Il teatro di Pirandello

Indice
Una nota giovanile di Luigi Pirandello (Q. 23)
I nipotini di padre Bresciani. Pirandello (Q. 6)

[L'«ideologia» pirandelliana] (Q. 14)
È da vedere quanto nella «ideologia» pirandelliana (Q. 14)
Sulla concezione del mondo (Q. 5)

[La personalità artistica del Pirandello] (Q. 9)

Testi

Una nota giovanile di Luigi Pirandello. Pubblicata dalla «Nuova Antologia» del 1° gennaio 1934 e scritta dal Pirandello negli anni 1889-90, quando era studente a Bonn: «Noi lamentiamo che alla nostra letteratura manchi il dramma – e sul riguardo si dicono tante cose e tante altre se ne propongono – conforti, esortazioni, additamenti, progetti – opera vana: il vero marcio non si vede e non si vuol vedere. Manca la concezione della vita e dell'uomo. E pure noi abbiamo campo da dare all'epica e al dramma. Arido stupido alessandrinismo, il nostro». Forse però questa nota del Pirandello non fa che riecheggiare discussioni di studenti tedeschi sulla necessità generica di una Weltanschauung ed è piú superficiale di quanto non paia. In ogni modo il Pirandello si è fatta una concezione della vita e dell'uomo, ma essa è «individuale», incapace di diffusione nazionale-popolare, che però ha avuto una grande importanza «critica», di corrosione di un vecchio costume teatrale.


I nipotini di padre Bresciani. Pirandello. Pirandello non appartiene a questa categoria di scrittori, tutt'altro. Lo noto qui per raggruppare insieme le note di cultura letteraria. Su Pirandello occorrerà scrivere un saggio speciale, utilizzando tutte le note da me scritte durante la guerra, quando Pirandello era combattuto dalla critica, che era incapace persino di riassumere i suoi drammi (ricordare le recensioni dell'Innesto nei giornali torinesi dopo la prima rappresentazione e le profferte di colleganza fattemi da Nino Berrini) e suscitava le furie di una parte del pubblico. Ricordare che Liolà fu da Pirandello tolta dal repertorio per le dimostrazioni ostili dei giovani cattolici torinesi alla seconda replica. Cfr. l'articolo della «Civiltà Cattolica» del 5 aprile 1930 Lazzaro ossia un mito di Luigi Pirandello.

L'importanza del Pirandello mi pare di carattere intellettuale e morale, cioè culturale, piú che artistica: egli ha cercato di introdurre nella cultura popolare la «dialettica» della filosofia moderna, in opposizione al modo aristotelico-cattolico di concepire l'«oggettività del reale». L'ha fatto come si può fare nel teatro e come può farlo il Pirandello stesso: questa concezione dialettica dell'oggettività si presenta al pubblico come accettabile, in quanto essa è impersonata da caratteri di eccezione, quindi sotto veste romantica, di lotta paradossale contro il senso comune e il buon senso. Ma potrebbe essere altrimenti? Solo cosí i drammi del Pirandello mostrano meno il carattere di «dialoghi filosofici», che tuttavia hanno abbastanza, poiché i protagonisti devono troppo spesso «spiegare e giustificare» il nuovo modo di concepire il reale; d'altronde il Pirandello stesso non sempre sfugge da un vero e proprio solipsismo, poiché la «dialettica» in lui è piú sofistica che dialettica.


