ama e sono scritti colla coscienza del vero.
Amate, rispettate la donna. Non cercate in essa solamente un
conforto, ma una forza, una ispirazione, un raddoppiamento delle
vostre facoltà intellettuali e morali. Cancellate dalla vostra mente
ogni idea di superiorità: non ne avete alcuna. Un lungo pregiudizio
ha creato, con una educazione disuguale e una perenne oppressione di
leggi, quell'apparente inferiorità intellettuale, dalla quale oggi
argomentano per mantenere l'oppressione. Ma la storia delle
oppressioni non v'insegna che chi opprime si appoggia sempre sopra
un fatto creato da lui? Le caste feudali contesero a voi, figli del
popolo, fin quasi ai nostri giorni, l'educazione; poi, dalla
mancanza d'educazione, argomentarono e argomentano anche oggi per
escludervi dal santuario della città, dal recinto dove si fanno le
leggi, dal diritto di voto che inizia la vostra missione sociale. I
padroni dei Neri in America dichiarano radicalmente inferiore e
incapace d'educazione la razza e perseguitano intanto qualunque
s'adoperi a educarla. Da mezzo secolo i fautori delle famiglie
affermano noi italiani mal atti alla libertà, e intanto con le leggi
e con la forza brutale d'eserciti assoldati mantengono chiusa ogni
via, perché possa da noi vincersi, se pure esistesse l'ostacolo,
come se la tirannide potesse mai essere educazione alla libertà. Or
noi tutti fummo e siamo tuttavia rei d'una colpa simile verso la
donna. Allontanate da voi fin l'ombra di quella colpa; però che non
è colpa più grave davanti a Dio, di quella che divide in due classi
l'umana famiglia e impone o accetta che l'una soggiaccia all'altra.
Davanti a Dio Uno e Padre non v'è uomo né donna ma l'essere umano,
l'essere nel quale, sotto l'aspetto d'uomo o di donna, s'incontrano
tutti i caratteri che distinguono l'Umanità dall'ordine degli
animali: tendenza sociale, capacità d'educazione, facoltà di
progresso. Dovunque si rivelano questi caratteri, ivi esiste l'umana
natura, uguaglianza quindi di diritti e doveri. Come due rami che
muovono distinti da uno stesso tronco, l'uomo e la donna muovono
varii da una base comune, che è l'umanità. Non esiste disuguaglianza
fra l'uno e l'altra; ma come spesso accade fra due uomini, diversità
di tendenze, di vocazioni speciali. Son due note d'un accordo
musicale, disuguali o di natura diversa! La donna e l'uomo sono due
note senza le quali l'accordo umano non è possibile; hanno doveri e
diritti generali diversi due popoli chiamati dalle loro tendenze
speciali o dalle condizioni in cui vivono, l'uno a diffondere il
pensiero dell'associazione umana per via di colonie, l'altro a
predicarlo colla produzione di capolavori d'arte o di letteratura
universalmente ammirati! Ambi quei Popoli sono apostoli, consapevoli
o no, dello stesso concetto divino, eguali e fratelli in esso.
L'uomo e la donna hanno, come quei due Popoli, funzioni distinte
nell'Umanità; ma quelle funzioni sono sacre egualmente, necessarie
allo sviluppo comune; ambe rappresentanze del Pensiero che Dio
poneva, come anima, nell'universo. Abbiate dunque la Donna siccome
compagna e partecipe, non solamente delle vostre gioie e dei vostri
dolori, ma delle vostre aspirazioni, dei vostri pensieri, dei vostri
studi e dei vostri tentativi di miglioramento sociale. Abbiatela
eguale nella vostra vita civile e politica. Siate le due ali
dell'anima umana verso l'ideale che dobbiamo raggiungere. La Bibbia
Mosaica ha detto: Dio creò l'uomo e dall'uomo la donna, ma la vostra
Bibbia, la Bibbia dell'avvenire dirà: Dio creò l'Umanità,
manifestata nella donna e nell'uomo.
Amate i figli che la Provvidenza vi manda; ma amateli di vero,
profondo, severo amore; non dell'amore snervato, irragionevole,
cieco, ch'è egoismo per voi, rovina per essi. In nome di ciò che v'è
di più sacro, non dimenticate mai che voi avete in cura le
generazioni future, che avete verso quell'anime che vi sono
affidate, verso l'umanità, verso Dio, la più tremenda responsabilità
che l'essere umano possa conoscere: voi dovete iniziarle, non alle
gioie o alle cupidigie della vita, ma alla vita stessa, ai suoi
doveri, alla Legge morale che la governa. Poche madri, pochi padri,
in questo secolo irreligioso, intendono, segnatamente nelle classi
agiate, la gravità, la santità della missione educatrice: poche
madri, pochi padri pensano che le molte vittime, le lotte incessanti
e il lungo martirio dei nostri tempi son frutto in gran parte
dell'egoismo innestato trenta anni addietro nell'animo da madri
deboli o da padri incauti, i quali lasciarono che i loro figli
s'avvezzassero a considerare la vita non come dovere e missione, ma
come ricerca di piacere e studio del proprio benessere. Per voi,
uomini del lavoro, i pericoli sono minori; i più fra i nati da voi
imparano pur troppo la vita dalle privazioni. E minori sono d'altra
parte in voi, costretti dalla povera condizione sociale a continue
fatiche, le possibilità d'educare come importerebbe. Pur nondimeno
potete anche voi compiere in parte l'ardua missione. Lo potete
coll'esempio e colla parola.
Lo potete com'esempio.
“I vostri figli sono simili a voi, corrotti o virtuosi, secondo che
sarete voi stessi virtuosi o corrotti.
Come mai sarebbero essi onesti, pietosi, umani, se voi mancate di
probità, se siete senza viscere pei vostri fratelli? come
reprimerebbero i loro grossolani appetiti, se vi vedono abbandonati
all'intemperanza? come serberebbero intatta l'innocenza nativa, se
voi non temete d'oltraggiare davanti ad essi il pudore con atti
indecenti o con oscene parole?
Voi siete il vivente modello sul quale si formerà la pieghevole loro
natura. Dipende da voi che i vostri figli riescano uomini o
bruti(9).”
E potete educare colla parola. Parlate loro di Patria, di ciò
ch'essa fu, di ciò che deve essere. Quando, la sera, dimenticate,
fra il sorriso della madre e l'ingenuo favellio dei fanciulli seduti
sulle vostre ginocchia, le fatiche della giornata, ridite ad essi i
grandi fatti dei popolani delle antiche nostre repubbliche;
insegnate loro i nomi dei buoni che amarono l'Italia e il suo popolo
e per una via di sciagura, di calunnie e di persecuzioni, tentarono
migliorarne i destini. Instillate nei loro giovani cuori, non l'odio
contro gli oppressori, ma l'energia di proposito contro
l'oppressione. Imparino dal vostro labbro e dal tranquillo assenso
materno, come sia bello il seguire le vie della Virtù, come sia
grande il piantarsi Apostoli della verità, come sia santo il
sacrificarsi, occorrendo, pei propri fratelli. Infondete nelle
tenere menti, insieme ai germi della ribellione contro ogni autorità
usurpata e sostenuta dalla forza, la riverenza alla vera, all'unica
Autorità, l'autorità della Virtù coronata dal Genio. Fate che
crescano, avversi egualmente alla tirannide ed all'anarchia, nella
religione della coscienza inspirata, non incatenata dalla
tradizione. La Nazione deve aiutarvi in quest'opera. E voi avete, in
nome dei vostri figli, diritto di esigerlo. Senza educazione
Nazionale non esiste veramente Nazione.
Amate i parenti. La Famiglia che procede da voi non vi faccia mai
dimenticare la famiglia dalla quale procedete. Pur troppo sovente i
nuovi vincoli allentano gli antichi, mentre non dovrebbero essere se
non un nuovo anello nella catena d'amore che deve annodare in uno
tre generazioni della Famiglia. Circondate d'affetti teneri e
rispettosi sino all'ultimo giorno le teste canute della madre, del
padre. Infiorate ad essi la via della tomba. Diffondete colla
continuità dell'amore sulle loro anime stanche un profumo di fede e
d'immortalità. E l'affetto che serbate inviolato ai parenti vi sia
pegno di quello che vi serberanno i nati da voi.
Parenti, sorelle e fratelli, sposa, figli, siano per voi come rami
collocati in ordine diverso sulla stessa pianta. Santificate la
Famiglia nell'unità dell'amore. Fatene come un Tempio dal quale
possiate congiunti sacrificare alla Patria. Io non so se sarete
felici; ma che così facendo, anche di mezzo alle possibili
avversità, sorgerà per voi un senso di pace serena, un riposo di
tranquilla coscienza, che vi darà forza contro ogni prova, e vi
terrà schiuso un raggio azzurro di cielo in ogni tempesta.
Capitolo settimo
Doveri verso se stesso
PRELIMINARI
Io v'ho detto: voi avete vita; dunque avete una legge di vita...
Svilupparsi, agire, vivere secondo la legge di vita, è il primo,
anzi l'unico vostro Dovere. Vi ho detto che per conoscere quale sia
la legge della vostra vita, Dio v'ha dato due mezzi: la vostra
coscienza e la coscienza dell'Umanità, il consenso dei vostri
fratelli. V'ho detto che ogni qualvolta, interrogando la vostra
coscienza, troverete la sua voce in armonia colla grande voce del
genere umano trasmessavi dalla storia, voi siete certi d'avere la
verità eterna, immutabile in pugno.
Voi potete oggi difficilmente interrogare a dovere la grande voce
che l'umanità vi tramanda attraverso la Storia: vi mancano finora
libri buoni davvero e popolarmente scritti, e vi manca il tempo; ma
gli uomini che per ingegno e coscienza meglio rappresentano, da
oltre un mezzo secolo, gli studi storici e la scienza dell'Umanità,
hanno raccolto da quella voce alcuni caratteri della nostra Legge di
Vita; hanno raccolto che la natura umana è essenzialmente adunabile,
essenzialmente sociale: hanno raccolto che, come non vi è né può
esservi che un solo Dio, non v'è né può esservi che una sola Legge
per l'uomo individuo e per l'umanità collettiva, hanno raccolto che
il carattere fondamentale, universale di questa Legge, è PROGRESSO.
Da queste verità oggimai innegabili, perché confermate da tutti i
rami dell'umano sapere, scendono tutti i vostri doveri verso voi
stessi, e scendono pure tutti i vostri diritti, i quali sommano in
uno: il diritto di non essere menomamente inceppati e d'essere,
dentro certi limiti, aiutati nel compimento dei vostri doveri. Voi
siete e vi sentite liberi. Tutti i sofismi d'una misera filosofia,
che vorrebbe sostituire una dottrina di non so quale fatalismo al
grido della coscienza umana, non valgono a cancellare due
testimonianze invincibili a favore della libertà: il rimorso e il
martirio. Da Socrate a Gesù, da Gesù fino agli uomini che muoiono
ogni tanto per la Patria, i Martiri di una Fede protestano contro
quella servile dottrina, gridandovi: “noi amavamo la vita; amavamo
esseri che ce la facevano cara e che ci supplicavano di cedere:
tutti gl'impulsi del nostro cuore dicevano vivi! a ciascuno di noi,
ma per la salute delle generazioni avvenire, scegliemmo morire”. Da
Caino alla spia volgare dei nostri giorni, i traditori dei loro
fratelli, gli uomini che si son messi sulla via del male, sentono
nel fondo dell'anima una condanna, una irrequietezza, un rimprovero
che dice a ciascun d'essi: perché t'allontanasti dalle vie del bene?
Voi siete liberi e quindi responsabili. Da questa libertà morale
scende il vostro diritto alla libertà politica, il vostro dovere di
conquistarvela e mantenerla inviolata, il dovere altrui di non
menomarla.
Voi siete educabili. Esiste in ciascun di voi una somma di facoltà,
di capacità intellettuali, di tendenze morali, alle quali
l'educazione sola può dar moto e vita, e che, senza quella,
giacerebbero sterili, inerti, non rivelandosi che a lampi, senza
regolare sviluppo.
L'educazione è il pane dell'anima. Come la vita fisica, organica,
non può crescere e svolgersi senza alimenti, così la vita morale,
intellettuale, ha bisogno per ampliarsi e manifestarsi, delle
influenze esterne e d'assimilarsi parte almeno delle idee, degli
effetti, delle altrui tendenze. La vita dell'industria s'innalza,
come la pianta, varietà dotata d'esistenza propria e di caratteri
speciali, sul terreno comune, si nutre degli elementi della vita
comune. L'individuo è un rampollo dell'UMANITÀ e alimenta e rinnova
le proprie forze nelle sue. Quest'opera alimentatrice, rinnovatrice,
si compie coll'Educazione che trasmette direttamente o
indirettamente all'individuo i risultati dei progressi di tutto
quanto il genere umano. È dunque non solamente come necessità della
vostra vita, ma come una santa comunione con tutti i vostri
fratelli, con tutte le generazioni che vissero: cioè pensarono ed
operarono prima della vostra, che voi dovete conquistarvi, nei
limiti del possibile, educazione: educazione morale ed
intellettuale, che abbracci e fecondi tutte le facoltà che Dio vi
dava siccome deposito da far fruttare, e che istituisca e mantenga
un legame tra la vostra vita individuale e quella dell'Umanità
collettiva.
E perché quest'opera educatrice si compisse più rapidamente, perché
la vostra vita individuale s'inanellasse più certamente e più
intimamente colla vita collettiva di tutti, colla vita dell'Umanità,
Dio v'ha fatto esseri essenzialmente sociali. Ogni essere al disotto
di voi può vivere da per sé, senz'altra comunione che colla natura,
cogli elementi del mondo fisico: voi nol potete. Avete a ogni passo
necessità dei vostri fratelli e non potete soddisfare ai più
semplici bisogni della vita senza giovarvi dell'opera loro.
Superiori ad ogni altro essere mercé l'associazione coi vostri
simili, siete, se isolati, inferiori di forza a molti animali, e
deboli e incapaci di sviluppo e di piena vita. Tutte le più nobili
aspirazioni del vostro core come l'amor della Patria, e anche le
meno virtuose come il desiderio di gloria e dell'altrui lode,
accennano alla tendenza ingenita in voi ad accomunare la vostra vita
colla vita dei milioni che vivono intorno a voi. Voi siete dunque
chiamati all'associazione. Essa centuplica le vostre forze: fa
vostre le idee altrui, vostro l'altrui progresso; e innalza,
migliora e santifica la vostra natura cogli affetti e col sentimento
crescente dell'unità dell'umana famiglia. Quanto più sarà vasta la
vostra associazione coi vostri fratelli, quanto più intima e
complessiva, tanto più innanzi sarete sulla via del vostro
miglioramento. La Legge della vita non può compirsi tutta se non dal
lavoro riunito di tutti. E ad ogni grande progresso, ad ogni
scoperta di un frammento di quella Legge, corrisponde nella Storia
un allargamento dell'associazione umana, un contatto più vasto fra
popolo e popoli. Quando i primi Cristiani vennero a proclamare
l'unità della natura umana di fronte alla filosofia pagana che
ammetteva due nature, di padroni e di schiavi, il popolo Romano
aveva portato le sue aquile a passeggiare fra tutti i popoli noti
d'Europa. Prima che il Papato - dannoso in oggi, utile nei primi
secoli dell'istituzione - venisse a dire: il potere spirituale è
superiore al temporale, gli invasori chiamati Barbari avevano messo
in contatto violento il mondo Germanico col mondo Latino. Prima che
l'idea di Libertà applicata ai popoli promovesse il concetto di
nazionalità che agita in oggi l'Europa e trionferà, le guerre della
Rivoluzione e dell'Impero avevano suscitato e chiamato in azione un
elemento fino allora appartato, l'elemento Slavo.
