VITA
Benedetto Croce nacque a Pescasseroli (L’Aquila) il 25-2-1866, in
una famiglia di proprietari terrieri, ricca ma molto conservatrice
(era attaccata ancora ai Borboni!), e frequentò le scuole
secondarie in un collegio di religiosi, anch’esso culturalmente
chiuso. Nel 1883 villeggiò a Casamicciola (nell’isola
d’Ischia), ed un terremoto durato 90 secondi gli uccise i genitori
Pasquale e Luisa Sipari e la sorella Maria, rimanendo lui stesso
“sepolto per parecchie ore sotto le macerie e fracassato in
più parti del corpo”. Fu allora accolto a Roma dallo zio, il
senatore Silvio Spaventa (famoso storico e fratello di Bertrando
Spaventa, filosofo idealista che aveva tentato una riforma
dell’Hegelismo): fu un gesto nobile da parte dello Spaventa anche
perché era in rotta coi Croce, dal momento che questi, a
causa del tradizionalismo a cui abbiamo accennato, gli avevano
rimproverato un eccessivo liberalismo (e del resto i Croce si erano
allontanati anche da Bertrando, perché apostata).
Nel salotto di Silvio, Benedetto incontrò importanti uomini
politici ed intellettuali, tra i quali ad esempio Antonio Labriola
(che allora era herbartiano), del quale frequentò le lezioni
di filosofia morale all’università di Roma (anche se era
iscritto a giurisprudenza a Napoli); Benedetto non finì gli
studi universitari, non volendo conseguire titoli accademici, ma
continuò comunque a studiare, trascurando inizialmente Hegel,
poiché i libri che circolavano in casa Spaventa gli diedero
l’idea ch’esso dovesse essere un filosofo quasi incomprensibile. Nel
1886 lasciò la “politicante società romana, acre di
passioni”, e tornò a Napoli, dove comprò la casa nella
quale aveva vissuto il filosofo Giambattista Vico; negli anni
seguenti viaggiò in Spagna, Germania, Francia ed Inghilterra,
ed aumentò l’interesse per la storia, grazie alle letture di
Francesco De Sanctis (letture già iniziate durante gli studi
ginnasiali, assieme a quelle del Carducci: De Sanctis e Carducci
diventeranno per lui due punti fissi).
Nel 1895 Labriola (che intanto aveva abbandonato la filosofia di
Herbart), col quale Benedetto aveva mantenuto il dialogo
intellettuale, gli fece conoscere le idee del Marxismo, alle quali
inizialmente il filosofo napoletano si interessò, studiando i
saggi di Labriola, leggendo libri di economia, riviste e giornali
italiani e tedeschi d’ispirazione socialista, e l’interesse si
diresse così verso la politica; tra l’altro aveva espresso
sul Marxismo, tra il 1895 ed il 1899, una “critica tanto più
grave, in quanto voleva essere una difesa e una rettificazione del
Marxismo stesso”, pensando egli che la società capitalista
studiata da Marx non esistesse, né fosse mai esistita, ma gli
interessi per il Marxismo fecero sentire al nostro il bisogno di
risalire ad Hegel, al cui studio lo invitava anche il suo amico e
filosofo Giovanni Gentile.
Col Gentile fondò, nel 1903, la rivista “La Critica”, il cui
progetto era maturato nell’estate del 1902, ma l’amicizia col
Gentile, che aveva conosciuto quando quest’ultimo era studente a
Pisa, si ruppe quando quest'ultimo aderì al fascismo. “La
Critica” fu pubblicata dal 1903 al 1944, ed il suo prestigio
culturale ne rese impossibile al fascismo la soppressione: è
noto che Mussolini chiese “Quante copie tira Critica?”, ed
essendogli stato risposto “1500”, disse “allora lasciatelo stare”.
Nel 1910 Benedetto fu nominato senatore per censo e fu ministro
della Pubblica Istruzione nel 1920-21, nel quinto ministero
Giolitti: elaborò anche una riforma scolastica, che non volle
attuare per la propria non adesione al fascismo, ma essa fu comunque
ripresa e realizzata dal Gentile nel 1923 (oggi quella riforma
è infatti nota come “riforma Gentile”).
Nel 1914 sposò Adela Rossi, con la quale ebbe 4 figlie (Alda,
Elena, Livia e Silvia).
Come s’è detto, Croce ruppe con Gentile in occasione della
sua adesione al fascismo (ma già da tempo c’era forte
dissenso tra i due): dopo l’avvento al potere di Mussolini ed il
delitto Matteotti (1924) fu pubblicato il 1-5-1925 su “Il Mondo”
(rivista liberale per la quale scrisse, nel 1950, la prefazione a
“1984” di George Orwell, tradotto da Gabriele Baldini), in risposta
al “Manifesto degli intellettuali fascisti” di Gentile, il suo
“Manifesto degli intellettuali anti-fascisti” (al quale aderirono
Eugenio Montale ed Aldo Palazzeschi, e tra i matematici Leonida
Tonelli, Ernesto e Mario Pascal, Vito Volterra, Giuseppe Bagnera,
Guido Castelnuovo, Beppo Levi, Tullio Levi Civita, Alessandro Padoa,
Giulio Pittarelli e Francesco Severi), scritto su invito di Giovanni
Amendola, e smise di intervenire direttamente nella politica,
attività che esercitò dopo la caduta del fascismo,
essendo stato presidente del ricostituito Partito Liberale nel
1943-1947 (fu avverso al comunismo ma lodò il valore
letterario di Gramsci), ministro nei governi Badoglio e Bonomi,
membro dell’Assemblea Costituente e poi del Senato.
Alcuni accusano Benedetto di falso liberalismo, poiché fino
al ‘25 aveva appoggiato il fascismo, vedendolo come mezzo per
sconfiggere le forze della sinistra: fatto ciò, la classe
liberale avrebbe potuto continuare a reggere lo Stato, con le mani
pulite; ricordiamoci anche che al grido di “oro alla patria!”,
quando lo Stato per sostenere il costo della guerra cambiava (a chi
lo sceglieva) le fedi nuziali di oro con anelli di ferro, Croce
donò la propria medaglia di senatore.
Dopo la firma dei Patti Lateranensi (11-2-1929), mostrò la
sua contrarietà al Concordato tra Stato e Chiesa dicendo in
Senato che “accanto o di fronte ad uomini che stimano Parigi valer
bene una messa, sono altri per i quali l’ascoltare o no una messa
è cosa che vale infinitamente più di Parigi,
perché è affare di coscienza”, nella sua replica
Mussolini definisce Croce “un imboscato della storia”.
Nel 1946 fondò a Napoli (nel frattempo si era ritirato a
vivere nel palazzo di Trinità Maggiore, che era appartenuto
ai Filomarino) l’Istituto Italiano per gli studi storici, la
direzione del quale venne affidata al prof. Federico Chabod.
Il tradizionalismo di Croce emerge nei suoi giudizi negativi verso i
poeti simbolisti francesi: fu apertamente critico di Rimbaud e
Valéry, come del resto lo fu verso Pirandello, D’Annunzio e
Pascoli (espresse inizialmente perplessità verso il
Decadentismo in generale, e le perplessità maturarono poi in
decisa avversione): proprio per questo ci fu un lieve contrasto tra
il Croce e Cesare Angelini, come racconta Angelini stesso ne “Gli
uomini della Voce” (clicca qui se vuoi approfondire)
Nel 1949 fu colpito da un ictus cerebrale, che limitò le sue
possibilità di movimento, ed il filosofo non uscì
più di casa, dove continuava a studiare: fu colto dalla morte
mentre era seduto in poltrona nel suo studio-biblioteca, il
20-11-1952.
PENSIERO FILOSOFICO
Dialettica: Benedetto riprende alcuni aspetti della filosofia di
Hegel; innanzitutto concorda con Hegel nel dire che il pensamento
filosofico è concetto (non intuizione o sentimento),
universale (e non generale, come le nozioni delle scienze empiriche)
e concreto (poiché riguarda la realtà). In questo modo
Hegel riuscì a definire l’universale concreto come sintesi di
opposti, “unità nella distinzione e nell’opposizione”; ha
però, ad avviso di Benedetto, commesso tutta una serie di
errori, che deriva da un unico errore, e cioè l’aver visto la
realtà solo come prodotti di opposti che si sintetizzano,
mentre Benedetto precisa che esistono anche i distinti, e crea una
sua nuova dialettica che prevede la sintesi di opposti (come quella
Hegeliana) e il nesso di distinti.
