Giulio Nocerino

La filosofia di fronte alla dissoluzione
Il suicidio della rivoluzione nel pensiero di Augusto Del Noce


I borghesi sopravvivono a se stessi come spettri annunciatori di sventura.
                                    T. W. Adorno, Minima moralia

Non è facile discutere il pensiero di A. Del Noce a partire da un'opera come Il suicidio della rivoluzione, riedita nel 2004, a cura di Giuseppe Riconda1. Non lo è per numerosi motivi, legati non solo alla complessità di questo come di altri volumi delnociani (si pensi, tra l'altro, a II problema dell'ateismo), ma anche al tempo che ci separa dalla prima pubblicazione nel 1978, e che porta con sé l'ulteriore difficoltà di valutare, alla luce della storia successiva, la sostanza filosofica, politica, e culturale di tesi discusse e proposte ormai ventisette anni fa.

Subito, però, appare evidente l'importanza dei problemi affrontati da Del Noce: dagli esiti della cultura immanentistica, di cui il pensiero di Gentile e quello di Gramsci rappresentano pagine altissime, e perciò decisive nella comprensione del fallimento della principale linea della cultura moderna, quella immanentista, al delinearsi di un nuovo e minaccioso totalitarismo, quello tecnocratico, forse più pericoloso di quelli nazista e comunista, perché meno evidente e più incontrastato; dal differenziarsi della cultura laica, attraversata dalla separazione tra laicismo problematico, in particolare quello dell'ultimo Croce, e laicismo dogmatico, quello positivistico, sociologistico, e soprattutto materialistico diffuso come senso comune della società opulenta, alle contraddizioni che hanno attraversato la contestazione giovanile, iniziata alla fine degli anni sessanta come contestazione della società affluente e risoltasi, soprattutto attraverso il prevalere del suo aspetto di rivoluzione sessuale, in accelerazione dei processi di una modernizzazione disumanizzante.


Il discorso di Del Noce, poi, tiene insieme il passaggio della borghesia dalla sua fase di compromesso, cristiano-borghese, alla sua affermazione pura e radicale, con l'obliterazione delle riserve etico-religiose, in cui ancora si trovava impaniato il suo slancio socio-economico fino al secondo dopoguerra; il ruolo del pensiero cattolico nella critica della società contemporanea; il definirsi di una linea moderna della filosofia, di cui Rosmini costituisce un nodo decisivo, al fine di costruire, nel pensiero religioso, una vera alternativa al carattere distruttivo e autodistruttivo del corso attuale del mondo.

Questa ricchezza di temi, e l'urgenza che, paradossalmente, essi rivelano ex post, fa si che il lettore resti stupefatto di fronte a un brano, riportato nella postfazione scritta da Giuseppe Riconda, di una lettera del 21 giugno 1979, indirizzata allo stesso Riconda. Qui, Del Noce lamenta che sul suo volume, per quanto se ne fosse discusso «su giornali o settimanali mensili di varia cultura», «il silenzio è stato completo cosi su riviste filosofiche come su riviste storiche»2. «Evidentemente -aggiungeva Del Noce - oggi la connessione fra filosofia e storia non è di moda»3.

Il suicidio della rivoluzione, raccoglie diversi saggi, per lo più pubblicati in precedenza: il primo, Giacomo Noventa e (d'errore della cultura», era già apparso come introduzione a Tre parole sulla Resistenza (1973), dello stesso Noventa; il secondo, Gentile e Gramsci, è il testo di una relazione al Convegno di studi gentiliani di Roma, tenutosi nei giorni 2-6 giugno 1975; il terzo, Il problema della definizione storica del fascismo, era apparso sulla rivista «Storia e politica», nel 1976 (fase. I); segue un quarto saggio, Gramsci, o il suicidio della rivoluzione, in cui culmina la riflessione sulla rivoluzione, sulla cultura da cui nasce, sugli esiti eterogenei e imprevedibili, se non paradossali, a cui essa approda; chiude il volume un'appendice, Idee per l'interpretazione del fascismo, testo pubblicato nell'aprile del 1960 su «L'Ordine Civile», e tradotto in tedesco, nel 1967, dallo storico E. Nolte.

L'Introduzione offre il quadro concettuale di fondo dell'opera, quadro senza il quale non ci si incammina lungo il percorso storico-filosofico intrapreso da Del Noce, evitando l'immediato rischio di smarrirsi. La rivoluzione totale, «nel più rigoroso dei suoi significati, che è quello marxiano», si definisce come «la sostituzione della ricerca della metafìsica (della razionalità che è interna al reale, con conseguente primato della contemplazione di un ordine, a cui ci si deve praticamente conformare) con quella dell'instaurazione di una meta-umanità», «di un'autoliberazione dell'umanità attraverso la storia, o meglio di una liberazione operata dalla storia»4. Questa definizione della rivoluzione è attenta alla pesante ipoteca gnostica interna al pensiero rivoluzionario, che lo spinge a profetizzare la rottura dell'eone presente e il passaggio a un eone segnato, dopo il superamento traumatico e doloroso del regno della necessità, dal regno della libertà; lo stesso Del Noce limita, però, l'eccessiva enfasi attribuita al momento gnostico ed escatologico del pensiero rivoluzionario, mostrando come esso subisca, nel pensiero gramsciano, una significativa rimozione, in virtù dello storicismo.

Qual è l'esito, il risultato della rivoluzione? Il suo suicidio. Con l'espressione suicidio della rivoluzione, Del Noce si riferisce al suo sbocco paradossale, alla particolare eterogenesi dei fini per cui «il compimento della rivoluzione coincide con il suo suicidio»; la storia presente si connota come «processo verso questo suicidio»5. L'idea rivoluzionaria ha in sé due momenti: «il negativo come devalorizzazione dell'ordine tradizionale dei valori, e il positivo come instaurazione di un ordine nuovo»6. Accade, però, che i due momenti si separino, anzi si debbano (si tratta non di un accidente, bensì di una necessità) separare, e che il processo rivoluzionario conduca non all'ordine nuovo, comunque immaginato o progettato, bensì alla «ricaduta nel vecchio ordine, ma completamente sconsacrato»7.

Il processo rivoluzionario ha come risultato quel nichilismo, che pure, nella sua tensione totalizzante, avrebbe dovuto evitare, anzi, che normalmente, aggiungerei, esso pronostica come esito inevitabile della conservazione dell'ordine presente (chi può dimenticare l'alternativa proposta come ineludibile da qualche pensatore, poi postmoderno, tra socialismo e barbarie?): «È in conseguenza dell'arresto nella devalorizzazione nichilistica che il totalitarismo rivoluzionario si converte nel nichilismo al potere; nell''oppressività massima in conseguenza della distruzione di ogni unità ideale; nell'assorbimento del consenso nella coercizione»8.

È interessante vedere come la coercizione, a cui si riferisce Del Noce, sia la coercizione possibile nelle società a totalitarismo morbido, cioè come sia non un'imposizione violenta, ma la costruzione di una difficoltà radicale all'esercizio di forme di pensiero alternative rispetto a quello dominante, unico detentore delle ragioni di civiltà e di progresso e in grado di eclissare, con la taccia di manifesto oscurantismo, tutto ciò che gli si oppone. Per definire questa modalità di coercizione, riferendosi al progetto gramsciano della costruzione di un'egemonia culturale, «attraverso la creazione, a cui si provvede col dominio della cultura e della scuola, di un nuovo "senso comune", in cui non riaffiorino più le domande metafìsiche tradizionali»9, Del Noce ricorre a Eric Voegelin, per il quale il totalitarismo sarebbe «il divieto di fare domande». «Il conformismo del passato era un conformismo delle risposte, mentre il nuovo risulta da una discriminazione delle domande per cui le indiscrete vengono paralizzate quali espressioni di "tradizionalismo", di "spirito conservatore", "reazionario", "antimoderno" [...]; si giunge alla situazione in cui sia il soggetto stesso a vietarsele come "immorali". [...] È nella sua trasposizione al "morale" che il totalitarismo raggiunge la sua forma pura»10.
