da
Gramsci
le sue idee nel nostro tempo
Editrice l'Unità, Roma 1987
Donna
Chi esamina il rapporto fra Gramsci e questione femminile entra
subito in una specie di dibattito, di contrasto a seconda che
analizzi l'azione politica o invece voglia trovare nei pochi scritti
sulle donne e sulla sessualità un pensiero avanzato.
Sul fronte dell'azione politica Gramsci fu un infaticabile
organizzatore, muovendosi fin dal 1919 per dare alle donne
socialiste torinesi la consapevolezza della necessità di
un'azione di massa fra le lavoratrici, organizzandole dentro il
partito o nei gruppi di simpatizzanti, perché la
partecipazione alle lotte dei lavoratori avesse l'adesione
delle masse femminili.
Egli, a differenza di quanto aveva fatto il partito socialista
prima, o la direzione del PCd'I appena sorto e diretto da Bordiga,
richiamava costantemente le donne «al concetto leninista di
partecipazione diretta, creativa, consapevole delle masse
popolari» e indicava come modi e obiettivi del lavoro
delle comuniste «la necessità di uno sviluppo
autenticamente democratico del movimento femminile, nella
prospettiva del socialismo» (Camilla Ravera).
Queste proposte non rimanevano senza effetto: Ordine Nuovo
pubblicava il Manifesto del II Congresso dell'internazionale
socialista alle lavoratrici di tutto il mondo. Subito dopo istituiva
sulla rivista una tribuna dedicata ai temi dell'emancipazione
femminile e ne assegnava la redazione a Camilla Ravera. È
sotto la direzione di Gramsci che il PCd'I organizza, fra le sezioni
di lavoro, anche la commissione nazionale per il lavoro fra le
donne, diretta da Grieco. Inizia anche la pubblicazione del
quindicinale Compagna che continuerà ad uscire, sia pure
saltuariamente, fino alle leggi eccezionali del fascismo.
Ma quando dall'analisi dell'azione politica ci volgiamo ad
analizzare il pensiero, ci troviamo di fronte ad una quasi totale
assenza di riferimenti, di precisazioni, di prese di posizione
chiare e ciò che vi si trova è tale da scoraggiare
qualsivoglia atteggiamento agiografico. Ciò che il femminismo
aveva proposto o andava proponendo ai suoi tempi o non sfiora
Gramsci o sembra preoccuparlo per ciò che poteva significare
per l'organizzazione unitaria del partito, per il sapore di
«eversione» che esso poteva avere nei confronti di una
rigida concezione classista, in quanto poneva problemi che
investivano trasversalmente tutte le classi.
Non si può dire che egli non avesse consapevolezza dei
problemi connessi alla condizione della donna. In una recensione ad
una messa in scena di Casa di bambola di Ibsen, scritta sull’Avanti!
nel marzo del 1917, il critico Gramsci si domanda perché il
pubblico è rimasto sordo di fronte al dramma profondamente
umano di Nora Elmer «che abbandona la casa, il marito, i
figli, per cercare se stessa». Gramsci risponde a questa
domanda accusando il pubblico italiano di farsi portatore di una
morale tradizionale della borghesia grande e piccola e quindi di
essere incapace di accettare una morale e un costume meno
animaleschi, un costume «per il quale la famiglia non è
più un istituto economico, ma è specialmente un mondo
morale in atto, che si completa per l'intima fusione di due anime
che trovano l'una nell'altra ciò che manca a ciascuna
individualmente; per il quale la donna... è una creatura
umana a sé, che ha una coscienza a sé, che ha dei
bisogni interiori suoi, che ha una personalità umana tutta
sua e una dignità di essere indipendente».
Ma questa apertura del critico teatrale sembra chiudersi nei
Quaderni del carcere dove poche, sparse, talvolta ambigue, talvolta
arretrate, sono le osservazioni che egli fa sulle donne, sul
femminismo, sulla sessualità, e quasi mai espunte da un
discorso di organizzazione del lavoro, di morale generale. Il punto
più avanzato è il riferimento alla necessità
della formazione di una nuova personalità femminile,
avvertita come la questione etico-civile più importante
legata alla questione sessuale: «Finché la donna non
avrà raggiunto non solo una reale indipendenza di fronte
all'uomo, ma anche un nuovo modo di concepire se stessa e la sua
parte nei rapporti sessuali, la questione sessuale rimarrà
ricca di caratteri morbosi e occorrerà esser cauti in ogni
innovazione legislativa». (Note sul Machiavelli, in Quaderni,
Torino 1949, p. 325).
Egli cerca di individuare una nuova etica sessuale «conforme
ai nuovi metodi di produzione e del lavoro», una morale che,
se imposta violentemente da una classe superiore su un'altra,
è coercizione brutale ma non è più tale se
imposta da una élite di una classe sulla propria classe: in
questo caso diviene «autocoercizione» e
«autodisciplina». In questa visione di una nuova morale
sessuale, tutta funzionale al processo di sviluppo industriale a cui
tende anche il socialismo, Gramsci individua un nemico, non di
classe, capace di contrastare la funzione regolatrice della
élite della classe lavoratrice. Si tratta della
mentalità «illuministica e libertaria nella sfera dei
rapporti sessuali» a cui appartiene anche la psicanalisi.
«Anche la letteratura psicanalitica è un modo di
criticare la regolamentazione degli istinti sessuali talvolta in
forma illuministica con la creazione di un nuovo mito del selvaggio
sulla base sessuale» (ivi, p. 324). Su questo sfondo si
disegna un archetipo di donna ben lontano da quanto il femminismo
veniva proponendo: «nell'operaio di nuovo tipo si
ripeterà, in altra forma, ciò che avviene nei villaggi
contadini. La relativa fissità delle unioni contadine
è strettamente legata al sistema di lavoro della campagna. Il
contadino che torna a casa la sera dopo una lunga giornata di
fatica, vuole la Venerem facilem parabilemque di Orazio: egli non ha
l'attitudine a fare le fusa intorno a donne di fortuna; ama la sua
donna, sicura, immancabile, che non fa smancerie e non
pretenderà la commedia della seduzione e dello stupro per
essere posseduta» (ivi, p. 332).
Certo non è tutto qui il pensiero di Gramsci: vi sono nei
Quaderni osservazioni, similitudini, indicazioni generali avanzate
che servono anche per inquadrare meglio le sue opinioni su questo
argomento, per far emergere un'ambiguità molto più
ricca e produttiva nella direzione della liberazione femminile. Ma
nel complesso l'atteggiamento di Gramsci appare segnato da una
concezione tradizionale della donna, timoroso del femminismo che
sollevava questioni specificamente femminili e chiedeva per le
donne, oltre che l'emancipazione, spazi di affermazione di
sé; tutte quelle cose, insomma, che egli per altro
rivendicava per Nora Elmer.
Morena Pagliai
docente di letteratura teatrale alla facoltà di magistero
dell'Università di Firenze