I distinti nella filosofia crociana sono fondamentalmente 4, e sono
generati dalle 2 attività fondamentali dello Spirito
(conoscitiva, o teoretica, e volitiva, o pratica) a seconda che si
dirigano verso il particolare o l’universale; detti distinti (o
categorie) sono la fantasia, l’intelletto, l’attività
economica e l’attività morale, e non si sintetizzano, non
essendo opposti, mentre si sintetizzano, al loro interno,
rispettivamente il bello ed il brutto (estetica), il vero ed il
falso (logica), l’utile ed il dannoso (economia), il bene ed il male
(morale).
Arte: Benedetto afferma, nel Breviario di estetica, che “l’arte
è ciò che tutti sanno che cosa sia”, perché se
non si sapesse nulla di essa non si potrebbe chiedere cosa sia
l’arte, perché ogni domanda contiene in sé già
delle informazioni sull’oggetto della domanda stessa. Il filosofo
pensa che l’uomo abbia una precomprensione delle verità di
fondo, e che la filosofia porti ad un livello di chiarezza critica
queste precomprensioni; la differenza tra un buon filosofo ed una
persona qualsiasi è che il filosofo pone le domande con
maggiore “intensità”, e di conseguenza cerca di rispondere
con maggiore intensità. L’arte viene definita come conoscenza
intuitiva, e si identifica la stessa come espressione
dell’intuizione: in questo modo Croce critica le persone che dicono
di aver dentro di sé grandi idee, grandi intuizioni, ma di
non riuscire ad esprimerle: in realtà queste persone non
hanno dentro di sé ciò che dicono di avere,
perché ciò che si intuisce, automaticamente e
spontaneamente si esprime.
Questa intuizione artistica non è propria solo dei grandi
artisti, dei geni, ma appartiene ad ogni persona, che sa ricreare e
fruire della creazione del genio, infatti se non fosse così
il genio non sarebbe un uomo, e del resto gli altri uomini non
potrebbero capirlo. L’arte è anche libera di esprimersi, nel
senso ch’essa non è subordinata a nulla, al piacere,
all’utile, alla morale (non immorale, ma amorale: se anche
rappresentasse situazioni oscene, rimarrebbe arte), questo
perché essa è una forma di conoscenza, che è
funzionale a sé, senza il problema della veridicità o
meno di tale conoscenza perché l’intuizione artistica ha come
oggetto un’immagine (non necessariamente corrispondente al vero). Ci
sono, è vero, opere d’arte che tramandano valori morali,
religiosi, filosofici (ecc.), ma essi non sono gli scopi dell’opera
d’arte, sono solo parte integrante di essa: non viene negata
all’artista la possibilità di esprimere determinati valori,
ma si sottolinea come essi “integrino” l’intuizione artistica.
A proposito dell’arte come intuizione, il pensatore distingue
l’espressione/intuizione dall’estrinsecazione dell’espressione:
mentre il primo elemento è caratterizzato dal sentimento, il
secondo riguarda delle tecniche, è quindi un’attività
pratica; l’intuizione si ha grazie al sentimento, “rappresenta il
sentimento, e solo da esso e sopra di esso può sorgere”,
perciò il sentimento si identifica con la lirica (“l’arte
è sempre lirica”): per Croce “lirica” ed “intuizione” sono
sinonimi.
Altra precisazione crociana è che l’arte sia una sintesi a
priori estetica, sintesi di sentimento ed immagine nell’intuizione:
il sentimento senza l’immagine è cieco, e l’immagine senza il
sentimento è vuota; essi possono anche presentarsi distinti,
ed in questo caso non si ha arte, che si può presentare come
contenuto o come forma, lasciando sottintendere che “il contenuto
è formato” e “la forma è riempita”, il sentimento
è “sentimento figurato” e la figura è “figura
sentita”. L’arte viene vista anche come sintesi di particolare ed
universale, perché un artista opera partendo da
determinazioni particolari, dando ad esse, mediante il proprio
percorso interiore, valori, significati man mano meno immediati e
soggettivi, più generali.
Si criticano anche le espressioni che definiscono i “generi”: i
generi letterari non esistono, e le distinzioni che comunemente
facciamo (comico, tragico, epico…) sono solamente schemi di comodo
introdotti dall’intelletto che, classificando, compie un’operazione
estranea all’arte, in quanto tale operazione appartiene alla logica;
in questo modo viene anche a mancare la “bellezza fisica” (il
“bello” appartiene all’estetica).
La personalità di un poeta scompare naufragando nel mare
della poesia: “il poeta è nient’altro che la sua poesia”, la
sua opera poetica (è sempre lo Spirito che agisce attraverso
l’uomo); la linguistica è estetica, perché il
linguaggio è espressione (come l’arte), creazione estetica.
Guardando l’attività di Croce, vediamo con assoluta chiarezza
che è stato attento all’aspetto soggettivo-creativo della
produzione artistica, ma non si è comportato allo stesso modo
con le sue componenti, i suoi momenti tecnico-materiali, ed ha fatto
la stessa cosa per determinate attività artistiche: la sua
filosofia ha guardato all’arte in generale, ma non ha esaminato
attentamente, per esempio, la musica, l’architettura… privilegiando
l’attività letteraria. All’interno dell’attività
letteraria ha continuato questa sua “politica”, valorizzando
più di altri certi generi e stili, come la poesia (secondo
Croce le espressioni non poetiche devono essere intese come “modi”
di servirsi dell’unico vero linguaggio, che è quello poetico)
e le produzioni con contenuto lirico, fantastico (al posto di quelle
più razionali, concettuali); il simbolo della poesia per il
nostro filosofo fu l’Ariosto, definito come poeta dell’“armonia” in
“Ariosto, Shakespeare e Corneille”.
Infine sull’arte si deve ricordare che per Croce non sono possibili
le traduzioni, “in quanto abbiano la pretesa di effettuare il
travasamento di un’espressione in un’altra, come di un liquido da un
vaso in un altro di diversa forma. Noi possiamo elaborare
logicamente ciò che prima abbiamo elaborato solo in forma
estetica; ma non possiamo, ciò che ha avuto già la sua
forma estetica, ridurre ad altra forma, anche estetica.” (da
“Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale,
1904, II edizione).
Logica: si propone di studiare la struttura generale dello Spirito,
ed in parte, quindi, ne abbiamo già parlato con la
dialettica; essa viene definita anche “scienza del concetto puro”,
che è l’universale concreto (come già detto, esso
è razionale, universale e concreto), chiamato anche
“trascendentale”, e guardandolo nella forma, esso naturalmente
è unico (“non sussistono più forme nel concetto, ma
una sola”), la forma teoretica universale dello spirito è una
sola (la logica, appunto), e quando penso una varietà di
concetti, è chiaro che si riferiscono ad altrettanti oggetti
che vengono pensati in quella forma. C’è un’idea comune tra
estetica e logica, infatti il concetto ha carattere di
espressività, è quindi opera conoscitiva, opera
espressa dello Spirito, ed essendo quindi il pensare anche
esprimere, parlare, “chi non esprime o non sa esprimere un concetto,
non lo possiede” (la stessa cosa accade, abbiamo già visto,
per l’intuizione estetica).
Il concetto puro è diverso da una rappresentazione empirica
(ad es.: “biancospino”, “gatto”, “matita”), ed anche dai concetti
usati dalle scienze, che sono concetti astratti (ad es.: “cerchio”),
e vengono definiti dal Croce come “pseudo-concetti”, poiché
non hanno un elemento corrispondente nella realtà: gli
pseudo-concetti si distinguono così in empirici e puri,
entrambi sono privi di carattere logico, ma sono di grande
utilità (organizzano le nostre esperienze ed aiutano la
nostra memoria), perciò sono propri dell’Economia, ed a
quest’attività pratica dello Spirito vengono ad appartenere
tutte le scienze empiriche e matematiche.