Voi siete, finalmente, esseri progressivi.
Questa parola PROGRESSO, ignota all'antichità, sarà d'ora innanzi
una parola sacra per l'Umanità. Essa racchiude tutta una
trasformazione sociale, politica, religiosa.
L'antichità, gli uomini delle vecchie religioni Orientali e del
Paganesimo, credevano nel Fato, nel Caso, in una Potenza arcana,
inintelliggibile, padrona arbitraria delle cose umane, creatrice e
distruggitrice alternativamente senza che l'uomo potesse intenderne,
promoverne, o accelerarne i bisogni. Credevano l'uomo impotente a
fondare cosa alcuna durevole, permanente, sulla nostra terra.
Credevano che i popoli, condannati ad aggirarsi nel cerchio
descritto dagl'individui quaggiù, sorgessero, salissero a potenza,
poi volgessero a vecchiaia, e fatalmente, irrevocabilmente,
perissero. Con un orizzonte d'idee e di fatti assai ristretto
davanti e senza conoscenza di Storia fuorché della loro nazione e
spesso della loro città, guardavano al genere umano unicamente come
un aggregato di uomini, senza vita e legge propria, e non derivavano
i loro pensieri fuorché dalla contemplazione dell'individuo. La
conseguenza di siffatte dottrine era una tendenza ad accettare i
fatti predominanti senza curare o sperar di mutarli. Dove le
circostanze avevano impiantato una forma repubblicana, gli uomini di
quei tempi erano repubblicani; dove signoreggiava il dispotismo,
erano schiavi noncuranti di progresso e sommessi. Ma poi che
dappertutto, sotto la forma repubblicana come sotto la tirannide,
trovavano divisa la famiglia umana o in quattro caste, come in
Oriente, o in due, di cittadini liberi e di schiavi, come nella
Grecia, accettavano la divisione delle caste o la credenza in due
nature diverse d'uomini; e l'accettarono i più potenti intelletti
del mondo Greco, Platone e Aristotele. L'emancipazione della vostra
classe era, tra siffatti uomini, una impossibilità.
Gli uomini che fondarono, sulla parola di Gesù, una Religione
superiore a tutte le credenze del vecchio Oriente e del Paganesimo,
intravidero, non conquistarono, la santa idea contenuta in questa
parola: Progresso. Intesero l'unità della razza umana, intesero
l'unità della Legge, intesero il dovere di perfezionamento
nell'uomo: non intesero la potenza data da Dio all'uomo per
compirlo, né la via per la quale si compie. Si limitarono essi pure
a desumere le norme della vita dalla contemplazione dell'individuo:
l'Umanità come corpo collettivo, rimase loro ignota. Conobbero la
Provvidenza e la sostituirono alla cieca Fatalità degli antichi; ma
la conobbero come protettrice dell'individuo, non come Legge
dell'Umanità. Collocati fra l'immensità dello scopo di
perfezionamento che intravedevano e la breve povera vita
dell'individuo, sentirono il bisogno d'un termine intermediario tra
l'uno e l'altro, fra l'Uomo e Dio, e non possedendo l'idea
dell'Umanità collettiva, ricorsero a una incarnazione divina:
dichiararono che la Fede in essa era sorgente unica di salute, di
forza, di grazia, all'uomo.
Non sospettando la rivelazione continua che scende da Dio sull'uomo
attraverso l'Umanità, credettero in una rivelazione immediata,
unica, scesa ad un tempo stesso determinato, e per favore speciale
di Dio. Videro il legame che annoda gli uomini in Dio, non videro
quello che li annoda qui sulla terra nell'umanità. Poco importava la
serie delle generazioni a chi non sentiva come l'una agisse
sull'altra; s'avvezzarono dunque a non contemplarle; s'adoprarono a
staccar l'uomo dalla terra, dalle cose concernenti l'Umanità intera,
e finirono per mettere in opposizione la terra, che abbandonarono ad
ogni Potere di fatto e che chiamarono soggiorno d'espiazione, e il
cielo a cui l'uomo poteva, per virtù di grazia e di fede, salire e
dal quale esiliarono per sempre chi ne mancasse. La rivelazione
essendo per essa immediata ed unica in un dato periodo, ne dedussero
che nulla poteva aggiungervisi e che i depositari di quella
rivelazione erano infallibili. Dimenticavano che il fondatore della
loro religione era venuto, non ad annientare la Legge ma a
continuarla, aggiungendovi. Dimenticavano che in un solenne momento
e con sublime istinto dell'avvenire, Gesù aveva detto: Io vi dico le
cose che voi potete in oggi intendere e praticare; ma verrà dopo me
lo spirito di verità, e vi parlerà per autorità propria ma
raccogliendo l'ispirazione da tutti, l'ispirazione collettiva(10). È
in quelle parole la profezia dell'idea del Progresso e della
rivelazione continua del Vero per mezzo dell'Umanità: v'è la
giustificazione della formola che Roma ridesta propose all'Italia
colle parole Dio e il popolo, scritte in fronte a' suoi decreti
repubblicani. Ma gli uomini delle credenze del medioevo non potevano
intenderla. Non erano maturi i tempi.
Tutto l'edifizio delle credenze che successero al Paganesimo posa, a
ogni modo, sulle basi or ora accennate. È chiaro che neppur su
queste poteva fondarsi la vostra emancipazione qui sulla terra.
Mille trecento anni a un dipresso dopo le parole di Gesù or citate,
un uomo Italiano, il più grande fra gl'Italiani che io mi conosca,
scriveva le verità seguenti: “Dio è uno; l'Universo è un pensiero di
Dio; l'Universo è dunque uno esso pure. Tutte le cose partecipano,
più o meno, della natura divina, a seconda del fine pel quale sono
create. L'uomo è nobilissimo fra tutte le cose: Dio ha versato in
lui più della sua natura che non sull'altre. Ogni cosa che viene da
Dio tende al perfezionamento del quale è capace. La capacità di
perfezionamento nell'uomo è indefinita. L'Umanità è Una. Dio non ha
fatto cosa inutile; e poiché esiste una Umanità, deve esistere uno
scopo unico per tutti gli uomini, un lavoro da compiersi per opera
d'essi tutti. Il genere umano dovrebbe dunque lavorare unito, sì che
tutte le forze intellettuali diffuse in esso, ottengano il più alto
sviluppo possibile nella sfera del pensiero e dell'azione. Esiste
dunque una Religione universale della natura umana”.
Quell'uomo aggiungeva che questa religione universale, questa Unità
del mondo doveva avere chi la rappresentasse: e accennava a Roma, la
Città Santa, le di cui pietre, ei diceva, erano meritevoli di
riverenza.
L'uomo che scriveva quelle idee aveva nome DANTE. Ogni città
d'Italia quando l'Italia sarà libera ed una, dovrebbe innalzargli
una statua, però che quelle idee contengono in germe la Religione
dell'Avvenire. Egli le scriveva in libri latini e italiani che
s'intitolavano: Della Monarchia e Convito, difficili a intendersi ed
oggi negletti anche dagli uomini che si dicono letterati. Ma le
idee, cacciate una volta che siano nel mondo dell'intelletto, non
muoiono più. Altri le raccoglie, anche dimenticandone la sorgente.
Gli uomini ammirano la quercia: chi pensa al germe dal quale esciva?
Il germe che Dante cacciava fruttò. Raccolto e fecondato di tempo in
tempo da qualche potente intelletto, si svolse in pianta sul finire
del secolo passato. L'idea del Progresso siccome Legge della Vita
accettata, sviluppata, verificata sulla storia, confermata dalla
scienza, diventò bandiera dell'avvenire. Oggi non v'è ingegno severo
che non lo ponga a cardine dei suoi lavori.
Oggi sappiamo che la legge della Vita è PROGRESSO. Progresso per
l'individuo, progresso per l'Umanità. L'Umanità compie quella Legge
sulla terra; l'individuo sulla terra ed altrove. Un solo Dio; una
sola Legge. Quella legge s'adempie lentamente, inevitabilmente,
nell'Umanità fin dal primo suo nascere. La verità non s'è mai
manifestata tutta o ad un tratto. Una rivelazione continua,
manifestata d'epoca in epoca, un frammento della Verità, una parola
della Legge. Ognuna di quelle parole modifica profondamente, sulla
via del Meglio, la vita umana e costituisce una credenza, una Fede.
Lo sviluppo dell'idea religiosa è dunque indefinitamente
progressivo; e quasi colonne d'un Tempio, le credenze successive,
svolgendo e purificando più sempre quell'idea, costituiranno un
giorno il Panteon della nostra Terra. Gli uomini benedetti da Dio di
Genio e di singolare Virtù ne sono gli Apostoli: il Popolo, il senso
collettivo dell'umanità, ne è l'interprete; accetta quella
rivelazione di Verità, la trasmette da una generazione all'altra, e
la rende pratica, applicandola ai diversi rami, alle diverse
manifestazioni della vita umana. L'Umanità è simile ad un uomo che
vive indefinitamente e che impara sempre. Non v'è dunque, né può
esservi casta privilegiata di depositari ed interpreti della Legge:
non v'è, né può esservi necessità d'intermediario tra Dio e l'uomo,
dall'Umanità infuori. Dio, prefiggendo un disegno provvidenziale
d'Educazione progressiva all'Umanità, ponendo l'istinto del
progresso nel core d'ogni uomo, ha messo pure nell'umana natura le
facoltà e le forze necessarie a compierlo. L'uomo individuo,
creatura libera e responsabile, può usarne e abusarne a seconda
ch'ei si mantiene sulla via del Dovere, o cede alle cieche seduzioni
dell'Egoismo; ei può indugiare o accelerare il proprio progresso; ma
il disegno provvidenziale non può cancellarsi da forza umana.
L'educazione dell'umanità deve compiersi; noi vediamo quindi escire
dalle invasioni barbariche che sembravano spegnere la civiltà, un
nuovo incivilimento superiore all'antico e diffuso su più ampia zona
di terra: vediamo dalla tirannide, esercitata dagli individui,
escire subito dopo un più rapido sviluppo di libertà.
La legge, il Progresso, devono compirsi, come altrove, qui sulla
terra. Non v'è opposizione fra terra e cielo; ed è bestemmia il
supporre che l'opera di Dio, la casa ch'egli ci ha dato, possa,
senza peccato, sprezzarsi, abbandonarsi ai Poteri, quali essi siano,
alle influenze del Male, dell'Egoismo e della Tirannide. La Terra
non è soggiorno di espiazione; è soggiorno di lavoro a prò
dell'ideale, del Vero e del Giusto che ciascun di noi ha in germe
nell'anima; gradino verso un Miglioramento che noi non possiamo
raggiungere se non glorificando, coll'opere, Iddio nell'Umanità, e
consacrandoci a tradurre in fatto quanta più parte possiamo del suo
disegno. Il giudizio che s'adempirà su ciascun di noi, e che ci farà
inoltrare sulla scala del Perfezionamento o ci condannerà a
trascinarci nuovamente nello stadio tristamente e sterilmente
percorso, si fonderà sul bene che avremo fatto ai nostri fratelli,
sul grado di progresso che avremo aiutato altri a salire.
L'associazione più sempre intima, più e più sempre vasta, coi nostri
simili è il mezzo per cui si moltiplicano le nostre forze, il campo
sul quale si compiono i nostri Doveri, la via per ridurre in atto il
Progresso. Noi dobbiamo tendere a far dell'intera Umanità una
Famiglia, ogni membro della quale rappresenti in sé, a beneficio
degli altri, la Legge morale. E come il perfezionamento dell'umanità
si compie d'epoca in epoca, di generazione in generazione, il
perfezionamento dell'individuo si compie d'esistenza in esistenza,
più o meno rapidamente a seconda dell'opere nostre.
Son queste alcune delle verità contenute in quella parola Progresso,
dalla quale escirà la Religione dell'Avvenire. In essa solo può
compiersi la vostra emancipazione.
Capitolo ottavo
Libertà
Voi vivete. La vita ch'è in voi non è opera del Caso; la parola Caso
non ha senso alcuno, e non fu trovata che ad esprimere l'ignoranza
degli uomini su certe cose. La vita ch'è in voi viene da Dio e
rileva nel suo sviluppo progressivo un disegno intelligente. La
vostra vita ha dunque necessariamente un fine, uno scopo.
Il fine ultimo, pel quale fummo creati, ci è tuttora ignoto, e non
può essere altrimenti; né per questo dobbiamo negarlo. Sa il bambino
lo scopo a cui dovrà tendere nella Famiglia, nella Patria,
nell'umanità? No: ma lo scopo esiste, e noi cominciamo a saperlo per
lui. L'Umanità è il bambino di Dio: sa Egli il fine verso il quale
essa deve svilupparsi. L'Umanità comincia oggi appena a intendere
che la legge è Progresso: comincia appena a intendere incertamente
qualche cosa dell'Universo che ha intorno; e la maggior parte
degl'individui che la compongono è tuttavia inadatta, per barbarie,
servitù o mancanza assoluta d'educazione, allo studio di quella
Legge, all'esame dell'universo, che bisogna intendere prima
d'intendere noi stessi. Una minoranza degli uomini che popolano la
piccola nostra Europa è sola capace di sviluppare verso lo scopo
della conoscenza le sue facoltà intellettuali. In voi stessi, privi
i più d'istruzione e soggiogati tutti dalla fatalità d'un lavoro
fisico male ordinato, dormono mute senza poter portare alla piramide
della scienza il loro tributo. Come potremmo dunque pretendere di
conoscere in oggi ciò che richiede l'opera associata di tutti? Come
ribellarci contro il nostro non avere raggiunto ancora ciò che
costituirebbe l'ultimo gradino del nostro Progresso terrestre,
quando cominciamo appena a balbettare, pochi e non associati, quella
sacra e feconda parola? Rassegniamoci dunque all'ignoranza sulle
cose che ci sono per lungo tempo ancora inaccessibili, e non
abbandoniamo, fanciullescamente irritati, lo studio di quelle che
possiamo scoprire. La scoperta del Vero esige modestia e temperanza
di desiderio quanto esige costanza. L'impazienza, l'orgoglio umano,
han perduto o sviato dal retto sentiero molte più anime che non la
deliberata tristizia. E questa verità che l'Antichità ha voluto
insegnarci, quando ci narrava che il Despota voglioso di raggiungere
il cielo non seppe innalzare se non una Torre di confusione, e che i
Giganti assalitori dell'Olimpo giacciono, fulminati, sotto i nostri
monti vulcanici.
