da
Gramsci
le sue idee nel nostro tempo
Editrice l'Unità, Roma 1987
Giacobinismo
In vari contesti degli scritti gramsciani, «giacobino»
è sinonimo di politico settario ed elitario in senso
deteriore (cfr. Lessico gramsciano di Umberto Cerroni). Ma nei
Quaderni vi è anche un giacobinismo «riscattato»,
di fatto, in quanto proteso, sia pure autoritariamente, verso una
larga mobilitazione nazionale e popolare (cfr. il Glossario, in Lire
Gramsci di Dominique Grisoni e Robert Maggiori - Paris Editions
Universitaires, 1973).
Per intendere questo «giacobinismo» positivo, dobbiamo
rifarci al concetto di «egemonia» che, a sua volta, non
può esser compreso se lo si restringe al suo significato
politico (tralasciandone quello «filosofico») e,
soprattutto, se gli si attribuisce un significato politico uniforme
in tutta la riflessione di Gramsci. Nelle note sulla Questione
meridionale, l'egemonia era, ' essenzialmente, un compito politico-
strategico del proletariato in lotta per il potere e interessato a
far leva sull'alleanza con i ceti contadini. Nei primi Quaderni del
carcere, l'egemonia politica e culturale è compito storico
delle classi dirigenti, o virtualmente dirigenti, in genere. Infine,
nei quaderni 7 e 8, essa si inquadra in «tutta una concezione
specifica delle sovrastrutture» e comporta «un
allargamento del concetto di Stato» (Buci-Glucksmann) di cui
diviene una tipica funzione. All'egemonia di una classe o di un
gruppo sociale, come funzione dirigente sorretta dal consenso, che
integra e insieme toglie la semplice funzione di dominio, si
sostituisce gradualmente l'egemonia come dominanza della forma
superstruttura- le superiore, «etico-politica», su
quella «economico-corporativa».
Il giacobinismo proprio della concezione e dell'azione leniniane,
che attribuivano una funzione-guida ai rivoluzionari di avanguardia,
viene dunque da Gramsci reinterpretato e dislocato altrove, ossia
nell'ambito più generale e impersonale delle forme o delle
categorie analitiche della prassi storica: nell'ambito ove si
instaurano i compiti egemonici della nuova filosofia nel mutare il
senso comune (riforma intellettuale) e, più ancora, del nuovo
Stato nel rinnovare la società civile (riforma morale).
Per il carattere «sistematico» che egli scorge nel
livello statuale, in confronto alle spinte particolaristiche degli
interessi economico-corporativi, Gramsci attribuisce un significato
positivo anche al termine «totalitario», considerandolo
sinonimo di «autonomo» e «coerente». Ma, a
suo giudizio, lo Stato «totalitario» dev'essere capace
di coinvolgere le masse popolari in un vasto impegno
riformatore. Perciò l'uso gramsciano di quel termine si
distanzia nettamente dall'uso attualistico-gentiliano o
attivistico-reazionario e si richiama, invece, ai valori progressivi
della tradizione democratico-giacobina.
Per concludere: nella versione integrata, post-leniniana, del
«giacobinismo» proposta da Gramsci, è sempre meno
rilevante indicare il soggetto sociale (la classe o il partito) che
esercita l'egemonia o la coercizione, e quello che subisce l'una o
l'altra, ed è sempre più significante localizzare il
luogo storico-categoriale in cui esse sono esercitate o subite.
Quando Stato e società civile, che sono i luoghi, appunto,
dell'egemonia e/o della coercizione, si differenziano e insieme si
incardinano l'uno nell'altro, come accade nell'occidente europeo
più evoluto, interviene un visibile scambio delle parti: la
società civile, da arena degli interessi
economico-corporativi, e quindi dei rapporti di forza tra le classi,
si trasforma nel terreno su cui la partita dell'egemonia è
giocata dallo Stato. Lo Stato, a sua volta proprio perché
promotore e garante delle funzioni di egemonia, avoca a sé
(sottraendolo alla sfera conflittuale, economico-corporativa,
delle parti contrapposte nella società civile) il
«monopolio» della forza, che perciò diviene,
affermava Weber, «forza legittima».