Un'altra peculiarità del pensiero delnociano, che desta una legittima perplessità, richiedendo un approfondimento storico non facile a realizzarsi, è la convinzione del carattere paradigmatico che la storia contemporanea italiana avrebbe, dal fascismo all'antifascismo, intesi come manifestazioni di una comune essenza filosofica, fino ancora al tempo in cui Del Noce scrive. La storia italiana presenterebbe una peculiare accentuazione del parallelismo filosofico-politico, e, quindi, della causalità ideale nella storia, vale a dire della capacità che le idee filosofiche hanno di incidere sul corso reale del mondo, costituendo la storia stessa come storia filosofica, e richiedendo, perciò, una lettura attenta al ruolo determinante che in essa assumono filosofìe e culture. La storia italiana si rivela microcosmo rappresentativo della storia mondiale, quasi una scena minore su cui si svolgerebbe un dramma destinato a riverberarsi sulla più vasta scena del mondo, dramma in cui, lo rammenta Riconda nella postfazione, Del Noce non esclude anche la possibilità estrema della fine fìsica o morale dell'uomo. In questa prospettiva, vicende spesso lette nella storiografia filosofica e culturale del dopoguerra sotto il segno riduttivo del provincialismo, o della distorsione provinciale di correnti ed esperienze della cultura mondiale, acquistano un significato epocale: la scoperta vociana, nel gennaio 1911, della statura filosofica di Giovanni Gentile, fino ad allora confinato al ruolo di ombra di Croce, e due anni più tardi, nel dicembre 1913, la scoperta di Mussolini; la fondazione tra il novembre 1918 e il febbraio 1922 di due riviste, «Energie Nove» e «La Rivoluzione Liberale» da parte del giovane Piero Gobetti, convinto della necessità di portare a Torino quella cultura europea elaborata a Napoli dagli hegeliani, divenuta fiorentina con De Sanctis, e destinata a costituire la spinta di un secondo Risorgimento; la fondazione, nell'aprile 1919, della rivista «L'Ordine Nuovo» ad opera di Antonio Gramsci, intenzionato a fare delle classi popolari il nuovo soggetto attivo e protagonista della storia italiana. Quale la connessione tra queste cosi diverse figure ed esperienze? Nell'interpretazione prevalente, quando Del Noce scrive, potevano istituirsi relazioni piuttosto estrinseche e per lo più di opposizione tra di esse, o almeno tra Gobetti e Gramsci, da una parte, e Mussolini e Gentile, dall'altra. La stessa relazione tra Gentile e Mussolini era letta alla luce di una interpretazione ideologizzata del fascismo e di una attribuzione di ingenuità, per quanto colpevole, a Gentile: «insomma [questa la tesi corrente, da cui Del Noce prende le distanze], con Mussolini e con Gentile trovano conclusione gli ultimi sussulti della vecchia Italia, mentre Gobetti e Gramsci inaugurano la nuova Italia»11.
A questa ricostruzione, Del Noce oppone una lettura radicalmente alternativa dell'opera e del pensiero di Gentile, dietro il cui linguaggio teologizzante, compare «il notaio del nichilismo: l'atto di morte della teologia, la riprova della vittoria di Nietzsche, non potevano essere stesi da altri che da un filosofo-teologo, convinto di essere tale»12. Il ruolo di Gentile nella radicalizzazione inconsapevole della deriva in direzione del nichilismo autorizza Del Noce a scrivere: «il processo della storia del pensiero descritto da Gentile non va verso la vera filosofia, come egli pensava, ma verso il nichilismo»13. Il tentativo gentiliano di dar forma ad un pensiero in grado di delineare una rivoluzione ulteriore rispetto al marxismo leninista, più adeguata della forma bolscevica a realizzarsi nei paesi di cultura e civiltà avanzati, quelli dell'occidente europeo, nasce quando, alla fine del secolo XIX, Gentile immagina, nel suo La filosofia di Marx, la possibilità di un inveramento del marxismo in una filosofìa dell'azione e della prassi, completamente liberata dalla componente materialistica presente nel pensiero di Marx. Qui, per Del Noce, l'atto di nascita (teoretico) del fascismo. «Mussolini era cosi - scrive Del Noce, richiamandosi ad un suo scritto del '60, che compare in appendice a Il suicidio della rivoluzione - il rivoluzionario che aveva accettato i risultati di quella critica italiana del marxismo teorico 1895-1900, premessa della cultura italiana del nostro secolo»14.
Del Noce, nell'indagine dei percorsi culturali che segnano il passaggio dalla (e della) rivoluzione alla dissoluzione, approfondisce il rapporto Gramsci-Gentile, mostrando la dipendenza del primo dal secondo piuttosto che dal pensiero crociano, dipendenza, questa normalmente preferita nell'interpretazione del pensiero gramsciano come ri affermazione di Marx dopo Croce. Se l'approfondimento del rapporto tra Gentile e il fascismo consente a Del Noce di «intendere il fascismo come il tentativo fallito, e non più ripetibile, di una rivoluzione ulteriore perché adeguata alla più matura civiltà occidentale, al marxleninismo»15, il chiarimento del nesso, che congiunge il pensiero di Gramsci all'attualismo, gli «permette di intendere il periodo fascista e l'antifascista come i due momenti successivi, misurati dalla stessa filosofìa, di questa rivoluzione occidentale»16. La gen-tiliana filosofia della prassi, nata da un ripensamento del marxismo delle Tesi su Feurbach, si fa cosi radice comune di due possibili, opposti, sviluppi: la rivoluzione-restaurazione (fascismo), pregna del ripensamento attualizzante dei valori tradizionali, ma destinata a non reggere il colpo della pressione in senso nichilistico che le urgeva dall'interno, e la rivoluzione come scissione totale (comunismo gramsciano), orientata, pur contro l'intenzione dei suoi sostenitori, a produrre la coincidenza inattesa dell'inveramento del marxismo con il nichilismo radicale17.
Gentile, Gramsci e l'errore della cultura
La comprensione del pensiero contemporaneo, e, di conseguenza, della storia contemporanea in quanto storia filosofica, passa attraverso l'interrogazione radicale della filosofia di Giovanni Gentile, del suo carattere fondamentale, delle essenze filosofiche che la attraversano e che da essa si sprigionano con chiarezza e nettezza inattese, dei suoi esiti (successo o scacco). Anche l'ipotesi di una ricostruzione (non restaurazione) metafìsica del pensiero, che non si risolva in un ritorno al passato né si incarni in una riproposizione, pur suggestiva, del pensiero tomistico, in quanto pensiero non antimoderno, ma post-moderno, passa attraverso la prova del confronto con l'attualismo. Gentile, scrive Del Noce, «ha portato all'estremo non soltanto, come normalmente si dice, l'idealismo o
la sua forma soggettivistica, ma la filosofia del primato del divenire, chiarendone l'esito antimetafisico. E nel suo pensiero si trovano, portate all'estremo, tutte le possibili linee del pensiero antimetafisico. Gentile ha stabilito, cioè, il rapporto di necessità che intercorre tra la coerenza rigorosa della filosofia del divenire, e la più radicale negazione della metafisica»1*.
Comprendere l'attualismo significa inoltrarsi in una lettura, quella delnociana, il cui coraggio ermeneutico non manca di suscitare anche sconcerto. La verità fenomenologia del pensiero gentiliano, ciò che ne fa la «rivelazione di un'essenza», è il suo carattere di scepsi, la «sua opera di dissoluzione della filosofia», «quella somma di negatività, la maggiore che si sia data nella storia della filosofia occidentale, che [essa] condensa»19. La filosofìa di Gentile, separata dal suo elemento retorico, che la costituisce e presenta come ottimismo radicale, si rovescia, manifestando il suo fondo più verace, in pensiero della crisi, il più radicale possibile, al punto da diventare la cifra della situazione spirituale del nostro secolo, intesa come «somma di crisi», crisi della religione, crisi della democrazia, crisi del marxismo, crisi dell'umanesimo20. Non si deve trascurare, questo sia detto senza sminuire il grande contributo che la lettura delnociana dell'attualismo ha significato, segnando la definitiva sconfìtta del mito del provincialismo di Gentile e della cultura italiana della prima metà del novecento, che Del Noce è spinto, per la sua stessa attenzione al potere di negazione dell'attualismo, a sottovalutare quell'aspetto per cui la filosofia di Gentile incarna la ricerca, speculativamente profonda e rigorosa, di un ubi consistam del pensiero e della storia moderni, che consenta di costruire una modernità in grado di assumere il senso, certo non la lettera, della tradizione, in particolare del cristianesimo. Che questo tentativo debba necessariamente concludersi con uno svuotamento modernistico o neomodernistico della tradizione cristiana, è la convinzione che muove Del Noce, anche nel suo L'epoca della secolarizzazione (1970)21, ma che non sempre sembra conciliabile con l'attenzione che lo stesso Del Noce rivolge al pensiero moderno, cercando di rintracciarvi una linea di svolgimento non immanentistica22.
