I borghesi sopravvivono a se stessi come spettri annunciatori
di sventura.
T. W. Adorno, Minima moralia
Non è facile discutere il pensiero di A. Del Noce a partire da un'opera come Il suicidio della rivoluzione, riedita nel 2004, a cura di Giuseppe Riconda1. Non lo è per numerosi motivi, legati non solo alla complessità di questo come di altri volumi delnociani (si pensi, tra l'altro, a II problema dell'ateismo), ma anche al tempo che ci separa dalla prima pubblicazione nel 1978, e che porta con sé l'ulteriore difficoltà di valutare, alla luce della storia successiva, la sostanza filosofica, politica, e culturale di tesi discusse e proposte ormai ventisette anni fa.
Subito, però, appare evidente l'importanza dei problemi affrontati da Del Noce: dagli esiti della cultura immanentistica, di cui il pensiero di Gentile e quello di Gramsci rappresentano pagine altissime, e perciò decisive nella comprensione del fallimento della principale linea della cultura moderna, quella immanentista, al delinearsi di un nuovo e minaccioso totalitarismo, quello tecnocratico, forse più pericoloso di quelli nazista e comunista, perché meno evidente e più incontrastato; dal differenziarsi della cultura laica, attraversata dalla separazione tra laicismo problematico, in particolare quello dell'ultimo Croce, e laicismo dogmatico, quello positivistico, sociologistico, e soprattutto materialistico diffuso come senso comune della società opulenta, alle contraddizioni che hanno attraversato la contestazione giovanile, iniziata alla fine degli anni sessanta come contestazione della società affluente e risoltasi, soprattutto attraverso il prevalere del suo aspetto di rivoluzione sessuale, in accelerazione dei processi di una modernizzazione disumanizzante.
Il discorso di Del Noce, poi, tiene insieme il passaggio della
borghesia dalla sua fase di compromesso, cristiano-borghese, alla
sua affermazione pura e radicale, con l'obliterazione delle riserve
etico-religiose, in cui ancora si trovava impaniato il suo slancio
socio-economico fino al secondo dopoguerra; il ruolo del pensiero
cattolico nella critica della società contemporanea; il
definirsi di una linea moderna della filosofia, di cui Rosmini
costituisce un nodo decisivo, al fine di costruire, nel pensiero
religioso, una vera alternativa al carattere distruttivo e
autodistruttivo del corso attuale del mondo.
Questa ricchezza di temi, e l'urgenza che, paradossalmente, essi
rivelano ex post, fa si che il lettore resti stupefatto di fronte a
un brano, riportato nella postfazione scritta da Giuseppe Riconda,
di una lettera del 21 giugno 1979, indirizzata allo stesso Riconda.
Qui, Del Noce lamenta che sul suo volume, per quanto se ne fosse
discusso «su giornali o settimanali mensili di varia
cultura», «il silenzio è stato completo cosi su
riviste filosofiche come su riviste storiche»2.
«Evidentemente -aggiungeva Del Noce - oggi la connessione fra
filosofia e storia non è di moda»3.
Il suicidio della rivoluzione, raccoglie diversi saggi, per lo
più pubblicati in precedenza: il primo, Giacomo Noventa e
(d'errore della cultura», era già apparso come
introduzione a Tre parole sulla Resistenza (1973), dello stesso
Noventa; il secondo, Gentile e Gramsci, è il testo di una
relazione al Convegno di studi gentiliani di Roma, tenutosi nei
giorni 2-6 giugno 1975; il terzo, Il problema della definizione
storica del fascismo, era apparso sulla rivista «Storia e
politica», nel 1976 (fase. I); segue un quarto saggio,
Gramsci, o il suicidio della rivoluzione, in cui culmina la
riflessione sulla rivoluzione, sulla cultura da cui nasce,
sugli esiti eterogenei e imprevedibili, se non paradossali, a
cui essa approda; chiude il volume un'appendice, Idee per
l'interpretazione del fascismo, testo pubblicato nell'aprile
del 1960 su «L'Ordine Civile», e tradotto in tedesco,
nel 1967, dallo storico E. Nolte.
L'Introduzione offre il quadro concettuale di fondo dell'opera, quadro senza il quale non ci si incammina lungo il percorso storico-filosofico intrapreso da Del Noce, evitando l'immediato rischio di smarrirsi. La rivoluzione totale, «nel più rigoroso dei suoi significati, che è quello marxiano», si definisce come «la sostituzione della ricerca della metafìsica (della razionalità che è interna al reale, con conseguente primato della contemplazione di un ordine, a cui ci si deve praticamente conformare) con quella dell'instaurazione di una meta-umanità», «di un'autoliberazione dell'umanità attraverso la storia, o meglio di una liberazione operata dalla storia»4. Questa definizione della rivoluzione è attenta alla pesante ipoteca gnostica interna al pensiero rivoluzionario, che lo spinge a profetizzare la rottura dell'eone presente e il passaggio a un eone segnato, dopo il superamento traumatico e doloroso del regno della necessità, dal regno della libertà; lo stesso Del Noce limita, però, l'eccessiva enfasi attribuita al momento gnostico ed escatologico del pensiero rivoluzionario, mostrando come esso subisca, nel pensiero gramsciano, una significativa rimozione, in virtù dello storicismo.
Qual è l'esito, il risultato della rivoluzione? Il suo suicidio. Con l'espressione suicidio della rivoluzione, Del Noce si riferisce al suo sbocco paradossale, alla particolare eterogenesi dei fini per cui «il compimento della rivoluzione coincide con il suo suicidio»; la storia presente si connota come «processo verso questo suicidio»5. L'idea rivoluzionaria ha in sé due momenti: «il negativo come devalorizzazione dell'ordine tradizionale dei valori, e il positivo come instaurazione di un ordine nuovo»6. Accade, però, che i due momenti si separino, anzi si debbano (si tratta non di un accidente, bensì di una necessità) separare, e che il processo rivoluzionario conduca non all'ordine nuovo, comunque immaginato o progettato, bensì alla «ricaduta nel vecchio ordine, ma completamente sconsacrato»7.
Il processo rivoluzionario ha come risultato quel nichilismo, che pure, nella sua tensione totalizzante, avrebbe dovuto evitare, anzi, che normalmente, aggiungerei, esso pronostica come esito inevitabile della conservazione dell'ordine presente (chi può dimenticare l'alternativa proposta come ineludibile da qualche pensatore, poi postmoderno, tra socialismo e barbarie?): «È in conseguenza dell'arresto nella devalorizzazione nichilistica che il totalitarismo rivoluzionario si converte nel nichilismo al potere; nell''oppressività massima in conseguenza della distruzione di ogni unità ideale; nell'assorbimento del consenso nella coercizione»8.
È interessante vedere
come la coercizione, a cui si riferisce Del Noce, sia la coercizione
possibile nelle società a totalitarismo morbido, cioè
come sia non un'imposizione violenta, ma la costruzione di una
difficoltà radicale all'esercizio di forme di pensiero
alternative rispetto a quello dominante, unico detentore delle
ragioni di civiltà e di progresso e in grado di eclissare,
con la taccia di manifesto oscurantismo, tutto ciò che
gli si oppone. Per definire questa modalità di coercizione,
riferendosi al progetto gramsciano della costruzione di un'egemonia
culturale, «attraverso la creazione, a cui si provvede col
dominio della cultura e della scuola, di un nuovo "senso comune", in
cui non riaffiorino più le domande metafìsiche
tradizionali»9, Del Noce ricorre a Eric Voegelin, per il quale
il totalitarismo sarebbe «il divieto di fare domande».
«Il conformismo del passato era un conformismo delle
risposte, mentre il nuovo risulta da una discriminazione delle
domande per cui le indiscrete vengono paralizzate quali
espressioni di "tradizionalismo", di "spirito conservatore",
"reazionario", "antimoderno" [...]; si giunge alla situazione
in cui sia il soggetto stesso a vietarsele come "immorali". [...]
È nella sua trasposizione al "morale" che il totalitarismo
raggiunge la sua forma pura»10.
Un'altra peculiarità del pensiero delnociano, che desta una
legittima perplessità, richiedendo un approfondimento storico
non facile a realizzarsi, è la convinzione del carattere
paradigmatico che la storia contemporanea italiana avrebbe, dal
fascismo all'antifascismo, intesi come manifestazioni di una
comune essenza filosofica, fino ancora al tempo in cui Del Noce
scrive. La storia italiana presenterebbe una peculiare
accentuazione del parallelismo filosofico-politico, e, quindi, della
causalità ideale nella storia, vale a dire della
capacità che le idee filosofiche hanno di incidere sul corso
reale del mondo, costituendo la storia stessa come storia
filosofica, e richiedendo, perciò, una lettura attenta al
ruolo determinante che in essa assumono filosofìe e culture.