Nella logica crociana concetto, giudizio e sillogismo vengono a
coincidere, vediamo il perché: il giudizio è concetto
puro, ed il “concetto stesso nella sua effettualità” è
l’universale concreto; quando pensiamo un concetto, lo pensiamo
nelle sue distinzioni, lo mettiamo in relazione cogli altri concetti
e lo unifichiamo con essi “nell’unico concetto” (cioè in
un’unica forma concettuale), e perciò si ha un sillogismo.
Nell’ambito della logica c’è un’altra identificazione, quella
tra giudizio definitorio (es.: “l’arte è intuizione lirica”)
e giudizio individuale (es.: “l’Orlando furioso è un’opera
d’arte”), poiché il giudizio individuale ci fa conoscere
concretamente il mondo (e di conseguenza possedere), un giudizio,
attribuendo un predicato ad un oggetto, lo valorizza come elemento
partecipe della realtà.
È possibile dire che il giudizio definitorio è il
predicato del giudizio individuale (se dico che l’Orlando furioso
è un’opera d’arte, affermo che l’Orlando furioso è
quello che si è definito per opera d’arte dando un giudizio
definitorio, ed intanto dico anche che è intuizione lirica).
Per questi motivi il giudicare è un atto logico che è
sintesi a priori logica. Da ciò consegue che filosofia e
storia coincidono (“non sono già due forme, sibbene una forma
sola, e non si condizionano a vicenda, ma addirittura si
identificano”), perché la sintesi a priori è
concretezza sia della filosofia che della storia, ed “il pensiero,
creando se stesso, qualifica l’intuizione e crea la storia”).
Ultimo aspetto della logica, la sua estraneità all’errore:
per Croce l’errore infatti ha una natura pratica, non può
appartenere alla conoscenza (che è assoluta, proprio
perché è conoscenza), non corrisponde al conoscere, ma
all’agire, appartiene non al pensiero ma alle azioni umane, che
possono essere sbagliate; una persona quindi sbaglia quando,
parlando, emette dei suoni “ai quali non corrisponde un pensiero, o,
che è lo stesso, non corrisponde un pensiero che abbia
valore, precisione, coerenza, verità”.
Economia: l’attività pratica dello Spirito, abbiamo
già visto, non produce conoscenze ma azioni, e l’azione
coincide con la volontà (già Kant…), poiché non
c’è volizione senza azione, né azione senza volizione;
quando noi desideriamo, vogliamo, aspiriamo, abbiamo un fine, e se
questo fine è individuale, si ha un’attività
economica. L’attività economica “vuole ed attua ciò
che è corrispettivo soltanto alle condizioni di fatto in cui
l’individuo si trova”, ed in questa sfera rientrano gli
pseudo-concetti e le scienze empiriche e matematiche, come detto
precedentemente, ma anche il diritto, l’attività politica, la
vita stessa dello Stato, che, come già Machiavelli aveva
affermato, non ha una natura etica, ma utilitaria (e quindi,
appunto, economica).
Vediamo meglio questi tre elementi: per quanto riguarda il diritto,
apparentemente sembra contraddirsi il nostro pensatore, quando mette
lo stesso nella sfera dell’economia e non in quella che ci pare
più ovvia, quella dell’etica: ciò si spiega col fatto
che per il nostro i valori del diritto non sono gli stessi valori
della morale, avendo logica e fini diversi: quest’ipotesi viene
avvalorata dal fatto che anche una società per delinquere ha
una propria giuridicità (basti pensare ai patti tra
criminali, od anche solo alle famiglie mafiose, che difficilmente
hanno obiettivi etici).
La politica, invece, penso che appaia ad ognuno di noi del tutto
naturale se messa nella sfera dell’economia: essa viene vista dal
Croce come incontro/scontro tra interessi opposti, e questo scontro
non sempre avviene secondo leggi etiche, ma piuttosto secondo leggi
di forza, ma ciò non è visto negativamente, essendo
simbolo di forza, vigore degli individui. Lo Stato si basa anch’esso
non su un’Idea (astratta), ma sulla realtà (concreta), fatta
di individui che con le proprie azioni stabiliscono, “producono”,
leggi, istituzioni, strutture, usi, che riflettono le loro
volontà.
Lo Stato è quindi il prodotto delle azioni di un insieme di
persone, ed è dato dalle mediazioni forza/consenso e
autorità/libertà, e di questi 4 elementi il filosofo
valorizza quello dell’autorità, perché essa garantisce
l’ordinato svolgersi della vita pubblica, e perciò critica
l’ideologia democratica, i cui valori (libertà, uguaglianza,
fratellanza) non sono certo negativi, ma forse un po’ troppo
astratti.
È nell’economia che si riflette la vita dell’uomo, la sua
natura, il “pratico processo dei desideri, degli appetiti, delle
cupidità, delle soddisfazioni e insoddisfazioni risorgenti,
delle congiunte commozioni, dei piaceri e dei dolori”, ma non
è un ambito irrazionale, essendoci un principio che vi opera:
esso è l’utile (ed ha come opposto il dannoso). L’utile
è visto come un valore positivo, anche se spesso si scontra
con gli altri valori, ma è in virtù dell’utile che
l’uomo organizza la propria vita e le proprie relazioni, così
come fanno i gruppi di uomini (probabilmente gli studi sul marxismo
l’hanno aiutato in questa elaborazione): mi sembra indiscutibile a
questo punto che nella filosofia crociana ci sia una buona sintesi
tra idealismo e realismo.
All’economia come la intendiamo oggi, scienza che si andava
sviluppando proprio nell’epoca in cui visse il nostro filosofo, egli
non guardò con molta simpatia, accusandola di produrre una
conoscenza troppo astratta ed astorica.
Etica: è l’attività pratica dello Spirito che si
verifica quando il fine che noi desideriamo è universale
(quando è individuale è l’economia, come detto prima);
questo universale è lo Spirito stesso, Realtà “come
unità di pensiero e volere”; l’attività etica vuole ed
attua ciò che corrisponde alle condizioni di fatto in cui una
persona si trova, ma si riferisce a qualcosa che le trascende.
L’uomo morale quando vuole l’universale (ciò che lo trascende
come individuo) guarda “allo Spirito, alla Realtà reale, alla
Vita vera, alla Libertà”, in questo modo chi agisce trascende
i propri interessi, che sono “particolari” (l’utile), per cogliere
valori universali (il bene)
L’etica ha un carattere di totalità, perché l’agire
secondo morale raccoglie e “sublima” dentro di sé le diverse
istanze date dai diversi fattori che compongono la realtà
individuale e sociale; l’ideale supremo di quest’etica è la
Vita, che dà valore e sviluppa l’agire umano, infatti tutte
le azioni degli uomini che siano conformi al dovere etico sono
conformi alla vita, e se la deprimessero e mortificassero, sarebbero
immorali.
Evidentissima la critica contro lo Stato che Giovanni Gentile
definì sotto la voce “Fascismo” nell’enciclopedia Italiana
Treccani, poiché esso viene visto come entità che
ingloba in sé gli individui, che è artefice della
legge (e fin qui Croce sarebbe d’accordo), e che è artefice
anche della morale, ed in seguito il Gentile parlò anche di
“Stato etico” (eredità di Hegel, filosofo dal quale anche
Croce era partito, ma con conclusioni diverse, come abbiamo visto).
Storia: non è una delle 4 forme dello spirito, ma un altro
“capitolo” della filosofia crociana. Abbiamo già visto come
filosofia e storia coincidono, poiché (ripetiamolo) il
pensiero autentico è pensiero dell’universale concreto, ed il
giudizio definitorio coincide col giudizio individuale; da
quest’uguaglianza deriva che qualsiasi realtà alla quale il
giudizio storico si riferisce, nascendo quest’ultimo da un bisogno
pratico (quello di risolvere i problemi della situazione presente),
diventa attuale. Vediamo facilmente anche come la storia sia vera
conoscenza del reale, una sintesi a priori tra intuizione e
categoria; secondo il filosofo tutto è storia: tale teoria
viene definita come “Storicismo assoluto”. Nulla sta al di sopra
della storia, per cui non ci sono idee o valori eterni, e la storia
non è mai “giustiziera”, ma sempre “giustificatrice”: uno
storico deve solo conoscere e comprendere certi avvenimenti, senza
giudicarli; questo potrebbe essere visto come una contraddizione del
nostro pensatore, poiché condannò il fascismo (che
è un evento storico).