[L'«ideologia» pirandelliana.] Forse ha ragione il Pirandello a protestare egli per il primo contro il «pirandellismo», cioè a sostenere che il cosí detto pirandellismo è una costruzione astratta dei sedicenti critici, non autorizzato dal suo concreto teatro, una formula di comodo, che spesso nasconde interessi culturali e ideologici tendenziosi, che non vogliono confessarsi esplicitamente. È certo che Pirandello è sempre stato combattuto dai cattolici: ricordare il fatto che Liolà è stata ritirata dal repertorio dopo le cagnare inscenate al teatro Alfieri di Torino dai giovani cattolici per istigazione del «Momento» e del suo mediocrissimo recensore teatrale Saverio Fino. Lo spunto contro Liolà fu dato da una pretesa oscurità della commedia, ma in realtà tutto il teatro del Pirandello è avversato dai cattolici per la concezione pirandelliana del mondo, che, qualunque essa sia, qualunque sia la sua coerenza filosofica, è indubbiamente anticattolica, come invece non era la concezione «umanitaria» e positivistica del verismo borghese e piccolo borghese del teatro tradizionale. In realtà non pare si possa attribuire al Pirandello una concezione del mondo coerente, non pare si possa estrarre dal suo teatro una filosofia e quindi non si può dire che il teatro pirandelliano sia «filosofia». È certo però che nel Pirandello ci sono dei punti di vista che possono riallacciarsi genericamente a una concezione del mondo, che all'ingrosso può essere identificata con quella soggettivistica. Ma il problema è questo: 1) questi punti di vista sono presentati in modo «filosofico», oppure i personaggi vivono questi punti di vista come individuale modo di pensare? cioè la «filosofia» implicita è esplicitamente solo «cultura» ed «eticità» individuale, cioè esiste, entro certi gradi almeno, un processo di trasfigurazione artistica nel teatro pirandelliano? e ancora si tratta di un riflesso sempre uguale, di carattere logico, o invece le posizioni sono sempre diverse, cioè di carattere fantastico? 2) questi punti di vista sono necessariamente di origine libresca, dotta, presi dai sistemi filosofici individuali, o non sono invece esistenti nella vita stessa, nella cultura del tempo e persino nella cultura popolare di grado infimo, nel folclore?

Questo secondo punto mi pare fondamentale ed esso può essere risolto con un esame comparativo dei diversi drammi, quelli concepiti in dialetto e dove si rappresenta una vita paesana, «dialettale» e quelli concepiti in lingua letteraria e dove si rappresenta una vita superdialettale, di intellettuali borghesi di tipo nazionale e anche cosmopolita. Ora pare che, nel teatro dialettale, il pirandellismo sia giustificato da modi di pensare «storicamente» popolari e popolareschi, dialettali; che non si tratti cioè di «intellettuali» travestiti da popolani, di popolani che pensano da intellettuali, ma di reali, storicamente, regionalmente, popolani siciliani che pensano e operano cosí proprio perché sono popolani e siciliani. Che non siano cattolici, tomisti, aristotelici non vuol dire che non siano popolani e siciliani; che non possano conoscere la filosofia soggettivistica dell'idealismo moderno non vuol dire che nella tradizione popolare non possano esistere filoni di carattere «dialettico» e immanentistico. Se questo si dimostrasse, tutto il castello del pirandellismo cioè dell'intellettualismo astratto del teatro pirandelliano crollerebbe, come pare debba crollare.

