Una nota giovanile di Luigi Pirandello. Pubblicata dalla
«Nuova Antologia» del 1° gennaio 1934 e scritta
dal Pirandello negli anni 1889-90, quando era studente a Bonn:
«Noi lamentiamo che alla nostra letteratura manchi il dramma
– e sul riguardo si dicono tante cose e tante altre se ne
propongono – conforti, esortazioni, additamenti, progetti – opera
vana: il vero marcio non si vede e non si vuol vedere. Manca la
concezione della vita e dell'uomo. E pure noi abbiamo campo da
dare all'epica e al dramma. Arido stupido alessandrinismo, il
nostro». Forse però questa nota del Pirandello non fa
che riecheggiare discussioni di studenti tedeschi sulla
necessità generica di una Weltanschauung ed è
piú superficiale di quanto non paia. In ogni modo il
Pirandello si è fatta una concezione della vita e
dell'uomo, ma essa è «individuale», incapace di
diffusione nazionale-popolare, che però ha avuto una grande
importanza «critica», di corrosione di un vecchio
costume teatrale.
I nipotini di padre Bresciani. Pirandello. Pirandello non
appartiene a questa categoria di scrittori, tutt'altro. Lo noto
qui per raggruppare insieme le note di cultura letteraria. Su
Pirandello occorrerà scrivere un saggio speciale,
utilizzando tutte le note da me scritte durante la guerra, quando
Pirandello era combattuto dalla critica, che era incapace persino
di riassumere i suoi drammi (ricordare le recensioni dell'Innesto
nei giornali torinesi dopo la prima rappresentazione e le
profferte di colleganza fattemi da Nino Berrini) e suscitava le
furie di una parte del pubblico. Ricordare che Liolà fu da
Pirandello tolta dal repertorio per le dimostrazioni ostili dei
giovani cattolici torinesi alla seconda replica. Cfr. l'articolo
della «Civiltà Cattolica» del 5 aprile 1930
Lazzaro ossia un mito di Luigi Pirandello.
L'importanza del Pirandello mi pare di carattere intellettuale e
morale, cioè culturale, piú che artistica: egli ha
cercato di introdurre nella cultura popolare la
«dialettica» della filosofia moderna, in opposizione
al modo aristotelico-cattolico di concepire
l'«oggettività del reale». L'ha fatto come si
può fare nel teatro e come può farlo il Pirandello
stesso: questa concezione dialettica dell'oggettività si
presenta al pubblico come accettabile, in quanto essa è
impersonata da caratteri di eccezione, quindi sotto veste
romantica, di lotta paradossale contro il senso comune e il buon
senso. Ma potrebbe essere altrimenti? Solo cosí i drammi
del Pirandello mostrano meno il carattere di «dialoghi
filosofici», che tuttavia hanno abbastanza, poiché i
protagonisti devono troppo spesso «spiegare e
giustificare» il nuovo modo di concepire il reale;
d'altronde il Pirandello stesso non sempre sfugge da un vero e
proprio solipsismo, poiché la «dialettica» in
lui è piú sofistica che dialettica.
