da
Gramsci
le sue idee nel nostro tempo
Editrice l'Unità, Roma 1987
Cosmopolitismo e internazionalismo
Nella lettera a Tatiana Schucht del 19 marzo 1927 Gramsci traccia le
linee di un proprio possibile progetto di ricerca e di studio nelle
pur difficilissime condizioni carcerarie, e pone al primo posto:
«Una ricerca sulla formazione dello spirito pubblico in Italia
nel secolo scorso; in altre parole una ricerca sugli intellettuali
italiani, le loro origini, i loro raggruppamenti secondo le correnti
della cultura, i loro diversi modi di pensare ecc. ecc.».
È nell'ambito di questo interesse che Gramsci si sofferma, in
numerose note dei Quaderni, sul cosmopolitismo degli intellettuali
italiani, un fenomeno — egli sottolinea — che non riguarda solo gli
artisti (pittori, scultori, architetti, musicisti), ma anche,
particolarmente tra il cinquecento e il settecento, tecnici
militari, politici, diplomatici.
Alle radici di tale cosmopolitismo non è difficile
individuare sia la tradizione dell'impero romano sia quella della
Chiesa medievale con la sua particolare incidenza in Italia, sede
del Papato. Ma un fattore determinante va ulteriormente ricercato
nel ritardo con cui si costituisce uno Stato unitario italiano come
centro di attrazione e aggregazione degli intellettuali stessi.
Ciò favorisce, e in certo qual modo rende inevitabile, la
diaspora, rafforzando la retrostante tendenza al cosmopolitismo, che
pertanto si configura come una tematica da affrontare con un'ottica
«non di carattere 'sociologico'», ma attraverso
«una serie di saggi di 'storia della cultura'
(Kulturgeschichte) e di storia della scienza politica»
(Quaderno 12, paragrafo 1).
È quanto Gramsci, pur nella forma specifica delle sue note,
ha sempre ben presente; ma non si può dire che lo abbiano
tenuto altrettanto presente taluni commentatori e interpreti di
Gramsci che hanno caricato la categoria di
«cosmopolitismo» di un significato accentuatamente
negativo, che non sembra potersi trarre dai Quaderni, o dagli
scritti gramsciani.
Di particolare interesse appare, a questo proposito, quanto leggiamo
nel paragrafo 5 del Quaderno 19 (1930): «Il cosmopolitismo
tradizionale italiano dovrebbe diventare un cosmopolitismo di tipo
moderno, cioè tale da assicurare le condizioni migliori di
sviluppo all'uomo-lavoro italiano, in quasiasi parte del mondo egli
si trovi. Non il cittadino del mondo in quanto civis romanus o in
quanto cattolico, ma in quanto produttore di civiltà.
Perciò si può sostenere che la tradizione italiana si
continua dialetticamente nel popolo lavoratore e nei suoi
intellettuali, non nel cittadino tradizionale e nell'intellettuale
tradizionale. Il popolo italiano è quel popolo che
'nazionalmente' è più interessato a una moderna forma
di cosmopolitismo».
Questa impostazione consente a Gramsci di istituire un nesso tra
cosmopolitismo e internazionalismo degli Italiani. È vero
infatti che «il concetto di rivoluzionario e di
internazionalista, nel senso moderno della parola, sono correlativi
al concetto preciso di Stato, e di classe» (Quaderno 3,
paragrafo 46); ma, come si è visto, esso non è in
contraddizione con la tradizione cosmopolitica, che si innesta —
Gramsci osserverà altrove — con lo specifico, grandioso,
fenomeno della emigrazione dell'«uomo-lavoro» italiano
in tempi recenti.
Non sembra pertanto una forzatura del pensiero di Gramsci cogliere
nelle note riguardanti il cosmopolitismo e l'internazionalismo
una prospettiva che, nella concreta realtà storica dell'oggi,
si innesta nella netta scelta europeista del Pei e, più in
generale, nell'interesse «nazionale» del «popolo
italiano» «a una moderna forma di cosmopolitismo»:
la cui strada sembra appunto, nelle condizioni presenti, passare
attraverso la via regia dell'europeismo.
Mario Spinella
Scrittore