Per Benedetto ciò che è reale è necessariamente
razionale, ma afferma essere razionale anche l’imperativo morale:
non giustificò mai il fascismo, ma lo lesse come “malattia
morale”, una parentesi nella storia dell’Italia (espresse questa
teoria sul New York Times nel novembre del 1943, la riprese in un
discorso tenuto nel gennaio del 1944 a Bari, al I Congresso dei
Comitati di Liberazione Nazionale, ed in un’intervista del marzo
1947). La storia, non potendo giudicare, non può né
lodare né biasimare un evento: la lode od il biasimo
riguardano un singolo nel momento in cui agisce, ma quando la sua
azione è diventata evento, non può più essere
giudicata. La storia, inoltre, non si deve discutere coi “se” (es.:
“se Garibaldi non avesse organizzato la Spedizione dei Mille…”),
perché essendo lo Spirito immanente alla storia, il “se”
negherebbe il nesso logico e razionale dell’universale concreto; il
“se” non deve riguardare nemmeno l’individuo singolo (“se non avessi
fatto l’errore di…”), perché l’individuo è ciò
che è, è se stesso, proprio perché ha compiuto
ciò che ha compiuto.
La storia ha un effetto catartico: conoscendola, noi che siamo
prodotti del passato (già i Decadentisti sottolineavano come
l’uomo fosse risultato del passato e seme che germoglierà nel
suo futuro), ci liberiamo da esso (già Goethe affermava che
scrivere storia è un modo per toglierci dalle spalle il
passato ed affrancarci da esso). La storia inoltre ha un carattere
di positività, perché analizzando un evento storico si
deve sempre captarne l’intimo senso e razionalità, per quanto
negativo l’evento possa apparire. Nella storia, inoltre, c’è
un nesso di pensiero ed azione, infatti la conoscenza storica
stimola l’azione, ma è essa stessa stimolata dall’azione.
La nostra epoca presta minor attenzione alla dialettica crociana, e
si concentra di più sullo studio degli altri aspetti della
filosofia del Croce, una filosofia, direi, molto semplice da
comprendere, leggendo gli stessi libri del nostro filosofo, scritti
con un stile vivo e chiaro (si dice che pensasse in napoletano e poi
traducesse le sue intuizioni sulla carta). Ci sono però degli
effetti negativi nell’attività di Benedetto: la sua critica
letteraria tenne l’Italia al di fuori delle novità che
maturavano altrove, la sua svalutazione delle scienze della natura
approfondì il solco tra cultura umanistica e cultura
scientifica, e l’avversione alle scienze umane e sociali
(perché cercavamo di “invadere” con metodi empirici il campo
filosofico delle scienze dello spirito) ha ritardato lo sviluppo in
Italia della linguistica moderna, della psicologia e della
sociologia.
"Un sistema filosofico è una casa che, subito dopo costruita
e adornata, ha bisogno di un lavorio, più o meno energico, ma
assiduo di manutenzione, e che a un certo punto non giova più
restaurare e puntellare, e bisogna gettare a terra e ricostruire
dalle fondamenta. Ma con siffatta differenza capitale: che,
nell'opera del pensiero, la casa perpetuamente nuova è
sostenuta perpetuamente dall'antica, la quale, quasi per opera
magica, perdura in essa. "
("Breviario di estetica")
INDICE
INTRODUZIONE AL NEO-HEGELISMO ITALIANO
LA VITA E I RAPPORTI CON GENTILE
IL PENSIERO
INTRODUZIONE AL NEO-HEGELISMO ITALIANO
L'indirizzo di cui Croce e Gentile sono espressione ha preso
originariamente l'insegna del neo-hegelismo: è cioè
l'indirizzo corrispettivo in Italia agli analoghi indirizzi di
ritorno a Hegel che, marginalmente però ad altre correnti di
pensiero, fiorivano tra l'Otto e il Novecento anche in altri Paesi.
Per quanto riguarda nondimeno in particolare i due pensatori
italiani, è più vivo e più accentuato in essi,
rispetto a tutti gli altri, l'intento di operare una revisione
critica innovatrice dell'hegelismo. E, ad onor del vero, dei due
è più propriamente hegeliano Gentile, per essersi
formato direttamente alla scuola, rigida e metafisicizzante, di
Spaventa. Nipote di Spaventa, invece, Croce si è formato alla
scuola del de Sanctis (risalendo, attraverso il de Sanctis, a Vico)
e del Labriola (risalendo, attraverso il Labriola, a Herbart e a
Marx), cosicchè alla diretta conoscenza del pensiero
hegeliano egli è giunto (per influenza del suo stesso amico
Gentile) solo in una fase giù matura (nel 1905) del suo
sviluppo intellettuale.
Sia Croce sia Gentile hanno accolto del pensiero di Hegel il
principio animatore: l'idea cioè dello Spirito come
attività dialettica che si svolge nel ritmo di sempre
rinascenti opposizioni. E' il principio per il quale la
realtà è attività pensante, è Soggetto
che si oggettiva e si naturalizza per tornare in se stesso fatto
più altamente personale e più consapevole.
Diversamente da Hegel, tuttavia, essi prescindono del tutto, nella
loro speculazione, dai problemi della natura, ritenendo pertinenti
alla vita dello spirito solo i problemi propriamente umani. Ne
consegue che non si è avuta in Italia la polemica che invece
divampò e fu assai vivace nel mondo culturale tedesco tra
scienziati assertori del metodo sperimentale e hegeliani
propugnatori d'una razionalistica e aprioristica interpretazione
della natura. In Italia, al contrario, l'indifferenza di Croce e di
Gentile per i problemi della scienza ha solo concorso (in
virtù del peso culturale dei due personaggi) ad approfondire
il solco tra ricerca scientifica e investigazione filosofica, a
rendere estranea quella a questa e, di conseguenza, questa a quella.
Ne deriva dunque anche la crescente influenza ch'essi hanno
esercitato nel campo letterario e nella vita politica del Paese: nel
campo letterario hanno notevolmente innovato gli studi di estetica e
di ricerca storica, giungendo per tale via a diffondere largamente
tra le giovani generazioni del loro tempo il gusto e il modo della
visione e della valutazione idealistica dei relativi problemi. Nella
vita politica hanno esercitato un'influenza ancor maggiore e,
soprattutto, ancor più differenziata: Croce s'è fatto
espressione ideologica delle istanze liberali, Gentile è
divenuto il filosofo e, al tempo stesso, il padre ideologico del
fascismo.
LA VITA E I RAPPORTI CON GENTILE
La vita dei due filosofi si intreccia strettamente per una lunga
serie dapprima di reciproci rapporti, successivamente di reciproci
contrasti. Benedetto Croce, nato a Pescasseroli, in Abruzzo, il 25
febbraio 1866 da famiglia assai agiata e formatosi negli anni
universitari a Roma presso il Labriola, si trasferì intorno
all'86 a Napoli, dove visse da allora la sua lunga e operosa vita.
Dalle iniziali ricerche di carattere erudito nel campo dell'arte e
della storia egli passò ben presto all'indagine sulla natura
stessa dei problemi di cui si era venuto occupando. Un primo
tentativo di dare ad essi una sistemazione teoretica lo troviamo nel
suo saggio giovanile "La storia ridotta sotto il concetto generale
dell'arte" (1893): saggio nel quale, in polemica con la visione
naturalistica dei positivisti, egli asserisce appunto che il
conoscere storico dev'essere ricondotto sotto il concetto generale
dell'arte, cosicchè gli eventi umani non sono, come i
fenomeni fisici, soggetti a un principio meccanico di
necessità, ma sono, come le figurazioni artistiche,
espressione di una libera attività creatrice. Ciò che
nondimeno resta indeterminato nel saggio è il concetto stesso
di arte: ed è proprio su tale concetto che Croce, negli anni
successivi, concentrò la propria attenzione.