Ciò di cui importa conviverci è questo che, qualunque sia il fine
verso cui tendiamo, noi non potremo scoprirlo e raggiungerlo, se non
collo sviluppo progressivo e coll'esercizio delle nostre facoltà
intellettuali. Le nostre facoltà sono gli strumenti di lavoro che
Dio ci dava. È dunque necessario che il loro sviluppo sia promosso e
aiutato; il loro esercizio protetto e libero. Senza libertà voi non
potete compiere alcuno dei vostri doveri. Voi dunque avete diritto
alla Libertà, e Dovere di conquistarla ad ogni modo contro qualunque
Potere la neghi.
Senza libertà non esiste Morale, perché non esistendo libera scelta
tra il bene ed il male, tra la devozione al progresso comune e lo
spirito d'egoismo, non esiste società vera, perché tra liberi e
schiavi non può esistere associazione; ma solamente dominio degli
uni sugli altri. La libertà è sacra come l'individuo, del quale essa
rappresenta la vita. Dove non è libertà, la vita è ridotta ad una
pura funzione organica. Lasciando che la sua libertà sia violata,
l'uomo tradisce la propria natura e si ribella contro i decreti di
Dio.
Non v'è libertà dove una casta, una famiglia, un uomo s'assuma
dominio sugli altri in virtù d'un preteso diritto divino, in virtù
d'un privilegio derivato dalla nascita, o in virtù di ricchezza. La
libertà dev'essere per tutti e davanti a tutti. Dio non delega la
sovranità ad alcun individuo; quella parte di sovranità che può
essere rappresentata sulla nostra terra è da Dio fidata all'umanità,
alle Nazioni, alla Società. Ed anche quella cessa e abbandona quelle
frazioni collettive dell'Umanità, quand'esse non la dirigono al
bene, all'adempimento del disegno previdenziale Non esiste dunque
Sovranità di diritto in alcuno; esiste una sovranità dello scopo e
degli atti che vi si accostano. Gli atti e lo scopo verso cui
camminiamo devono essere sottomessi al giudizio di tutti. Non v'è
dunque né può esservi sovranità permanente. Quella istituzione che
si chiama Governo non è se non una Direzione: una missione affidata
ad alcuni per raggiungere più sollecitamente lo scopo della Nazione;
e se quella missione è tradita, il potere di direzione fidato a quei
pochi deve cessare. Ogni uomo chiamato al Governo è un
amministratore del pensiero comune: deve essere eletto, e sottomesso
a revoca ogni qualvolta ei lo fraintenda o deliberatamente lo
combatta. Non può esistere dunque, ripeto, casta o famiglia che
ottenga il Potere per diritto proprio, senza violazione della vostra
libertà. Come potreste chiamarvi liberi davanti ad uomini ai quali
spettasse facoltà di comando senza vostro consenso? la Repubblica è
l'unica forma legittima e logica di Governo.
Voi non avrete padrone fuorché Dio nel cielo e il Popolo sulla
terra. Quando avete scoperto una linea della Legge, dei voleri di
Dio, dovete, benedicendo, eseguirla. Quando il Popolo, l'unione
collettiva dei vostri fratelli, dichiara che tale è la sua credenza,
dovete piegar la testa e astenervi da ogni atto di ribellione.
Ma vi son cose che costituiscono il vostro individuo e sono
essenziali alla vita umana. E su queste neppure il popolo ha
signoria. Nessuna maggioranza, nessuna forza collettiva può rapirvi
ciò che vi fa essere uomini. Nessuna maggioranza può decretar la
tirannide e spegnere o alienare la propria libertà. Contro il popolo
suicida che ciò facesse, voi non potete usar la forza, ma vive e
vivrà eterno in ciascun di voi il diritto di protesta nei modi che
le circostanze vi suggeriranno.
Voi dovete avere libertà in tutto ciò ch'è indispensabile ad
alimentare, moralmente e materialmente, la vita.
Libertà personale: libertà di locomozione: libertà di credenza
religiosa: libertà d'opinione su tutte le cose: libertà d'esprimere
colla stampa o in ogni altro modo pacifico il vostro pensiero:
libertà di associazione per poterlo fecondare col contatto nel
pensiero altrui: libertà di traffico pei suoi prodotti son tutte
cose che nessuno può togliervi, salvo alcune rare eccezioni, ch'or
non importa il dire, senza grave ingiustizia, senza che sorga in voi
il dovere di protestare.
Nessuno ha diritto, in nome della Società, d'imprigionarvi e di
sottomettervi a restrizioni personali o invigilamento, senza dirvi
il perché, senza dirvelo col minore indugio possibile, senza
condurvi sollecitamente davanti al potere giudiziario del paese.
Nessuno ha diritto d'inceppare con restrizioni di passaporti od
altro il vostro trasferirvi di parte in parte della terra che è
vostra Patria. Nessuno ha diritto di persecuzione, d'intolleranza,
di legislazione esclusiva sulle vostre opinioni religiose: nessuno,
fuorché la grande pacifica voce dell'umanità, ha diritto di
frapporsi fra Dio e la vostra coscienza. Dio vi ha dato il Pensiero:
nessuno ha diritto di vincolarlo o sopprimerne l'espressione, ch'è
la comunione dell'anima vostra coi vostri fratelli e l'unica via di
progresso che abbiamo. La stampa dev'essere illimitatamente libera:
i diritti dell'intelletto sono inviolabili, ed ogni censura
preventiva è tirannide: la Società può, come tutte le altre colpe,
punire soltanto le colpe di stampa: la predicazione del delitto,
l'insegnamento dichiaratamente immorale: la punizione in virtù d'un
giudizio solenne è conseguenza della responsabilità umana, mentre
ogni intervenuto anteriore è negazione della libertà. L'associazione
pacifica è santa come il pensiero: Dio ne poneva in voi la tendenza
come avviamento perenne al progresso e pegno dell'Unità che la
famiglia umana deve un giorno raggiungere: nessun potere ha diritto
d'impedirla o di limitarla. Ciascun di voi ha dover d'usar della
vita che Dio gli diede, di serbarla, di svilupparla; a ciascun di
voi corre quindi debito di lavoro, solo mezzo di sostenerla
materialmente: il lavoro è sacro: nessun ha diritto di vietarlo,
d'incepparlo o di renderlo con regolamenti arbitrari impossibile:
nessuno ha diritto di restringere il libero traffico de' suoi
prodotti: la terra che v'è Patria è il vostro mercato, e nessuno può
limitarlo.
Ma quando avrete ottenute che queste libertà siano sacre, quando
avrete finalmente costituito lo Stato sul voto di tutti e in modo
che l'individuo abbia schiuse davanti a lui tutte le vie che possono
condurre allo sviluppo delle sue facoltà - allora, ricordatevi che
al di sopra di ciascun di voi sta lo scopo che è vostro dovere
raggiungere: perfezionamento morale vostro e d'altrui, comunione più
sempre intima e vasta fra tutti i membri della famiglia umana, sì
che un giorno essa non riconosca che una sola Legge.
“Voi dovete formare la famiglia universale, edificare la Città di
Dio, tradurre in fatto progressivamente, con un continuo lavoro,
l'opera sua nell'umanità.
Quando, amandovi gli uni cogli altri come fratelli, voi vi
tratterete reciprocamente sì come tali, e ciascuno, cercando il
proprio bene nel bene di tutti, i propri interessi negl'interessi di
tutti, pronto sempre a sacrificarsi per tutti i membri della comune
famiglia, egualmente pronti a sacrificarsi per lui, i più tra i mali
che pesano in oggi sulla razza umana spariranno, come i vapori
addensati all'orizzonte spariscono al levarsi del sole: e ciò che
Dio vuole si compirà: però che è suo decreto che l'amore, unendo a
poco più sempre strettamente gli elementi dispersi dell'umanità, e
ordinandoli in un sol corpo, essa sia una com'egli è uno”.(11)
Le parole or citate d'un uomo che visse e mori santamente e amò il
popolo e il suo avvenire d'immenso amore, non v'escano, o miei
fratelli, mai dalla mente. La libertà non è che un mezzo; guai a voi
e al vostro avvenire se v'avvezzaste mai a guardarla siccome fine!
Il vostro individuo ha doveri e diritti propri che non possono
essere abbandonati ad alcuno; ma guai a voi ed al vostro avvenire se
il rispetto che dovete avere per ciò che costituisce la vostra vita
individuale potesse mai degenerare in un fatale egoismo! La vostra
libertà non è la negazione d'ogni autorità; è la negazione d'ogni
autorità che non rappresenti lo scopo collettivo della Nazione, e
che presuma impiantarsi e mantenersi sovr'altra base che su quella
del libero spontaneo vostro consenso. Dottrine di sofisti hanno in
questi ultimi tempi pervertito il santo concetto della Libertà: gli
uni l'hanno ridotto a un gretto immorale individualismo, hanno detto
che l'io è tutto e che il lavoro umano e l'ordinamento sociale non
devono tendere che al sodisfacimento dei suoi desiderii: gli altri
hanno dichiarato che ogni governo, ogni autorità è un male
inevitabile, ma da restringersi, da vincolarsi quanto più si può,
che la libertà non ha limiti; che lo scopo d'ogni Società è
unicamente quello di promoverla indefinitamente; che un uomo ha
diritto d'usare e abusare della libertà, purché questa non ridondi
direttamente nel male altrui: che un governo non ha missione fuorché
quella d'impedire che un individuo non nuoccia all'altro.
Respingete, o miei fratelli, queste false dottrine: son esse che
indugiano anche in oggi l'Italia sulle vie della sua grandezza
avvenire. Le prime hanno generato l'egoismo di classe, le seconde
fanno d'una società che deve, se ben ordinata, rappresentare il
vostro scopo e la vostra vita collettiva, non altro che un birro o
un soldato di polizia incaricato di mantenere una pace apparente;
tutte trascinano la libertà ad essere un'anarchia: cancellano l'idea
di miglioramento morale collettivo; cancellano la missione
educatrice, la missione di Progresso che la società deve assumersi.
Se voi potete intendere a questo modo la Libertà, voi meritereste di
perderla, e, presto o tardi, la perdereste.
La vostra Libertà sarà santa, perché si svilupperà sotto il
predominio dell'idea del Dovere, della Fede nel perfezionamento
comune. La vostra Libertà fiorirà protetta da Dio e dagli uomini,
perch'essa non sarà il diritto d'usare e abusare delle vostre
facoltà nella direzione che a voi piaccia di scegliere, ma
perch'essa sarà il diritto di scegliere liberamente, a seconda delle
vostre tendenze, i mezzi per fare il bene.
Capitolo nono
Educazione
Dio v'ha fatti educabili. Voi dunque avete dovere d'educarvi per
quanto è in voi, e diritto a che la società alla quale appartenete
non v'impedisca nella vostra opera educatrice, v'aiuti in essa e vi
supplisca, quando i mezzi d'educazione vi manchino.
La vostra libertà, i vostri diritti, la vostra emancipazione da
condizioni sociali ingiuste, la missione che ciascun di voi deve
compiere qui sulla terra dipendono dal grado di educazione che vi è
dato raggiungere. Senza educazione voi non potete scegliere
giustamente fra il bene e il male; non potete acquistare coscienza
dei vostri diritti, non potete ottenere quella partecipazione nella
vita politica senza della quale non riuscirete ad emanciparvi: non
potete definire a voi stessi la vostra missione. L'Educazione è il
pane delle anime vostre. Senz'essa, le vostre facoltà dormono
assiderate, infeconde, come la potenza di vita che cova nel germe
dorme sterilita, s'esso è cacciato in terreno non dissodato, senza
benefizio d'irrigazione e cure d'assiduo coltivatore.
Oggi, voi, o non avete educazione o l'avete da uomini e da poteri
che nulla rappresentano fuorché se stessi e, non servendo a un
principio regolatore, sono condannati essenzialmente a mutilarla o
falsarla. I meno tristi fra i vostri educatori credono aver
sodisfatto al debito loro, quando hanno inegualmente aperto sul
territorio che reggono un certo numero di scuole dove i vostri figli
possono ricevere un grado qualunque d'insegnamento elementare.
Questo insegnamento consiste principalmente nel leggere, scrivere e
computare.
Insegnamento siffatto si chiama istruzione; e differisce
dall'educazione quanto i nostri organi differiscono dalla nostra
vita. I nostri organi non sono la vita; non ne sono che semplici
stromenti e mezzi di manifestarla; non la signoreggiano, non la
dirigono: possono tradurre in fatti la vita più santa e la più
corrotta. Così l'istruzione somministra i mezzi per praticare ciò
che l'educazione insegna: ma non può tener luogo dell'educazione.
L'educazione s'indirizza alle facoltà morali; l'Istruzione alle
intellettuali. La prima sviluppa nell'uomo la conoscenza dei suoi
doveri; la seconda rende l'uomo capace di praticarli. Senza
istruzione, l'educazione sarebbe troppo sovente inefficace; senza
educazione l'istruzione sarebbe come una leva mancante d'un punto
d'appoggio. Voi sapete leggere: che monta, se non sapete in quali
libri si trovi l'errore, in quali la verità? Voi sapete, scrivendo,
comunicare i vostri pensieri ai vostri fratelli: che importa, quando
i vostri pensieri non accennassero che ad egoismo? L'istruzione,
come la ricchezza, può essere sorgente di bene e di male a seconda
delle intenzioni colle quali s'adopra: consacrata al progresso di
tutti, è mezzo di incivilimento e di libertà; rivolta all'utile
proprio, diventa mezzo di tirannide e di corruttela. Oggi in Europa
l'istruzione, scompagnata da un grado corrispondente di educazione
morale, è piaga gravissima che mantiene l'ineguaglianza fra classe e
classe d'uno stesso popolo e inchina gli animi al calcolo,
all'egoismo, alle transazioni fra il giusto e l'ingiusto, alle false
dottrine.
La distinzione fra gli uomini i quali vi offrono più o meno
istruzione e quei che vi predicano educazione, è più grave che voi
non pensate, e merita ch'io vi spenda alcune parole.
Due dottrine, due scuole, dividono il campo di quei che combattono
per la libertà contro il dispotismo. La prima dichiara che la
sovranità risiede nell'individuo: la seconda sostiene ch'essa vive
unicamente nella società e prende a norma il consenso manifestato
dalla maggioranza. La prima crede aver compiuto la propria missione
quando ha proclamato i diritti creduti inerenti alla natura umana e
tutelato la libertà; la seconda guarda quasi esclusivamente
all'associazione, e desume dal patto che la costituisce i doveri
d'ogni individuo. La prima non vede più in là di ciò che io chiamai
istruzione, perché l'istruzione tende infatti a dare facilità di
sviluppo, senza norma generale, alle facoltà individuali: la seconda
intende la necessità d'un'educazione ch'è per essa la manifestazione
del programma sociale.
La prima guida inevitabilmente all'anarchia morale, la seconda, se
dimentica i diritti della libertà, corre rischio di cadere nel
dispotismo della maggioranza.
Alla prima apparteneva tutta quella generazione di uomini chiamati
in Francia dottrinari, che tradì le speranze del Popolo dopo la
rivoluzione del 1830, e gridando libertà d'istruzione e non altro,
perpetuò il monopolio governativo nella classe borghese che ha più
mezzi per dare sviluppo alle proprie facoltà individuali: la seconda
non è sventuratamente rappresentata in oggi che da Sette e Poteri
appartenenti a vecchie credenze, ostili al dogma dell'avvenire, il
Progresso.
Tutte due quelle scuole peccano di tendenze anguste, esclusive.