La storia italiana si rivela microcosmo rappresentativo della
storia mondiale, quasi una scena minore su cui si svolgerebbe
un dramma destinato a riverberarsi sulla più vasta scena del
mondo, dramma in cui, lo rammenta Riconda nella postfazione, Del
Noce non esclude anche la possibilità estrema della fine
fìsica o morale dell'uomo. In questa prospettiva,
vicende spesso lette nella storiografia filosofica e culturale del
dopoguerra sotto il segno riduttivo del provincialismo, o della
distorsione provinciale di correnti ed esperienze della cultura
mondiale, acquistano un significato epocale: la scoperta vociana,
nel gennaio 1911, della statura filosofica di Giovanni Gentile,
fino ad allora confinato al ruolo di ombra di Croce, e due anni
più tardi, nel dicembre 1913, la scoperta di Mussolini; la
fondazione tra il novembre 1918 e il febbraio 1922 di due
riviste, «Energie Nove» e «La Rivoluzione
Liberale» da parte del giovane Piero Gobetti, convinto della
necessità di portare a Torino quella cultura europea
elaborata a Napoli dagli hegeliani, divenuta fiorentina con De
Sanctis, e destinata a costituire la spinta di un secondo
Risorgimento; la fondazione, nell'aprile 1919, della rivista
«L'Ordine Nuovo» ad opera di Antonio Gramsci,
intenzionato a fare delle classi popolari il nuovo soggetto attivo e
protagonista della storia italiana. Quale la connessione tra queste
cosi diverse figure ed esperienze? Nell'interpretazione prevalente,
quando Del Noce scrive, potevano istituirsi relazioni piuttosto
estrinseche e per lo più di opposizione tra di esse, o almeno
tra Gobetti e Gramsci, da una parte, e Mussolini e Gentile,
dall'altra. La stessa relazione tra Gentile e Mussolini era letta
alla luce di una interpretazione ideologizzata del fascismo e di una
attribuzione di ingenuità, per quanto colpevole, a Gentile:
«insomma [questa la tesi corrente, da cui Del Noce prende le
distanze], con Mussolini e con Gentile trovano conclusione gli
ultimi sussulti della vecchia Italia, mentre Gobetti e Gramsci
inaugurano la nuova Italia»11.
A questa ricostruzione, Del Noce oppone una lettura radicalmente
alternativa dell'opera e del pensiero di Gentile, dietro il cui
linguaggio teologizzante, compare «il notaio del nichilismo:
l'atto di morte della teologia, la riprova della vittoria di
Nietzsche, non potevano essere stesi da altri che da un
filosofo-teologo, convinto di essere tale»12. Il ruolo di
Gentile nella radicalizzazione inconsapevole della deriva in
direzione del nichilismo autorizza Del Noce a scrivere: «il
processo della storia del pensiero descritto da Gentile non va
verso la vera filosofia, come egli pensava, ma verso il
nichilismo»13. Il tentativo gentiliano di dar forma ad un
pensiero in grado di delineare una rivoluzione ulteriore
rispetto al marxismo leninista, più adeguata della forma
bolscevica a realizzarsi nei paesi di cultura e civiltà
avanzati, quelli dell'occidente europeo, nasce quando, alla fine del
secolo XIX, Gentile immagina, nel suo La filosofia di Marx, la
possibilità di un inveramento del marxismo in una
filosofìa dell'azione e della prassi, completamente liberata
dalla componente materialistica presente nel pensiero di Marx. Qui,
per Del Noce, l'atto di nascita (teoretico) del fascismo.
«Mussolini era cosi - scrive Del Noce, richiamandosi ad
un suo scritto del '60, che compare in appendice a Il suicidio della
rivoluzione - il rivoluzionario che aveva accettato i risultati di
quella critica italiana del marxismo teorico 1895-1900, premessa
della cultura italiana del nostro secolo»14.
Del Noce, nell'indagine dei percorsi culturali che segnano il
passaggio dalla (e della) rivoluzione alla dissoluzione,
approfondisce il rapporto Gramsci-Gentile, mostrando la dipendenza
del primo dal secondo piuttosto che dal pensiero crociano,
dipendenza, questa normalmente preferita nell'interpretazione del
pensiero gramsciano come ri affermazione di Marx dopo Croce. Se
l'approfondimento del rapporto tra Gentile e il fascismo consente a
Del Noce di «intendere il fascismo come il tentativo
fallito, e non più ripetibile, di una rivoluzione ulteriore
perché adeguata alla più matura civiltà
occidentale, al marxleninismo»15, il chiarimento del nesso,
che congiunge il pensiero di Gramsci all'attualismo, gli
«permette di intendere il periodo fascista e l'antifascista
come i due momenti successivi, misurati dalla stessa
filosofìa, di questa rivoluzione occidentale»16. La
gen-tiliana filosofia della prassi, nata da un ripensamento del
marxismo delle Tesi su Feurbach, si fa cosi radice comune di
due possibili, opposti, sviluppi: la rivoluzione-restaurazione
(fascismo), pregna del ripensamento attualizzante dei valori
tradizionali, ma destinata a non reggere il colpo della
pressione in senso nichilistico che le urgeva dall'interno, e
la rivoluzione come scissione totale (comunismo gramsciano),
orientata, pur contro l'intenzione dei suoi sostenitori, a produrre
la coincidenza inattesa dell'inveramento del marxismo con il
nichilismo radicale17.
Gentile, Gramsci e l'errore della cultura
La comprensione del pensiero contemporaneo, e, di conseguenza, della
storia contemporanea in quanto storia filosofica, passa
attraverso l'interrogazione radicale della filosofia di Giovanni
Gentile, del suo carattere fondamentale, delle essenze filosofiche
che la attraversano e che da essa si sprigionano con chiarezza e
nettezza inattese, dei suoi esiti (successo o scacco). Anche
l'ipotesi di una ricostruzione (non restaurazione) metafìsica
del pensiero, che non si risolva in un ritorno al passato
né si incarni in una riproposizione, pur suggestiva, del
pensiero tomistico, in quanto pensiero non antimoderno, ma
post-moderno, passa attraverso la prova del confronto con
l'attualismo. Gentile, scrive Del Noce, «ha portato
all'estremo non soltanto, come normalmente si dice, l'idealismo o
la sua forma soggettivistica, ma la filosofia del primato del
divenire, chiarendone l'esito antimetafisico. E nel suo
pensiero si trovano, portate all'estremo, tutte le possibili linee
del pensiero antimetafisico. Gentile ha stabilito, cioè,
il rapporto di necessità che intercorre tra la coerenza
rigorosa della filosofia del divenire, e la più radicale
negazione della metafisica»1*.
Comprendere l'attualismo significa inoltrarsi in una lettura, quella
delnociana, il cui coraggio ermeneutico non manca di suscitare
anche sconcerto. La verità fenomenologia del pensiero
gentiliano, ciò che ne fa la «rivelazione di
un'essenza», è il suo carattere di scepsi, la
«sua opera di dissoluzione della filosofia»,
«quella somma di negatività, la maggiore che si sia
data nella storia della filosofia occidentale, che [essa]
condensa»19. La filosofìa di Gentile, separata dal suo
elemento retorico, che la costituisce e presenta come ottimismo
radicale, si rovescia, manifestando il suo fondo più verace,
in pensiero della crisi, il più radicale possibile, al punto
da diventare la cifra della situazione spirituale del nostro
secolo, intesa come «somma di crisi», crisi della
religione, crisi della democrazia, crisi del marxismo, crisi
dell'umanesimo20. Non si deve trascurare, questo sia detto senza
sminuire il grande contributo che la lettura delnociana
dell'attualismo ha significato, segnando la definitiva
sconfìtta del mito del provincialismo di Gentile e della
cultura italiana della prima metà del novecento, che Del Noce
è spinto, per la sua stessa attenzione al potere di negazione
dell'attualismo, a sottovalutare quell'aspetto per cui la filosofia
di Gentile incarna la ricerca, speculativamente profonda e
rigorosa, di un ubi consistam del pensiero e della storia moderni,
che consenta di costruire una modernità in grado di
assumere il senso, certo non la lettera, della tradizione, in
particolare del cristianesimo. Che questo tentativo debba
necessariamente concludersi con uno svuotamento modernistico o
neomodernistico della tradizione cristiana, è la convinzione
che muove Del Noce, anche nel suo L'epoca della secolarizzazione
(1970)21, ma che non sempre sembra conciliabile con
l'attenzione che lo stesso Del Noce rivolge al pensiero moderno,
cercando di rintracciarvi una linea di svolgimento non
immanentistica22.