Frutto di tali sue meditazioni fu la pubblicazione, avvenuta nel
1902, dell' "Estetica come scienza dell'espressione e linguistica
generale". Da quest'opera, che è la prima grande opera
crociana, egli trasse via via, come per sviluppo sempre maggiore di
concetti già impliciti embrionalmente, le altre opere: la
"Logica come scienza del concetto puro" (1909), la "Filosofia della
pratica, economica ed etica" (1909), la "Teoria e storia della
storiografia" (1917). Sono queste le opere che formano la
tetralogia, in cui Croce ha dato trattazione organica di sistema al
suo pensiero, alla sua Filosofia dello Spirito.
Ma, congiuntamente ad esse, egli pubblicò negli stessi anni
una serie di saggi (sul materialismo storico, su Hegel, su Vico,
ecc), traendo di volta in volta in tali saggi le conclusioni del suo
dialogo ideale coi filosofi con cui era venuto direttamente o
indirettamente a contatto per l'influenza del De Sanctis, di
Labriola e di Gentile.
Proprio Gentile fu suo collaboratore per circa vent'anni nella
rivista " La critica ", da lui fondata nel 1903 e diretta
ininterrottamente per più di quarant'anni. Con " La critica "
egli si foggiò lo strumento della più larga
penetrazione nella vita culturale dell'Italia, orientando le giovani
generazioni per lungo tratto di tempo così come prima dopo
l'avvento del fascismo.
L'avvento del fascismo segna il progressivo distacco di Croce da
Gentile, o, meglio, di Gentile da Croce: l'accentuato contrasto o
atteggiamento critico di Gentile verso il pensiero di Croce e,
più ancora, la diversa posizione da essi assunta nei
confronti della dittatura fascista valsero a cambiare i loro
rapporti di sincera amicizia in rapporti d'irriconciliabile
inimicizia. Se, infatti, Gentile aderì pienamente al nuovo
regime dittatoriale e soffocatore di ogni libertà e se ne
fece anzi propugnatore, Croce, dopo un periodo d'incertezza e di
cautissima adesione, si scostò da esso e decisamente gli si
oppose, giocando contro il fascismo la carta di un liberalismo ormai
tramontato definitivamente.
E bisogna riconoscere che Croce fu l'unico oppositore del regime a
non essere brutalmente massacrato (come invece accadde a Gobetti) o
indegnamente incarcerato (come accadde a Gramsci): gli fu anzi
sempre riconosciuta la sua carica di senatore, forse anche in
virtù del fatto che la sua era un'opposizione meramente
teorica e che si appellava ad un liberalismo ormai incompatibile con
la nuova temperie culturale e con la situazione in cui l'Italia
versava; tanto più che il fascismo ci teneva a dimostrarsi un
regime "aperto", pronto a dar voce agli oppositori.
Liberale conservatore, Croce vide dapprima nel fascismo un'utile e,
come s'illudeva, temporanea forza di contenimento del movimento
socialista, il quale, dopo il celebre "biennio rosso" (1918-1920),
pareva avanzasse quasi a travolgere anche in Italia come in Russia
le dighe della struttura borghese della società. Ma,
trasformatosi il nuovo regime in dittatura permanente col colpo di
stato del 3 gennaio 1925, le istanze liberali prevalsero sempre
più nel suo animo e lo indussero, senza comunque smettere
l'aspra polemica contro il socialismo (per il quale da giovane aveva
pure simpatizzato), ad avversare senza più esitazioni il
totalitarismo fascista: si accorse che il fascismo, seppur idoneo
per tenere a bada gli appetiti socialisti e per conservare la
società così com'era, non era uno strumento di cui ci
si poteva servire solo quando faceva comodo per poi rimetterlo nel
cassetto; viceversa, il fascismo era una malattia passeggera dello
Stato, quasi una sorta di deviazione nel corso assolutamente
razionale della storia: si trattava dunque, una volta terminata la
parentesi fascista, di ritornare allo Stato liberale vigente prima
dell'avvento della "malattia" fascista.
Il liberalismo di cui Croce si fece vessillifero fu, tuttavia,
sempre di stampo conservatore, senza troppe aperture sul versante
socialista: quando gli parlarono della possibilità di creare
un liberal-socialismo, che coniugasse le istanze proprie del
socialismo con quelle proprie della tradizione liberale (nella
convinzione che la vera libertà è possibile solo in
condizioni di uguaglianza sociale), Croce bollò questa
iniziativa come "ircocervo", ovvero come fantasticheria inattuabile.
Croce, poi, rispose al manifesto con cui Gentile aveva raccolto
l'adesione al fascismo da parte di alcuni intellettuali fascisti
(tra cui Pirandello) con un manifesto di vibrante protesta firmato
da un mare magnum di intellettuali antifascisti (tra cui ricordiamo
Antonio Banfi).
In questa seconda fase della sua vita Croce venne pertanto
gradatamente accentuando il suo interesse speculativo per il
problema politico (che aveva fin da allora considerato con un certo
distacco), per il problema di un più intimo nesso tra il
pensiero e l'azione, per il problema della libertà (centrale
in Hegel). Frutto di tali sue nuove meditzioni è la
pubblicazione in questo periodo di una serie di scritti, di cui
meritano di essere menzionati, per la grande risonanza che ebbero e
per la larga efficacia educativa che esercitarono sui giovani di
allora, la "Storia d'Italia dal 1871 al 1915" (1928), la "Storia
d'Europa nel secolo XIX" (1932), " La storia come pensiero e come
azione " (1938). Sono gli scritti nei quali la nozione di
libertà è, secondo la stessa espressione crociana,
innalzata a "religione della libertà" e identificata con lo
Spirito nel suo dispiegarsi.
La definizione molto vaga (e pressochè mistica) del problema
della libertà doveva rivelarsi nondimeno, per l'istanza
morale da cui procedeva, strumento efficace di educazione
antifascista, finchè il fascismo imperò nel Paese; e
anche, caduto il fascismo, continuò a ispirare in qualche
modo le nuove generazioni nella loro azione per la ricostruzione del
Paese, ma impregnandosi via via di nuove e più concrete
istanze, in virtù delle quali non pochi degli antichi
discepoli di Croce finirono col prendere, un poco alla volta, altre
vie. Croce sopravvisse all'avversato regime: con la caduta di esso,
però, riprese con rinnovato vigore, nella mutata condizione
culturale determinatasi nel Paese, la polemica contro il marxismo.
Si spense nel 1952, circondato dalla generale stima per quel che il
suo nome aveva significato, per circa cinquant'anni, nella vita
culturale della penisola. Egli fu una delle menti più
poliedriche e versatili che il Novecento ricordi.
IL PENSIERO
Croce è, secondo la sua stessa definizione, il "filosofo dei
distinti": nella sua revisione della dialettica hegeliana, infatti,
egli ha scoperto che l'errore precipuo di essa sta nel confondere
insieme concetti puri e concetti empirici da un lato, momenti
opposti e momenti distinti dall'altro lato. E in realtà altra
cosa sono, egli dice, i concetti puri (o categorie filosofiche), che
concernono le forme fondamentali dell'attività dello spirito;
altra cosa sono i concetti empirici (o pseudoconcetti), che
risultano da pure generalizzazioni e classificazioni, utili ai
bisogni della pratica, ma destituite di ogni verità. Solo i
concetti puri sono, nel senso hegeliano dell'espressione, universali
concreti; solo per mezzo di essi è dato concepire la
realtà spirituale (che è la sola realtà e la
sola universalità) nella sua concretezza, nel suo concreto
dispiegarsi o procedere secondo il movimento dialettico che le
è proprio. Gli pseudoconcetti , invece, sono o
universalità senza concretezza (come le astrazioni
matematiche) o concretezza senza universalità (come le
empiriche e sempre mutevoli classificazioni delle scienze naturali).