Il vero è questo:
La sovranità è in Dio, nella Legge morale, nel disegno
provvidenziale che governa il mondo e ch'è via via rivelato dalle
ispirazioni del Genio virtuoso e dalle tendenze dell'Umanità nelle
epoche diverse della sua vita: e nello scopo che bisogna
raggiungere, nella missione che bisogna compiere. Non è sovranità
nello individuo, non è nella società, se non in quanto l'uno è
l'altra s'uniformino a quel disegno, a quella Legge, e si dirigono a
quello scopo.
Un individuo o è il migliore interprete della Legge morale e governa
in suo nome, o è un usurpatore da rovesciarsi. Il semplice voto
d'una maggioranza non costituisce sovranità, se avversa
evidentemente alle norme morali supreme, o chiuda deliberatamente la
via al Progresso futuro. Bene sociale, Libertà, Progresso: al di
fuori di questi tre termini non può esistere sovranità.
L'educazione insegna qual sia il Bene sociale.
L'istruzione assicura all'individuo la libera scelta dei mezzi per
ottenere un progresso successivo nel concetto del bene.
A voi importa prima d'ogni altra cosa che i vostri figli imparino
quale insieme di principii e credenze diriga la vita dei loro
fratelli nel tempo in cui sono chiamati a vivere e nella terra ch'è
stata loro assegnata: quale sia il programma morale, sociale e
politico della loro Nazione: - quale lo spirito della legislazione
dalla quale le opere loro debbono venire giudicate: - quale il grado
del progresso raggiunto dall'Umanità: - quale quello da
raggiungersi. E v'importa ch'essi sentano fin dai primi anni
giovanili di essere stretti in uno spirito d'eguaglianza e d'amore
verso un intento comune, coi milioni di fratelli dati loro da Dio.
L'educazione, che deve dare ai vostri figli insegnamento siffatto,
non può venire che dalla Nazione.
Oggi, l'insegnamento morale è anarchia. Lasciato esclusivamente ai
padri, è nullo dove la miseria e la necessità d'un lavoro materiale
quasi continuo tolgono ad essi tempo per educare e mezzi per
sostituire educatori a se stessi, tristo, se l'egoismo e la
corruttela hanno pervertita e contaminata la famiglia. I fanciulli
sono dati a tendenze superstiziose o materialiste, di libertà o di
rassegnazione codarda, di aristocrazia o di reazione contr'essa, a
seconda dell'istitutore prete o laico, che le tendenze paterne
scelgono dove esistono mezzi. Come possono, cresciuti a gioventù,
affratellarsi in concordia d'opere e rappresentare in sé l'unità del
paese? La società li chiama a promuovere lo sviluppo d'una idea
comune alla quale non furono iniziati mai. La società li punisce per
violazioni di leggi talora ignote, e delle quali lo spirito e lo
scopo non sono insegnati mai dalla società al cittadino. La società
desidera da essi cooperazione e sacrificio per un fine che nessuna
scuola svolge ad essi sull'aprirsi della loro vita civile. Strano a
dirsi: gli uomini della dottrina, alla quale ho accennato poc'anzi
riconoscono in ciascun individuo il diritto d'ammaestrare i giovani:
non lo riconoscono nell'associazione di tutti, nella Nazione. Il
loro grido, libertà d'insegnamento disereda la Patria d'ogni
direzione morale. Dichiarano importantissima l'unità del sistema
monetario e dei pesi; l'unità dei principii sui quali la vita
nazionale deve avere fondazione e sviluppo, è nulla per essi. Voi
non dovete lasciarvi adescare da quel grido che tutti quasi i
fautori moderni di Costituzioni ripetono l'uno dopo l'altro.
Senza Educazione Nazionale non esiste moralmente Nazione. La
coscienza nazionale non può uscir che da quella.
Senza Educazione Nazionale comune a tutti i cittadini: eguaglianza
di doveri e di diritti è formola vuota di senso, la conoscenza dei
doveri, la possibilità dell'esercizio dei diritti, sono lasciate al
caso della fortuna e all'arbitrio di chi sceglie l'educatore.
Gli uomini che si dichiarano avversi all'unità della educazione
invocano la libertà. Libertà di chi? Dei padri o dei figli? La
libertà dei figli è violata, nel loro sistema dal dispotismo
paterno: la libertà delle giovani generazioni sacrificate alle
vecchie: la libertà di progresso diventa illusione.
Le credenze individuali, false forse ed avverse al progresso, sono
trasmesse sole e autorevoli, di padre in figlio, nell'età in cui
l'esame è impossibile: più tardi, nelle condizioni dei più tra voi,
la fatalità d'un lavoro materiale di tutte l'ore, vieterà all'anima
giovane, nella quale si saranno stampate quelle credenze, di
raffrontarle con altre e modificarle. In nome di quella libertà
menzognera il sistema anarchico del quale io vi parlo tende a
fondare o perpetuare il pessimo fra i dispotismi, la casta morale.
Ciò che quel sistema protegge ha nome arbitrio non libertà. Libertà
vera non esiste senza eguaglianza, e l'eguaglianza non può esistere
fra chi non move da una base, da un principio comune, da una
coscienza uniforme del Dovere. La libertà non si esercita che al di
là di quella coscienza. Io vi dissi poche pagine addietro che la
Libertà vera non consiste nel diritto di scegliere il male, ma nel
diritto di scegliere fra le vie che conducono al bene. La libertà
che invocano quei falsi filosofi è l'arbitrio dato al padre di
scegliere il male pel figlio. Che? Se un padre minacciasse di
mutilazione, di un guasto qualunque il corpo del suo fanciullo, la
società interverrebbe invocata da tutti; e l'anima, la mente di
quell'essere, sarà da meno del corpo? La società non potrà
proteggerla dalla mutilazione delle facoltà, l'ignoranza dalla
deviazione del senso morale, la superstizione?
Quel grido di libertà d'insegnamento sorgeva giovevole un tempo e
sorge giovevole anch'oggi dovunque l'educazione morale è un
monopolio d'un governo dispotico, d'una casta retrograda, d'un
sacerdozio avverso, per natura di dogma, al Progresso: fu un'arme
contro la tirannide; una parola d'emancipazione imperfetta ma
indispensabile. Giovatevene ovunque siete schiavi. Ma io vi parlo
d'un tempo in cui la fede religiosa avrà scritto sulle porte del
tempio la parola PROGRESSO e tutte le istituzioni ripeteranno sotto
varie forme quella parola, e l'Educazione Nazionale dirà sul finire
dell'insegnamento all'allievo: a te, destinato a vivere sotto un
Patto comune fra noi; noi abbiam detto le basi fondamentali di quel
Patto, i Principii nei quali crede in oggi la tua Nazione; ma bada
che il primo fra quei principii è Progresso; bada che la tua
missione d'uomo e di cittadino è quella di migliorare, ove tu possa,
la mente e il core dei tuoi fratelli: va, esamina, raffronta; e se
scopri verità superiore a quella che noi crediamo di possedere,
promulgala arditamente e avrai la benedizione della tua Patria.
Allora, non prima, respingete quel grido di libertà d'insegnamento
come ineguale ai vostri bisogni e funesto all'Unità della Patria;
chiedete, esigete, l'impianto d'un sistema d'educazione nazionale
gratuita, obbligatoria per tutti.
La Nazione deve ad ogni cittadino la trasmissione del suo programma.
Ogni cittadino deve ricevere nelle scuole l'insegnamento morale - un
corso di nazionalità comprendente un quadro sommario dei progressi
dell'Umanità, la Storia Patria e l'esposizione popolare dei
principii che reggono la legislazione del paese - e l'istruzione
elementare intorno alla quale non v'è dissenso. Ogni cittadino deve
imparare in esse l'eguaglianza e l'amore.
Trasmesso quel programma, la libertà ripiglia i suoi diritti. Non
solamente l'insegnamento della famiglia, ma ogni altro è sacro. Ogni
uomo ha diritto illimitato di comunicare ad altri le proprie idee:
ogni uomo ha diritto d'ascoltarlo. La Società deve proteggere,
incoraggiare la libera espressione del pensiero, sotto ogni forma; e
aprire ogni via perché il programma sociale possa svilupparsi e
modificarsi pel bene.
Capitolo decimo
Associazione - Progresso
Dio v'ha fatti sociali e progressivi. Voi dunque avete dovere
d'associarvi e di progredire quanto comporta la sfera d'attività,
nella quale le circostanze vi collocarono, e avete diritto a che la
società alla quale appartenete non v'impedisca nella vostra opera
d'associazione e di progresso, v'aiuti in essa e vi supplisca,
quando i mezzi d'associazione e di progresso vi manchino.
La libertà vi dà facoltà di scegliere fra il bene ed il male, cioè
fra il dovere e l'egoismo. L'educazione deve insegnarvi la scelta.
L'associazione deve darvi le forze colle quali potrete tradurre la
scelta in atto. Il progresso è il fine a cui dovete mirare
scegliendo, ed è ad un tempo, quando è visibilmente compito, la
prova che non v'ingannaste nella scelta. Dove una sola di queste
condizioni è tradita o negletta, non esiste uomo, né cittadino o
esiste imperfetto o inceppato nel suo sviluppo.
Voi dunque dovete combattere per tutte, e segnatamente pel diritto
d'Associazione, senza il quale la Libertà e l'Educazione riescono
inutili.
Il diritto d'Associazione è sacro, come la Religione ch'è
l'associazione delle anime. Voi siete tutti figli a Dio: siete
dunque fratelli: e chi può senza delitto limitare l'associazione, la
comunione fra fratelli?
Questa parola comunione, ch'io ho proferita pensatamente, vi fu
detta dal Cristianesimo, che gli uomini dichiararono, nel passato,
religione immutabile e non è se non un gradino sulla scala delle
manifestazioni religiose dell'Umanità. Ed è una santa parola. Essa
diceva agli uomini che erano una sola famiglia d'eguali in Dio; e
riuniva il signore e il servo in un solo pensiero di salvezza, di
speranza e di amore pel Cielo.
Era un immenso progresso sui tempi anteriori, quando popolo e
filosofi credevano l'anime dei cittadini e degli schiavi essere di
diversa natura. E bastava al Cristianesimo quella missione. La
comunione era il simbolo dell'eguaglianza e della fratellanza
dell'anime; e spettava all'Umanità d'ampliare e sviluppare la verità
nascosta in quel simbolo.
La Chiesa nol poteva e nol fece. Timida e incerta a principio,
alleata coi signori e col potere temporale più appresso e imbevuta,
anche per utile proprio, d'una tendenza all'aristocrazia che non era
nello spirito del fondatore, essa smarrì di tanto la via, che
diminuì, retrocedendo, il valore della Comunione, limitandola pei
laici alla comunione nel solo pane e serbando ai sacerdoti la
comunione sotto le due specie.
D'allora in poi, il grido di quanti sentivano il diritto d'una
comunione illimitata, senza distinzione fra ecclesiastici e laici,
per tutta quanta la famiglia umana, fu: comunione sotto le due
specie al popolo: il calice al popolo! Nel XV secolo, quel grido fu
grido di moltitudini sollevate, preludio alla Riforma religiosa
santificato dal martirio. Un santo uomo, Giovanni Huss di Boemia,
capo di quel moto, perì tra le fiamme accese dall'Inquisizione. Oggi
i più tra voi ignorano la storia di quelle lotte e le credono lotte
di fanatici per questioni semplicemente teologiche. Ma quando, la
Storia, fatta popolare dell'Educazione Nazionale, v'avrà insegnato
come ogni progresso nella questione religiosa trascini un progresso
corrispondente nella vita civile, intenderete il giusto valore di
quelle contese, e onorerete la memoria di quei martiri come di
vostri benefattori.
Noi dobbiamo a questi martiri e a quei che li precedettero se oggi
sappiamo che non v'è casta privilegiata tra Dio e gli uomini; che i
migliori per virtù e per sapienza di cose divine ed umane possono e
devono consigliarci e dirigerci sulle vie del bene, ma senza
monopolio di potenza o supremazia di classe; e che il diritto di
comunione è eguale per tutti. Ciò che è santo nel Cielo è santo
sulla Terra. E la Comunione degli uomini in Dio porta con sé
l'associazione degli uomini nella vita terrestre. L'associazione
religiosa delle anime genera il diritto dell'associazione nelle
facoltà e nell'opere che fanno realtà del pensiero.
Sia dunque l'associazione dovere e diritto per voi.
Taluni, a limitarne il diritto fra i cittadini, vi diranno che
l'associazione è lo Stato, la Nazione: che voi ne siete e dovete
esserne tutti membri: e che quindi ogni associazione parziale tra
voi è o avversa allo Stato o superflua.
Ma lo Stato, la Nazione non rappresentano se non l'associazione dei
cittadini in quelle cose, in quelle tendenze che sono comuni a tutti
gli uomini che ne sono parte. Esistono tendenze e fini che non
abbracciano tutti i cittadini, ma solamente un certo numero d'essi.
E come le tendenze e il fine comune a tutti generano la Nazione, le
tendenze e il fine comune a parecchi fra i cittadini devono generare
l'associazione speciale.
Poi - e questa è base fondamentale al diritto d'associazione -
l'associazione è la mallevadoria del Progresso. Lo Stato rappresenta
una certa somma, un certo insieme di principii nei quali
l'università dei cittadini consente nel periodo in cui lo Stato è
fondato. Ponete che un nuovo e vero principio, un nuovo e
ragionevole sviluppo delle verità che danno vita allo Stato,
s'affaccino a taluni fra i cittadini: come potranno diffonderne,
senza associarsi, la conoscenza? Ponete che in conseguenza di
scoperte scientifiche, di nuove comunicazioni aperte fra popoli e
popoli o d'altra cagione, si manifesti, per un certo numero d'uomini
appartenenti allo Stato, un nuovo interesse: come potranno quei che
lo intendono primi conquistargli luogo fra gli interessi da lungo
esistenti se non affratellando i propri mezzi, le proprie forze?
L'inerzia, il riposo nella condizione di cose esistente e sancita
dal comune consenso, sono troppo connaturali agli animi, perché un
solo individuo possa, colla sua parola, scoterli e vincerli.
L'associazione d'una minoranza di giorno in giorno crescente lo può.
L'associazione è il metodo dell'avvenire. Senz'essa, lo Stato
rimarrebbe immobile, incatenato al grado raggiunto di civiltà.
L'associazione deve essere progressiva nel fine a cui tende, non
contraria alle verità conquistate per sempre dal consenso universale
dell'Umanità e della Nazione. Una associazione che s'impiantasse per
agevolare il furto dell'altrui proprietà, una associazione che
facesse obbligo a' suoi membri della poligamia, una associazione che
dichiarasse doversi sciogliere la Nazione o predicasse lo
stabilimento del Dispotismo sarebbe illegale. La Nazione ha diritto
di dire a' suoi membri: noi non possiamo tollerare che si diffondano
in mezzo a noi dottrine violatrici di ciò che costituisce la natura
umana, la Morale, la Patria. Escite e stabilite fra voi al di là dei
nostri confini, l'associazione che le vostre tendenze vi
suggeriscono.
L'associazione deve essere pacifica. Essa non può avere altr'arme
che l'apostolato della parola: deve proporsi di persuadere, non di
costringere.