[L'«ideologia» pirandelliana.] Forse ha ragione il
Pirandello a protestare egli per il primo contro il
«pirandellismo», cioè a sostenere che il
cosí detto pirandellismo è una costruzione astratta
dei sedicenti critici, non autorizzato dal suo concreto teatro,
una formula di comodo, che spesso nasconde interessi culturali e
ideologici tendenziosi, che non vogliono confessarsi
esplicitamente. È certo che Pirandello è sempre
stato combattuto dai cattolici: ricordare il fatto che
Liolà è stata ritirata dal repertorio dopo le
cagnare inscenate al teatro Alfieri di Torino dai giovani
cattolici per istigazione del «Momento» e del suo
mediocrissimo recensore teatrale Saverio Fino. Lo spunto contro
Liolà fu dato da una pretesa oscurità della
commedia, ma in realtà tutto il teatro del Pirandello
è avversato dai cattolici per la concezione pirandelliana
del mondo, che, qualunque essa sia, qualunque sia la sua coerenza
filosofica, è indubbiamente anticattolica, come invece non
era la concezione «umanitaria» e positivistica del
verismo borghese e piccolo borghese del teatro tradizionale. In
realtà non pare si possa attribuire al Pirandello una
concezione del mondo coerente, non pare si possa estrarre dal suo
teatro una filosofia e quindi non si può dire che il teatro
pirandelliano sia «filosofia». È certo
però che nel Pirandello ci sono dei punti di vista che
possono riallacciarsi genericamente a una concezione del mondo,
che all'ingrosso può essere identificata con quella
soggettivistica. Ma il problema è questo: 1) questi punti
di vista sono presentati in modo «filosofico», oppure
i personaggi vivono questi punti di vista come individuale modo di
pensare? cioè la «filosofia» implicita è
esplicitamente solo «cultura» ed
«eticità» individuale, cioè esiste,
entro certi gradi almeno, un processo di trasfigurazione artistica
nel teatro pirandelliano? e ancora si tratta di un riflesso sempre
uguale, di carattere logico, o invece le posizioni sono sempre
diverse, cioè di carattere fantastico? 2) questi punti di
vista sono necessariamente di origine libresca, dotta, presi dai
sistemi filosofici individuali, o non sono invece esistenti nella
vita stessa, nella cultura del tempo e persino nella cultura
popolare di grado infimo, nel folclore?
Questo secondo punto mi pare fondamentale ed esso può
essere risolto con un esame comparativo dei diversi drammi, quelli
concepiti in dialetto e dove si rappresenta una vita paesana,
«dialettale» e quelli concepiti in lingua letteraria e
dove si rappresenta una vita superdialettale, di intellettuali
borghesi di tipo nazionale e anche cosmopolita. Ora pare che, nel
teatro dialettale, il pirandellismo sia giustificato da modi di
pensare «storicamente» popolari e popolareschi,
dialettali; che non si tratti cioè di
«intellettuali» travestiti da popolani, di popolani
che pensano da intellettuali, ma di reali, storicamente,
regionalmente, popolani siciliani che pensano e operano
cosí proprio perché sono popolani e siciliani. Che
non siano cattolici, tomisti, aristotelici non vuol dire che non
siano popolani e siciliani; che non possano conoscere la filosofia
soggettivistica dell'idealismo moderno non vuol dire che nella
tradizione popolare non possano esistere filoni di carattere
«dialettico» e immanentistico. Se questo si
dimostrasse, tutto il castello del pirandellismo cioè
dell'intellettualismo astratto del teatro pirandelliano
crollerebbe, come pare debba crollare.
Ma non mi pare che il problema culturale del teatro pirandelliano
sia ancora esaurito in questi termini. In Pirandello abbiamo uno
scrittore «siciliano», che riesce a concepire la vita
paesana in termini «dialettali», folcloristici (se
pure il suo folclorismo non è quello influenzato dal
cattolicismo, ma quello rimasto «pagano»,
anticattolico sotto la buccia cattolica superstiziosa), che nello
stesso tempo è uno scrittore «italiano» e uno
scrittore «europeo». E in Pirandello abbiamo di
piú: la coscienza critica di essere nello stesso tempo
«siciliano», «italiano» ed
«europeo», ed è in ciò la debolezza
artistica del Pirandello accanto al suo grande significato
«culturale» (come ho notato in altre note). Questa
«contraddizione», che è intima nel Pirandello,
ha esplicitamente avuto espressione in qualche suo lavoro
narrativo (in una lunga novella, mi pare Il Turno, si rappresenta
l'incontro tra una donna siciliana e un marinaio scandinavo, tra
due «province» cosí lontane storicamente).