Ma non mi pare che il problema culturale del teatro pirandelliano sia ancora esaurito in questi termini. In Pirandello abbiamo uno scrittore «siciliano», che riesce a concepire la vita paesana in termini «dialettali», folcloristici (se pure il suo folclorismo non è quello influenzato dal cattolicismo, ma quello rimasto «pagano», anticattolico sotto la buccia cattolica superstiziosa), che nello stesso tempo è uno scrittore «italiano» e uno scrittore «europeo». E in Pirandello abbiamo di piú: la coscienza critica di essere nello stesso tempo «siciliano», «italiano» ed «europeo», ed è in ciò la debolezza artistica del Pirandello accanto al suo grande significato «culturale» (come ho notato in altre note). Questa «contraddizione», che è intima nel Pirandello, ha esplicitamente avuto espressione in qualche suo lavoro narrativo (in una lunga novella, mi pare Il Turno, si rappresenta l'incontro tra una donna siciliana e un marinaio scandinavo, tra due «province» cosí lontane storicamente). Quello che importa è però questo: il senso critico-storico del Pirandello, se lo ha portato nel campo culturale a superare e dissolvere il vecchio teatro tradizionale, convenzionale, di mentalità cattolica o positivistica, imputridito nella muffa della vita regionale o di ambienti borghesi piatti e abbiettamente banali, ha però dato luogo a creazioni artistiche compiute? Se anche l'intellettualismo del Pirandello non è quello identificato dalla critica volgare (di origine cattolica tendenziosa, o tilgheriana dilettantesca) è però il Pirandello libero di ogni intellettualismo? Non è piú un critico del teatro che un poeta, un critico della cultura che un poeta, un critico del costume nazionale-regionale che un poeta? Oppure dove è realmente poeta, dove il suo atteggiamento critico è diventato contenuto-forma d'arte e non è «polemica intellettuale», logicismo sia pure non da filosofo, ma da «moralista» in senso superiore? A me pare che Pirandello sia artista proprio quando è «dialettale» e Liolà mi pare il suo capolavoro, ma certo anche molti «frammenti» sono da identificare di grande bellezza nel teatro «letterario».

Letteratura su Pirandello. Per i cattolici: Silvio D'Amico, Il Teatro italiano (Treves, 1932) e alcune note della «Civiltà Cattolica». Il capitolo di D'Amico sul Pirandello è stato pubblicato nell'«Italia Letteraria» del 30 ottobre 1932 e ha determinato una vivace polemica tra il D'Amico stesso e Italo Siciliano nell'«Italia Letteraria» del 4 dicembre 1932. Italo Siciliano è autore di un saggio, Il Teatro di L. Pirandello, che pare sia abbastanza interessante perché tratta precisamente dell'«ideologia» pirandellista. Per il Siciliano il Pirandello «filosofo» non esiste, cioè la cosí detta «filosofia pirandelliana» è «un melanconico, variopinto e contradditorio ciarpame di luoghi comuni e di sofismi decrepiti», «la famosa logica pirandelliana è vano e difettoso esercizio dialettico», e «l'una e l'altra (la logica e la filosofia) costituiscono il peso morto, la zavorra che tira giú – e talvolta fatalmente – un'opera d'arte di indubbia potenza». Per il Siciliano «il faticoso arzigogolare del P. non si è trasformato in lirismo o poesia, ma è restato grezzo e, non essendo profondamente vissuto, ma "plaqué", inassimilato, talvolta incompatibile, ha nociuto, ha impastoiato e soffocato la vera poesia pirandelliana». Il Siciliano, pare, reagí alla critica di Adriano Tilgher, che aveva fatto del Pirandello «il poeta del problema centrale», cioè aveva dato come «originalità artistica» del Pirandello ciò che era un semplice elemento culturale, da tenersi subordinato e da esaminare in sede culturale. Per il Siciliano la poesia del Pirandello non coincide con questo contenuto astratto, sicché questa ideologia è completamente parassitaria: cosí pare, almeno, e se cosí è, non pare giusto. Che questo elemento culturale non sia il solo del Pirandello può essere concesso e d'altronde è quistione d'accertamento filologico; che questo elemento culturale non sempre si sia trasfigurato artisticamente è anche da concedersi. Ma in ogni modo rimane da studiare: 1) Se esso è diventato arte in qualche momento; 2) se esso, come elemento culturale, non ha avuto una funzione e un significato nel mutare sia il gusto del pubblico, sprovincializzandolo e modernizzandolo, e se esso non ha mutato le tendenze psicologiche, gli interessi morali degli altri scrittori di teatro, confluendo col futurismo migliore nel lavoro di distruzione del basso ottocentismo piccolo borghese e filisteo.