L'associazione deve essere pubblica. Le associazioni segrete, arme
di guerra legittima dove non è Patria, né Libertà, sono illegali e
possono essere sciolte dalla Nazione quando la Libertà è diritto
riconosciuto, quando la Patria protegge lo sviluppo e
l'inviolabilità del pensiero. Se l'associazione deve schiudere la
via al Progresso, essa dev'essere sottomessa all'esame e al giudizio
di tutti.
E finalmente l'Associazione deve rispettare in altrui i diritti che
sgorgano dalle condizioni essenziali dell'umana natura. Una
associazione che violasse, come le corporazioni del medio evo, la
libertà del lavoro o tendesse direttamente a restringere la libertà
di coscienza potrebb'essere respinta, governativamente, dalla
Nazione.
Da questi limiti in fuori, la libertà d'associazione fra' cittadini
è sacra, inviolabile, come il progresso che ha vita in essa. Ogni
governo che s'attentasse restringerla tradirebbe la missione
sociale: il popolo dovrebbe, prima ammonirlo, poi, esaurite le vie
pacifiche, rovesciarlo.
E son queste, o miei fratelli, le basi principali sulle quali
poggiano i vostri Doveri, le sorgenti dalle quali scendono i vostri
Diritti. Infinite sono le questioni speciali che possono sorgere
nella vostra vita civile; ma non è parte di questo lavoro prevederle
e aiutarvi a scioglierle. Intento unico del mio lavoro era
additarvi, come fiaccole sulla via, i principii che devono
predominare su tutte e nella severa applicazione dei quali troverete
sempre modo di scioglierle. E parmi d'averlo fatto.
V'ho additato Dio come sorgente del Dovere e pegno d'eguaglianza tra
gli uomini: - la legge morale come sorgente d'ogni legge civile, e
base d'ogni vostro giudizio sulla condotta di chi fa le legge - il
popolo, voi, noi, l'universalità dei cittadini che formano la
Nazione, come il solo legittimo interprete della legge e sorgente
d'ogni potere politico.
V'ho detto che il carattere fondamentale della legge è Progresso:
progresso, indefinito, continuo d'epoca in epoca: progresso in ogni
ramo d'attività umana, in ogni manifestazione del pensiero, dalla
religione fino all'industria, fino alla distribuzione della
ricchezza.
V'ho accennato quali sono i vostri doveri verso l'Umanità, verso la
Patria, verso la Famiglia, verso Voi stessi. E ho desunto quei
doveri dalle condizioni che costituiscono la creatura umana e ch'è
obbligo vostro di sviluppare. Quelle condizioni, inviolabili in ogni
uomo, sono: libertà, edificabilità, socialità, capacità, necessità
di progresso. E da quei caratteri senza i quali non esiste uomo né
cittadino, ho desunto i vostri diritti e le condizioni generali del
Governo che voi dovete cercare alla Patria.
Non dimenticate mai quei principii. Vigilate a ciò che non siano
violati mai. Incarnateli in voi. Sarete liberi e migliorerete.
Il lavoro ch'io ho impreso per voi sarebbe dunque compito, se una
tremenda obbiezione non sorgesse dalle viscere della società com'è
oggi ordinata contro la possibilità di compiere doveri, d'esercitar
quei diritti: l'ineguaglianza dei mezzi.
Per compiere doveri, per esercitare diritti, sono necessari: tempo,
sviluppo intellettuale, certezza di vita fisica.
Or, moltissimi fra voi non hanno in oggi questi elementi di
progresso. La loro vita è una continua incerta battaglia per
conquistare i mezzi di sostenere l'esistenza materiale. Non si
tratta per essi di progredire; si tratta di vivere.
Esiste dunque un vizio radicale, profondo, nella società com'è in
oggi ordinata. E il mio lavoro sarebbe inutile s'io non definissi
quel vizio e non v'additassi la via di correggerlo.
La questione economica sarà dunque soggetto di una ultima parte del
mio lavoro.
Capitolo undicesimo
Questione economica
§ 1°
Molti, troppi fra voi, sono poveri. Per i tre quarti almeno degli
uomini che appartengono alla classe operaia, agricola o industriale,
la vita è una lotta d'ogni giorno per conquistarsi i mezzi
indispensabili all'esistenza. Essi lavorano colle loro braccia
dieci, dodici, talvolta quattordici ore della giornata, e da questo
assiduo, monotono, penoso lavoro, ritraggono appena il necessario
alla vita fisica. Insegnare ad essi il dovere di progredire, parlar
loro di vita intellettuale e morale, di diritti politici, di
educazione, nell'ordine sociale attuale, è una vera ironia. Essi non
hanno tempo né mezzi per progredire. Spossati, affranti, pressoché
istupiditi da una vita spesa in un cerchio di poche operazioni
meccaniche, essi v'imparano un muto, impotente, spesso ingiusto
rancore contro la classe degli uomini, che l'impiegano; cercano
l'oblio dei dolori presenti e dell'incertezza del domani negli
stimoli delle forti bevande, e si coricano in luoghi ai quali è
meglio adatto il nome di covile che non quello di stanza, per
ridestarsi allo stesso esercizio delle forze fisiche.
È tristissima condizione e bisogna mutarla.
Voi siete uomini, e come tali avete facoltà, non solamente fisiche,
ma intellettuali e morali, che è vostro dovere di sviluppare: dovete
essere cittadini, e come tali, dovete esercitare, pel bene di tutti,
diritti i quali richiedono un certo grado di educazione, una certa
somma di tempo.
È chiaro che voi dovete lavorar meno e guadagnare più che oggi non
fate.
Figli tutti di Dio e fratelli in Lui e tra noi, noi siamo chiamati a
formare una sola grande famiglia. In questa famiglia possono
esistere disuguaglianze generate dalle diverse abitudini, dalle
diverse capacità, dal diverso desiderio di lavoro; ma un principio
deve signoreggiarla: qualunque è disposto a dare pel bene di tutti,
ciò ch'ei può di lavoro, deve ottenere compenso tale che lo renda
capace di sviluppare, più o meno, la propria vita sotto tutti gli
aspetti che la definiscono.
È questo l'ideale al quale dobbiamo tutti studiar modo d'avvicinarci
più sempre di secolo in secolo. Ogni mutamento, ogni rivoluzione che
non vi s'accosti d'un passo, che non faccia corrispondere al
progresso politico un progresso sociale, che non promuova d'un grado
il miglioramento materiale delle classi più povere, viola il disegno
di Dio, si riduce a una guerra di fazioni contro fazioni in cerca di
una dominazione illegittima: è una menzogna ed un male.
Ma fino a qual punto possiamo raggiungere oggi lo scopo? E come, per
quali vie possiamo raggiungerlo?
Taluni fra i vostri più timidi amici hanno cercato il rimedio nella
moralità dell'operaio. Fondando casse di risparmio o altre simili
istituzioni, hanno detto agli operai: recate qui il vostro soldo:
economizzate: astenetevi da ogni eccesso nella bevanda o in altro:
emancipatevi dalla miseria colle privazioni. E sono ottimi consigli
perché mirano alla moralizzazione dell'operaio, senza la quale tutte
le riforme riescono inutili. Ma né sciolgono la questione di miseria
intorno alla quale io vi parlo, né tengono conto alcuno del dovere
sociale. Pochissimi tra voi possono economizzare quel soldo. E quei
pochissimi possono, accumulando lentamente, provvedere in parte agli
anni della vecchiaia, mentre la quistione economica deve mirare a
provvedere agli anni virili, allo sviluppo, all'espansione possibile
della vita quando è attiva e potente e può giovare efficacemente al
progresso della Patria e dell'Umanità. Perciò che riguarda i beni
materiali, la questione sta nel come accrescere la ricchezza, la
produzione; e quei consigli neppure vi accennano. Inoltre, la
Società che vive del lavoro e chiede, ogni qualvolta è minacciata,
tributo di sangue ai figli del popolo ha debiti sacri verso di loro.
Altri, non nemici, ma poco curanti del popolo e del grido di dolore
che sorge dalle viscere degli uomini del lavoro, paurosi d'ogni
innovazione potente, e legati a una scuola detta degli economisti,
che combatté con merito e con vantaggio tutte le battaglie della
libertà, dell'industria, ma senza por mente alla necessità di
progresso e di associazione, inseparabili anch'esse dalla natura
umana, sostennero e sostengono, come i filantropi dei quali ora
parlai, che ciascuno può anche nella condizione di cose attuale,
edificare colla propria attività la propria indipendenza; che ogni
mutamento nella costituzione del lavoro riuscirebbe superfluo o
dannoso; e che la formola ciascuno per sé, libertà per tutti è
sufficiente a creare a poco a poco un equilibrio approssimativo
d'agi e conforti fra le classi che costituiscono la Società. Libertà
di traffici interni, libertà di commercio fra le nazioni,
abbassamento progressivo delle tariffe daziarie specialmente sulle
materie prime, incoraggiamenti dati generalmente alle grandi imprese
industriali, alla moltiplicazione delle vie di comunicazione, alle
macchine che rendono più attiva la produzione: questo è quanto,
secondo gli economisti, può farsi dalla Società: ogni suo intervento
al di là è, per essi, sorgente di male.
Se ciò fosse vero, la piaga della miseria sarebbe insanabile; e Dio
tolga, o fratelli miei, che io possa mai gittare, convinto, come
risposta ai vostri patimenti e alle vostre aspirazioni, questa
risposta disperata, atea, immorale. Dio ha statuito per voi un
migliore avvenire, che non è quello contenuto nei rimedi degli
economisti.
Quei rimedi non mirano infatti che ad accrescere possibilmente e per
un certo tempo la produzione della ricchezza, non a farne più equa
la distribuzione. Mentre i filantropi contemplano unicamente l'uomo
e s'affannano a renderlo più morale senza farsi carico d'accrescere,
per dargli campo a migliorarsi, la ricchezza comune, gli economisti
non guardano che a fecondare le sorgenti della produzione senza
occuparsi dell'uomo. Sotto il regime esclusivo di libertà ch'essi
predicano e che ha più o meno regolato il mondo economico nei tempi
a noi più vicini, i documenti più innegabili ci mostrano aumento
d'attività produttrice e di capitali, non di prosperità
universalmente diffusa: la miseria delle classi operaie è la stessa
di prima. La libertà di concorrere per chi nulla possiede, per chi,
non potendo risparmiare sulla giornata, non ha di che iniziare la
concorrenza, è menzogna, com'è menzogna la libertà politica per chi
mancando di educazione, d'istruzione, di mezzo e di tempo, non può
esercitarne i diritti. L'accrescimento della facilità dei traffichi,
i progressi nei modi di comunicazione, emanciperebbero a poco a poco
il lavoro dalla tirannide del commercio della classe intermedia fra
la produzione e i consumatori: ma non giovano a emanciparlo dalla
tirannide del capitale, non danno i mezzi del lavoro a chi non li
ha. E per difetto di un'equa distribuzione della ricchezza, d'un più
giusto riparto dei prodotti, d'un aumento progressivo della cifra
dei consumatori, il capitale stesso si svia dal suo vero scopo
economico, s'immobilizza in parte nelle mani dei pochi invece di
spandersi tutto nella circolazione, si dirige verso la produzione
d'oggetti superflui, di lusso, di bisogni fittizi, invece di
concentrarsi sulla produzione degli oggetti di prima necessità per
la vita o si avventura in pericolose e spesso immorali speculazioni.
Oggi il capitale - e questa è la piaga della Società economica
attuale - è despota del lavoro. Delle tre classi che oggi formano
economicamente la Società - capitalisti, cioè detentori dei mezzi o
strumenti del lavoro, terre, fattorie, numerario, materie prime -
intraprenditori, capilavoro, commercianti, che rappresentano o
dovrebbero rappresentare l'intelletto - e operai che rappresentano
il lavoro manuale - la prima, sola, è padrona del campo, padrona di
promuovere, indugiare, accelerare verso certi fini il lavoro. E la
sua parte negli utili del lavoro, nel lavoro della produzione, è
comparativamente determinata: la locazione degli strumenti del
lavoro non varia se non tra limiti noti e ristretti; e il tempo,
fino a un certo segno almeno, è suo, non in balìa dell'assoluto
bisogno. La parte dei secondi è incerta, dipendente dal loro
intelletto, dalla loro attività, ma segnatamente dalle circostanze,
dallo sviluppo maggiore o minore della concorrenza e dal rifluire o
ritirarsi, in conseguenza d'eventi non calcolabili, dei capitali. La
parte degli ultimi, degli operai, è il salario determinato
anteriormente al lavoro e senza riguardi agli utili maggiori o
minori che esciranno dall'impresa; e i limiti fra i quali il salario
si aggira, sono determinati dalla relazione che esiste fra il lavoro
offerto e il lavoro richiesto, in altri termini, tra la popolazione
degli operai ed il capitale. Or la prima tendendo all'aumento e ad
un aumento che supera generalmente, non fosse che di poco, l'aumento
del secondo, il salario tende, ove altre cause non s'infrappongano,
a scendere. E il tempo non è nelle mani dell'operaio: le crisi
finanziarie e politiche, la subita applicazione di nuove macchine ai
rami diversi dell'attività industriale, le irregolarità nella
produzione e il suo frequente soverchio accumularsi in unica
direzione inseparabile da una poco illuminata concorrenza, il
riparto ineguale del popolo dei lavoranti su certi punti o su certi
rami d'attività, e dieci altre cause interrompendo il lavoro, non
lasciano all'operaio la libera scelta delle sue condizioni. Da un
lato sta per lui l'assoluta miseria, dall'altro l'accettazione
d'ogni patto che gli venga proposto.
Condizione siffatta di cose ha, ripeto, il germe in sé d'una piaga
che bisogna curare. I rimedi proposti dagli economisti sono
inefficaci per questo.
E nondimeno, v'è progresso nella condizione della classe alla quale
voi appartenete: progresso storico, continuo, che ha superato ben
altre difficoltà. Voi foste schiavi, voi foste servi, voi siete in
oggi assalariati. V'emancipaste dalla schiavitù, dal servaggio;
perché non v'emancipereste dal giogo del salario per diventare
produttori liberi, padroni della totalità del lavoro della
produzione ch'esce da voi? Perché tra l'opera vostra e l'opera della
Società, che ha doveri sacri verso i suoi membri, non si compirebbe
pacificamente la più grande, la più bella rivoluzione che possa
idearsi, quella che, dando come base economica al consorzio umano il
lavoro, come base alla proprietà i frutti del lavoro,
raccoglierebbe, sotto una sola legge d'equilibrio tra la produzione
e il consumo, senza distinzione di classi, senza predominio
tirannico d'uno degli elementi del lavoro sull'altro, tutti i figli
della stessa madre, la PATRIA?
§ 2°
Il senso di dovere sociale verso gli uomini del lavoro, al quale ho
accennato finora, andava, mercé sopratutto la predicazione
repubblicana, crescendo negli animi e assicurando l'avvenire
popolare delle rivoluzioni, quando sorsero negli ultimi trent'anni,
in Francia segnatamente, alcune scuole d'uomini buoni generalmente e
amici del popolo, ma trascinati da soverchio amore di sistema e da
vanità individuale, che sotto nome di socialismo proposero dottrine
esclusive, esagerate, avverse spesso alla ricchezza già conquistata
dall'altre classi ed economicamente impossibili, e spaventando la
moltitudine dei piccoli borghesi e suscitando diffidenza fra ordini
e ordini di cittadini, fecero retrocedere la questione e divisero in
due il campo repubblicano. In Francia, il primo effetto di quella
diffidenza e di quel terrore fu il più facile colpo di Stato.