Torniamo a seguire il ragionamento che porta Del Noce da Gentile a
Gramsci, e viceversa. Egli ha insistito, nelle sue diverse opere,
sulla centralità nel pensiero gentiliano dei due scritti
giovanili, Rosmini e Gioberti (1898) e La filosofia di Marx
(1899), il primo letto come la radicalizza-zione della giobertiana
riforma cattolica, attraverso l'inserzione in essa della dialettica
hegeliana, in direzione del modernismo religioso, il secondo
«come un punto ultimo a cui deve giungere lo svolgimento
dello hegelismo nella forma della filosofia della prassi; quindi
come un oltre marxismo rispetto a cui il marxismo non si trova
nella possibilità di rispondere»23. A Del Noce, ne Il
suicidio della rivoluzione, interessa principalmente il Gentile
interprete di Marx, rispetto al quale sceglie un punto di vista
decisamente originale: per capire fino a che punto l'attualismo
operi uno svolgimento dell'hegelismo nel senso della
filosofìa della prassi, intesa da Gentile come
l'eredità di Marx, una volta separato il suo pensiero dal
materialismo storico, bisogna fare i conti con il pensiero di quel
«marxista dopo la filosofìa dello Spirito» che
è stato Gramsci. La filosofia dello Spirito, cioè il
neoidealismo di Croce e di Gentile, ha, infatti, significato
«la prima filosofìa dopo Marx che sia sorta nel mondo
facendo inizialmente i conti col marxismo»24, ponendosi come
antimetafisica (in virtù dell'abbandono dell'intuizione
intellettuale) e come antipositivismo (per il suo antinaturalismo),
e, perciò, scindendo l'elemento dialettico del marxismo dal
materialismo storico. Questo strettissimo rapporto tra marxismo e
neoidealismo italiano spiega «il successo del neomarxismo in
Italia dopo "la filosofia dello Spirito"»25. Il complesso
intreccio, che l'arditezza e l'anticonformismo interpretativo
di Del Noce ci restituiscono, incontra anche il dibattito su
fascismo e antifascismo. Una volta messe in evidenza, infatti, le
affinità elettive e le relazioni tra attualismo e neomarxismo
gramsciano, diventa impossibile, secondo Del Noce, insistere
nel considerare il fascismo come una parentesi di smarrimento
morale, come un errore contro la cultura, e si è costretti a
coglierne il carattere di errore della cultura, riconoscendo che
«il neomarxismo di Gramsci appartiene a una rivoluzione
ulteriore al leninismo, di cui fascismo e postfascismo sono
momenti che si avversano mortalmente ma nello stesso
orizzonte»26. L'interferenza di sottili analisi di essenze
filosofiche e di considerazioni storiche si spiega alla luce del
paradigma transpolitico nell'interpretazione della storia
contemporanea, che vede nel momento filosofico il nucleo di
fondo di questa storia e nel parallelismo tra filosofia e
politica la sua essenziale novità27.
Il pensiero di Gramsci, nella prospettiva di Del Noce, assume una
funzione di particolare rilievo, in quanto ha alle spalle sia
Marx che Gentile, i due pensatori che riformano l'hegelismo in
direzione della filosofìa della prassi. Di qui anche la
singolarità della sua posizione storica di pensiero
neomarxista, radicalmente impegnato nella restituzione al marxismo
del suo pieno valore e rigore filosofico, contro le diverse ipotesi
revisionistiche e contro le riduzioni sociologistiche28, ma anche,
per una stupefacente eterogenesi dei fini già sul piano del
pensiero filosofico, prima che delle realizzazioni storiche, di
pensiero «non più marxista»29. «Nel suo
aspetto rivoluzionario - scrive Del Noce - la storia contemporanea
non è altro che il passaggio alla realtà di queste due
filosofìe della prassi [quella di Marx e quella di
Gentile]»; la storia di questo passaggio alla realtà
è la storia della rivoluzione marxleninista e delle sue
eresie, da un lato, e dall'altro dell'«idea di una rivoluzione
occidentale ulteriore alla rivoluzione russa, in quanto
adeguata a Paesi superiori per civiltà e cultura, o per
essere più esatti, per grado di modernizzazione»30. Ma
il neomarxismo gramsciano, questa la convinzione di Del Noce,
avrebbe sostanzialmente abbandonato l'orizzonte marxista, ponendosi
come pensiero di una rivoluzione non più marxista, ma,
seppure contro le intenzioni del pensatore sardo, nichilista: la
domanda filosofica fondamentale diviene, per Del Noce, «se la
filosofìa del primato del divenire, dopo aver elaborato il
concetto di rivoluzione totale, giunta al suo punto ultimo, non
lo rovesci in quello di dissoluzione, di processo verso il
nichilismo»31. Paradosso ulteriore di questo percorso
filosofico, e perciò stesso storico-politico, è il
rovesciarsi della rivoluzione nella più oppressiva delle
conservazioni mai realizzatesi32, a cui conduce la dissoluzione del
marxismo, privato del suo aspetto escatologico-religioso, in
sociologismo e il prevalere, palmare nel pensiero gramsciano,
dell'obiettivo della modernizzazione, intesa come costruzione di una
visione della vita e della realtà rigorosamente
immanentistica, capace, al contempo, di diventare senso comune,
superando la frattura tra intellettuali e popolo.
Torniamo a Gramsci. Chi conosce l'opera del filosofo torinese
potrebbe stupirsi dell'accentuazione che Del Noce fa del rapporto
con Gentile, a cui nei Quaderni è dedicato ben poco spazio33,
mentre l'attenzione è tutta rivolta alla critica del pensiero
crociano, critica che Gramsci intende come passaggio necessario per
riconquistare filosoficamente un marxismo non revisionistico e
autenticamente rivoluzionario, in grado di portare il leninismo,
attraverso il concetto di egemonia, a farsi dottrina
rivoluzionaria all'altezza della realtà evoluta (rispetto a
quella russa) dei paesi dell'occidente europeo. Del Noce non
trascura questa scelta del Gramsci maturo a favore di Croce e contro
Gentile, accusato di retorica e di vuoto concettismo (accusa che
resterà in eredità al pensiero azionista, per esempio
a N. Bobbio34), ma anche qui tenta un rovesciamento interpretativo
di non poco momento: se è vero che Croce ha ritradotto in
forma speculativa la filosofìa della prassi (questa la
critica di Gramsci), e che Gramsci opera la ritraduzione
storicizzante del pensiero crociano, costruendo un Anti-Croce (e
intuendo la necessità di un Anti-Gentile), la
filosofìa della prassi che da Croce viene svolta in senso
speculativo è quella di Marx o quella di Gentile? Quella di
Gentile, è la risposta di Del Noce, il quale ne trae, di
conseguenza, che «Gramsci dunque, nel suo lavoro di
"ritraduzione storicizzante" non incontra Marx, ma invece
Gentile, pur credendo di incontrare Marx»35. Non possiamo
soffermarci sui passaggi e sui testi che Del Noce produce a
dimostrazione di questo ennesimo rovesciamento interpretativo,
chiamando in causa non solo i Quaderni, ma anche, se non di
più, gli scritti del giovane Gramsci (quelli pubblicati su
«Il grido del popolo» e sull'«Avanti!»36),
ma possiamo seguire il tentativo che Del Noce fa di chiarire, a
partire dai rapporti tra Croce e Gentile, la necessità
filosofica di un confronto con l'attualismo, a cui non può
sfuggire il neomarxismo gramsciano. Anzi, possiamo fin da subito
dire che, per Del Noce, in Gramsci ha luogo un vero e proprio
cedimento di fronte all'attualismo, inteso quest'ultimo a partire
dal suo aspetto negativo di filosofìa della crisi (il suo
potere di negazione); perciò, il pensiero di Gramsci
conterrebbe, nella sua incapacità di superare davvero
Gentile, le condizioni del rovesciamento della rivoluzione in
nichilismo, attraverso l'esaurirsi della spinta dialettica nel
marxismo, a tutto vantaggio del suo aspetto materialistico (con il
prevalere del sociologismo); rovesciamento che, di fatto,
avviene con la contestazione, a partire dalla seconda
metà degli anni sessanta37.