Il vizio della filosofia hegeliana della natura, ed in parte anche
di quella dello Spirito, risiede pertanto, secondo Croce, nell'aver
voluto includere nel procedimento dialettico molti concetti empirici
che, come determinazioni irrigidite e astratte, non sono per questo
stesso motivo suscettibili di mediazione, di sintesi. Ma, per quel
che riguarda i concetti puri, nell'ambito solo di ciascuno di essi,
è valido il procedimento dialettico degli opposti, afferma
Croce: il procedimento per il quale i termini dell'opposizione si
risolvono nella sintesi, perdendo in essa ogni loro esistenza
distinta. Nei loro reciproci rapporti, invece, i concetti puri non
si risolvono l'uno nell'altro, ma restano sempre distinti l'uno
dall'altro: vale per essi un diverso principio di unificazione
filosofica. Ecco perché Croce sdoppia l'unica dialettica
hegeliana in una dialettica degli opposti e in una dialettica dei
distinti: l'errore di Hegel, infatti, consiste, stando a Croce,
nell'aver esteso indebitamente la dialettica degli opposti ai
distinti, cioè ai concetti puri o alle forme categoriali
dello Spirito: “Hegel non fece, fra teoria degli opposti e teoria
dei distinti, la distinzione importantissima, che io mi sono
sforzato di dilucidare. Egli concepì dialetticamente, al modo
della dialettica degli opposti, il nesso dei gradi; e applicò
a questo nesso la forma triadica, che è propria della sintesi
degli opposti. Teoria dei distinti e teoria degli opposti
diventarono per lui tutt’uno” ( “Ciò che è vivo e
ciò che è morto della filosofia di Hegel”, cap. IV).
Il vero precursore della dialettica dei distinti è da Croce
ravvisato, più che in Hegel, in Vico: secondo Croce, tra le
forme dell’attività spirituale si svolge l’eterno processo,
che Vico aveva chiamato “storia ideale eterna”; queste forme,
infatti, sono eterne, ma si sviluppano e manifestano di volta in
volta arricchite di nuovi contenuti. Pubblicato come volume autonomo
nel 1906, il saggio “Ciò che è vivo e ciò che
è morto della filosofia di Hegel” (tradotto presto anche in
francese e in tedesco) è emblematico a partire dal titolo:
esso simboleggia l’atteggiamento con cui Croce guarda ai filosofi
del passato per trarne alimento al proprio pensiero e, in
particolare, con cui si rapporta a Hegel.
Questi, secondo il filosofo abruzzese, ha fatto oggetto del suo
pensiero “non solo la realtà immediata, ma la filosofia
stessa, contribuendo per tal modo a elaborare una logica della
filosofia”. Contro ogni filosofia meramente individuale fondata su
una conoscenza immediata, egli ha rivendicato la centralità
del metodo della filosofia e della teoria di questo metodo.
Nell’affrontare questo problema, Hegel ha individuato l’importanza
della dialettica degli opposti, come motore del processo della
realtà e del pensiero, ma ha commesso l’errore di estendere
questa forma di dialettica anche al rapporto fra le forme
dell’attività spirituale. Su questo punto, Croce non
può più seguirlo, sicchè la coscienza moderna,
a suo avviso, si troverebbe di fronte a Hegel come il poeta latino
di fronte alla sua donna, quando affermava “nec tecum vivere possum,
nec sine te”.
E in realtà bello e brutto, vero e falso, utile e dannoso,
bene e male sono realmente termini opposti tra loro: vale per essi
il principio hegeliano secondo cui il termine positivo (il bello, ad
esempio) non ha vita se non trionfando sul negativo (il brutto).
Nell'ambito di ciascuna di queste coppie di opposti dunque ogni
termine ha significato solo nell'altro e per l'altro (chi prende il
vero senza il falso, il bene senza il male, fa del vero qualcosa di
non pensato - perché pensiero è lotta contro il falso
- e quindi qualcosa di non vero; del bene qualcosa di non voluto -
perché volere il bene è negare il male - e quindi
qualcosa di non buono): al di fuori della loro sintesi, che sola
è reale, gli opposti non sono, in conclusione, che delle
vuote astrazioni. Ma lo stesso non può dirsi di ciascuno dei
termini positivi che si son sopra elencati (il bello, il vero,
l'utile, il bene): nei loro rapporti, infatti, essi non si annullano
l'uno nell'altro, ma si armonizzano l'un con l'altro. Sicchè
il vero non sta al falso nello stesso rapporto in cui sta al buono,
il bello non sta al brutto nello stesso rapporto in cui sta alla
verità filosofica: bello e vero, vero e bene sono invece tra
loro in un nesso di gradi, per il quale bello, vero e bene sono
forme distinte e insieme unite.
Questa unità-distinzione è il nesso, è la
dialettica dei distinti o, meglio, la dottrina dei gradi dello
Spirito. Per essa, lo Spirito si distingue in due gradi teoretici
(mediante cui l'uomo vede, comprende le cose) e in due
corrispondenti gradi pratici (mediante cui l'uomo muta, crea le
cose).
Le forme proprie dei due gradi teoretici sono quella, estetica,
dell'intuizione o della visione-espressione dell'individuale e
quella, logica, della concezione dell'universale. Le forme proprie
dei due corrispondenti gradi pratici sono quella, economica, della
volizione del particolare e quella, morale, della volizione
dell'universale. Ne deriva che, come si è venuto chiarendo,
le quattro forme fondamentali dello Spirito sono: quella estetica
del bello, quella logica del vero, quella economica dell'utile,
quella morale del bene. All'infuori di tali forme non vi sono altri
concetti puri, non vi sono altri valori in cui o mediante cui si
esplichi l'attività dello Spirito.
Evidente è, nella loro determinazione, l'influenza che,
attraverso Labriola, hanno esercitato su Croce la triade
herbartiana, per un verso, dei tre supremi valori del vero, del bene
e del bello e la concezione di Marx, per l'altro, del valore
assoluto dell'attività economica: i quattro valori, fusi in
unità di sistema, sono gli elementi costitutivi del pensiero
crociano.
Il rapporto tra queste quattro forme dello Spirito è tale che
il passaggio, nell'attività teoretica, al grado superiore
della concezione dell'universale può avvenire solo attraverso
il grado inferiore dell'intuizione dell'individuale: nel senso che
la logica, in quanto produttrice di concetti, implica l'estetica,
mera produttrice di intuizioni (non può esservi concetto
senza intuizione) e non viceversa (cosicchè può
esservi intuizione senza concetto).
E, in modo corrispettivo, il passaggio, nell'attività
pratica, al grado superiore della volizione dell'universale
può avvenire solamente attraverso il grado inferiore della
volizione del particolare: nel senso appunto che anche per
l'attività pratica vale il criterio che la morale implica
l'economia (non può esservi azione morale senza la
consapevolezza che l'ideale etico rappresenta il grado più
alto di utilità), non viceversa (sicchè può
esservi azione volta al perseguimento del mero vantaggio
individuale, del tutto scevra di preoccupazione morale). E le due
attività teoretica e pratica sono, infine, anch'esse legate
l'una all'altra in modo tale che la prima è presupposto e
condizione del dispiegarsi della seconda (l'agire è un agire
secondo ragione, secondo conoscenza); e la seconda, a sua volta,
è presupposto e condizione dell'ulteriore dispiegarsi della
prima (per ciò che diventa materia di nuova intuizione, di
nuova conoscenza).
E' così che, secondo Croce, il ciclo teoretico-pratico si
rinnova eternamente ed eternamente si arricchisce, nell'incessante
svolgersi e crescere su se stesso della realtà spirituale. Di
conseguenza, per la circolarità della vita spirituale appena
illustrata, le quattro sue forme s'implicano a vicenda: si affermano
tutte insieme nella loro positività e nella
solidarietà che le lega e le fa compresenti in ogni singolo
momento della vita dello Spirito. In questo propriamente consiste il
rapporto di unità-distinzione: rapporto per il quale le
quattro forme categoriali sono distinte nell'unità dello
Spirito o (il che è la stessa cosa) lo Spirito è uno
nella distinzione delle sue forme.
Ora, passando ad esaminare il modo di esplicarsi delle singole
forme, la prima forma dello Spirito teoretico è l' arte , la
conoscenza intuitiva. L'arte è, cioè,
visione-espressione di un'immagine contemplata per sé, senza
che ci si chieda se essa sia corrispettiva o meno a una
realtà oggettiva o che si tenti di determinare la natura
della realtà di cui è espressione: essa è,
perciò, solo conoscenza intuitiva, non conoscenza concettuale
del contenuto della vita dello Spirito. E, oltre a non essere
conoscenza concettuale, l'arte, a maggior ragione, in quanto forma
teoretica, non è né atto utilitario, né atto
morale: non è, cioè, né determinazione
dell'utile, né in dipendenza di un fine morale. Ciò
che conferisce unità e significato all'intuizione artistica
è il sentimento: non il sentimento immediato, nella sua
tumultuosa passionalità, bensì il sentimento mediato
e, per così dire, trasfigurato, elevato a pura forma, a pura
immagine, a pura espressione. Ciò equivale a dire che l'arte
è intuizione lirica, è sintesi a priori di sentimento
e di immagine, è unità indissolubile di contenuto (il
sentimento) e di forma (l'immagine, l'espressione).