Io non posso esaminare con voi ad uno ad uno quei diversi sistemi,
che furono chiamati Sansimonismo, Fourierismo, Comunismo, o con
altro nome. Fondati quasi tutti sopra idee buone in sé e accettate
da quanti appartengono alla Fede del Progresso, le guastavano o le
cancellavano coi mezzi di applicazione che proponevano falsi o
tirannici. Ed è necessario ch'io v'accenni brevemente in che cosa
peccavano, perché le promesse affacciate al popolo da quei sistemi
sono così splendide che potrebbero facilmente sedurvi e voi
correreste rischio, abbracciandole, di ritardare un avvenire
d'emancipazione infallibile e non lontano. Vero è - e questo
dovrebbe bastare a svegliare un dubbio potente nell'animo vostro -
che quando le circostanze chiamarono al potere taluni fra quegli
uomini, essi neppur tentarono l'applicazione pratica delle loro
dottrine: giganti d'audacia nelle loro pagine, retrocessero davanti
alla realtà delle cose.
Se esaminando un giorno attentamente quei sistemi, ricorderete le
idee fondamentali ch'io sono andato finora indicandovi e i caratteri
inseparabili della natura umana, voi troverete ch'essi violano tutti
la Legge del Progresso, il modo con cui questo si compie
nell'umanità, e o l'una o l'altra delle facoltà che costituiscono
l'Uomo.
Il Progresso si compie per legge che nessuna potenza umana può
rompere, grado a grado, collo sviluppo colla modificazione perpetua
degli elementi che manifestano l'attività della vita. Gli uomini
hanno spesso, in certe epoche, in certi paesi, e sotto l'influenza
di certi pregiudizi e di certi errori, dato il nome d'elementi, di
condizioni della vita sociale, a cose che non hanno radice nella
natura, ma solamente nelle abitudini convenzionali d'una società
traviata, e che dopo quell'epoca o al di là dei limiti di quei
paesi, spariscono. Ma voi potete scoprire quali veramente siano gli
elementi inseparabili dall'umana natura, interrogando, come altrove
vi dissi, gli istinti dell'anime vostre e verificando nella
tradizione di tutti i tempi, di tutti i paesi, se quei vostri
istinti siano stati sempre gl'istinti dell'Umanità. E quelli, che
una voce ingenita in voi (è la grande voce dell'Umanità) v'addita
come elementi costitutivi della vita, devono essere modificati,
sviluppati sempre d'epoca in epoca ma non possono essere aboliti
mai.
Tra questi elementi della vita umana, oltre la Religione, la
Libertà, l'Associazione ed altri accennati nel corso di questo
lavoro è pure la Proprietà. Il principio, l'origine della Proprietà,
sta nella natura umana e rappresenta la necessità della vita
materiale dell'individuo ch'egli ha dovere di mantenere. Come per
mezzo della religione, della scienza, della libertà, l'individuo è
chiamato a trasformare, a migliorare, a padroneggiare il mondo
morale ed intellettuale, egli è pure chiamato a trasformare, a
migliorare, a padroneggiare, per mezzo del lavoro materiale, il
mondo fisico. E la proprietà è il segno, la rappresentazione del
compimento di quella missione, della quantità di lavoro col quale
l'individuo ha trasformato, sviluppato, accresciute le forze
produttrici della natura.
La proprietà è dunque eterna nel suo principio, e voi la trovate
esistente e protetta attraverso tutta quanta l'esistenza
dell'umanità. Ma i modi coi quali la proprietà si governa sono
mutabili, destinati a subire, come tutte l'altre manifestazioni
della vita umana, la legge del Progresso. Quei che, trovando la
proprietà costituita in un certo modo, dichiarano quel modo
inviolabile e combattono quanti intendono a trasformarlo, negano
dunque il Progresso: basta aprire due volumi di storia appartenente
a due epoche diverse, per trovarvi un cangiamento nella costituzione
della Proprietà. E quei che trovandola in una certa epoca mal
costituita, dichiarano che bisogna abolirla, cancellarla dalla
società, negando un elemento della umana natura, se potessero mai
riescire, ritarderebbero il Progresso, mutilando la Vita: la
proprietà riapparirebbe inevitabilmente poco tempo dopo, e
probabilmente sotto la forma che aveva al tempo della sua
abolizione.
La proprietà è in oggi mal costituita, perché l'origine del riparto
attuale sta generalmente nella conquista, nella violenza colla
quale, in tempi lontani da noi, certi popoli e certe classi
invadenti s'impossessarono delle terre e dei frutti d'un lavoro non
compito da essi. La proprietà è mal costituita, perché le basi del
riparto dei frutti d'un lavoro compito dal proprietario e
dall'operaio, non sono fondate sopra una giusta eguaglianza
proporzionata al lavoro stesso. La proprietà è mal costituita,
perché conferendo a chi l'ha, diritti politici e legislativi che
mancano all'operaio, tende ad esser monopolio di pochi e
inaccessibile ai più. La proprietà è mal costituita, perché il
sistema delle tasse è mal costituito, e tende a mantenere un
privilegio di ricchezza nel proprietario, aggravando le classi
povere e togliendo loro ogni possibilità di risparmio. Ma se, invece
di correggere vizi e modificare lentamente la costituzione della
Proprietà voi voleste abolirla, sopprimereste una sorgente di
ricchezza, di emulazione, d'attività, e somigliereste al selvaggio,
che per cogliere il frutto troncava l'albero.
Non bisogna abolire la proprietà perché oggi è di pochi; bisogna
aprire la via perché i molti possano acquistarla.
Bisogna richiamarla al principio che la renda legittima, facendo si
che il lavoro solo possa produrla.
Bisogna avviare la società verso basi più eque di rimunerazione tra
il proprietario o capitalista e l'operaio.
Bisogna mutare il sistema delle tasse, tanto che non colpiscano la
somma necessaria alla vita e lascino al popolano facoltà di economie
produttive a poco a poco di proprietà.
E perché ciò avvenga, bisogna sopprimere i privilegi politici
concessi alla proprietà, e far sì che tutti contribuiscano all'opera
legislativa.
Or tutte queste cose sono possibili e giuste. Educandovi,
ordinandovi a chiederle con insistenza, poi a volerle, potreste
ottenerle; mentre cercando l'abolizione della proprietà, cerchereste
una impossibilità, fareste un'ingiustizia verso chi l'ha conquistata
col proprio lavoro e diminuireste la produzione invece di
accrescerla.
§ 3°
L'abolizione della proprietà individuale nondimeno è il rimedio
proposto da parecchi tra i sistemi di socialisti dei quali vi parlo,
e segnatamente del comunismo. Altri vanno oltre; e trovando il
concetto religioso, il concetto di patria falsati dagli errori
religiosi, dagli uomini del privilegio e dall'egoismo delle
dinastie, chiedono l'abolizione d'ogni religione, d'ogni governo,
d'ogni nazionalità. È procedere di fanciulli o di barbari. Perché in
nome delle malattie generate da un'aria corrotta, non tenterebbero
la soppressione d'ogni gaz respirabile?
L'idea di chi vorrebbe, in nome della libertà, fondar l'anarchia e
cancellar la società per non lasciare che l'individuo co' suoi
diritti, non ha bisogno, con voi, di confutazione da me; tutto il
mio lavoro combatte quel sogno colpevole che rinnega progresso,
doveri, fratellanza umana, solidarietà di nazioni, ogni cosa che voi
ed io veneriamo. Ma il sogno di quei che, limitandosi alla quistione
economica, chiedono l'abolizione della proprietà individuale e
l'ordinamento del comunismo, tocca l'estremo opposto, nega
l'individuo, nega la libertà, chiude la via al progresso e impietra
per così dire la Società.
La formola generale del comunismo è la seguente: la proprietà d'ogni
cosa che produce terre, capitali, mobili, strumenti di lavoro, sia
concentrata nello Stato; lo Stato assegni la sua parte di lavoro, a
ciascuno; lo Stato assegni a ciascuno una retribuzione, secondo
alcuni, con assoluta eguaglianza, e secondo altri, a seconda dei
suoi bisogni.
Questa, se fosse possibile, sarebbe vita di castori non d'uomini.
La libertà, la dignità, la coscienza dell'individuo spariscono in un
ordinamento di macchine produttrici. La vita fisica può esservi
soddisfatta: la vita morale, la vita intellettuale sono cancellate,
e con esse l'emulazione, la libera scelta del lavoro, la libera
associazione, gli stimoli a produrre, le gioie della proprietà, le
cagioni tutte che inducono a progredire. La famiglia umana è, in
quel sistema, un armento al quale basta essere condotto ad una
sufficiente pastura. Chi tra voi vorrebbe rassegnarsi a programma
siffatto?
L'eguaglianza è conquistata, dicono. Quale?
L'eguaglianza nella distribuzione del lavoro? È impossibile. I
lavori sono di natura diversa, non calcolabile sulla durata o sulla
somma di lavoro compita in un'ora, ma sulla difficoltà, sulla minore
o maggiore spiacevolezza del lavoro, sul dispendio di vitalità che
trascina con se, sull'utile conferito da esso alla società. Come
calcolar l'eguaglianza di un'ora di lavoro passata in una miniera, o
nel purificare l'acqua corrotta di una palude, con un'ora passata in
un filatoio? La impossibilità di siffatto calcolo è tale, che ha
suggerito a taluno tra i fondatori di sistemi l'idea di far che
ciascuno debba compiere alla volta sua un certo ammontar di lavoro
in ogni ramo di utile attività: rimedio assurdo che renderebbe
impossibile la bontà dei prodotti senza giungere a sopprimere
l'ineguaglianza tra il debole ed il robusto, tra il capace ed il
lento nell'intelletto, tra l'uomo di temperamento linfatico e l'uomo
di temperamento nervoso. Il lavoro facile e gradito all'uno è grave
e difficile all'altro.
L'eguaglianza nel riparto dei prodotti? È impossibile. O
l'eguaglianza sarebbe assoluta e costituirebbe una immensa
ingiustizia, non distinguendo tra i bisogni diversi, il risultato
dell'organismo, né tra le forze e la capacità acquistate per un
senso di dovere e le forze e la capacità ricevute, senza merito
alcuno, dalla natura. O l'eguaglianza sarebbe relativa e calcolata
sui bisogni diversi; e non tenendo conto della produzione
individuale, violerebbe i diritti di proprietà che il lavorante deve
avere per i frutti del suo lavoro.
Poi, chi sarebbe arbitro di decidere intorno ai bisogni d'ogni
individuo? Lo Stato?
Operai, fratelli miei, siete voi disposti ad accettare una gerarchia
di capi padroni nella proprietà comune, padroni dello spirito per
mezzo d'una educazione esclusiva, padroni dei corpi per mezzo della
determinazione dell'opera, della capacità, dei bisogni? Non è per
questo il rinnovamento dell'antica schiavitù? Non sarebbero quei
capi trascinati dalla teoria d'interesse che rappresenterebbero, e
sedotti dall'immenso potere concentrato nelle loro mani, fondatori
della dittatura ereditaria delle antiche caste?
No; il Comunismo non conquista l'eguaglianza fra gli uomini del
lavoro: non aumenta la produzione - ch'è la grande necessità
dell'oggi - perché fatta sicura la vita la natura umana, come
s'incontra nei più, è soddisfatta, e l'incentivo a un accrescimento
di produzione da diffondersi su tutti i membri della società diventa
sì piccolo che non basta a scotere le facoltà(12); non migliora i
prodotti; non conforta il progresso nelle invenzioni; non sarà mai
aiutata dalla incerta, ignara direzione collettiva dell'ordinamento.
Ai mali che affaticano i figli del popolo, il Comunismo non ha che
un rimedio per proteggerli dalla fame. Or non può farsi questo, non
può assicurarsi il diritto alla vita ed al lavoro dell'operaio senza
sovvertire tutto quanto l'ordine sociale, senza isterilire la
produzione, senza inceppare il progresso, senza cancellare la
libertà dell'individuo e incatenarlo, in un ordinamento soldatesco
tirannico?
§ 4°
Il rimedio alle vostre condizioni non può trovarsi in organizzazioni
generali, arbitrarie, architettate di pianta da uno o altro
intelletto, contraddicenti alle basi universali adottate nel viver
civile e impiantate subitamente per vie di decreti. Noi non siamo
quaggiù per creare l'Umanità, ma per continuarla: possiamo e
dobbiamo modificarne, ordinare meglio gli elementi costitutivi; non
possiamo sopprimerli. L'Umanità è e sarà sempre ribelle a disegni
siffatti. Il tempo che voi spendereste intorno a quelle illusioni,
sarebbe dunque tempo perduto.
Non può trovarsi in aumenti di salarii imposti dall'autorità
governativa, senz'altri cangiamenti che aumentano i capitali:
l'aumento delle spese di salarii, cioè l'aumento delle spese di
produzione, trascinerebbe il rincarimento dei prodotti, la
diminuzione del consumo e quella quindi del lavoro per gli operai.
Non può trovarsi in cosa alcuna che cancelli la libertà,
consacrazione e stimolo del lavoro: né in cosa alcuna che diminuisca
i capitali, strumenti del lavoro e della produzione.
Il rimedio alle vostre condizioni è l'unione del capitale e del
lavoro nelle stesse mani.
Quando la società non conoscerà distinzione fuorché di produttori e
consumatori o meglio quando ogni uomo sarà produttore e consumatore
- quando i frutti del lavoro, invece di ripartirsi tra quella serie
d'intermediari che, cominciando dal capitalista e scendendo sino al
venditore a minuto, accresce sovente del cinquanta per cento il
prezzo del prodotto, rimarranno interi al lavoro - le cagioni
permanenti di miseria spariranno per voi. Il vostro avvenire è nella
vostra emancipazione dalle esigenze d'un capitale arbitro in oggi
d'una produzione alla quale rimane straniero.
I1 vostro avvenire materiale e morale. Guardatevi intorno. Ovunque
voi trovate il capitale e il lavoro riunito nelle stesse mani -
ovunque i frutti del lavoro sono non foss'altro, ripartiti fra
quanti lavorano, in ragione del loro aumento, in ragione dei loro
benefizi all'opera collettiva - voi trovate diminuzione di miseria e
a un tempo aumento di moralità. Nel Cantone di Zurigo,
nell'Engadina, in molte altre parti della Svizzera dove il contadino
è proprietario, e terra, capitale, lavoro, sono congiunti in un solo
individuo - in Norvegia, nelle Fiandre, nella Frisia Orientale,
nell'Holstein, nel Palatinato Germano, nel Belgio, nell'isola di
Guernesey sulle coste inglesi - è visibile una prosperità
comparativamente superiore a quella di tutte l'altre parti d'Europa
dove manca al coltivatore la proprietà della terra. Una razza
d'agricoltori popola quelle contrade notabili per onestà, dignità,
indipendenza e modi schiettamente leali. Le abitudini dei lavoranti
nelle miniere di Cornwal in Inghilterra come quelle dei navigatori
Americani che trafficano colla China e sono addetti alla pesca delle
balene, fra i quali è in vigore la partecipazione agli utili
dell'impresa, sono riconosciuti, da documenti ufficiali, migliori
che non quelle dei lavoranti sottomessi unicamente alla legge del
salario predeterminato.