Torniamo a seguire il ragionamento che porta Del Noce da Gentile a Gramsci, e viceversa. Egli ha insistito, nelle sue diverse opere, sulla centralità nel pensiero gentiliano dei due scritti giovanili, Rosmini e Gioberti (1898) e La filosofia di Marx (1899), il primo letto come la radicalizza-zione della giobertiana riforma cattolica, attraverso l'inserzione in essa della dialettica hegeliana, in direzione del modernismo religioso, il secondo «come un punto ultimo a cui deve giungere lo svolgimento dello hegelismo nella forma della filosofia della prassi; quindi come un oltre marxismo rispetto a cui il marxismo non si trova nella possibilità di rispondere»23. A Del Noce, ne Il suicidio della rivoluzione, interessa principalmente il Gentile interprete di Marx, rispetto al quale sceglie un punto di vista decisamente originale: per capire fino a che punto l'attualismo operi uno svolgimento dell'hegelismo nel senso della filosofìa della prassi, intesa da Gentile come l'eredità di Marx, una volta separato il suo pensiero dal materialismo storico, bisogna fare i conti con il pensiero di quel «marxista dopo la filosofìa dello Spirito» che è stato Gramsci. La filosofia dello Spirito, cioè il neoidealismo di Croce e di Gentile, ha, infatti, significato «la prima filosofìa dopo Marx che sia sorta nel mondo facendo inizialmente i conti col marxismo»24, ponendosi come antimetafisica (in virtù dell'abbandono dell'intuizione intellettuale) e come antipositivismo (per il suo antinaturalismo), e, perciò, scindendo l'elemento dialettico del marxismo dal materialismo storico. Questo strettissimo rapporto tra marxismo e neoidealismo italiano spiega «il successo del neomarxismo in Italia dopo "la filosofia dello Spirito"»25. Il complesso intreccio, che l'arditezza e l'anticonformismo interpretativo di Del Noce ci restituiscono, incontra anche il dibattito su fascismo e antifascismo. Una volta messe in evidenza, infatti, le affinità elettive e le relazioni tra attualismo e neomarxismo gramsciano, diventa impossibile, secondo Del Noce, insistere nel considerare il fascismo come una parentesi di smarrimento morale, come un errore contro la cultura, e si è costretti a coglierne il carattere di errore della cultura, riconoscendo che «il neomarxismo di Gramsci appartiene a una rivoluzione ulteriore al leninismo, di cui fascismo e postfascismo sono momenti che si avversano mortalmente ma nello stesso orizzonte»26. L'interferenza di sottili analisi di essenze filosofiche e di considerazioni storiche si spiega alla luce del paradigma transpolitico nell'interpretazione della storia contemporanea, che vede nel momento filosofico il nucleo di fondo di questa storia e nel parallelismo tra filosofia e politica la sua essenziale novità27.
Il pensiero di Gramsci, nella prospettiva di Del Noce, assume una funzione di particolare rilievo, in quanto ha alle spalle sia Marx che Gentile, i due pensatori che riformano l'hegelismo in direzione della filosofìa della prassi. Di qui anche la singolarità della sua posizione storica di pensiero neomarxista, radicalmente impegnato nella restituzione al marxismo del suo pieno valore e rigore filosofico, contro le diverse ipotesi revisionistiche e contro le riduzioni sociologistiche28, ma anche, per una stupefacente eterogenesi dei fini già sul piano del pensiero filosofico, prima che delle realizzazioni storiche, di pensiero «non più marxista»29. «Nel suo aspetto rivoluzionario - scrive Del Noce - la storia contemporanea non è altro che il passaggio alla realtà di queste due filosofìe della prassi [quella di Marx e quella di Gentile]»; la storia di questo passaggio alla realtà è la storia della rivoluzione marxleninista e delle sue eresie, da un lato, e dall'altro dell'«idea di una rivoluzione occidentale ulteriore alla rivoluzione russa, in quanto adeguata a Paesi superiori per civiltà e cultura, o per essere più esatti, per grado di modernizzazione»30. Ma il neomarxismo gramsciano, questa la convinzione di Del Noce, avrebbe sostanzialmente abbandonato l'orizzonte marxista, ponendosi come pensiero di una rivoluzione non più marxista, ma, seppure contro le intenzioni del pensatore sardo, nichilista: la domanda filosofica fondamentale diviene, per Del Noce, «se la filosofìa del primato del divenire, dopo aver elaborato il concetto di rivoluzione totale, giunta al suo punto ultimo, non lo rovesci in quello di dissoluzione, di processo verso il nichilismo»31. Paradosso ulteriore di questo percorso filosofico, e perciò stesso storico-politico, è il rovesciarsi della rivoluzione nella più oppressiva delle conservazioni mai realizzatesi32, a cui conduce la dissoluzione del marxismo, privato del suo aspetto escatologico-religioso, in sociologismo e il prevalere, palmare nel pensiero gramsciano, dell'obiettivo della modernizzazione, intesa come costruzione di una visione della vita e della realtà rigorosamente immanentistica, capace, al contempo, di diventare senso comune, superando la frattura tra intellettuali e popolo.
Torniamo a Gramsci. Chi conosce l'opera del filosofo torinese potrebbe stupirsi dell'accentuazione che Del Noce fa del rapporto con Gentile, a cui nei Quaderni è dedicato ben poco spazio33, mentre l'attenzione è tutta rivolta alla critica del pensiero crociano, critica che Gramsci intende come passaggio necessario per riconquistare filosoficamente un marxismo non revisionistico e autenticamente rivoluzionario, in grado di portare il leninismo, attraverso il concetto di egemonia, a farsi dottrina rivoluzionaria all'altezza della realtà evoluta (rispetto a quella russa) dei paesi dell'occidente europeo. Del Noce non trascura questa scelta del Gramsci maturo a favore di Croce e contro Gentile, accusato di retorica e di vuoto concettismo (accusa che resterà in eredità al pensiero azionista, per esempio a N. Bobbio34), ma anche qui tenta un rovesciamento interpretativo di non poco momento: se è vero che Croce ha ritradotto in forma speculativa la filosofìa della prassi (questa la critica di Gramsci), e che Gramsci opera la ritraduzione storicizzante del pensiero crociano, costruendo un Anti-Croce (e intuendo la necessità di un Anti-Gentile), la filosofìa della prassi che da Croce viene svolta in senso speculativo è quella di Marx o quella di Gentile? Quella di Gentile, è la risposta di Del Noce, il quale ne trae, di conseguenza, che «Gramsci dunque, nel suo lavoro di "ritraduzione storicizzante" non incontra Marx, ma invece Gentile, pur credendo di incontrare Marx»35. Non possiamo soffermarci sui passaggi e sui testi che Del Noce produce a dimostrazione di questo ennesimo rovesciamento interpretativo, chiamando in causa non solo i Quaderni, ma anche, se non di più, gli scritti del giovane Gramsci (quelli pubblicati su «Il grido del popolo» e sull'«Avanti!»36), ma possiamo seguire il tentativo che Del Noce fa di chiarire, a partire dai rapporti tra Croce e Gentile, la necessità filosofica di un confronto con l'attualismo, a cui non può sfuggire il neomarxismo gramsciano. Anzi, possiamo fin da subito dire che, per Del Noce, in Gramsci ha luogo un vero e proprio cedimento di fronte all'attualismo, inteso quest'ultimo a partire dal suo aspetto negativo di filosofìa della crisi (il suo potere di negazione); perciò, il pensiero di Gramsci conterrebbe, nella sua incapacità di superare davvero Gentile, le condizioni del rovesciamento della rivoluzione in nichilismo, attraverso l'esaurirsi della spinta dialettica nel marxismo, a tutto vantaggio del suo aspetto materialistico (con il prevalere del sociologismo); rovesciamento che, di fatto, avviene con la contestazione, a partire dalla seconda metà degli anni sessanta37.