Quello che importa è però questo: il senso
critico-storico del Pirandello, se lo ha portato nel campo
culturale a superare e dissolvere il vecchio teatro tradizionale,
convenzionale, di mentalità cattolica o positivistica,
imputridito nella muffa della vita regionale o di ambienti
borghesi piatti e abbiettamente banali, ha però dato luogo
a creazioni artistiche compiute? Se anche l'intellettualismo del
Pirandello non è quello identificato dalla critica volgare
(di origine cattolica tendenziosa, o tilgheriana dilettantesca)
è però il Pirandello libero di ogni
intellettualismo? Non è piú un critico del teatro
che un poeta, un critico della cultura che un poeta, un critico
del costume nazionale-regionale che un poeta? Oppure dove è
realmente poeta, dove il suo atteggiamento critico è
diventato contenuto-forma d'arte e non è «polemica
intellettuale», logicismo sia pure non da filosofo, ma da
«moralista» in senso superiore? A me pare che
Pirandello sia artista proprio quando è
«dialettale» e Liolà mi pare il suo capolavoro,
ma certo anche molti «frammenti» sono da identificare
di grande bellezza nel teatro «letterario».
Letteratura su Pirandello. Per i cattolici: Silvio D'Amico, Il
Teatro italiano (Treves, 1932) e alcune note della
«Civiltà Cattolica». Il capitolo di D'Amico sul
Pirandello è stato pubblicato nell'«Italia
Letteraria» del 30 ottobre 1932 e ha determinato una vivace
polemica tra il D'Amico stesso e Italo Siciliano
nell'«Italia Letteraria» del 4 dicembre 1932. Italo
Siciliano è autore di un saggio, Il Teatro di L.
Pirandello, che pare sia abbastanza interessante perché
tratta precisamente dell'«ideologia» pirandellista.
Per il Siciliano il Pirandello «filosofo» non esiste,
cioè la cosí detta «filosofia
pirandelliana» è «un melanconico, variopinto e
contradditorio ciarpame di luoghi comuni e di sofismi
decrepiti», «la famosa logica pirandelliana è
vano e difettoso esercizio dialettico», e «l'una e
l'altra (la logica e la filosofia) costituiscono il peso morto, la
zavorra che tira giú – e talvolta fatalmente – un'opera
d'arte di indubbia potenza». Per il Siciliano «il
faticoso arzigogolare del P. non si è trasformato in
lirismo o poesia, ma è restato grezzo e, non essendo
profondamente vissuto, ma "plaqué", inassimilato, talvolta
incompatibile, ha nociuto, ha impastoiato e soffocato la vera
poesia pirandelliana». Il Siciliano, pare, reagí alla
critica di Adriano Tilgher, che aveva fatto del Pirandello
«il poeta del problema centrale», cioè aveva
dato come «originalità artistica» del
Pirandello ciò che era un semplice elemento culturale, da
tenersi subordinato e da esaminare in sede culturale. Per il
Siciliano la poesia del Pirandello non coincide con questo
contenuto astratto, sicché questa ideologia è
completamente parassitaria: cosí pare, almeno, e se
cosí è, non pare giusto. Che questo elemento
culturale non sia il solo del Pirandello può essere
concesso e d'altronde è quistione d'accertamento
filologico; che questo elemento culturale non sempre si sia
trasfigurato artisticamente è anche da concedersi. Ma in
ogni modo rimane da studiare: 1) Se esso è diventato arte
in qualche momento; 2) se esso, come elemento culturale, non ha
avuto una funzione e un significato nel mutare sia il gusto del
pubblico, sprovincializzandolo e modernizzandolo, e se esso non ha
mutato le tendenze psicologiche, gli interessi morali degli altri
scrittori di teatro, confluendo col futurismo migliore nel lavoro
di distruzione del basso ottocentismo piccolo borghese e filisteo.
La posizione ideologica del D'Amico verso il
«pirandellismo» è espressa in queste parole:
«Con buona pace di quei filosofi che, a cominciare da
Eraclito, pensano il contrario, è ben certo che, in senso
assoluto, la nostra personalità è sempre identica e
una, dalla nascita al Dilà; se ognuno di noi fosse "tanti",
come dice il Padre dei Sei personaggi, ciascuno di questi "tanti"
non avrebbe né da godere i benefici né da pagare i
debiti degli "altri" che porta in sé; mentre l'unità
della coscienza ci dice che ognuno di noi è sempre "quello"
e che Paolo deve redimere le colpe di Saulo perché, anche
essendo divenuto "un altro", è sempre la stessa
persona».