Il lavoro associato, il riparto dei fratti del lavoro, ossia del
ricavato della vendita dei prodotti, tra i lavoranti in proporzione
del lavoro compiuto e dal valore di quel lavoro; è questo il futuro
sociale. In questo sta il segreto della vostra emancipazione. Foste
schiavi un tempo: poi servi: poi assalariati: sarete fra non molto,
purché il vogliate, liberi produttori e fratelli nell'associazione.
Associazione libera, volontaria, ordinata su certe basi da voi
medesimi, tra uomini che si conoscono e s'amano e si stimano l'un
l'altro, non forzata, non imposta dall'autorità governativa, non
ordinata senza riguardo ad affetti e vincoli individuali, tra uomini
considerati non come esseri liberi e spontanei, ma come cifre e
macchine produttrici.
Associazione amministrata con fratellanza repubblicana da vostri
delegati e dalla quale potrete, volendo, ritirarvi: non soggiacente
al dispotismo dello Stato e d'una gerarchia costituita
arbitrariamente e ignara dei vostri bisogni e delle vostre
attitudini.
Associazione di nuclei formati a seconda delle vostre tendenze, non
come vorrebbero gli autori dei sistemi ch'io vi accennai, di tutti
gli uomini appartenenti a un dato ramo d'attività industriale o
agricola.
Il concentramento di tutti gl'individui addetti, nello Stato o anche
in una sola città, ad un'arte in una sola società produttrice,
ricondurrebbe l'antico tirannico monopolio delle Corporazioni,
renderebbe i produttori arbitri dei prezzi a danno dei consumatori;
darebbe forma legale all'oppressione delle minoranze; esilierebbe
l'operaio malcontento da ogni possibilità di lavoro, e sopprimerebbe
ogni necessità di progresso spegnendo ogni rivalità di lavoro, ogni
stimolo alle invenzioni.
L'Associazione tentata timidamente e in circostanze sfavorevoli in
Francia negli ultimi venti anni, poi in Inghilterra e nel Belgio, e
coronata di successo dovunque fu tentata con fermo volere e spirito
di sagrificio, contiene il segreto di tutta una trasformazione
sociale che dovrebbe, in virtù delle vostre tradizioni e
dell'iniziativa di progresso sociale che fu sempre in voi, compirsi
in Italia.
E questa trasformazione, emancipandovi dalla schiavitù del salario,
avviverebbe a un tempo, a pro di tutte le classi, la produzione e
migliorerebbe lo stato economico del paese. Oggi, il capitalista
tende generalmente a guadagnare quanto più può per ritirarsi
dall'arena del lavoro: sotto l'ordinamento dell'associazione, voi
non tendereste che ad accertare la continuità del lavoro, cioè della
produzione. Oggi, il capo, direttore dei lavori, fatto tale non da
una speciale attitudine ma dal suo trovarsi fornito di capitali, è
spesso improvvido, avventato, incapace: una associazione, diretta da
delegati, invigilata da tutti i suoi membri, non correrebbe rischi
siffatti. Oggi, il lavoro è spesso diretto verso la produzione
d'oggetti superflui, non necessari: mercé l'ineguaglianza
capricciosa e ingiusta delle retribuzioni, i lavoranti abbondano in
un ramo, fanno d'attività e difetto in un altro; l'operaio, limitato
a una mercede determinata, non ha motivo per consacrare all'opera
sua tutto lo zelo del quale è capace, tutta l'attività colla quale
ei potrebbe moltiplicare o migliorare i prodotti. E l'associazione
porrebbe evidentemente rimedio a queste ed altre cagioni il
perturbazione o d'inferiorità nella produzione.
Libertà di ritirarsi, senza nuocere all'associazione - eguaglianza
dei socii nell'elezione d'amministratori a tempo o meglio soggetti a
revoca - ammessione, posteriormente alla fondazione, senza esigenza
di capitale da versarsi e costituzione d'un prelevamento, a pro del
fondo comune, sui benefizi dei primi tempi - indivisibilità,
perpetuità del capitale collettivo, - retribuzione per tutti, eguale
alla necessità della vita, - riparto degli utili a seconda della
quantità e della qualità del lavoro di ciascuno - son queste le basi
generali che voi, se volete far opera di avvenire per l'elemento al
quale appartenete, dovrete dare alle vostre associazioni. Ciascuna
di queste basi, quella segnatamente che riguarda la perpetuità del
capitale collettivo, vincolo e pegno d'emancipazione tra voi e la
generazione futura, meriterebbe un capitolo. Ma un lavoro speciale
sulle associazioni operaie non entra nell'economia del presente
scritto. Forse, se Dio mi presta ancora qualche anno di vita, io lo
farò separatamente e con amore per voi. Intanto, abbiate certezza
che l'indicazione di quelle norme è in me frutto d'esame meditato e
severo e merita attenta considerazione da voi.
Ma il capitale? Il capitale primo col quale potrà iniziarsi
l'associazione? Da dove ritrarlo?
È grave questione; né io posso qui trattarla come vorrei. Ma vi
accennerò sommariamente il dovere vostro e l'altrui.
La prima sorgente di quel capitale sta in voi, nelle vostre
economie, nel vostro spirito di sagrificio. Io so la condizione dei
più tra voi; pur non manca a taluni la possibilità, per ventura di
lavoro non interrotto o meglio retribuito, di raccogliere,
economizzando, fra diciotto o venti, la piccola somma che vi
basterebbe a iniziare il lavoro per vostro conto. E dovrebbe
sostenervi in questa economia la coscienza di compiere un solenne
dovere e di meritare l'emancipazione invocata. Potrei citarvi
associazioni industriali, or potenti di mezzi, che s'iniziarono in
Inghilterra col versamento d'un soldo per giorno da un certo numero
di operai. Potrei ripetervi parecchie storie di sagrifici
eroicamente durati in Francia ed altrove da nuclei di operai, oggi
possessori di capitali considerevoli, simili a quella sulla quale
troverete alcuni particolari in calce a questo volumetto. Non v'è
quasi difficoltà che una volontà ferma mantenuta dalla coscienza di
fare il bene, non superi. Voi potete contribuire coi vostri risparmi
e dare al piccolo fondo primitivo un aiuto in danaro o un po' di
materiale o qualche stromento da lavoro. Potete, mercé una condotta
che frutti stima, raccogliere piccoli imprestiti da parenti o
compagni, i quali diventerebbero semplicemente azionisti
nell'associazione e non riceverebbe l'ammontare del loro imprestito
che sugli utili dell'impresa. Per molte delle vostre industrie,
nelle quali il prezzo delle materie prime è tenue, il capitale
richiesto per iniziare il lavoro indipendente è piccola cosa. Lo
avrete volendo. E sarà meglio per voi se la formazione di quel
piccolo capitale sarà tutta vostra, frutto del sudore della fronte o
del credito che avrete, operando bene, acquistato. Come le Nazioni
serbano meglio la libertà che conquistarono col loro sangue, le
vostre associazioni troveranno migliore e più prudente profitto dal
capitale raccolto nella veglia e nell'economia che non da quello
largito d'altra sorgente. È legge di cose. Le associazioni operaie
che, in Parigi, nel 1848, ebbero, al loro fondarsi, sovvenzioni
governative, prosperarono assai meno di quelle che formarono il
capitale primitivo col sagrificio.
Ma perch'io, amandovi davvero e non adulando servilmente a debolezze
che sono o possono essere in voi, vi consiglio il sagrificio non
scema il dovere in altrui. Gli uomini che le circostanze hanno
forniti di ricchezze, dovrebbero intenderlo: dovrebbero intendere
che la vostra emancipazione è parte d'un disegno di Provvidenza, e
che si compirà inevitabilmente o con essi o contr'essi. Parecchi tra
quelli uomini, o segnatamente gli uomini di fede repubblicana,
intendono questo fin d'ora; e tra essi, se darete loro prove di
volontà e d'onesto intelletto, troverete aiuti all'impresa. Essi
potranno - e lo faranno appena s'avvedranno che la tendenza
all'associazione è, non capriccio d'un'ora ma fede di maggioranza
tra voi - spianarvi le vie del credito, sia con anticipazioni, sia
fondando Banchi che accreditino il lavoro futuro; la forza
collettiva degli operai, sia ammettendovi a partecipazione nei
benefizi delle loro imprese, stadio intermedio fra il presente e
l'avvenire, dal quale raccogliereste probabilmente il piccolo
capitale che occorre all'associazione indipendente. Nel Belgio più
che altrove esistono già, sotto nome di Banchi d'anticipazione o di
Banchi del Popolo, istituzione siffatte. Nella Scozia è dato da
parecchi Banchi credito a ogni uomo di nota probità che impegni
l'onore e presenti mallevadore un'altro individuo d'onestà
egualmente specchiata. E l'ammessione degli operai alla
partecipazione negli utili è norma adottata con successo da parecchi
Capi d'arte(13).
CONCHIUSIONE
§ 1°
Ma lo Stato, il Governo - istituzione legittima soltanto quando è
fondata sopra una missione d'educazione e di progresso oggi ancora
fraintesa - ha debito solenne verso voi che potrà facilmente
compiere se sarà un giorno Governo Nazionale davvero, di Popolo
libero ed Uno. Una vasta serie d'aiuti potrà scendere allora dal
Governo al Popolo, che risolverebbe il problema sociale senza
spogliazioni, senza violenze, senza manomettere la ricchezza
acquistata anteriormente dai cittadini, senza suscitare
quell'antagonismo tra classe e classe ch'è ingiusto, immorale,
fatale alla Nazione e che ritarda in oggi visibilmente il progresso
francese. E aiuti potenti sarebbero:
L'influenza morale esercitata a pro delle Associazioni
coll'approvazione manifestata pubblicamente dagli agenti
governativi, colla frequente discussione sul loro principio
fondamentale nell'Assemblea, colla legalizzazione data a tutte le
Associazioni volontarie costituite sulle basi accennate più sopra:
Miglioramenti nelle vie di comunicazione e abolizione di quanto
inceppa ora il trasporto dei prodotti:
Istituzione di magazzini o luoghi di deposito pubblici, dai quali,
accertato il valore approssimativo delle merci consegnate, si
rilascerebbe un documento o bono simile a un biglietto bancario,
ammesso alla circolazione e allo sconto, tanto da render capace
l'Associazione di poter continuare nei suoi lavori e di non essere
strozzata dalla necessità d'una vendita immediata e a ogni patto:
Concessione dei lavori che bisognano allo Stato, data eguaglianza di
patti, alle Associazioni:
Semplificazione delle forme giudiziarie, oggi rovinose e spesso
inaccessibili al povero:
Facilità legislative date alla mobilizzazione della proprietà
fondiaria:
Mutamento radicale nel sistema dei tributi pubblici: sostituzione
d'un solo tributo sul reddito all'attuale, complesso, dispendioso,
sistema di tributi diretti e indiretti; e sanzione data al principio
che la vita è sacra - che senza vita, non essendo possibile lavoro,
né progresso né doveri, il tributo non può cominciare che dove il
reddito supera la cifra di danaro necessario alla vita:
Ma v'ha di più. L'incameramento o appropriazione dei possedimenti
ecclesiastici - atto ch'or non giova discutere, ma che è inevitabile
ogni qual volta la Nazione s'assuma una missione d'educazione e di
progresso collettivo porrà nelle mani dello Stato una somma di
ricchezza più vasta che altri non pensa. Or ponete che a questo
s'aggiunga il valore rappresentato dalle terre, dissociabili e
fertilissime, tuttavia incolte - il valore rappresentato dagli utili
delle vie ferrate e da altre pubbliche imprese, la cui
amministrazione dovrà concentrarsi nello Stato - il valore
rappresentato dalle proprietà territoriali appartenenti ai
comuni(14), il valore rappresentato dalle successioni collaterali,
che al di là del quarto grado dovrebbero ricader nello Stato - ed
altri, ch'è inutile enumerare. Ponete che di tutto questo immenso
cumulo di ricchezze si formi un FONDO NAZIONALE consacrato al
progresso intellettuale ed economico di tutto quanto il paese.
Perché una parte considerevole di quel fondo non si trasformerebbe,
colle precauzioni richieste a impedirne lo sperpero, in un fondo di
credito da distribuirsi, con un interesse dell'uno e mezzo o del due
per cento, alle Associazioni volontarie operaie, costituite sulle
norme indicate più sopra, e che porgerebbero sicurezza di moralità e
di capacità? Quel capitale dovrebb'essere sacro al lavoro
dell'avvenire e non d'una sola generazione. Ma la vasta scala delle
operazioni assicurerebbe compenso alle perdite, di tempo in tempo
inevitabili.
La distribuzione di quel credito dovrebbe farsi non dal Governo, né
da un Banco Nazionale Centrale; ma, invigilante il Potere Nazionale,
da Banchi locali amministrati da Consigli Comunali elettivi.
Senza sottrarre alla ricchezza attuale delle varie classi, senza
attribuire a una sola il ricavato dei tributi che, chiesti a tutti i
cittadini, deve erogarsi a benefizio di tutti, l'insieme degli atti
qui suggeriti, diffondendo il credito per ogni dove, accrescendo e
migliorando la produzione, costringendo l'interesse del danaro a
scemare gradatamente, affidando il progresso e la continuità del
lavoro al zelo e all'utilità di tutti i produttori, sostituirebbe a
una cifra di ricchezza, concentrata in poche mani e imperfettamente
diretta, la nazione ricca, maneggiatrice della propria produzione e
del proprio consumo(15).
Ed è questo, Operai Italiani, il vostro avvenire. Voi potete
affrettarlo. Conquistate la Patria, conquistate un Governo popolare
che ne rappresenti la vita collettiva, la missione, il concetto.
Ordinatevi tra voi in una vasta universale Lega di Popolo, tanto che
la vostra voce sia voce di milioni e non di pochi individui. Avete
il vero e la giustizia per voi; la Nazione v'ascolterà.
Ma badate, e credete alla parola d'un uomo che studia da trenta anni
l'andamento delle cose in Europa e ha veduto fallire a buon porto,
per immoralità d'uomini, le più sante ed utili imprese: non
riuscirete se non migliorando: non conquisterete se non meritando,
col sacrificio, coll'attività, coll'amore. Cercando in nome d'un
dovere compito o da compiersi, otterrete; cercando in nome
dell'egoismo, o di non so quale diritto al benessere che gli uomini
del materialismo v'insegnano, non otterrete se non trionfi d'un'ora
seguiti da delusioni tremende.
Quei che vi parlano in nome del benessere, della felicità materiale,
vi tradiranno. Cercano essi pure il loro benessere:
s'affratelleranno con voi, come un elemento di forza, finché avranno
ostacoli da superare per conquistarlo; appena, mercé vostra,
l'avranno, v'abbandoneranno per godere tranquillamente della loro
conquista. È la storia dell'ultimo mezzo secolo e il nome di questo
mezzo secolo è materialismo.