Gentile e Croce. L'ultimo Croce e il laicismo problematico
Del Noce rivendica, ne Il suicidio della rivoluzione, di essere
arrivato per primo alla tesi della «antecedenza ideale e
cronologica della filosofia di Gentile rispetto alla
crociana»38, tesi che e-sclude qualsiasi elusione del nodo
filosofico e storico costituito dall'attualismo, magari in
virtù di una riduzione di questo a involuzione in senso
teologico o ideologico del pensiero di Croce, e ritiene che
l'opera gentiliana svolga, dai due scritti giovanili su Rosmini e
Gioberti e Marx, fino alla fine, un'unica fondamentale
intuizione, di cui Gentile era in parte debitore al suo maestro
Donato Ja-ja39, cioè «l'estensione radicale portata
sino alle conseguenze più estreme della critica della teoria
dell'intuito cosi contro platonismo come contro empirismo»40.
L'obliterazione dell'intuizione intellettuale significa, nel
pensiero di Gentile, la «scomparsa di ogni
datità»41, il superamento del pensiero come
carattere di esistenti (Dio, le persone) a favore di un pensiero
senza essere, e perciò di un soggetto definitivamente
inoggettivabile. Questi i caratteri che segnano anche la cesura
radicale tra l'idealismo attualistico e ogni altra forma di
filosofìa precedente, foss'anche l'idealismo tedesco.
«Visto sotto questo angolo [quello della critica alla teoria
dell'intuito e al pensare come vedere], l'attualismo è la
più radicale critica di qualsiasi metafìsica,
idealistica e naturalistica [...]. In riferimento a questo
comprendiamo il suo [di Gentile] commento alle Tesi su Feuerbach, in
cui vide per primo il testo essenziale della filosofìa
marxiana, e che costituisce la parte fondamentale de La
filosofia di Marx. Si tratta del rapporto tra due critiche
dell'intuito, la sua e la maggiore che precedentemente si fosse
avuta»42; perciò, il cuore della critica gentiliana al
marxismo sta nell'idea che quest'ultimo non fosse riuscito,
ricadendo attraverso l'assunzione del materialismo nella
metafìsica, a superare in modo irreversibile e definitivo il
portato metafìsico e oggettivistico dei secoli passati di
pensiero filosofico43. In questo senso, il pensiero di Croce si
presenta da un lato come meno rigoroso di quello gentiliano
nella sostituzione di una filosofìa dello Spirito sia alla
metafìsica tradizionale sia al positivismo
naturalistico, d'altro canto esso, secondo Del Noce, risponde ad un
radicalmente diverso processo di costituzione, in cui si
manifesta «come il problema filosofico di Croce sia in
realtà differentissimo da quello di Gentile come da quello di
Marx: sia rivolto a raggiungere la vittoria su quel pessimismo che
nella gioventù lo aveva portato a continue tentazioni di
suicidio e che sempre, costantemente dissimulato,
riaffiora»44. Non si tratta di una notazione psicologica; Del
Noce non solo lo dice chiaramente, ma anche lo mostra nel quarto
saggio de Il suicidio della rivoluzione, Gramsci o il suicidio
della rivoluzione, quando parla di (e soprattutto fa parlare)
«un Croce straordinariamente attuale, il Croce del pessimismo
non superato, e ritornante nell'ultimo periodo del suo
pensiero»45. Si tratta del Croce che assiste, avvertendone
tutta la tragicità, al tramonto del mondo cristiano-borghese.
In un testo del 1946, anno, come Del Noce non manca di sottolineare,
di fervide illusioni, intitolato L'Anticristo che è in noi,
Croce si interroga sul possibile avvento di un'età di
imbarbarimento non paragonabile ad alcuna delle precedenti (e non
è di poco rilievo che Croce scriva quando, da poco, sono
terminate la tragedia nazista e quella della guerra), proprio in
virtù del progresso (qui, è il Croce vichiano che
scrive) avvenuto nella storia europea. «Il vero
Anticristo - scrive Croce, in una frase citata da Del Noce -
sta nel disconoscimento, nella negazione, nell'oltraggio,
nell'irrisione dei valori stessi, dichiarati parole vuote, fandonie,
o, peggio ancora, inganni ipocriti per nascondere e far passare
più agevolmente agli occhi abbagliati dei creduli e degli
stolti l'unica realtà che è la brama e cupidigia
personale, indirizzata tutta al piacere e al comodo»46.
La considerazione del pessimismo di Croce non solo consente a Del
Noce di cogliere l'aspetto per cui il suo pensiero si rivela
incompatibile con gli esiti culturali che nel dopoguerra muovono
dalla dissoluzione del marxismo, ma gli permette anche di sostenere
il carattere di teodicea dello storicismo crociano, da cui si
origina l'orientamento speculativo e contemplativo, che ad esso
rimprovererà un Gramsci inconsapevolmente gentiliano. L'opera
di Croce è, per Del Noce, «u-na "teodicea adeguata alla
modernità", una teodicea dopo accolta la perdita della
speranza di una vita oltremondana, e respinti in pari tempo i
surrogati di speranza proposti nel progresso e nell'utopia»47.
L'intenzione filosofica crociana è ancora un'intenzione
giustificante, priva di quella vis prassistica che sarà
propria dell'attualismo, prima, del neomarxismo gramsciano, poi. Per
questo, Del Noce parla, riguardo alla filosofìa di
Croce, di «hegelismo separato dalla possibilità di
svolgimento in forma di filosofìa della prassi»48,
qualcosa di evidentemente lontanissimo dal pensiero di Gentile,
inteso da Del Noce, lo abbiamo visto, come una riforma
dell'hegelismo in direzione della filosofìa della
prassi.
Manca ancora, però, nella ricostruzione delnociana, che
individua in Gramsci l'autore di una ripresa dell'attualismo, nel
momento stesso in cui il pensatore sardo credeva di recuperare un
marxismo autentico, attraverso la critica del carattere
speculativo, e perciò ancora teologico, della
filosofìa crociana, una tassello importantissimo, forse
il più fragile della sua interpretazione. Se Gramsci
superando Croce, ripetendo il movimento di pensiero che porta da
Hegel a Marx, ma nelle condizioni della filosofìa
italiana della prima metà del novecento, e, soprattutto, dopo
la rivoluzione del '17, ritrova Gentile, è perché,
questa l'ipotesi di Del Noce, ala filosofia di Croce è
l'esatta ritraduzione in termini di filosofia speculativa della
filosofia della prassi di Gentile»49. Scrive Del Noce:
«Questa potrebbe sembrare una pura ipotesi se non trovasse la
più completa conferma nella recente pubblicazione della
corrispondenza»50. Del Noce si riferisce alle lettere
scambiate da Gentile e Croce, fin dal 1896, cioè fin
dagli anni della querelle sul marxismo e sul suo valore filosofico,
nelle quali emerge il tentativo, che Gentile fa, di liberare Croce
dall'influsso di Labriola, a sua volta profondamente
influenzato, nella sua lettura di Marx, dal realismo di Herbart.
Tentativo, questo, il cui esito è noto, data la perenne
resistenza di Croce ad assumere il formalismo (e soggettivismo)
radicale del suo amico e sodale (al tempo) Gentile, e il
recupero che il primo farà della teoria herbartiana dei
distinti all'interno della sua filosofia dello Spirito. «In
breve - scrive Del Noce -, Gentile sempre insiste nel cercare
di portare Croce al suo punto di vista che già almeno ne La
filosofia di Marx si è definitivamente chiarito come una
forma, ulteriore e superiore criticamente alla marxiana, di
filosofìa della prassi. E sempre Croce recepisce formalismo e
critica dell'intuito... ad modum recipienti^ cioè di
quella filosofìa giustificante, e teodicea laica delle opere,
che è per definizione filosofìa
speculativa»51. Sull'ipotesi dell'antecedenza ideale
dell'attualismo rispetto al pensiero crociano, ipotesi che lo
stesso Del Noce avverte di non aver ne Il suicidio della rivoluzione
adeguatamente argomentato, resta più di un dubbio, visto
che proprio Del Noce, mettendo in evidenza la distanza che divide i
processi di formazione delle filosofie crociana e gentiliana, in
fondo sostiene una tesi che non sembra collimare con l'idea che
Croce avesse ritrascritto in termini speculativi
(contemplativi) proprio la filosofìa della prassi
gentiliana52.