Gentile e Croce. L'ultimo Croce e il laicismo problematico
Del Noce rivendica, ne Il suicidio della rivoluzione, di essere arrivato per primo alla tesi della «antecedenza ideale e cronologica della filosofia di Gentile rispetto alla crociana»38, tesi che e-sclude qualsiasi elusione del nodo filosofico e storico costituito dall'attualismo, magari in virtù di una riduzione di questo a involuzione in senso teologico o ideologico del pensiero di Croce, e ritiene che l'opera gentiliana svolga, dai due scritti giovanili su Rosmini e Gioberti e Marx, fino alla fine, un'unica fondamentale intuizione, di cui Gentile era in parte debitore al suo maestro Donato Ja-ja39, cioè «l'estensione radicale portata sino alle conseguenze più estreme della critica della teoria dell'intuito cosi contro platonismo come contro empirismo»40. L'obliterazione dell'intuizione intellettuale significa, nel pensiero di Gentile, la «scomparsa di ogni datità»41, il superamento del pensiero come carattere di esistenti (Dio, le persone) a favore di un pensiero senza essere, e perciò di un soggetto definitivamente inoggettivabile. Questi i caratteri che segnano anche la cesura radicale tra l'idealismo attualistico e ogni altra forma di filosofìa precedente, foss'anche l'idealismo tedesco. «Visto sotto questo angolo [quello della critica alla teoria dell'intuito e al pensare come vedere], l'attualismo è la più radicale critica di qualsiasi metafìsica, idealistica e naturalistica [...]. In riferimento a questo comprendiamo il suo [di Gentile] commento alle Tesi su Feuerbach, in cui vide per primo il testo essenziale della filosofìa marxiana, e che costituisce la parte fondamentale de La filosofia di Marx. Si tratta del rapporto tra due critiche dell'intuito, la sua e la maggiore che precedentemente si fosse avuta»42; perciò, il cuore della critica gentiliana al marxismo sta nell'idea che quest'ultimo non fosse riuscito, ricadendo attraverso l'assunzione del materialismo nella metafìsica, a superare in modo irreversibile e definitivo il portato metafìsico e oggettivistico dei secoli passati di pensiero filosofico43. In questo senso, il pensiero di Croce si presenta da un lato come meno rigoroso di quello gentiliano nella sostituzione di una filosofìa dello Spirito sia alla metafìsica tradizionale sia al positivismo naturalistico, d'altro canto esso, secondo Del Noce, risponde ad un radicalmente diverso processo di costituzione, in cui si manifesta «come il problema filosofico di Croce sia in realtà differentissimo da quello di Gentile come da quello di Marx: sia rivolto a raggiungere la vittoria su quel pessimismo che nella gioventù lo aveva portato a continue tentazioni di suicidio e che sempre, costantemente dissimulato, riaffiora»44. Non si tratta di una notazione psicologica; Del Noce non solo lo dice chiaramente, ma anche lo mostra nel quarto saggio de Il suicidio della rivoluzione, Gramsci o il suicidio della rivoluzione, quando parla di (e soprattutto fa parlare) «un Croce straordinariamente attuale, il Croce del pessimismo non superato, e ritornante nell'ultimo periodo del suo pensiero»45. Si tratta del Croce che assiste, avvertendone tutta la tragicità, al tramonto del mondo cristiano-borghese. In un testo del 1946, anno, come Del Noce non manca di sottolineare, di fervide illusioni, intitolato L'Anticristo che è in noi, Croce si interroga sul possibile avvento di un'età di imbarbarimento non paragonabile ad alcuna delle precedenti (e non è di poco rilievo che Croce scriva quando, da poco, sono terminate la tragedia nazista e quella della guerra), proprio in virtù del progresso (qui, è il Croce vichiano che scrive) avvenuto nella storia europea. «Il vero Anticristo - scrive Croce, in una frase citata da Del Noce - sta nel disconoscimento, nella negazione, nell'oltraggio, nell'irrisione dei valori stessi, dichiarati parole vuote, fandonie, o, peggio ancora, inganni ipocriti per nascondere e far passare più agevolmente agli occhi abbagliati dei creduli e degli stolti l'unica realtà che è la brama e cupidigia personale, indirizzata tutta al piacere e al comodo»46.
La considerazione del pessimismo di Croce non solo consente a Del Noce di cogliere l'aspetto per cui il suo pensiero si rivela incompatibile con gli esiti culturali che nel dopoguerra muovono dalla dissoluzione del marxismo, ma gli permette anche di sostenere il carattere di teodicea dello storicismo crociano, da cui si origina l'orientamento speculativo e contemplativo, che ad esso rimprovererà un Gramsci inconsapevolmente gentiliano. L'opera di Croce è, per Del Noce, «u-na "teodicea adeguata alla modernità", una teodicea dopo accolta la perdita della speranza di una vita oltremondana, e respinti in pari tempo i surrogati di speranza proposti nel progresso e nell'utopia»47. L'intenzione filosofica crociana è ancora un'intenzione giustificante, priva di quella vis prassistica che sarà propria dell'attualismo, prima, del neomarxismo gramsciano, poi. Per questo, Del Noce parla, riguardo alla filosofìa di Croce, di «hegelismo separato dalla possibilità di svolgimento in forma di filosofìa della prassi»48, qualcosa di evidentemente lontanissimo dal pensiero di Gentile, inteso da Del Noce, lo abbiamo visto, come una riforma dell'hegelismo in direzione della filosofìa della prassi.
Manca ancora, però, nella ricostruzione delnociana, che individua in Gramsci l'autore di una ripresa dell'attualismo, nel momento stesso in cui il pensatore sardo credeva di recuperare un marxismo autentico, attraverso la critica del carattere speculativo, e perciò ancora teologico, della filosofìa crociana, una tassello importantissimo, forse il più fragile della sua interpretazione. Se Gramsci superando Croce, ripetendo il movimento di pensiero che porta da Hegel a Marx, ma nelle condizioni della filosofìa italiana della prima metà del novecento, e, soprattutto, dopo la rivoluzione del '17, ritrova Gentile, è perché, questa l'ipotesi di Del Noce, ala filosofia di Croce è l'esatta ritraduzione in termini di filosofia speculativa della filosofia della prassi di Gentile»49. Scrive Del Noce: «Questa potrebbe sembrare una pura ipotesi se non trovasse la più completa conferma nella recente pubblicazione della corrispondenza»50. Del Noce si riferisce alle lettere scambiate da Gentile e Croce, fin dal 1896, cioè fin dagli anni della querelle sul marxismo e sul suo valore filosofico, nelle quali emerge il tentativo, che Gentile fa, di liberare Croce dall'influsso di Labriola, a sua volta profondamente influenzato, nella sua lettura di Marx, dal realismo di Herbart. Tentativo, questo, il cui esito è noto, data la perenne resistenza di Croce ad assumere il formalismo (e soggettivismo) radicale del suo amico e sodale (al tempo) Gentile, e il recupero che il primo farà della teoria herbartiana dei distinti all'interno della sua filosofia dello Spirito. «In breve - scrive Del Noce -, Gentile sempre insiste nel cercare di portare Croce al suo punto di vista che già almeno ne La filosofia di Marx si è definitivamente chiarito come una forma, ulteriore e superiore criticamente alla marxiana, di filosofìa della prassi. E sempre Croce recepisce formalismo e critica dell'intuito... ad modum recipienti^ cioè di quella filosofìa giustificante, e teodicea laica delle opere, che è per definizione filosofìa speculativa»51. Sull'ipotesi dell'antecedenza ideale dell'attualismo rispetto al pensiero crociano, ipotesi che lo stesso Del Noce avverte di non aver ne Il suicidio della rivoluzione adeguatamente argomentato, resta più di un dubbio, visto che proprio Del Noce, mettendo in evidenza la distanza che divide i processi di formazione delle filosofie crociana e gentiliana, in fondo sostiene una tesi che non sembra collimare con l'idea che Croce avesse ritrascritto in termini speculativi (contemplativi) proprio la filosofìa della prassi gentiliana52.