Questo modo di porre la quistione è abbastanza scempio e
ridicolo e d'altronde sarebbe da vedere se nell'arte del
Pirandello non predomini l'umorismo, cioè l'autore non si
diverta a far nascere certi dubbi «filosofici» in
cervelli non filosofici e meschini per «sfottere» il
soggettivismo e il solipsismo filosofico. Le tradizioni e
l'educazione filosofica del Pirandello sono di origine piuttosto
«positivistica» e cartesiana alla francese; egli ha
studiato in Germania, ma nella Germania dell'erudizione filologica
pedantesca, di origine non certo hegeliana ma proprio
positivistica. È stato in Italia professore di stilistica e
ha scritto sulla stilistica e sull'umorismo non certo secondo le
tendenze idealistiche neohegeliane ma piuttosto in senso
positivistico. Perciò appunto è da accertare e
fissare che l'«ideologia» pirandelliana non ha origini
libresche e filosofiche ma è connessa a esperienze
storico-culturali vissute con apporto minimo di carattere
libresco. Non è escluso che le idee del Tilgher abbiano
reagito sul Pirandello, che cioè il Pirandello abbia,
accettando le giustificazioni critiche del Tilgher, finito col
conformarvisi e perciò occorrerà distinguere tra il
Pirandello prima dell'ermeneutica tilgheriana e quello successivo.
È da vedere quanto nella «ideologia»
pirandelliana sia, per dir cosí, della stessa origine di
ciò che pare formi il nucleo degli scritti
«teatrali» di Nicola Evreinov. Per l'Evreinov la
teatralità non è solamente una determinata forma di
attività artistica, quella che si esprime tecnicamente nel
teatro propriamente detto. Per l'Evreinov la
«teatralità» è nella vita stessa,
è un atteggiamento proprio all'uomo, in quanto l'uomo tende
a credere e a farsi credere diverso da ciò che è.
Occorre vedere bene queste teorie dell'Evreinov, perché mi
pare che egli colga un tratto psicologico esatto, che dovrebbe
essere esaminato e approfondito. Cioè esistono parecchie
forme di «teatralità» in questo senso: una
è quella comunemente nota e appariscente in forma
caricaturale che si chiama «istrionismo»; ma ne
esistono anche delle altre, che non sono deteriori, o sono meno
deteriori e alcune che sono normali e anche meritorie. In
realtà ognuno tende, a suo modo, sia pure, a crearsi un
carattere, a dominare certi impulsi e istinti, ad acquistare certe
forme «sociali» che vanno dallo snobismo, alle
convenienze, alla correttezza, ecc. Ora cosa significa:
«ciò che si è realmente» e da cui si
cerca di apparire «diversi?» «Ciò che si
è realmente» sarebbe l'insieme degli impulsi e
istinti animaleschi e ciò che si cerca di apparire è
il «modello» sociale-culturale, di una certa epoca
storica, che si cerca di diventare; mi pare che ciò
«che si è realmente» è dato dalla lotta
per diventare ciò che si vuol diventare.
Come ho notato altrove, il Pirandello è criticamente un
«paesano» siciliano che ha acquisito certi caratteri
nazionali e certi caratteri europei, ma che sente in se stesso
questi tre elementi di civiltà come giustapposti e
contradditori. Da questa esperienza gli è venuto
l'atteggiamento di osservare le contraddizioni nelle
personalità degli altri e poi addirittura di vedere il
dramma della vita come il dramma di queste contraddizioni.