Suggestiva è, anche, l'argomentazione con cui Del Noce segna
il percorso che conduce Gramsci a «ricostruire dopo il
crocianesimo l'attualismo»53, nella convinzione invece di
restituire un marxismo rivoluzionario all'altezza della sfida
culturale, prima che politica, dell'Occidente. Del Noce indica sei
vie (o elementi) che rendono persuasivo il cammino, da lui
tracciato, da Gramsci a Gentile: «la prima è la
coincidenza puntuale tra la critica gramsciana dello storicismo di
Croce e la gentiliana. La seconda è la formulazione nuova che
in Gramsci trova il concetto marxiano di società civile, con
le sue implicazioni, tra cui quella dell'abbandono dell'economicismo
e del materialismo marxiani. La terza è la posizione rispetto
a Labriola, inconsapevolmente identica a quella di Gentile. [...] La
quarta è il modo in cui è inteso il blocco storico. La
quinta è il giudizio sulla funzione capitale accordata
alla filosofia italiana nel processo di modernizzazione
rivoluzionaria. La sesta, la differenza da Lenin rispetto alla
nozione di egemonia»54. In particolare, mi sembra importante
sottolineare come Del Noce riconduca il ribaltamento, che si ha
nel pensiero gramsciano, del rapporto struttura-sovrastruttura
(obbligatoriamente segnato dal primato della prima sulla seconda,
nel marxismo rigoroso), non alle esigenze dettate dal contesto
di maggiore civilizzazione e complessità dell'occidente
europeo, rispetto alla condizione in cui si era realizzata la
rivoluzione del '17, ma alla forte influenza del primato
gentiliano della filosofìa e delle concezioni del mondo,
seppur intese non soltanto come pensiero speculativo, ma come forze
creative di storia e di novità. In questo senso deve
essere letta anche la centralità che Del Noce assegna alla
lettura, che Gramsci fa in carcere, nel '32, della Storia d'Europa
nel secolo decimonono (almeno dei primi tre capitoli, dedicati alla
"religione della libertà" e alle "fedi religiose opposte").
Perché soprattutto quest'opera offre a Gramsci «lo
stimolo assolutamente decisivo per l'organizzazione del suo
pensiero»55? Nella Storia d'Europa, Gramsci trova un Croce
impegnato a definire i termini di una religione laica e
immanentista, in grado di offrire una concezione della vita moderna
e capace di farsi ideologia, nel senso gramsciano, cioè
concezione totale del mondo vivificante l'agire sociale:
«la Storia d'Europa - scrive Gramsci nel decimo quaderno -
è il primo libro del Croce in cui le opinioni antireligiose
della scrittore assumevano un significato di politica attiva e
avevano una diffusione inaudita»56. Il confronto di Gramsci
con Gentile e con Croce ha al centro il problema della religione, e
in particolare del passaggio dalle religioni trascendenti del
passato ad una religio civilis, intesa come concezione totalizzante
e attiva del vivere, propria di un blocco storico, e necessaria
a costruire l'egemonia di questo sull'intera società57. Di
qui il rifiuto, netto in Gramsci, delle soluzioni aristocratiche che
Croce e, soprattutto, Gentile danno del problema religioso, sia
proponendo una filosofia cristiana, che conservi il «contenuto
teorico della religione»58, seppur in una trasfigurazione
immanentistica e demitologizzante, sia mantenendo un distacco
insuperabile tra l'aristocratica filosofia cristiana
moderna-idealistica e le sopravvivenze della religione
tradizionale, intesa come philosophia minor, e come tale
inserita nei curricula scolastici, nelle classi popolari.
«Gramsci guarda invece - scrive Del Noce - al momento
sociale-politico della religione, al suo religare, stabilire un
unità tra gli intellettuali e i semplici che realmente in
quelle religioni filosofiche [quelle neoidealistiche] va
perduta, e in questo andare al popolo passa da una prospettiva di
pensiero ancora romantica, quale era quella degli idealisti
italiani, a una prospettiva radicalmente illuministica»59.
Ritrovare questo problema religioso, che aveva dominato la
filosofìa italiana tra il 1890 e il 1940, e reinterpretarlo,
attraverso la riaffermazione, almeno intenzionale, di un marxismo
non revisionistico, significa, per Gramsci, non incontrare
Croce, ma Gentile. La centralità della società
civile, come momento della cultura e dello scontro tra le
filosofìe, le ideologie, le concezioni della vita, e
l'importanza, che Gramsci attribuisce all'ideologia nella
costruzione del blocco storico, e nella definizione della sua
possibilità di esercitare la direzione culturale, prima che
quella politica, della società, richiedono l'abbandono
degli aspetti materialistici, deterministici, economicistici del
marxismo, prevalsi nelle letture ufficiali (come quella del
Saggio popolare di Bucharin), a favore di una
sua ritrascrizione in termini di filosofìa della prassi, vale
a dire nei termini in cui Gentile aveva interpretato Marx,
nella sua opera giovanile. «Ma che cos'era questa marxista
filosofia della prassi separata da materialismo ed economicismo, se
non appunto l'attualismo? - si chiede Del Noce -L'attualismo
separato però dal rapporto tra religione e filosofìa
che esso affermava»60, cioè l'attualismo del Gentile de
La filosofia di Marx, omesso il Rosmini e Gioberti.
Conclusioni
Il vero obiettivo del pensiero di Del Noce, cosi come si esprime ne
Il suicidio della rivoluzione, l'opera che, qui, abbiamo
più avuto presente, ma anche in altre che ne costituiscono il
contesto ineludibile, da II problema dell'ateismo (volume nel
quale è raccolto, tra l'altro, il saggio La non-filosofia di
Marx e il comunismo come realtà politica, che è del
'46) ai saggi su Gentile degli anni sessanta, da L'epoca della
secolarizzazione ali cattolico comunista, scritto nel '81, e
concepito dall'autore come uno sviluppo dell'indagine sulla
rivoluzione di tre anni prima61, agli scritti dedicati a Rosmini,
è quello di comprendere le dinamiche complesse di una
società, quella italiana ed europea del novecento,
rispetto alla quale non smette di ricordare e motivare le ragioni di
un'opposizione culturale, religiosa, politica, che lo conducono ad
affinità esplicite con le più radicali esperienze
critiche del secolo, dai Francofortesi a S. Weil, da J. Maritain a
F. Rodano, a Giacomo Noventa, etc. Ma qualcosa distingue sempre Del
Noce dagli autori a cui si accompagna nell'attraversamento
dell'abisso della contemporaneità. Basti pensare a come egli
opponga a Marcuse la contraddizione in cui cade un pensiero
critico che non ritrovi, e non per uno slancio soggettivo, ma
per una necessità filosofica, la dimensione religiosa
(ritrovamento se non altro postulato dall'Horkheimer de La nostalgia
del totalmente Altro62), e a come persegua una critica della
società tecnologica, che separi la tecnologia in quanto tale
dal significato (non dall'uso: sarebbe banale!) che essa acquista in
una società del benessere, orientata in senso immanentistico
e secolarizzato in seguito ad una opzione culturale
razionalistica63, e non ad un destino più o meno epocale o ad
una dialettica dell'illuminismo, cosi indeterminata da coinvolgere
qualsiasi forma della civiltà occidentale, dalla Grecia
di Omero alla Germania di Hitler o all'America di Holliwood64.
Scrive Del Noce ne II problema dell'ateismo: «In una
concezione teistica la tecnica si unisce all'idea della distinzio-
60&/c.nv,p. 158.
61 Lo ricorda G. Riconda, nella postfazione a
Suic. riv., soffermandosi sul confronto di Del Noce con il pensiero
di F.
Rodano.
62 M. Horkheimer, La nostalgìa del
totalmente Altro, Queriniana, Brescia 19823.
63 A. del Noce, Appunti sull'irreligione
occidentale (1963), inIlproblema dell'ateismo, Il Mulino, Bologna
19904, pp.
293-333; Id., Riflessioni sull'opzione ateìstica
(1961), ivi, pp. 335-375.
64 Cfr. M. Horkheimer- T. W. Adorno, Dialettica
dell'illuminismo, Einaudi, Torino 1991.