In termini gramsciani, diremo: «il giacobinismo (nel
significato integrale che questa nozione ha avuto storicamente e
deve avere concettualmente)» concorre a definire «la
volontà collettiva e la volontà politica in generale
nel senso moderno» (Quaderni, p. 1559).
Giuseppe Prestipino
docente di filosofia della storia all'Università di Siena
*
da
Dominique Grisoni, Robert Maggiori
Guida a Gramsci
BUR, Milano 1975
GIACOBINO-GIACOBINISMO
Nel pensiero di Gramsci, il termine «giacobino» assume
il significato di creazione di una «volontà
collettiva» attraverso una cosciente politica di alleanze di
una classe organizzata che vuole diventare dominante, e quindi
egemonica, con una classe subalterna disorganizzata che conduce
sulle sue posizioni assumendone contemporaneamente le
«aspirazioni elementari immediate».
Due esigenze fondamentali caratterizzano e giustificano tale
politica e tale stile di azione pratica: «la prima... era
quella di annientare le forze avversarie o almeno di ridurle
all'impotenza per rendere impossibile una controrivoluzione»;
«la seconda... era quella di allargare i quadri della
borghesia (la classe che ha preso l'iniziativa del movimento, nel
caso della rivoluzione francese) e di porla a capo di tutte le forze
nazionali identificando gli interessi e le esigenze comuni a tutte
le forze nazionali, per mettere in moto queste forze» (R, EI
p. 85, ER p. 112).
Tuttavia Gramsci rileva che «il termine di "giacobino" ha
finito per assumere due significati: uno è quello proprio
storicamente determinato, caratterizzato, di un determinato partito
della rivoluzione francese» (R, EI p. 75, ER p. 100), che
utilizza metodi energici e le cui decisioni e deliberazioni si
spiegano con la sua fede fanatica nei valori del suo programma e nei
mezzi scelti per applicarli; il secondo consiste nell'elaborazione
di un programma economico-sociale fondato sulle aspirazioni delle
classi sociali subalterne che permette la costituzione di un blocco
borghesia-intellettuali-masse contadine intorno a un nucleo egemone
(politico e militare), Parigi.
Perciò quando Gramsci indica al «principe
moderno» il modello giacobino, si riferisce alla sua forma
esteriore, cioè all'uomo politico «caratterizzato da
estrema decisione, energia, risolutezza, e dipendente dalla credenza
fanatica nelle virtù "taumaturgiche" delle sue idee,
qualunque siano» (R, EI p. 75, ER p. 100), che si oppone a
qualsiasi «sosta "intermedia" del processo rivoluzionario e
manda alla ghigliottina non solo gli elementi della vecchia
società dura a morire, ma anche i rivoluzionari di ieri, oggi
diventati reazionari» (R, EI p. 84, ER p. Ili), e alla sua
forma interna, cioè ai suoi contenuti economico-sociali che
si sviluppano secondo due direzioni: «verso i contadini di
base, accettandone le rivendicazioni elementari e facendo di esse
parte integrante del nuovo programma di governo, e sugli
intellettuali degli strati medi e inferiori concentrandoli e
insistendo sui motivi che più li potevano interessare (e
già la prospettiva della formazione di un nuovo apparato di
governo con le possibilità di impiego che offre...)»
(R, EI p. 81, ER p. 107).
Ciò che Gramsci cerca di definire con il termine di
giacobinismo è da un lato un metodo «radicale»
fondato su una determinazione rivoluzionaria
«realistica» e, dall'altro, un contenuto economico e
sociale che allarga la base sociale del partito attraverso un
sistema di alleanze e che prelude alla formazione di una
«volontà collettiva».