Suggestiva è, anche, l'argomentazione con cui Del Noce segna il percorso che conduce Gramsci a «ricostruire dopo il crocianesimo l'attualismo»53, nella convinzione invece di restituire un marxismo rivoluzionario all'altezza della sfida culturale, prima che politica, dell'Occidente. Del Noce indica sei vie (o elementi) che rendono persuasivo il cammino, da lui tracciato, da Gramsci a Gentile: «la prima è la coincidenza puntuale tra la critica gramsciana dello storicismo di Croce e la gentiliana. La seconda è la formulazione nuova che in Gramsci trova il concetto marxiano di società civile, con le sue implicazioni, tra cui quella dell'abbandono dell'economicismo e del materialismo marxiani. La terza è la posizione rispetto a Labriola, inconsapevolmente identica a quella di Gentile. [...] La quarta è il modo in cui è inteso il blocco storico. La quinta è il giudizio sulla funzione capitale accordata alla filosofia italiana nel processo di modernizzazione rivoluzionaria. La sesta, la differenza da Lenin rispetto alla nozione di egemonia»54. In particolare, mi sembra importante sottolineare come Del Noce riconduca il ribaltamento, che si ha nel pensiero gramsciano, del rapporto struttura-sovrastruttura (obbligatoriamente segnato dal primato della prima sulla seconda, nel marxismo rigoroso), non alle esigenze dettate dal contesto di maggiore civilizzazione e complessità dell'occidente europeo, rispetto alla condizione in cui si era realizzata la rivoluzione del '17, ma alla forte influenza del primato gentiliano della filosofìa e delle concezioni del mondo, seppur intese non soltanto come pensiero speculativo, ma come forze creative di storia e di novità. In questo senso deve essere letta anche la centralità che Del Noce assegna alla lettura, che Gramsci fa in carcere, nel '32, della Storia d'Europa nel secolo decimonono (almeno dei primi tre capitoli, dedicati alla "religione della libertà" e alle "fedi religiose opposte").
Perché soprattutto quest'opera offre a Gramsci «lo stimolo assolutamente decisivo per l'organizzazione del suo pensiero»55? Nella Storia d'Europa, Gramsci trova un Croce impegnato a definire i termini di una religione laica e immanentista, in grado di offrire una concezione della vita moderna e capace di farsi ideologia, nel senso gramsciano, cioè concezione totale del mondo vivificante l'agire sociale: «la Storia d'Europa - scrive Gramsci nel decimo quaderno - è il primo libro del Croce in cui le opinioni antireligiose della scrittore assumevano un significato di politica attiva e avevano una diffusione inaudita»56. Il confronto di Gramsci con Gentile e con Croce ha al centro il problema della religione, e in particolare del passaggio dalle religioni trascendenti del passato ad una religio civilis, intesa come concezione totalizzante e attiva del vivere, propria di un blocco storico, e necessaria a costruire l'egemonia di questo sull'intera società57. Di qui il rifiuto, netto in Gramsci, delle soluzioni aristocratiche che Croce e, soprattutto, Gentile danno del problema religioso, sia proponendo una filosofia cristiana, che conservi il «contenuto teorico della religione»58, seppur in una trasfigurazione immanentistica e demitologizzante, sia mantenendo un distacco insuperabile tra l'aristocratica filosofia cristiana moderna-idealistica e le sopravvivenze della religione tradizionale, intesa come philosophia minor, e come tale inserita nei curricula scolastici, nelle classi popolari. «Gramsci guarda invece - scrive Del Noce - al momento sociale-politico della religione, al suo religare, stabilire un unità tra gli intellettuali e i semplici che realmente in quelle religioni filosofiche [quelle neoidealistiche] va perduta, e in questo andare al popolo passa da una prospettiva di pensiero ancora romantica, quale era quella degli idealisti italiani, a una prospettiva radicalmente illuministica»59.
Ritrovare questo problema religioso, che aveva dominato la filosofìa italiana tra il 1890 e il 1940, e reinterpretarlo, attraverso la riaffermazione, almeno intenzionale, di un marxismo non revisionistico, significa, per Gramsci, non incontrare Croce, ma Gentile. La centralità della società civile, come momento della cultura e dello scontro tra le filosofìe, le ideologie, le concezioni della vita, e l'importanza, che Gramsci attribuisce all'ideologia nella costruzione del blocco storico, e nella definizione della sua possibilità di esercitare la direzione culturale, prima che quella politica, della società, richiedono l'abbandono degli aspetti materialistici, deterministici, economicistici del marxismo, prevalsi nelle letture ufficiali (come quella del Saggio popolare di Bucharin), a favore di una
sua ritrascrizione in termini di filosofìa della prassi, vale a dire nei termini in cui Gentile aveva interpretato Marx, nella sua opera giovanile. «Ma che cos'era questa marxista filosofia della prassi separata da materialismo ed economicismo, se non appunto l'attualismo? - si chiede Del Noce -L'attualismo separato però dal rapporto tra religione e filosofìa che esso affermava»60, cioè l'attualismo del Gentile de La filosofia di Marx, omesso il Rosmini e Gioberti.
Conclusioni
Il vero obiettivo del pensiero di Del Noce, cosi come si esprime ne Il suicidio della rivoluzione, l'opera che, qui, abbiamo più avuto presente, ma anche in altre che ne costituiscono il contesto ineludibile, da II problema dell'ateismo (volume nel quale è raccolto, tra l'altro, il saggio La non-filosofia di Marx e il comunismo come realtà politica, che è del '46) ai saggi su Gentile degli anni sessanta, da L'epoca della secolarizzazione ali cattolico comunista, scritto nel '81, e concepito dall'autore come uno sviluppo dell'indagine sulla rivoluzione di tre anni prima61, agli scritti dedicati a Rosmini, è quello di comprendere le dinamiche complesse di una società, quella italiana ed europea del novecento, rispetto alla quale non smette di ricordare e motivare le ragioni di un'opposizione culturale, religiosa, politica, che lo conducono ad affinità esplicite con le più radicali esperienze critiche del secolo, dai Francofortesi a S. Weil, da J. Maritain a F. Rodano, a Giacomo Noventa, etc. Ma qualcosa distingue sempre Del Noce dagli autori a cui si accompagna nell'attraversamento dell'abisso della contemporaneità. Basti pensare a come egli opponga a Marcuse la contraddizione in cui cade un pensiero critico che non ritrovi, e non per uno slancio soggettivo, ma per una necessità filosofica, la dimensione religiosa (ritrovamento se non altro postulato dall'Horkheimer de La nostalgia del totalmente Altro62), e a come persegua una critica della società tecnologica, che separi la tecnologia in quanto tale dal significato (non dall'uso: sarebbe banale!) che essa acquista in una società del benessere, orientata in senso immanentistico e secolarizzato in seguito ad una opzione culturale razionalistica63, e non ad un destino più o meno epocale o ad una dialettica dell'illuminismo, cosi indeterminata da coinvolgere qualsiasi forma della civiltà occidentale, dalla Grecia di Omero alla Germania di Hitler o all'America di Holliwood64. Scrive Del Noce ne II problema dell'ateismo: «In una concezione teistica la tecnica si unisce all'idea della distinzio-
60&/c.nv,p. 158.
61    Lo ricorda G. Riconda, nella postfazione a Suic. riv., soffermandosi sul confronto di Del Noce con il pensiero di F.
Rodano.
62    M. Horkheimer, La nostalgìa del totalmente Altro, Queriniana, Brescia 19823.
63    A. del Noce, Appunti sull'irreligione occidentale (1963), inIlproblema dell'ateismo, Il Mulino, Bologna 19904, pp.
293-333; Id., Riflessioni sull'opzione ateìstica (1961), ivi, pp. 335-375.