15
ne tra una realtà inferiore all'uomo e una realtà che
infinitamente l'oltrepassa. [...] completamente diversa è la
posizione della tecnica in un sistema risolutamente irreligioso dove
essa tende a concludere in una totale desacralizzazione e in
una totale depersonalizzazione del reale [...]. È opportuno
quindi vedere un nesso tra l'assolutizzazione del tecnicismo e la
società che si suol dire "opulenta"», al punto che
ci si deve chiedere «se quindi non il processo tecnico spieghi
la società opulenta, ma se, all'opposto, la società
opulenta spieghi l'affermarsi della mentalità pantecnicistica
nella sua pienezza»65.
La critica sociale e politica, tranne forse qualche momento di
stanchezza, non cade pressoché mai nel moralistico,
nell'apocalittico o, peggio, nell'ascetismo edificante,
perché Del Noce tiene fede all'idea di una connessione
radicale tra storia e filosofia (e quindi tra teoria e prassi), idea
appresa alla scuola dell'attualismo, cosi profondamente meditato, e
a cui, credo, egli abbia dato un senso di concretezza forse prima
inattinto. Mi riferisco alla capacità, che Del Noce ebbe, di
stabilire relazioni inattese tra filosofie diverse, attraverso un
uso, talvolta anche sconcertante, del concetto di essenza
filosofica, per il quale gli universi di pensiero, che nelle
filosofìe si esprimono, manifestano necessità,
connessioni, esiti che sfuggono non solo alle intenzioni, ma anche
all'immaginazione dei pensatori che li hanno elaborati.
L'interpretazione transpolitica della storia, almeno della storia
del novecento, consente alle analisi delnociane un continuo
movimento dal piano dei concetti e delle elaborazioni culturali a
quello, non diciamo degli eventi, perché il discorso di Del
Noce non ha un riferimento propriamente evenemenziale, ma delle
tendenze e delle trasformazioni storiche, in cui dimensione
propriamente politica e storia dei costumi (histoire des moeurs),
storia civile, si intrecciano. Qualcosa di non dissimile, non
volendo istituire paragoni di valore, ma solo analogie di
struttura, a quello che trova di fronte a sé il lettore
della Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis, che
pure rappresenta una delle sorgenti di quella linea laica della
cultura italiana, da Del Noce seriamente criticata.
Non è facile soffermarsi sui singoli passaggi
dell'interpretazione delnociana della dissoluzione del pensiero
rivoluzionario in nichilismo, perché essa mette in gioco
autori diversi e corposi, da Marx a Croce, da Gentile a Gramsci (per
tacere dei numerosi altri rimandi: a Stirner, a Rosmini, ai
Francofortesi, e per le analisi storico-culturali del fascismo a E.
Nolte e a R. De Felice), e anche fenomeni storici italiani e
mondiali (nello stesso tempo, talvolta), dal fascismo di Mussolini
alla rivoluzione di Lenin, dalle vicende del Partito Comunista
(si vedano gli importati riferimenti alla figura di Bordiga,
vera e propria rimozione della cultura politica italiana) a quelle
della contestazione, etc. Ma, io credo, sarebbe riduttivo affrontare
l'opera di Del Noce come se essa consistesse in una, pur originale e
ardita, ricostruzione storiografica, capace di mettere in evidenza
elementi per lo più negletti della storia del pensiero
filosofico e delle sue Wirkungen storico-politiche. Essa è,
infatti, sottesa e attraversata, nei diversi volumi che abbiamo
sopra citato, e nei tanti altri scritti che non abbiamo avuto modo
di richiamare, da una profonda intenzione teoretica, che diviene
esplicita quando Del Noce incontra Rosmini, autore a cui non dedica
moltissime pagine, il cui pensiero, però, sembra
costituire un costante punto di riferimento, in quanto espressione
matura di una modernità non immanentistica, quella che
si origina nel Cartesio delle Meditazioni, e non nel Cartesio
preilluministico, caro alla tradizione laica e unico possibile
punto di partenza di una ricostruzione metafisica del pensiero
contemporaneo e di una «critica veramente rigorosa
dell'amoralismo contemporaneo»66. Soprattutto, andando
oltre la lettera degli scritti e delle pagine delnociane su Rosmini,
Del Noce ritrova il Roveretano nella elaborazione di una
filosofìa moderna della tradizione67, distinta dal
tradizionalismo, o, meglio, dai diversi tradizionalismi che hanno
visto la luce dopo la Rivoluzione francese. Del Noce interpreta
la tradizione come una virtualità inesauribile, a cui
rivolgersi per dare risposte nuove ai problemi via via emergenti,
non come una morta gora a cui attingere formule sclerotizzate, al
fine di sfuggire alla responsabilità del presente. Di qui,
l'importanza della categoria di Risorgimento: «"Risorgimento"
è, per Del Noce, - scrive N. Matteucci nell'Introduzione
premessa all'ultima edizione deIlproblema dell'ateismo - lo sviluppo
di virtualità implicite nella tradizione, e, come tale,
è un processo storico incompiuto, ancor oggi in
fieri»6*. L'idea di Risorgimento veniva cosi ad indicare una
«restaurazione creatrice», «un nuovo che fosse
l'esplicitazione di una virtualità della tradizione»69.
La profonda affinità del pensiero delnociano con quello di
Rosmini si chiarisce ulteriormente, se solo si pensa che nel
rosminianesimo vive un'idea di progresso assolutamente irriducibile
sia al rapporto con la tradizione, prevalentemente politico, dei
pensatori francesi della Restaurazione70, sia alle costruzioni
ideologiche di una modernizzazione assunta a paradigma assiologico,
che dall'illuminismo, attraverso gli idéologues, arrivavano a
Rosmini, e ancora imperversano nelle diverse esperienze
neoilluministiche del secondo dopoguerra. Non solo: l'idea del
progresso nell'approfondimento della conoscenza della verità,
il progresso delle forme dialettiche come progresso reale nella
dimensione della cultura, all'interno, però, di quello che
Rosmini definisce il sistema della verità, è
evidentemente consentanea al continuo richiamo delnociano ad un
cristianesimo moderno, non fissato in una delle sue
manifestazioni storiche, eppure assolutamente alieno alle derive e
agli accomodamenti del modernismo e del neomodernismo cattolico71.
«L'esclusione del tema del progresso - scrive Del Noce ne Il
problema dell 'ateismo -, cosi nel suo senso scientista come in
quello storicista, è certamente ciò che caratterizza
il pensiero metafìsico, e fonda la distinzione tra
metafìsica e scienza», però «occorre che
anche per il pensiero metafìsico sia valido un certo
concetto di progresso non esprimibile altrimenti che come
"esplicazione del virtuale"»72; e cosi egli spiega questa
esplicazione del virtuale: «è nel processo personale di
soluzione del problema metafisico, che riconosco nella mia tesi
l'esplicazione di una "virtualità" di un'affermazione
già sostenuta in passato; ed è proprio in questa
"esplicazione di una sua virtualità" che la tesi metafisica
mi diventa "evidente", liberandosi dalla sempre contingente forma
che aveva assunto nelle sue formulazioni storiche»73.
Perciò, direi che le ricostruzioni e interpretazioni
delnociane, tutte segnate dal confronto agonico con gli autori e le
correnti di pensiero le più diverse, trovano una direzione
unitaria non solo e non tanto nella critica del razionalismo, inteso
come scelta di abbandonare l'idea del peccato originale e di
assumere la condizione umana presente come condizione normale, non
come esito di un drammatico trauma antropologico, e, quindi, cosmico
e storico, ma nella convinzione di poter ricostruire il filo
della tradizione cristiana, soprattutto perché questo filo,
nel corso della modernità, è piuttosto liso e
minacciato che interrotto. Di qui, anche il senso nient'affatto
restaurativo dei richiami al platonismo, all'homo sapiens,
irriducibile all'homo fiaber; alla morale tradizionale; al
contrario, essi costellano la strada di un procedere in avanti
e non di un tornare all'indietro, e si presentano, sono
concepiti, nella loro più profonda verità, come
rievocazione del sempre nuovo dello spirito umano di contro al
nuovo già da principio invecchiato e corrotto dell'epoca
della secolarizzazione. Non solo, infatti, il pensiero
delnociano invita alla speculazione libera di fronte al
totalitarismo "morbido" della cultura contemporanea, ma si fa
anche proposta di una netta opposizione alla perfidia
dell'ordinamento del mondo, per usare un'espressione di Adorno,
critica sociale, proprio perché attenta e acuta critica
filosofica e culturale.