La posizione ideologica del D'Amico verso il «pirandellismo» è espressa in queste parole: «Con buona pace di quei filosofi che, a cominciare da Eraclito, pensano il contrario, è ben certo che, in senso assoluto, la nostra personalità è sempre identica e una, dalla nascita al Dilà; se ognuno di noi fosse "tanti", come dice il Padre dei Sei personaggi, ciascuno di questi "tanti" non avrebbe né da godere i benefici né da pagare i debiti degli "altri" che porta in sé; mentre l'unità della coscienza ci dice che ognuno di noi è sempre "quello" e che Paolo deve redimere le colpe di Saulo perché, anche essendo divenuto "un altro", è sempre la stessa persona».

Questo modo di porre la quistione è abbastanza scempio e ridicolo e d'altronde sarebbe da vedere se nell'arte del Pirandello non predomini l'umorismo, cioè l'autore non si diverta a far nascere certi dubbi «filosofici» in cervelli non filosofici e meschini per «sfottere» il soggettivismo e il solipsismo filosofico. Le tradizioni e l'educazione filosofica del Pirandello sono di origine piuttosto «positivistica» e cartesiana alla francese; egli ha studiato in Germania, ma nella Germania dell'erudizione filologica pedantesca, di origine non certo hegeliana ma proprio positivistica. È stato in Italia professore di stilistica e ha scritto sulla stilistica e sull'umorismo non certo secondo le tendenze idealistiche neohegeliane ma piuttosto in senso positivistico. Perciò appunto è da accertare e fissare che l'«ideologia» pirandelliana non ha origini libresche e filosofiche ma è connessa a esperienze storico-culturali vissute con apporto minimo di carattere libresco. Non è escluso che le idee del Tilgher abbiano reagito sul Pirandello, che cioè il Pirandello abbia, accettando le giustificazioni critiche del Tilgher, finito col conformarvisi e perciò occorrerà distinguere tra il Pirandello prima dell'ermeneutica tilgheriana e quello successivo.

È da vedere quanto nella «ideologia» pirandelliana sia, per dir cosí, della stessa origine di ciò che pare formi il nucleo degli scritti «teatrali» di Nicola Evreinov. Per l'Evreinov la teatralità non è solamente una determinata forma di attività artistica, quella che si esprime tecnicamente nel teatro propriamente detto. Per l'Evreinov la «teatralità» è nella vita stessa, è un atteggiamento proprio all'uomo, in quanto l'uomo tende a credere e a farsi credere diverso da ciò che è. Occorre vedere bene queste teorie dell'Evreinov, perché mi pare che egli colga un tratto psicologico esatto, che dovrebbe essere esaminato e approfondito. Cioè esistono parecchie forme di «teatralità» in questo senso: una è quella comunemente nota e appariscente in forma caricaturale che si chiama «istrionismo»; ma ne esistono anche delle altre, che non sono deteriori, o sono meno deteriori e alcune che sono normali e anche meritorie. In realtà ognuno tende, a suo modo, sia pure, a crearsi un carattere, a dominare certi impulsi e istinti, ad acquistare certe forme «sociali» che vanno dallo snobismo, alle convenienze, alla correttezza, ecc. Ora cosa significa: «ciò che si è realmente» e da cui si cerca di apparire «diversi?» «Ciò che si è realmente» sarebbe l'insieme degli impulsi e istinti animaleschi e ciò che si cerca di apparire è il «modello» sociale-culturale, di una certa epoca storica, che si cerca di diventare; mi pare che ciò «che si è realmente» è dato dalla lotta per diventare ciò che si vuol diventare.

Come ho notato altrove, il Pirandello è criticamente un «paesano» siciliano che ha acquisito certi caratteri nazionali e certi caratteri europei, ma che sente in se stesso questi tre elementi di civiltà come giustapposti e contradditori. Da questa esperienza gli è venuto l'atteggiamento di osservare le contraddizioni nelle personalità degli altri e poi addirittura di vedere il dramma della vita come il dramma di queste contraddizioni.