64    Cfr. M. Horkheimer- T. W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo, Einaudi, Torino 1991.
15
ne tra una realtà inferiore all'uomo e una realtà che infinitamente l'oltrepassa. [...] completamente diversa è la posizione della tecnica in un sistema risolutamente irreligioso dove essa tende a concludere in una totale desacralizzazione e in una totale depersonalizzazione del reale [...]. È opportuno quindi vedere un nesso tra l'assolutizzazione del tecnicismo e la società che si suol dire "opulenta"», al punto che ci si deve chiedere «se quindi non il processo tecnico spieghi la società opulenta, ma se, all'opposto, la società opulenta spieghi l'affermarsi della mentalità pantecnicistica nella sua pienezza»65.
La critica sociale e politica, tranne forse qualche momento di stanchezza, non cade pressoché mai nel moralistico, nell'apocalittico o, peggio, nell'ascetismo edificante, perché Del Noce tiene fede all'idea di una connessione radicale tra storia e filosofia (e quindi tra teoria e prassi), idea appresa alla scuola dell'attualismo, cosi profondamente meditato, e a cui, credo, egli abbia dato un senso di concretezza forse prima inattinto. Mi riferisco alla capacità, che Del Noce ebbe, di stabilire relazioni inattese tra filosofie diverse, attraverso un uso, talvolta anche sconcertante, del concetto di essenza filosofica, per il quale gli universi di pensiero, che nelle filosofìe si esprimono, manifestano necessità, connessioni, esiti che sfuggono non solo alle intenzioni, ma anche all'immaginazione dei pensatori che li hanno elaborati. L'interpretazione transpolitica della storia, almeno della storia del novecento, consente alle analisi delnociane un continuo movimento dal piano dei concetti e delle elaborazioni culturali a quello, non diciamo degli eventi, perché il discorso di Del Noce non ha un riferimento propriamente evenemenziale, ma delle tendenze e delle trasformazioni storiche, in cui dimensione propriamente politica e storia dei costumi (histoire des moeurs), storia civile, si intrecciano. Qualcosa di non dissimile, non volendo istituire paragoni di valore, ma solo analogie di struttura, a quello che trova di fronte a sé il lettore della Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis, che pure rappresenta una delle sorgenti di quella linea laica della cultura italiana, da Del Noce seriamente criticata.
Non è facile soffermarsi sui singoli passaggi dell'interpretazione delnociana della dissoluzione del pensiero rivoluzionario in nichilismo, perché essa mette in gioco autori diversi e corposi, da Marx a Croce, da Gentile a Gramsci (per tacere dei numerosi altri rimandi: a Stirner, a Rosmini, ai Francofortesi, e per le analisi storico-culturali del fascismo a E. Nolte e a R. De Felice), e anche fenomeni storici italiani e mondiali (nello stesso tempo, talvolta), dal fascismo di Mussolini alla rivoluzione di Lenin, dalle vicende del Partito Comunista (si vedano gli importati riferimenti alla figura di Bordiga, vera e propria rimozione della cultura politica italiana) a quelle della contestazione, etc. Ma, io credo, sarebbe riduttivo affrontare l'opera di Del Noce come se essa consistesse in una, pur originale e ardita, ricostruzione storiografica, capace di mettere in evidenza elementi per lo più negletti della storia del pensiero filosofico e delle sue Wirkungen storico-politiche. Essa è, infatti, sottesa e attraversata, nei diversi volumi che abbiamo sopra citato, e nei tanti altri scritti che non abbiamo avuto modo di richiamare, da una profonda intenzione teoretica, che diviene esplicita quando Del Noce incontra Rosmini, autore a cui non dedica moltissime pagine, il cui pensiero, però, sembra costituire un costante punto di riferimento, in quanto espressione matura di una modernità non immanentistica, quella che si origina nel Cartesio delle Meditazioni, e non nel Cartesio preilluministico, caro alla tradizione laica e unico possibile punto di partenza di una ricostruzione metafisica del pensiero contemporaneo e di una «critica veramente rigorosa dell'amoralismo contemporaneo»66. Soprattutto, andando oltre la lettera degli scritti e delle pagine delnociane su Rosmini, Del Noce ritrova il Roveretano nella elaborazione di una filosofìa moderna della tradizione67, distinta dal tradizionalismo, o, meglio, dai diversi tradizionalismi che hanno visto la luce dopo la Rivoluzione francese. Del Noce interpreta la tradizione come una virtualità inesauribile, a cui rivolgersi per dare risposte nuove ai problemi via via emergenti, non come una morta gora a cui attingere formule sclerotizzate, al fine di sfuggire alla responsabilità del presente. Di qui, l'importanza della categoria di Risorgimento: «"Risorgimento" è, per Del Noce, - scrive N. Matteucci nell'Introduzione premessa all'ultima edizione deIlproblema dell'ateismo - lo sviluppo di virtualità implicite nella tradizione, e, come tale, è un processo storico incompiuto, ancor oggi in fieri»6*. L'idea di Risorgimento veniva cosi ad indicare una «restaurazione creatrice», «un nuovo che fosse l'esplicitazione di una virtualità della tradizione»69.
La profonda affinità del pensiero delnociano con quello di Rosmini si chiarisce ulteriormente, se solo si pensa che nel rosminianesimo vive un'idea di progresso assolutamente irriducibile sia al rapporto con la tradizione, prevalentemente politico, dei pensatori francesi della Restaurazione70, sia alle costruzioni ideologiche di una modernizzazione assunta a paradigma assiologico, che dall'illuminismo, attraverso gli idéologues, arrivavano a Rosmini, e ancora imperversano nelle diverse esperienze neoilluministiche del secondo dopoguerra. Non solo: l'idea del progresso nell'approfondimento della conoscenza della verità, il progresso delle forme dialettiche come progresso reale nella dimensione della cultura, all'interno, però, di quello che Rosmini definisce il sistema della verità, è evidentemente consentanea al continuo richiamo delnociano ad un cristianesimo moderno, non fissato in una delle sue manifestazioni storiche, eppure assolutamente alieno alle derive e agli accomodamenti del modernismo e del neomodernismo cattolico71. «L'esclusione del tema del progresso - scrive Del Noce ne Il problema dell 'ateismo -, cosi nel suo senso scientista come in quello storicista, è certamente ciò che caratterizza il pensiero metafìsico, e fonda la distinzione tra metafìsica e scienza», però «occorre che anche per il pensiero metafìsico sia valido un certo concetto di progresso non esprimibile altrimenti che come "esplicazione del virtuale"»72; e cosi egli spiega questa esplicazione del virtuale: «è nel processo personale di soluzione del problema metafisico, che riconosco nella mia tesi l'esplicazione di una "virtualità" di un'affermazione già sostenuta in passato; ed è proprio in questa "esplicazione di una sua virtualità" che la tesi metafisica mi diventa "evidente", liberandosi dalla sempre contingente forma che aveva assunto nelle sue formulazioni storiche»73.
Perciò, direi che le ricostruzioni e interpretazioni delnociane, tutte segnate dal confronto agonico con gli autori e le correnti di pensiero le più diverse, trovano una direzione unitaria non solo e non tanto nella critica del razionalismo, inteso come scelta di abbandonare l'idea del peccato originale e di assumere la condizione umana presente come condizione normale, non come esito di un drammatico trauma antropologico, e, quindi, cosmico e storico, ma nella convinzione di poter ricostruire il filo della tradizione cristiana, soprattutto perché questo filo, nel corso della modernità, è piuttosto liso e minacciato che interrotto. Di qui, anche il senso nient'affatto restaurativo dei richiami al platonismo, all'homo sapiens, irriducibile all'homo fiaber; alla morale tradizionale; al contrario, essi costellano la strada di un procedere in avanti e non di un tornare all'indietro, e si presentano, sono concepiti, nella loro più profonda verità, come rievocazione del sempre nuovo dello spirito umano di contro al nuovo già da principio invecchiato e corrotto dell'epoca della secolarizzazione. Non solo, infatti, il pensiero delnociano invita alla speculazione libera di fronte al totalitarismo "morbido" della cultura contemporanea, ma si fa anche proposta di una netta opposizione alla perfidia dell'ordinamento del mondo, per usare un'espressione di Adorno, critica sociale, proprio perché attenta e acuta critica filosofica e culturale.