Note
1 A. Del Noce, Il suicidio della rivoluzione, Aragno, Torino 20042.
D'ora in poi Suic. riv.
2 Ibi, p. 315.
3 Ibidem.
4 Ibi,pp. 7-8.
5 Ibi, p. 8.
6 Ibidem.
7 Ibidem.
8 Ibidem.
9 Ibi, p. 278. 10 Ibi, p. 279.
11 Ibi, p. 11.
12 Ibi, p. 13.
13 Ibidem.. V. Possenti parla, nel secondo
capitolo del suo Il nichilismo teoretico e la "morte della
metafisica" (Arman
do, Roma 1995), a proposito del pensiero
gentiliano, di nichilismo speculativo e di ontofobia, accostando
Gentile a Nie
tzsche. «Il nichilismo speculativo (e
conseguentemente quello etico) sembra essere stato in Gentile non
molto inferiore
a quello di Nietzsche, ma meno consapevole di
sé, velato a se stesso, non dichiarato e rivestito di formule
spiritualisti
che ed affermative, nelle quali si configura
un'ontologia di ascesa, non di declino, che finivano per mascherarlo
agli oc
chi del pubblico colto», p. 64.
14 Ibi, p. 15.
15 Ibi, p. 16.
16 Ibidem.
17 «Per esprimere tutto in una rapida formula, direi che,
visti nella loro radice filosofica, fascismo e antifascismo sono i
due aspetti in cui quella filosofia della prassi che è
l'attualismo si dirompe nel "farsi mondo"» (Suic. riv., p.
165).
18 Ibi, p. 105. Non bisogna dimenticare, che il radicalismo
filosofico di Gentile sembrò, già intorno alla
metà degli anni trenta, insufficiente al suo allievo Ugo
Spirito. Questi, ne la vita come ricerca (1937), scrive: «Le
conseguenze del movimento di riforma della dialettica hegeliana
sono, in realtà, tutte connesse al dualismo insuperato di una
concezione che, postulando il divenire dello spirito, lo chiude
nella sua formula. E per quel tanto, perciò, per cui esse
sono alimentate dalla coscienza dello spirito come infinita e
assolutamente libera autocreazione appaiono profondamente
innovatrici e rivoluzionarie; per quel tanto, invece, per cui esse
direttamente rivelano la coscienza della definitiva scoperta e
determinazione della natura creatrice dello spirito, diventano
immobili e dogmatiche come nel peggiore scolasticismo» (ed.
Luni, Milano-Trento 2000, pp. 82-83). L'attualismo, per Spirito,
è ancora una filosofia non diveniente del divenire, e
perciò incapace di comprendere il valore della scienza e di
svolgere in senso rivoluzionario, e non conservatore
(riformistico e gradualistico), i suoi contenuti politici e
sociali. Sulle difficoltà strutturali originatesi, nel
pensiero di Gentile, dall'intenzione di tenere insieme una filosofia
del divenire e una filosofia dell'atto, si veda G. Sasso, la potenza
e l'atto. Due saggi su Giovanni Gentile, La Nuova Italia, Firenze
1998 (in particolare il primo saggio: Giovanni Gentile: filosofo
aristotelico o megarìco?).
19 Suic.riv.,p. 107-108.
20 Ibi, p. 108.
21 A. Del Noce, l'epoca della secolarizzazione,
Giuffrè, Milano 1970. D'ora in poi, Ep. secol.
22 Cfr. A. Del Noce, Da Cartesio a Rosmini, a cura
di F. Mercadante e B. Casadei, Giuffrè, Milano 1992.
23 Suic. riv.,p. 106.
24 Ibi, p. 109.
25 Ibidem.
26Ibi,pp. 110-111.
27 In una nota, Del Noce mette in evidenza un ulteriore paradosso:
«per un verso la storia contemporanea è storia
filosofica, [...] per l'altro è caratterizzata dalla
più completa scissione che si sia mai data tra storia e
filosofia. Quella scissione a cui fa riferimento il sentire
comune, quando parla della nostra epoca come dell'unica
caratterizzata dalla caduta competa della prospettiva di valori, di
ideali, di fini» (Suic. Riv., p. 113).
28 Si vedano la critiche che Gramsci rivolge a La teoria del
materialismo storico. Saggio popolare di sociologia marxista di
Bucharin, in cui la filosofia della praxis viene interpretata come
sociologia e il momento propriamente filosofico del marxismo viene
confinato nel materialismo storico; in particolare Quaderni del
carcere, a cura di V. Gerratana, 4 voli., Einaudi, Torino 1977, Q.
11, voi. II, pp. 1428-1431 (§ Riduzione della filosofia della
praxis a una sociologìa). D'ora in poi, per indicare i
Quaderni userò l'abbreviazione Q., seguita dal numero del
quaderno e dalla pagina citata. 29Suic. riv.,p. 112.
30 Ibidem.
31 Ibidem.
32 In alcune pagine de L'epoca della
secolarizzazione, Del Noce dichiara il suo consentimento alle
analisi critiche del
famoso volume di H. Marcuse, L'uomo a una
dimensione, ponendo «una domanda che non è possibile
non porre: pen
siamo davvero che l'epoca dei totalitarismi sia
finita, o invece che vi sia la minaccia di più pericolose
forme oppressive,
forme oppressive in qualche modo nuove, e che non
corrispondono affatto alle figure tradizionali dello
stalinismo,
dell'hitlerismo, ecc.? » (p. 198).
33 Non è difficile trovare nei Quaderni
interi paragrafi che fanno pensare ad una distanza, non priva di
vero e proprio
disprezzo, di Gramsci rispetto a Gentile. Al § 6
del quaderno 11, Gramsci scrive: «Sulla filosofia del Gentile
è da con
frontare l'articolo della «Civiltà
Cattolica» {Cultura e filosofia dell'ignoto, 16 agosto 1930)
che è interessante per vede
re come la logica formale
scolastica può essere idonea a criticare i banali sofismi
dell'idealismo attuale che pretende
essere la perfezione della
dialettica. [... ] Gentile col suo seguito [... ] si può dire
che ha instaurato un vero e proprio "se
centismo" letterario,
poiché nella filosofia le arguzie e le frasi fatte
sostituiscono il pensiero» (Q. 11, voi. II, p. 1370).
Accanto
a questi passi, vanno letti altri, a cui Del Noce stesso rimanda,
nei quali è evidente la consapevolezza che
Gramsci ebbe
dell'importanza di Gentile, non solo quando parla de
«l'attuale continuazione della filosofia classica
te
desca rappresentata dalla moderna filosofia idealistica
italiana di Croce e Gentile» (Q. 10, voi. II, p. 1248), ma
soprat
tutto quando, dopo aver scritto che «si può
dire che la polemica contro la filosofia dell'atto puro di Giovanni
Gentile ha
costretto il Croce a un maggior realismo e a provare un
certo fastidio e insofferenza almeno per le esagerazioni del
lin
guaggio speculativo», aggiunge: «ma la
filosofia del Croce non può essere tuttavia esaminata
indipendentemente da
quella del Gentile. Un Anti-Croce deve essere
anche unAnti-Gentile» (Q. 10, p. 1234).
34 Se si vuole aver presente anche
l'interpretazione antifascista del pensiero e dell'opera di Gentile,
la più lontana possi
bile da quella delnociana, si veda
il Profilo ideologico del Novecento, scritto da Bobbio, e pubblicato
nel voi. IX della
Storia della Letteratura Italiana di E. Cecchi e
N. Sapegno, Garzanti, Milano 1988, pp. 112-121.
35 Suic. riv.,p. 114.
36 Del Noce fa riferimento a tre scritti giovanili
di Gramsci: La Rivoluzione contro il Capitale,
«Avanti!», 24 novembre
1917 (poi, «Il grido del
popolo», 5 gennaio 1918); La critica critica, «Il grido
del popolo», 12 gennaio 1918; Il sociali
smo e la
filosofia attuale, «Il grido del popolo», 19 gennaio
1918.1 primi due sono stati raccolti in A. Gramsci,
Scritti
giovanili 1914-1918, Einaudi, Torino 1958, rispettivamente
alle pp. 149-153 e 153-155.
37 «È un fatto che l'evoluzione
gramsciana del comunismo si incontra con l'evoluzione del
capitalismo; la rinuncia del
comunismo alla mentalità
messianica coincide con la rinuncia delle borghesia al moralismo. Si
stabiliscono cosi le con
dizioni per l'integrazione del
comunismo alla società democratico-borghese, ma per
un'integrazione di quale natura?
