da

Gramsci
le sue idee nel nostro tempo
Editrice l'Unità, Roma 1987

  Conformismo e socialità

«Conformismo — dice Gramsci nel Quaderno 14 — significa niente altro che 'socialità', ma piace impiegare la parola 'conformismo' appunto per urtare gli imbecilli». Con la definizione di conformismo si tende a dare una connotazione negativa all'idea di socialità. Il contrario del conformismo sarebbe allora la sincerità o la sponta­neità. Ma queste due cose sono per Gramsci un pregio e un valore solo se disciplinate. Altrimenti sincerità e spontaneità significano il massimo di individualismo. «L'individuo è originale storicamente quando dà il massimo di risalto e di vita alla socialità».

C'è un significato romantico dell'originalità, della personalità, e questo .significato ha una giustificazione storica in quanto nacque in opposizione con un certo conformismo essenzialmente «gesuitico», cioè un conformismo artificioso, fittizio, creato per gli interessi di un piccolo gruppo, di una cricca. Poi, nell'epoca dell'individualismo imperante, il voler essere originale si è contrapposto all'essere comune e sociale. «È troppo facile essere originali facendo il contra­rio di ciò che fanno tutti; è una cosa meccanica. È troppo facile parlare diversamente dagli altri..., il difficile è distinguersi dagli altri senza perciò fare acrobazie. Avviene proprio oggi che si cerca un'originalità e personalità a poco prezzo. Le carceri e i manicomi sono pieni di uomini originali e di forte personalità». Né si può dire che anche il conformismo è troppo facile «e riduce il mondo a un convento». Nella storia, ma anche nella letteratura e nell'arte, contro la sincerità e la spontaneità troviamo il meccanismo o il calcolo, che può essere un falso conformismo, una falsa socialità, cioè l'adagiarsi nelle idee fatte e abitudinarie. «Battere l'accento sulla disciplina, sulla socialità, e tuttavia pretendere sincerità, spontaneità, originali­tà, personalità; ecco ciò che è veramente difficile e arduo», (v. Quaderni del carcere, ed. critica, pp. 1719-20).

È qui che entra in gioco la politica. La questione del conformi­smo sociale non è nuova. Il conformismo è sempre esistito, da quando esiste una società. Semmai c'è lotta tra «due conformismi», e cioè una lotta di egemonia, quando c'è una crisi della società civile (p. 862). Si tratta di «conformare a un fine» gli uomini di una determinata società. «Il politico immagina l'uomo come è e nello stesso tempo come dovrebbe essere...; il suo lavoro consiste appunto nel condurre gli uomini a muoversi, a uscire dal loro essere presente per diventare capaci collettivamente di raggiungere il fine proposto» (p. 1820).

La lotta dunque non è contro il conformismo ma contro l'indifferenza. Indifferenti è un articolo di Gramsci del 1917. «La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, i destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi imme­diati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa». Indifferen­za è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria: il contrario dell'essere vivi, e cioè cittadini, e cioè partigiani.

Nei Quaderni (p. 1376) tornerà a dire: per la propria concezione del mondo si appartiene sempre a un certo raggruppamento, si sta dentro un blocco di elementi sociali che condividono lo stesso modo di pensare e di operare. Si è sempre «conformisti di un certo conformismo, si è sempre uomini-massa o uomini collettivi». La questione è di che tipo storico è il conformismo e l'uomo collettivo di cui si fa parte. Il «conosci te stesso» non riguarda più te come individuo indifferente agli altri, ma la tua parte sociale che si batte collettivamente per un fine comune.

Mario Tronti

docente di filosofia all'Università di Siena