Del resto un elemento non solo del teatro dialettale siciliano (Aria del continente) ma di ogni teatro dialettale italiano e anche del romanzo popolare è la descrizione, la satira e la caricatura del provinciale che vuole apparire «trasfigurato» in un carattere «nazionale» o europeo-cosmopolita, e non è altro che un riflesso del fatto che non esiste ancora una unità nazionale-culturale nel popolo italiano, che il «provincialismo» e particolarismo è ancora radicato nel costume e nei modi di pensare e di agire; non solo, ma che non esiste un «meccanismo» per elevare la vita dal livello provinciale a quello nazionale europeo collettivamente e quindi le «sortite», i «raids» individuali in questo senso assumono forme caricaturali, meschine, «teatrali», ridicole, ecc. ecc.

Sulla concezione del mondo implicita nei drammi di Pirandello occorre leggere la prefazione di Benjamin Crémieux alla traduzione francese di Enrico IV (Éditions de la «N. R. F.»).

[La personalità artistica del Pirandello.] Altrove ho notato come in un giudizio critico-storico su Pirandello, l'elemento «storia della cultura» debba essere superiore all'elemento «storia dell'arte», cioè che nell'attività letteraria pirandelliana prevale il valore culturale al valore estetico. Nel quadro generale della letteratura contemporanea, l'efficacia del Pirandello è stata piú grande come «innovatore» del clima intellettuale che come creatore di opere artistiche: egli ha contribuito molto piú dei futuristi a «sprovincializzare» l'«uomo italiano», a suscitare un atteggiamento «critico» moderno in opposizione all'atteggiamento «melodrammatico» tradizionale e ottocentista.

La quistione è però ancor piú complessa di quanto appaia da questi cenni. E si pone cosí: i valori poetici del teatro pirandelliano (e il teatro è il terreno piú proprio del Pirandello, l'espressione piú compiuta della sua personalità poetico-culturale) non solo devono essere isolati dalla sua attività prevalentemente di cultura, intellettuale-morale, ma devono subire una ulteriore limitazione: la personalità artistica del Pirandello è molteplice e complessa. Quando il Pirandello scrive un dramma, egli non esprime «letterariamente», cioè con la parola, che un aspetto parziale della sua personalità artistica. Egli «deve» integrare la «stesura letteraria» con la sua opera di capocomico e di regista. Il dramma del Pirandello acquista tutta la sua espressività solo in quanto la «recitazione» sarà diretta dal Pirandello capocomico, cioè in quanto Pirandello avrà suscitato negli attori dati una determinata espressione teatrale e in quanto Pirandello regista avrà creato un determinato rapporto estetico tra il complesso umano che reciterà e l'apparato materiale della scena (luce, colori, messinscena in senso largo). Cioè il teatro pirandelliano è strettamente legato alla personalità fisica dello scrittore e non solo ai valori artistico-letterari «scritti». Morto Pirandello (cioè, se Pirandello oltre che come scrittore, non opera come capo-comico e come regista) cosa rimarrà del teatro di Pirandello? Un «canovaccio» generico, che in un certo senso può avvicinarsi agli scenari del teatro pregoldoniano: dei «pretesti» teatrali, non della «poesia» eterna. Si dirà che ciò avviene per tutte le opere di teatro e in un certo senso ciò è vero. Ma solo in un certo senso. È vero che una tragedia di Shakespeare può avere diverse interpretazioni teatrali a seconda dei capocomici e dei registi, cioè è vero che ogni tragedia di Shakespeare può diventare «pretesto» per spettacoli teatrali diversamente originali: ma rimane che la tragedia «stampata» in libro, e letta individualmente, ha una sua vita artistica indipendente, che può astrarre dalla recitazione teatrale: è poesia e arte anche fuori del teatro e dello spettacolo. Ciò non avviene per Pirandello: il suo teatro vive esteticamente in maggior parte solo se «rappresentato» teatralmente, e se rappresentato teatralmente avendo il Pirandello come capocomico e regista. (Tutto ciò sia inteso con molto sale).