Del resto un elemento non solo del teatro dialettale siciliano
(Aria del continente) ma di ogni teatro dialettale italiano e
anche del romanzo popolare è la descrizione, la satira e la
caricatura del provinciale che vuole apparire
«trasfigurato» in un carattere «nazionale»
o europeo-cosmopolita, e non è altro che un riflesso del
fatto che non esiste ancora una unità nazionale-culturale
nel popolo italiano, che il «provincialismo» e
particolarismo è ancora radicato nel costume e nei modi di
pensare e di agire; non solo, ma che non esiste un
«meccanismo» per elevare la vita dal livello
provinciale a quello nazionale europeo collettivamente e quindi le
«sortite», i «raids» individuali in questo
senso assumono forme caricaturali, meschine,
«teatrali», ridicole, ecc. ecc.
Sulla concezione del mondo implicita nei drammi di Pirandello
occorre leggere la prefazione di Benjamin Crémieux alla
traduzione francese di Enrico IV (Éditions de la «N.
R. F.»).
[La personalità artistica del Pirandello.] Altrove ho
notato come in un giudizio critico-storico su Pirandello,
l'elemento «storia della cultura» debba essere
superiore all'elemento «storia dell'arte», cioè
che nell'attività letteraria pirandelliana prevale il
valore culturale al valore estetico. Nel quadro generale della
letteratura contemporanea, l'efficacia del Pirandello è
stata piú grande come «innovatore» del clima
intellettuale che come creatore di opere artistiche: egli ha
contribuito molto piú dei futuristi a
«sprovincializzare» l'«uomo italiano», a
suscitare un atteggiamento «critico» moderno in
opposizione all'atteggiamento «melodrammatico»
tradizionale e ottocentista.
La quistione è però ancor piú complessa di
quanto appaia da questi cenni. E si pone cosí: i valori
poetici del teatro pirandelliano (e il teatro è il terreno
piú proprio del Pirandello, l'espressione piú
compiuta della sua personalità poetico-culturale) non solo
devono essere isolati dalla sua attività prevalentemente di
cultura, intellettuale-morale, ma devono subire una ulteriore
limitazione: la personalità artistica del Pirandello
è molteplice e complessa. Quando il Pirandello scrive un
dramma, egli non esprime «letterariamente»,
cioè con la parola, che un aspetto parziale della sua
personalità artistica. Egli «deve» integrare la
«stesura letteraria» con la sua opera di capocomico e
di regista. Il dramma del Pirandello acquista tutta la sua
espressività solo in quanto la «recitazione»
sarà diretta dal Pirandello capocomico, cioè in
quanto Pirandello avrà suscitato negli attori dati una
determinata espressione teatrale e in quanto Pirandello regista
avrà creato un determinato rapporto estetico tra il
complesso umano che reciterà e l'apparato materiale della
scena (luce, colori, messinscena in senso largo). Cioè il
teatro pirandelliano è strettamente legato alla
personalità fisica dello scrittore e non solo ai valori
artistico-letterari «scritti». Morto Pirandello
(cioè, se Pirandello oltre che come scrittore, non opera
come capo-comico e come regista) cosa rimarrà del teatro di
Pirandello? Un «canovaccio» generico, che in un certo
senso può avvicinarsi agli scenari del teatro
pregoldoniano: dei «pretesti» teatrali, non della
«poesia» eterna. Si dirà che ciò avviene
per tutte le opere di teatro e in un certo senso ciò
è vero. Ma solo in un certo senso. È vero che una
tragedia di Shakespeare può avere diverse interpretazioni
teatrali a seconda dei capocomici e dei registi, cioè
è vero che ogni tragedia di Shakespeare può
diventare «pretesto» per spettacoli teatrali
diversamente originali: ma rimane che la tragedia
«stampata» in libro, e letta individualmente, ha una
sua vita artistica indipendente, che può astrarre dalla
recitazione teatrale: è poesia e arte anche fuori del
teatro e dello spettacolo. Ciò non avviene per Pirandello:
il suo teatro vive esteticamente in maggior parte solo se
«rappresentato» teatralmente, e se rappresentato
teatralmente avendo il Pirandello come capocomico e regista.
(Tutto ciò sia inteso con molto sale).