Note

1 A. Del Noce, Il suicidio della rivoluzione, Aragno, Torino 20042. D'ora in poi Suic. riv.
2    Ibi, p. 315.
3    Ibidem.

4    Ibi,pp. 7-8.
5    Ibi, p. 8.
6    Ibidem.
7    Ibidem.
8    Ibidem.
9    Ibi, p. 278. 10 Ibi, p. 279.
11  Ibi, p. 11.
12    Ibi, p. 13.
13    Ibidem.. V. Possenti parla, nel secondo capitolo del suo Il nichilismo teoretico e la "morte della metafisica" (Arman
do, Roma 1995), a proposito del pensiero gentiliano, di nichilismo speculativo e di ontofobia, accostando Gentile a Nie
tzsche. «Il nichilismo speculativo (e conseguentemente quello etico) sembra essere stato in Gentile non molto inferiore
a quello di Nietzsche, ma meno consapevole di sé, velato a se stesso, non dichiarato e rivestito di formule spiritualisti
che ed affermative, nelle quali si configura un'ontologia di ascesa, non di declino, che finivano per mascherarlo agli oc
chi del pubblico colto», p. 64.
14    Ibi, p. 15.
15    Ibi, p. 16.
16   Ibidem.
17 «Per esprimere tutto in una rapida formula, direi che, visti nella loro radice filosofica, fascismo e antifascismo sono i due aspetti in cui quella filosofia della prassi che è l'attualismo si dirompe nel "farsi mondo"» (Suic. riv., p. 165).
18 Ibi, p. 105. Non bisogna dimenticare, che il radicalismo filosofico di Gentile sembrò, già intorno alla metà degli anni trenta, insufficiente al suo allievo Ugo Spirito. Questi, ne la vita come ricerca (1937), scrive: «Le conseguenze del movimento di riforma della dialettica hegeliana sono, in realtà, tutte connesse al dualismo insuperato di una concezione che, postulando il divenire dello spirito, lo chiude nella sua formula. E per quel tanto, perciò, per cui esse sono alimentate dalla coscienza dello spirito come infinita e assolutamente libera autocreazione appaiono profondamente innovatrici e rivoluzionarie; per quel tanto, invece, per cui esse direttamente rivelano la coscienza della definitiva scoperta e determinazione della natura creatrice dello spirito, diventano immobili e dogmatiche come nel peggiore scolasticismo» (ed. Luni, Milano-Trento 2000, pp. 82-83). L'attualismo, per Spirito, è ancora una filosofia non diveniente del divenire, e perciò incapace di comprendere il valore della scienza e di svolgere in senso rivoluzionario, e non conservatore (riformistico e gradualistico), i suoi contenuti politici e sociali. Sulle difficoltà strutturali originatesi, nel pensiero di Gentile, dall'intenzione di tenere insieme una filosofia del divenire e una filosofia dell'atto, si veda G. Sasso, la potenza e l'atto. Due saggi su Giovanni Gentile, La Nuova Italia, Firenze 1998 (in particolare il primo saggio: Giovanni Gentile: filosofo aristotelico o megarìco?).
19    Suic.riv.,p. 107-108.
20    Ibi, p. 108.
21    A. Del Noce, l'epoca della secolarizzazione, Giuffrè, Milano 1970. D'ora in poi, Ep. secol.
22    Cfr. A. Del Noce, Da Cartesio a Rosmini, a cura di F. Mercadante e B. Casadei, Giuffrè, Milano 1992.
23    Suic. riv.,p. 106.
24    Ibi, p. 109.
25    Ibidem.
26Ibi,pp. 110-111.
27 In una nota, Del Noce mette in evidenza un ulteriore paradosso: «per un verso la storia contemporanea è storia filosofica, [...] per l'altro è caratterizzata dalla più completa scissione che si sia mai data tra storia e filosofia. Quella scissione a cui fa riferimento il sentire comune, quando parla della nostra epoca come dell'unica caratterizzata dalla caduta competa della prospettiva di valori, di ideali, di fini» (Suic. Riv., p. 113).
28 Si vedano la critiche che Gramsci rivolge a La teoria del materialismo storico. Saggio popolare di sociologia marxista di Bucharin, in cui la filosofia della praxis viene interpretata come sociologia e il momento propriamente filosofico del marxismo viene confinato nel materialismo storico; in particolare Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, 4 voli., Einaudi, Torino 1977, Q. 11, voi. II, pp. 1428-1431 (§ Riduzione della filosofia della praxis a una sociologìa). D'ora in poi, per indicare i Quaderni userò l'abbreviazione Q., seguita dal numero del quaderno e dalla pagina citata. 29Suic. riv.,p. 112.
30    Ibidem.
31    Ibidem.
32    In alcune pagine de L'epoca della secolarizzazione, Del Noce dichiara il suo consentimento alle analisi critiche del
famoso volume di H. Marcuse, L'uomo a una dimensione, ponendo «una domanda che non è possibile non porre: pen
siamo davvero che l'epoca dei totalitarismi sia finita, o invece che vi sia la minaccia di più pericolose forme oppressive,
forme oppressive in qualche modo nuove, e che non corrispondono affatto alle figure tradizionali dello stalinismo,
dell'hitlerismo, ecc.? » (p. 198).
33    Non è difficile trovare nei Quaderni interi paragrafi che fanno pensare ad una distanza, non priva di vero e proprio
disprezzo, di Gramsci rispetto a Gentile. Al § 6 del quaderno 11, Gramsci scrive: «Sulla filosofia del Gentile è da con
frontare l'articolo della «Civiltà Cattolica» {Cultura e filosofia dell'ignoto, 16 agosto 1930) che è interessante per vede
re come la logica formale scolastica può essere idonea a criticare i banali sofismi dell'idealismo attuale che pretende
essere la perfezione della dialettica. [... ] Gentile col suo seguito [... ] si può dire che ha instaurato un vero e proprio "se
centismo" letterario, poiché nella filosofia le arguzie e le frasi fatte sostituiscono il pensiero» (Q. 11, voi. II, p. 1370).
Accanto a questi passi, vanno letti altri, a cui Del Noce stesso rimanda, nei quali è evidente la consapevolezza che
Gramsci ebbe dell'importanza di Gentile, non solo quando parla de «l'attuale continuazione della filosofia classica te
desca rappresentata dalla moderna filosofia idealistica italiana di Croce e Gentile» (Q. 10, voi. II, p. 1248), ma soprat
tutto quando, dopo aver scritto che «si può dire che la polemica contro la filosofia dell'atto puro di Giovanni Gentile ha
costretto il Croce a un maggior realismo e a provare un certo fastidio e insofferenza almeno per le esagerazioni del lin
guaggio speculativo», aggiunge: «ma la filosofia del Croce non può essere tuttavia esaminata indipendentemente da
quella del Gentile. Un Anti-Croce deve essere anche unAnti-Gentile» (Q. 10, p. 1234).
34    Se si vuole aver presente anche l'interpretazione antifascista del pensiero e dell'opera di Gentile, la più lontana possi
bile da quella delnociana, si veda il Profilo ideologico del Novecento, scritto da Bobbio, e pubblicato nel voi. IX della
Storia della Letteratura Italiana di E. Cecchi e N. Sapegno, Garzanti, Milano 1988, pp. 112-121.
35    Suic. riv.,p. 114.
36    Del Noce fa riferimento a tre scritti giovanili di Gramsci: La Rivoluzione contro il Capitale, «Avanti!», 24 novembre
1917 (poi, «Il grido del popolo», 5 gennaio 1918); La critica critica, «Il grido del popolo», 12 gennaio 1918; Il sociali
smo e la filosofia attuale, «Il grido del popolo», 19 gennaio 1918.1 primi due sono stati raccolti in A. Gramsci, Scritti
giovanili 1914-1918, Einaudi, Torino 1958, rispettivamente alle pp. 149-153 e 153-155.