Ne deriva che per Croce l'arte, in quanto intuizione di un
sentimento, di un contenuto di vita, si identifica con l'espressione
stessa di quel sentimento, di quel contenuto di vita: l'intuizione
è la stessa espressione, l'espressione è la stessa
intuizione. E da tale identificazione deriva anche, secondo Croce,
l' identificazione di linguaggio e di poesia : è questo il
motivo in parte tratto dalle dottrine del Romanticismo e, più
ancora, dalla viva esperienza critica del De Sanctis e, attraverso
il De Sanctis, dalla filosofia di Vico; ed è questo il motivo
per il quale il linguaggio non è un segno convenzionale
mediante cui gli uomini comunicano tra loro, ma è espressione
viva, immagine spontaneamente prodotta dalla fantasia, dallo
Spirito. Con l'identificazione di linguaggio e di poesia si spiega
l'universalità dell'arte: il linguaggio poetico, quali che
siano i modi tecnici (del suono, del colore, ecc) attraverso cui
è espresso, è il linguaggio stesso degli uomini;
quindi ogni uomo ha il potere di aprirsi una suggestione dell'arte,
di rivivere in sé, contemplandola, l'opera d'arte, in
qualsiasi tempo o luogo sia stata creata.
Altra considerazione relativa all'arte è che, risolto il
concetto di arte in quello di intuizione lirica, è negata da
Croce ogni validità alla tradizionale dottrina dei generi
letterari: alla dottrina che, come dice, è del tutto estranea
al problema estetico ed è solamente espressione del bisogno
pratico (economicistico, classificatorio) dello Spirito e, di
conseguenza, è solamente costruttrice di preconcetti.
All’estetica Croce dedica l’opera “Estetica come scienza
dell’espressione e linguistica generale”: essa (che è l’opera
che diede immediata celebrità a Croce) è lo sviluppo
di una memoria che il filosofo aveva letto in tre sedute,
all’Accademia Pontaniana di Napoli nel 1900. Croce individua i
caratteri costitutivi dell’arte nel fatto di essere conoscenza
intuitiva, inscindibile dall’espressione. L’espressione,
però, non deve essere confusa con l’estrinsecazione fisica in
lettere scritte, suoni o colori materiali: Croce chiarisce che
questo aspetto rientra nell’attività pratica dello Spirito,
non in quella conoscitiva che è specifica dell’arte.
Curioso è il metodo impiegato da Croce: egli procede alla
determinazione dei significati dei concetti mediante negazioni e
distinzioni rispetto ad altri concetti imparentati o affini o
opposti. “La conoscenza ha due forme: è o conoscenza
intuitiva o conoscenza logica; conoscenza per la fantasia o
conoscenza per l’intelletto; conoscenza dell’individuale o
conoscenza dell’universale; delle cose singole ovvero delle loro
relazioni; è, insomma, o produttrice d’immagini o produttrice
di concetti. […] Della conoscenza intellettiva c’è una
scienza antichissima e ammessa indiscussamente da tutti, la Logica;
ma una scienza della conoscenza intuitiva è appena ammessa, e
timidamente, da pochi. La conoscenza logica si è fatta la
parte del leone; e, quando addirittura non divora la sua compagna,
le concede appena un umile posticino di ancella o di portinaia. Che
cosa è mai la conoscenza intuitiva senza il lume della
intellettiva? E’ un servitore senza padrone; e, se al padrone
occorre il servitore, è ben più necessario il primo al
secondo, per campare la vita. L’intuizione è cieca;
l’intelletto le presta gli occhi. Ora, il primo punto che bisogna
fissare bene in mente è che la conoscenza intuitiva non ha
bisogno di padroni; non ha necessità di appoggiarsi ad
alcuno; non deve chiedere in prestito gli occhi altrui perché
ne ha in fronte di suoi propri, validissimi. […] I concetti che si
trovano misti e fusi nelle intuizioni, in quanto vi sono davvero
misti e fusi, non sono più concetti, avendo perduto ogni
indipendenza e autonomia. Furono già concetti, ma sono
diventati, ora, semplici elementi d’intuizione. […] Noi non possiamo
volere o non volere la nostra visione estetica: possiamo,
bensì, volerla o no estrinsecare, o, meglio, serbare e
comunicare o no agli altri l’estrinsecazione prodotta.” (Estetica
come scienza dell’espressione e linguistica generale, parte I, cap.
I).
Croce impiega una procedura dicotomica, distinguendo le due forme
possibili di conoscenza, caratterizzate da due serie parallele di
proprietà; da una parte, la conoscenza intuitiva, che avviene
mediante la fantasia, ha per oggetto l’individuale, ossia
entità singole, e dà luogo alla produzione di
immagini; dall’altra, invece, la conoscenza logica (cui Croce
dedicherà una trattazione apposita, la “Logica come scienza
del concetto puro”), che avviene mediante l’intelletto, ha per
oggetto l’universale, cioè le relazioni tra le cose, e
dà luogo alla produzione di concetti. Contro la tradizionale
subordinazione della conoscenza intuitiva, immediata, rispetto a
quella intellettiva e concettuale, Croce rivendica a pieno titolo
l’autonomia e la dignità di essa.
In campo estetico, Croce mostra una netta chiusura verso l’allora
trionfante decadentismo: esso è, ai suoi occhi, una grave
malattia, una mancanza di sincerità, poiché con esso
si crede e non si crede, si annega la confusione mentale in un mare
magnum di parole altisonanti e suadenti che suggestionano, si creano
miti nei quali si finisce per credere troppo. In altre parole, la
cultura del decadentismo è un’offesa che l’uomo di cultura
conduce contro i suoi lettori; la stessa nascita della dittatura
fascista è da Croce, per alcuni versi, letta come produzione
estrema del decadentismo: per usare le sue stesse parole, è “
un’industria del vuoto ”, che si adopera per non produrre nulla.
La poesia, secondo Croce, non è tale in quanto dice belle
cose imbevute di patriottismo (com’era per D’Annunzio): la vera
poesia non è propagandistica, ma è intuizione pura,
rappresentazione alimentata da un forte sentimento individuale in
cui l’artista realizza una perfetta ed armoniosa fusione fra
contenuto e forma: tipico esempio è la figura di Polifemo,
che rappresenta in modo impeccabile la forza bruta. D’Annunzio
è, del resto, secondo Croce il “ padre spirituale ” del
nazionalismo italiano: il poeta e soldato, la cui sola musa fu la
violenza, è un mistificatore del pensiero di Nietzsche, dice
Croce, e ciò è perfettamente espresso nella frase
crociana “letto che ebbe qualcosa del Nietzsche”, con cui sottolinea
come D’Annunzio fosse andato incontro a colossali fraintendimenti
del pensiero nietzscheano, in buona parte dovuti al fatto che
l’aveva letto in modo non sistematico. Dal primo momento (appena
descritto) dello spirito teoretico si passa, nel sistema crociano,
al secondo momento, che è costituito dal pensiero logico .
Come l'arte è conoscenza dell'individuale, così il
pensiero logico è pensamento dell'universale; e, per il
principio dell'implicazione dei distinti, il pensamento
dell'universale è unità di universale e d'individuale,
di concetto e d'intuizione. Come tale, il pensiero logico è
rapporto di soggetto (ossia di un fatto, quale che esso sia) e di
predicato, è determinazione della particolarità del
fatto (che si è intuito) nell'universalità del
concetto (di cui lo si predica): è, in fin dei conti,
giudizio su singole realtà di fatto. E, giacchè il
giudizio sulle singole realtà di fatto è giudizio sui
fatti nel loro farsi (per la ragione che fatti che non si facciano,
che non diventano, o fatti per così dire immobili non si
ritrovano né si concepiscono nel mondo della realtà),
evidente è che tale giudizio è e non può essere
che un giudizio storico. Ne consegue che il pensiero logico
è, in quanto tale, un pensare storico: proprio in ciò
risiede la tesi portante della " Logica " e, anzi, di tutta l'opera
crociana.