Storia di dolore e di sangue. Io li ho veduti gli uomini che
negavano Dio, religione, virtù, dovere e sacrificio, e parlavano in
nome del diritto alla felicità, al godimento, lottare audaci, colle
parole di popolo e libertà sulle labbra, e frammischiarsi a noi
uomini della nuova fede, che imprudenti gli accoglievamo nelle
nostre fila. Quando s'aprì ad essi, con una vittoria o con una
transazione codarda, la via di godere, disertarono e ci furono
nemici acerbi al di dopo. Pochi anni di pericoli, di persecuzioni
durate erano stati sufficienti a stancarli. Perché senza coscienza
d'una Legge di dovere, senza fede in una missione imposta all'uomo
da un Potere supremo su tutti, avrebbero essi persistito nel
sacrificio sino all'ultimo della vita? E vidi, con più profondo
dolore, i figli del popolo educati da quegli uomini, da quei
filosofi, al materialismo, tradire la loro missione, tradir
l'avvenire, tradire la loro Patria e se stessi, dietro alla stolta
immorale speranza che troverebbero forse il benessere materiale nei
capricci e negl'interessi della tirannide. Vidi gli operai di
Francia rimanersi spettatori indifferenti del 2 dicembre, perché
tutte le questioni si erano ridotte per essi a una questione di
prosperità materiale e s'illudevano a credere che le promesse sparse
ad arte fra loro, da chi aveva spento la libertà della patria,
avrebbero forse potuto diventar fatti. Oggi lamentano perduta la
libertà senza aver conquistato il benessere. No, senza Dio, senza
coscienza di legge, senza moralità, senza potenza di sacrificio,
perduti dietro ad uomini che non hanno né fede, né culto del vero,
né vita d'apostoli, né cosa alcuna fuorché la vanità dei loro
sistemi, io lo dico con profondo convincimento, non riuscirete.
Avrete sommosse, non la vera, la grande Rivoluzione che voi ed io
invochiamo. Quella Rivoluzione, se non è una illusione d'egoisti
spronati dalla vendetta, è un'opera religiosa
Migliorare voi stessi ed altrui: è questo il primo intento ed è la
suprema speranza d'ogni riforma, d'ogni mutamento sociale. Non si
cangiano le sorti dell'uomo, rintonacando, abbellendo la casa
dov'egli abita: dove non respira un'anima d'uomo ma un corpo di
schiavo, tutte le riforme sono inutili; la casa rabbellita,
addobbata con lusso, è sepolcro imbiancato, e non altro. Voi non
indurrete mai la Società alla quale appartenete a sostituire il
sistema d'associazione a quello del salario, se non provandole che
l'associazione sarà tra voi stromento di produzione migliorata e di
prosperità collettiva. E non proverete questo, se non mostrandovi
capaci di fondare e mantenere l'associazione coll'onestà, coll'amore
reciproco, col sacrificio, coll'affetto al lavoro. Per progredire,
vi conviene mostrarvi capaci di progredire.
Tre cose sono sacre: la Tradizione, il Progresso, l'Associazione.
“Io credo” - (scrissi queste cose venti anni addietro) - “nella
immensa voce di Dio che i secoli mi rimandano attraverso la
tradizione universale dell'Umanità; ed essa mi dice che la Famiglia,
la Nazione, l'Umanità sono le tre sfere dentro le quali l'individuo
umano deve lavorare al fine comune, al perfezionamento morale di se
stesso e d'altrui, o meglio di se stesso attraverso gli altri e per
gli altri: essa mi dice che la proprietà è destinata a manifestare
l'attività materiale dell'individuo, la parte ch'egli ha nella
trasformazione del mondo fisico, come il diritto di voto deve
manifestare la parte ch'egli ha nell'amministrazione del mondo
politico; essa mi dice che appunto dall'uso più o meno buono di
questi diritti, in quelle sfere d'attività dipende d'avanti a Dio e
agli uomini il merito o demerito degli individui; essa mi dice che
tutte queste cose, elementi della natura umana, si trasformarono, si
modificarono continuamente ravvicinandosi all'ideale del quale
abbiamo nell'anima ma non possono essere distrutte mai; e che i
sogni di comunismo, d'abolizione, di confusione dell'individuo
nell'insieme sociale, non furono mai che passeggieri accidenti nella
vita del genere umano, visibili in ogni grande crisi intellettuale e
morale, ma incapaci di realtà se non sopra una scala menoma come i
Conventi Cristiani. Credo nell'eterno progresso della vita nella
creatura di Dio, nel progresso del Pensiero e dell'Associazione, non
solamente nell'uomo del passato ma nell'uomo dell'avvenire; credo
che importi non tanto di determinare la forma del progresso futuro
quanto di aprire, con una educazione veramente religiosa, le vie
d'ogni progresso agli uomini e di renderli capaci di compirlo; e
credo che non si fa l'uomo migliore, più amorevole, più nobile, più
divino - ciò ch'è il nostro fine sulla terra - colmandolo di
godimenti fisici, proponendogli a scopo della vita quella ironia che
ha nome felicità. Credo nell'Associazione come nel solo mezzo che
noi possediamo per compiere il Progresso, non solamente perch'essa
moltiplica l'azione delle forze produttrici, ma perch'essa ravvicina
tutte le diverse manifestazioni dell'anima umana e fa sì che la vita
dell'individuo abbia comunione colla vita collettiva; e so che
l'associazione non può essere feconda se non esistendo fra individui
liberi, fra nazioni libere, capaci di coscienza della loro missione.
Credo che l'uomo deve mangiare e vivere e non avere tutte l'ore
dell'esistenza assorbite da un lavoro materiale, per aver campo di
sviluppare le facoltà superiori che sono in lui; ma tende l'orecchio
con terrore alle voci che dicono agli uomini: nutrirsi è lo scopo
vostro; godere è il vostro diritto, perché io so che quella parola
non può creare se non egoisti, e fu in Francia, ed altrove, e
comincia ad essere pur troppo in Italia, la condanna d'ogni nobile
idea, d'ogni martirio, d'ogni pegno di futura grandezza.
Ciò che toglie in oggi vita all'Umanità è il difetto d'una fede
comune, d'un pensiero adottato da tutti che ricongiunga Terra e
Cielo, Universo e Dio. Privo di fede siffatta, l'uomo si è prostrato
davanti alla morta materia, e s'è consacrato adoratore dell'idolo
Interesse. E i primi sacerdoti di quel culto fatale furono i re, i
principi e i tristi Governi dell'oggi. Essi inventarono l'orribile
formula: ciascuno per sé: sapevano che con essa, creerebbero
l'egoismo: e sapevano che tra l'egoista e lo schiavo non è che un
passo”.
Operai Italiani, fratelli miei, evitate quel passo. Nell'evitarlo,
sta il vostro avvenire.
A voi spetta una solenne missione: provare che siamo tutti figli di
Dio e fratelli in Lui. Voi non la compirete se non migliorandovi e
soddisfacendo al Dovere.
Io v'ho additato, come meglio ho potuto, qual sia il Dovere per voi.
E il principale, il più essenziale fra tutti, è quello che avete
verso la Patria. Costituirla è debito vostro; ed è pure necessità.
Gl'incoraggiamenti, i mezzi dei quali v'ho parlato, non possono
venire che dalla Patria Una e Libera. Il miglioramento delle vostre
condizioni sociali non può scendere che dal vostro partecipare nella
vita politica della Nazione. Senza voto, non avrete mai
rappresentanti veri delle vostre aspirazioni, dei vostri bisogni.
Senza un Governo popolare che da Roma scriva e svolga il PATTO
ITALIANO, fondato sui consensi e rivolto al progresso di tutti i
cittadini dello Stato, non è per voi speranza di meglio. Quel giorno
in cui, seguendo l'esempio dei socialisti francesi, voi separereste
la questione sociale dalla politica e direste: noi possiamo
emanciparci, qualunque sia la forma d'istituzione che regge la
Patria, segnereste la perpetuità del vostro servaggio.
E v'additerò, nell'accomiatarmi da voi, un altro Dovere, non meno
solenne di quello che ci stringe a fondare la Patria Libera ed Una.
La vostra emancipazione non può fondarsi che sul trionfo d'un
Principio: l'unità della Famiglia Umana. Oggi, la metà della
famiglia umana, la metà a cui noi cerchiamo ispirazioni e conforti,
la metà che ha in cura la prima educazione dei nostri figli, è, per
singolare contraddizione, dichiarata, civilmente, politicamente,
socialmente ineguale, esclusa da quell'unità. A voi che cercate, in
nome d'una verità religiosa, la vostra emancipazione, spetta di
protestare in ogni modo, in ogni occasione, contro quella negazione
dell'Unità.
L'emancipazione della donna dovrebbe essere continuamente accoppiata
coll'emancipazione dell'operaio, dando così al vostro lavoro la
consacrazione d'una verità universale.
FINE
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1() Le tre giornate del 29 al 31 luglio 1830 segnarono il
decadimento in Francia della Monarchia assoluta di Carlo X e
l'avvento al trono di Luigi Filippo d'Orleans.
2() Infatti, quelle dottrine erano diffuse dalla Società che
s'intitolava appunto dei “Diritti dell'uomo.”
3() L'opuscolo intitolato “Les paroles d'hai croyant”, Le parole
d'un credente, del Lamennais, si pubblicò nel 1831 e suscitò un
incendio in tutta la Francia. Gregorio XVI, allora Papa, si affrettò
a condannarlo con una celebre enciclica, ma ciò non valse a
ritardarne la diffusione per tutta Europa; fu più volte tradotto in
italiano, e pure in questa lingua apprezzato, difeso ed acerbamente
criticato. Non improbabile che lo scritto di Lamennais abbia
suggerito a Mazzini quello del Doveri dell'Uomo.
4() Queste parole sono scritte prima del 1860.
5() Parlo naturalmente de' paesi dove s'è tentata col sistema
monarchico costituzionale un'organizzazione qualunque della società:
nei paesi governati dispoticamente non v'è società: i diritti
dell'individuo sono egualmente sacrificati.
6() Ricordi il lettore che queste pagine furono scritte prima del
1860.
7() PAOLO, Epistola ai Romani, Cap. XII vers 4,5
8() Giovanni, Evangelio, cap. X, vers. 16.
9() LAMENNAIS, Libro del Popolo, XII.
10() Vedi Evangelio di Giovanni Cap. XVI.
11() LAMENNAIS, Libro del Popolo III.
12() Fu calcolato che se, su cento lavoranti, un lavorante
producesse per cento franchi in un anno al di là della produzione
media, ei raccoglierebbe a suo pro un millesimo per anno, tre
centesimi ogni tre anni. Chi può chiamare questo un eccitamento alla
produzione?
13() In Parigi, a cagion d'esempio, lo Stabilimento di pittura
d'edifizii del signor Leclaire, fondato su quel principio, è
notabile per la prosperità che gode.
14() Quelle proprietà appartengono legalmente ai comuni, moralmente
ai bisognosi del Comune, non si tratta di rapirle ai Comuni, ma di
consacrarle ai poveri d'ogni Comune, facendo d'esse, sotto l'alta
direzione dei Consigli elettivi Comunali, il capitale inalienabile
delle Associazioni Agricole.
15() La necessità d'un vasto capitale per lo stabilimento d'una
manifattura di pianoforti trasse, nel 1848, i delegati d'alcune
centinaia d'operai, riuniti per la fondazione di una grande
associazione, a chiedere in suo nome al governo una sovvenzione di
300,000 franchi. La commissione governativa diede rifiuto.
L'associazione si sciolse, ma 14 operai decisero di superare ogni
ostacolo e ricostituirla coi propri mezzi. Non avevano danaro né
credito; avevano fede.
Alcuni fra loro portavano alla Società iniziata, in materiali e
stromenti di lavoro, un valore di circa 2000 franchi. Ma era
indispensabile un capitale di circolazione. Ciascuno degli associati
contribuì, non senza fatica, 10 franchi. Alcuni operai, non aventi
interesse diretto nella Società, aggiunsero a quel piccolo capitale,
le loro piccole offerte. E il 10 marzo 1849, raggiunta la somma di
229 franchi e 50 centesimi, l'associazione fu dichiarata costituita.
Quel fondo sociale era insufficiente all'impianto e alle spese
minute, indispensabile di giorno in giorno ad una lavoreria. Nulla
rimanendo pei salarii, oltre a due mesi passarono senza che gli
operai potessero ricevere un solo centesimo di mercede. Come vissero
in quel tempo di crisi? Come vivono gli operai nelle interruzioni di
lavoro, aiutati dall'operaio che per ventura lavora, vendendo,
impegnando ad uno ad uno gli oggetti d'uso.
Alcuni lavori erano stati eseguiti. E il prezzo fu pagato il 4
maggio 1849. Quel giorno fu per l'associazione ciò ch'è una vittoria
sul cominciare d'una guerra: e fu celebrato. Pagati i debiti,
riscossi i crediti esigibili, rimaneva per ogni socio una somma di
fr. 6 e 61 centesimi. Fu convenuto che ritenendo come parte di
salario 5 franchi si consacrerebbe il di più di ciascuno a un pranzo
fraterno. I 14 soci, i più fra i quali non avevano assaggiato vino
da un anno, si riunirono assieme alle loro famiglie a mensa comune,
la spesa fu di 32 soldi per famiglia.
Ancora per tutto un mese, il salario non fu che di cinque franchi
per settimana. Nel giugno, un fornaio, amatore di musica o
speculatore propose la compra d'un pianoforte da pagarsi a pane. Fu
accettata la proposta e convenuto il prezzo in ragione di 480
franchi. Fu ventura per l'associazione che fu certa d'avere almeno
l'indispensabile. Non si calcolò nei salarii il valore del pane.
Ciascuno ebbe quanto gli bisognava e, per gli ammogliati, quanto
bisognava alla famiglia.
Intanto l'associazione, composta d'operai capacissimi, superava a
poco a poco tutti gli ostacoli e le privazioni che aveva dovuto
incontrare nel primo periodo. I suoi libri di cassa presentavano le
migliori testimonianze dei progressi conquistati. Dal mese d'Agosto
1849, l'incasso ebdomadario salì a 10, 15, 20 franchi per ciascuno;
e quella somma non rappresentava tutto quanto guadagnava: ogni socio
versava nel fondo comune somma superiore a quella ch'ei riteneva.
L'inventario sociale del 30 dicembre 1850 dava i risultati seguenti:
Gli associati erano a quell'epoca 32. Lo stabilimento pagava 200 fr.
di fitto ed era già angusto ai lavori.
Gli stromenti di lavoro sommavano a un valore di fr. 5922, 60 cent.
Le merci e le materie prime rappresentavano 22.972 f. 28 cent.
Il portafoglio della Società conteneva biglietti per 3540 franchi.
Il conto debitori, che pagarono tutti, saliva a fr. 5861 e cent. 90.
L'attivo era dunque di 39,317 franchi 88 centesimi.
Su questo attivo la Società non era debitrice che di 4737 franchi 80
centesimi ad alcuni creditori e di 2650 franchi a 80 aderenti operai
del mestiere che avevano imprestato sull'associazione nel primo
periodo
Attivo reale 32,930 franchi 2 centesimi.
L'associazione continuò d'allora in poi a fiorire.
Da uno scritto d'A. COCHUT