[...] mi limiterò qui a
richiamare la tesi di Max Horkheimer sulla distinzione tra le due
fasi dello sviluppo del mondo
borghese. [...] Possiamo dire che il
secondo stadio è quello in cui lo spirito borghese si
manifesta finalmente allo stato
puro [...]. Nello stadio
neocapitalistico la borghesia è talmente dominante da non
aver più bisogno di modificare in una
certa misura la propria
ideologia spontanea [...]; da non aver più bisogno, insomma,
del compromesso con il cristiane
simo. Ora la critica
gramsciana del compromesso cristiano-borghese attinge il
cristianesimo, ma non colpisce affatto la
borghesia; nella sua
versione gramsciana il partito rivoluzionario fornisce l'occasione
allo spirito borghese di realizzarsi
allo stato puro» (Suic.
riv., pp. 282-283).
38 Del Noce ricorda tre suoi saggi apparsi sul
«Giornale critico della filosofia italiana» nel '64, nel
'68 e nel '69, con i
titoli Appuntì sul primo Gentile e la
genesi dell 'attualìsmo, L'idea dì Risorgimento come
categorìa filosofica in Gio
vanni Gentile, Gentile e la
poligonia giobertiana. Questi saggi, rielaborati, costituiscono i
primi tre capitoli dell'opera
postuma Giovanni Gentile. Per una
interpretazione filosofica della storia contemporanea, Il Mulino,
Bologna 1990.
39 Del Noce fa riferimento allo scritto L'intuito
nella conoscenza (Memoria letta all'Accademia di Scienze morali e
po
litiche della Società Reale di Napoli nel 1894),
«Atti della Reale Accademia di Scienze morali e politiche di
Napoli»,
voi. XXVI (1893-94), Napoli 1894, pp. 483-525.
40 Suic. riv., p. 123.
41 Ibidem.
42 Ibi, pp. 124-125.
43 «Posizione filosofica ulteriore al marxismo, termine ultimo
a cui può giungere la filosofia della prassi dopo Hegel,
l'attualismo può essere pensato e vissuto nella forma
"romantica" di continuità con la tradizione, che fu di
Gentile, o in quella "illuministica" di scissione rivoluzionaria,
che fu di Gramsci. Nel primo caso, la sua logica è incrinata;
nel secondo si autonega come filosofia, che viene sostituita
dall'ideologia» (Suic. riv., p. 126). 44Ibi,pp. 127-128.
45 Ibi, p. 289.
46 Suic. riv., p. 290. Cfr. B. Croce, Filosofia e
storiografia, Laterza, Bari 1949, p. 315. Del Noce, ne l'epoca della
se
colarizzazione, propone tre idee sulla filosofia crociana:
la prima, «che non ci si può render conto dell'opera di
Croce,
se non si vede in lui un pensatore essenzialmente religioso,
all'interno di un presupposto mai messo in discussione,
quello per
cui l'età della trascendenza religiosa sarebbe ormai
conclusa. La seconda, che se non viene accettata
questa
interpretazione, ci si trova costretti a escludere Croce,
come pensatore eclettico, dalla storia della filosofia vera e
pro
pria. La terza, che esiste nel suo pensiero una
contraddizione dinamica tale da dover condurre a fare oggetto di
proble
ma l'immanentismo accolto come presupposto» (p.
241). Mi sembra di grande interesse, e del resto
corrisponde
all'attenzione che si è avuta, nella seconda
metà del novecento, per il Croce teorico della
vitalità, un'interpretazione,
quale quella delnociana, dello
storicismo crociano come tentativo di una teodicea non
trascendentistica, che, però, con
clude con un
riemergere del momento dualistico e pessimistico, nascosto in ogni
sforzo di giustificazione del pensiero
speculativo.
47 Suic. riv.,p. 129.
48 Ibidem.
49 Ibi, p. 130.
50 Ibidem.
51 Ibi, p. 134.
52 Nel suo Giovanni Gentile, Del Noce scrive:
«Anche ai tempi della maggior amicizia, Gentile fu per lui
[Croce] un
professore particolarmente valoroso che, aiutandolo a
orientarsi nelle questioni generali, lo rendeva consapevole
della
peculiarità della sua filosofia e, insieme, gli
proteggeva le spalle dagli attacchi degli altri professori. Sotto il
comune
programma di rinnovamento della cultura come problema primo
della nuova Italia, Croce e Gentile non potevano inten
dere che
cose diverse, in ragione del loro diverso processo di formazione.
[...] La diversità si fece rottura quando si
o-
biettivò sul piano politico; ma l'epistolario mostra come
fosse presente sin dall'inizio dell'amicizia, e resistesse
agli
sforzi che entrambi facevano per superarla» (pp. 59-60).
Cfr. M. Lancellotti, Croce e Gentile. la distinzione e
l'unità
dello spirito, Studium, Roma 1988.
53 Suic. riv., p. 135.
54Ibi,pp. 135-136.
55 Suic. riv.,p. 147.
56 A. Gramsci, Q. 10, voi. II, p. 1298. Il passo
è citato da Del Noce, in Suic. riv., p. 153.
57 «Il nesso unitario [tra gli scritti
giovanili di Gramsci e i Quaderni] è rappresentato dal tema,
probabilmente attinto a
Sorel, del socialismo come religione che
deve sostituire il cristianesimo. Occorre però osservare come
il momento reli
gioso sia affatto diverso da quello del
marxismo originario. Se tanto si è scritto sul carattere
messianico ed escatologico
del marxismo in rapporto alla
trasposizione del mito della funzione redentrice del giusto
(identificato col proletariato) le
cui sofferenze servono di
mediazione perché cangi lo stesso stato ontologico dell'uomo
e del mondo, occorre dire che
questo aspetto, che ha certamente
contato molto nell'incontro tra il marxismo e il messianismo russo,
è affatto assente
nel gramscismo, cancellato dallo
storicismo», Suic. riv., p. 155.
58 Suic. riv., p. 156.
59 Suic. riv., p. 157.
60 Suic. riv.,,p. 158.
61 Lo ricorda G. Riconda, nella postfazione a
Suic. riv., soffermandosi sul confronto di Del Noce con il pensiero
di F.
Rodano.
62 M. Horkheimer, La nostalgìa del
totalmente Altro, Queriniana, Brescia 19823.
63 A. del Noce, Appunti sull'irreligione
occidentale (1963), inIlproblema dell'ateismo, Il Mulino, Bologna
19904, pp.
293-333; Id., Riflessioni sull'opzione ateìstica
(1961), ivi, pp. 335-375.
64 Cfr. M. Horkheimer- T. W. Adorno, Dialettica
dell'illuminismo, Einaudi, Torino 1991.
65 A. del Noce, Il problema dell 'ateìsmo, cit, pp. 313-314.
66 Ep. secol., p. 216. Il nono capitolo di
quest'opera è dedicato al Significato presente dell'etica
rosminiana. Cfr. A.
Del Noce, A proposito dì una nuova
edizione della «Teosofia» del Rosmini, «Giornale
di Metafisica», nn. 4-5, luglio-
ottobre 1967, pp. 405-419;
Id., Da Cartesio a Rosmini, cit.
67 N. Matteucci, nell'Introduzione che precede
l'ultima edizione de Il problema dell 'ateismo, evidenzia come, per
Del
Noce, la Riforma cattolica e i suoi pensatori, Cartesio,
Malebranche, Pascal e Vico, costituissero, di fronte alla
sfida
della modernità, «una nuova risposta, partendo
dalla virtualità della tradizione, non una semplice
ripetizione della scola
stica», cit., p. XVII.
68 Ib., p. XXII.
69 Ib.
70 Sul tradizionalismo francese, cfr. M. A.
Raschini, / tradizionalisti francesi, in Grande Antologia
Filosofica, diretta
da M. F. Sciacca, Marzorati, Milano 1990, voi.
XIX, pp. 139-292; M. Ravera, Il tradizionalismo francese,
Laterza,
Roma-Bari 1991.
71 Cfr. M. A. Raschini, Rosmini, ovvero la
filosofia fra illuminismo e tradizionalismo, «Rivista
Rosminiana», f. I, gen
naio-marzo 1980, pp. 1-14; Id.,
Rosmini e l'idea di progresso, Marsilio, Venezia 2000.
72 A. Del Noce, Il problema dell'ateìsmo,
cit, p. 78.
73 Ib.