E' la tesi per la quale la filosofia, scienza dei concetti, si
identifica con la storia, scienza dei giudizi: ecco perché
Croce può asserire che "i veri filosofi, se ne avvedessero o
no, non hanno mai fatto altro che rinvigorire e raffinare i concetti
per far sì che meglio si intendano i fatti, cioè la
realtà, cioè la storia"; è dunque necessario,
per usare le stesse parole impiegate da Croce, rendere "filosofica
la storia, ma nell'atto stesso storica la filosofia, e
indirizzandola a non altro che a risolvere i problemi che il corso
delle cose propone sempre nuovi".
Questa identità tra filosofia e storia implica un
approfondimento storico dei problemi della filosofia e, insieme, un
approfondimento filosofico della storia, cosicchè la storia
non si compendia in un'arida registrazione e giustapposizione di
nudi fatti individuali, ma in un'interpretazione e connessione
mentale di essi, per cui il loro svolgimento coincide con lo
sviluppo stesso della vita dello Spirito: e poiché lo Spirito
è pura razionalità, allora la storia (come già
aveva sottolineato Hegel) procede in modo assolutamente razionale.
L'identità della filosofia con la storia rappresenta, di
conseguenza, per Croce un'istanza decisiva contro la vecchiaia e,
possiam dire, teologica filosofia della storia, che avanzava la
pretesa di compendiare in astratti schemi e di predeterminare le
leggi del divenire storico: il divenire storico, viceversa, ha in se
stesso, e non fuori né al di sopra, la norma e la misura dei
suoi valori.
Ma, identificata la filosofia con la storia e intesa la storia come
una realtà piena dello Spirito, ne consegue anche che l'idea
di una scienza distinta ed autonoma che si occupi di problemi
"massimi" ed "eterni" è un'idea antiquata (che non ha
più ragion d'essere) della filosofia, dovuta alla
sopravvivenza in essa delle vecchie sue forme metafisicizzanti.
L'idea adeguata della filosofia è invece, nella prospettiva
di Croce, quella per la quale essa diviene un semplice momento
trascendentale della conoscenza storica, sicchè il suo solo
compito è di apprestare alla conoscenza storica le categorie
della sensibilità del reale. Ne deriva che la filosofia
è, come dice Croce, il mero momento metodologico della
storiografia, la mera delucidazione delle categorie costitutive dei
giudizi storici; e poiché la storiografia ha per contenuto la
vita concreta dello Spirito, e questa vita è vita di fantasia
e di pensiero, di azione e di moralità (quali sono appunto le
forme in cui si estrinseca) e in questa varietà delle sue
forme è pur una, la delucidazione delle categorie storiche si
muove secondo la distinzione dell'estetica e della logica,
dell'economia e dell'etica, e le congiunge tutte nella filosofia
dello Spirito: questa tesi Croce la esprime in "Teoria e storia
della storiografia" e, più particolarmente, in "La storia
come pensiero e come azione".
In questa concezione, tuttavia, vi è qualcosa di più
della mera identità tra la filosofia e al storia: la
filosofia, infatti, negata come scienza a sé stante e
considerata come categoria della storia, finisce col trovare solo in
quest'ultima il suo inveramento, finisce cioè col risolversi
integralmente nella storia. E' così che Croce è via
via pervenuto al pieno capovolgimento della posizione iniziale del
suo pensiero di fronte al problema storico: dalla considerazione
iniziale della storia come arte (nel saggio giovanile "La storia
ridotta sotto il concetto generale dell'arte") a quella che ne fa
una forma di realtà autonoma, inferiore alla filosofia, a
quella dell'identità e reciprocità piena con la
filosofia, infine a quella dell'integrale risoluzione della
filosofia nella storia come " storia pensata ", egli ha, come si
vede, descritto un ciclo evolutivo, parallelo all'evolversi stesso e
all'arricchirsi progressivo del suo pensiero.
Ecco perché si è soliti definire la filosofia di Croce
come la "filosofia dello storicismo assoluto". Per essa, infatti,
tutta la realtà è Spirito, tutta la realtà
è storia: anche ciò che chiamiamo natura è
processo storico, è processo spirituale che abbiamo,
nondimeno, distanziato così tanto che, per il fatto che ci
limitiamo a considerarne le manifestazioni sommariamente e
dall'esterno, ci sembra che siano manifestazioni di una
realtà meccanica e quasi esterna allo Spirito. E' così
mostrata l'umanità della storia nel senso più largo,
nel senso inclusivo anche della storia della cosiddetta natura: come
dell'uomo si può fare una storia naturale (esteriore e
meccanizzata), così della natura si può fare una
storia umana (interiore, cioè, e spiritualizzata).
L'opposizione tra natura e spirito è pertanto opposizione non
tra due realtà, ma tra due metodi diversi d'investigazione
della medesima realtà, dice Croce. Il metodo interno al
reale, o della spiritualità e storicità del reale,
è il metodo per il quale la storia, per remoti o remotissimi
che sembrino cronologicamente i fatti presi a considerare, è
sempre storia contemporanea, è sempre storia riferita al
bisogno e alla situazione presente che la suscita e la crea: ecco
perché "ogni storia è storia contemporanea", in quanto
la ricerca sul passato è sempre frutto di interessi, domande,
curiosità, che nascono dall'oggi. Ed è, insieme, il
metodo per il quale ogni storia, per particolare che sia il problema
preso in considerazione, è sempre storia universale, è
sempre storia procedente dall'universalità del soggetto e
comprendente nella particolarità di quel problema la
totalità dello Spirito.
Il metodo invece esterno al reale, o della materializzazione e
meccanizzazione del reale, è il metodo del giudizio
classificatorio (produttore di pseudoconcetti), che, a differenza
del giudizio storico (fondato sui concetti), dà d'una
realtà oggettiva e resa estranea e delle infinite sue
determinazioni una rappresentazione schematica, abbreviata secondo
formule che non sono né vere né false ma sono solo
utili ai bisogni della pratica. Si è pervenuti, per questa
via, ad esaminare la sfera dell' attività pratica e,
più precisamente, economica dello Spirito. E' la sfera nella
quale, appunto, rientrano, secondo Croce, i "giudizi
classificatori", che si son detti, e le scienze empiriche, che su
quei giudizi si costruiscono.
Appare qui evidente l'influenza delle filosofie empiriocriticistiche
(specialmente quella di Mach) per le quali, come si
ricorderà, le leggi formulate dalle scienze sono solo
espressione di economia di pensiero; ma è anche evidente che,
diversamente da quelle filosofie e conformemente in qualche modo
alle filosofie spiritualistiche francesi, il sapere scientifico,
come totalmente estraneo all'attività teoretica, non è
per Croce che una sorta di sapere inferiore, non è anzi alcun
sapere affatto (dato che il vero o il solo sapere è quello
filosofico). Con le scienze della natura, o con la considerazione
naturalistica della realtà, rientrano anche nella sfera
dell'economico, dell'utile, le altre attività pratiche dello
Spirito: quali quelle del diritto, della politica, dell'economia in
senso stretto. Sono le attività su cui Croce si è
soffermato con particolare attenzione, per la viva influenza che ha
esercitato su di lui (anche se volto a tutt'altro segno) il pensiero
di Marx.
Come Marx, infatti, egli riduce a economia, a espressione
dell'attività economica, il diritto e la politica; ma, in
contrasto con Marx, da tale attività distingue, secondo la
sua dottrina, e afferma come aventi propria assoluta autonomia
così i valori morali (che stanno a quelli economici come
l'universale all'individuale) come, e a maggior ragione, i valori
del bello e del vero.
Si conclude così l'esame delle forme categoriali dello
Spirito, che (per il nesso dei distinti) sono insieme congiunte in
un procedimento circolare, per il quale la teoresi è
condizione per la prassi e la prassi è condizione per la
nuova teoresi, e così via nell'infinito procedere della
realtà. Giacchè la realtà, come è noto,
non è altro se non storia: storia intesa come pensiero e come
azione, come libero esplicarsi e incessante progredire della vita
attraverso il dispiegarsi delle forme o dei valori (teoretici e
pratici) che sono ad essa immanenti.