37    «È un fatto che l'evoluzione gramsciana del comunismo si incontra con l'evoluzione del capitalismo; la rinuncia del
comunismo alla mentalità messianica coincide con la rinuncia delle borghesia al moralismo. Si stabiliscono cosi le con
dizioni per l'integrazione del comunismo alla società democratico-borghese, ma per un'integrazione di quale natura?
[...] mi limiterò qui a richiamare la tesi di Max Horkheimer sulla distinzione tra le due fasi dello sviluppo del mondo
borghese. [...] Possiamo dire che il secondo stadio è quello in cui lo spirito borghese si manifesta finalmente allo stato
puro [...]. Nello stadio neocapitalistico la borghesia è talmente dominante da non aver più bisogno di modificare in una
certa misura la propria ideologia spontanea [...]; da non aver più bisogno, insomma, del compromesso con il cristiane
simo. Ora la critica gramsciana del compromesso cristiano-borghese attinge il cristianesimo, ma non colpisce affatto la
borghesia; nella sua versione gramsciana il partito rivoluzionario fornisce l'occasione allo spirito borghese di realizzarsi
allo stato puro» (Suic. riv., pp. 282-283).
38    Del Noce ricorda tre suoi saggi apparsi sul «Giornale critico della filosofia italiana» nel '64, nel '68 e nel '69, con i
titoli Appuntì sul primo Gentile e la genesi dell 'attualìsmo, L'idea dì Risorgimento come categorìa filosofica in Gio
vanni Gentile, Gentile e la poligonia giobertiana. Questi saggi, rielaborati, costituiscono i primi tre capitoli dell'opera
postuma Giovanni Gentile. Per una interpretazione filosofica della storia contemporanea, Il Mulino, Bologna 1990.
39    Del Noce fa riferimento allo scritto L'intuito nella conoscenza (Memoria letta all'Accademia di Scienze morali e po
litiche della Società Reale di Napoli nel 1894), «Atti della Reale Accademia di Scienze morali e politiche di Napoli»,
voi. XXVI (1893-94), Napoli 1894, pp. 483-525.
40    Suic. riv., p. 123.
41    Ibidem.
42    Ibi, pp. 124-125.
43 «Posizione filosofica ulteriore al marxismo, termine ultimo a cui può giungere la filosofia della prassi dopo Hegel, l'attualismo può essere pensato e vissuto nella forma "romantica" di continuità con la tradizione, che fu di Gentile, o in quella "illuministica" di scissione rivoluzionaria, che fu di Gramsci. Nel primo caso, la sua logica è incrinata; nel secondo si autonega come filosofia, che viene sostituita dall'ideologia» (Suic. riv., p. 126). 44Ibi,pp. 127-128.
45    Ibi, p. 289.
46    Suic. riv., p. 290. Cfr. B. Croce, Filosofia e storiografia, Laterza, Bari 1949, p. 315. Del Noce, ne l'epoca della se
colarizzazione, propone tre idee sulla filosofia crociana: la prima, «che non ci si può render conto dell'opera di Croce,
se non si vede in lui un pensatore essenzialmente religioso, all'interno di un presupposto mai messo in discussione,
quello per cui l'età della trascendenza religiosa sarebbe ormai conclusa. La seconda, che se non viene accettata questa
interpretazione, ci si trova costretti a escludere Croce, come pensatore eclettico, dalla storia della filosofia vera e pro
pria. La terza, che esiste nel suo pensiero una contraddizione dinamica tale da dover condurre a fare oggetto di proble
ma l'immanentismo accolto come presupposto» (p. 241). Mi sembra di grande interesse, e del resto corrisponde
all'attenzione che si è avuta, nella seconda metà del novecento, per il Croce teorico della vitalità, un'interpretazione,
quale quella delnociana, dello storicismo crociano come tentativo di una teodicea non trascendentistica, che, però, con
clude con un riemergere del momento dualistico e pessimistico, nascosto in ogni sforzo di giustificazione del pensiero
 speculativo.
47    Suic. riv.,p. 129.
48    Ibidem.
49    Ibi, p. 130.
50    Ibidem.
51    Ibi, p. 134.
52    Nel suo Giovanni Gentile, Del Noce scrive: «Anche ai tempi della maggior amicizia, Gentile fu per lui [Croce] un
professore particolarmente valoroso che, aiutandolo a orientarsi nelle questioni generali, lo rendeva consapevole della
peculiarità della sua filosofia e, insieme, gli proteggeva le spalle dagli attacchi degli altri professori. Sotto il comune
programma di rinnovamento della cultura come problema primo della nuova Italia, Croce e Gentile non potevano inten
dere che cose diverse, in ragione del loro diverso processo di formazione. [...] La diversità si fece rottura quando si o-
biettivò sul piano politico; ma l'epistolario mostra come fosse presente sin dall'inizio dell'amicizia, e resistesse agli
sforzi che entrambi facevano per superarla» (pp. 59-60). Cfr. M. Lancellotti, Croce e Gentile. la distinzione e l'unità
dello spirito, Studium, Roma 1988.
53    Suic. riv., p. 135.
54Ibi,pp. 135-136.
55    Suic. riv.,p. 147.
56    A. Gramsci, Q. 10, voi. II, p. 1298. Il passo è citato da Del Noce, in Suic. riv., p. 153.
57    «Il nesso unitario [tra gli scritti giovanili di Gramsci e i Quaderni] è rappresentato dal tema, probabilmente attinto a
Sorel, del socialismo come religione che deve sostituire il cristianesimo. Occorre però osservare come il momento reli
gioso sia affatto diverso da quello del marxismo originario. Se tanto si è scritto sul carattere messianico ed escatologico
del marxismo in rapporto alla trasposizione del mito della funzione redentrice del giusto (identificato col proletariato) le
cui sofferenze servono di mediazione perché cangi lo stesso stato ontologico dell'uomo e del mondo, occorre dire che
questo aspetto, che ha certamente contato molto nell'incontro tra il marxismo e il messianismo russo, è affatto assente
nel gramscismo, cancellato dallo storicismo», Suic. riv., p. 155.
58    Suic. riv., p. 156.
59    Suic. riv., p. 157.
60   Suic. riv.,,p. 158.
61    Lo ricorda G. Riconda, nella postfazione a Suic. riv., soffermandosi sul confronto di Del Noce con il pensiero di F.
Rodano.
62    M. Horkheimer, La nostalgìa del totalmente Altro, Queriniana, Brescia 19823.
63    A. del Noce, Appunti sull'irreligione occidentale (1963), inIlproblema dell'ateismo, Il Mulino, Bologna 19904, pp.
293-333; Id., Riflessioni sull'opzione ateìstica (1961), ivi, pp. 335-375.
64    Cfr. M. Horkheimer- T. W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo, Einaudi, Torino 1991.
65 A. del Noce, Il problema dell 'ateìsmo, cit, pp. 313-314.
66    Ep. secol., p. 216. Il nono capitolo di quest'opera è dedicato al Significato presente dell'etica rosminiana. Cfr. A.
Del Noce, A proposito dì una nuova edizione della «Teosofia» del Rosmini, «Giornale di Metafisica», nn. 4-5, luglio-
ottobre 1967, pp. 405-419; Id., Da Cartesio a Rosmini, cit.
67    N. Matteucci, nell'Introduzione che precede l'ultima edizione de Il problema dell 'ateismo, evidenzia come, per Del
Noce, la Riforma cattolica e i suoi pensatori, Cartesio, Malebranche, Pascal e Vico, costituissero, di fronte alla sfida
della modernità, «una nuova risposta, partendo dalla virtualità della tradizione, non una semplice ripetizione della scola
stica», cit., p. XVII.
68    Ib., p. XXII.
69    Ib.
70    Sul tradizionalismo francese, cfr. M. A. Raschini, / tradizionalisti francesi, in Grande Antologia Filosofica, diretta
da M. F. Sciacca, Marzorati, Milano 1990, voi. XIX, pp. 139-292; M. Ravera, Il tradizionalismo francese, Laterza,
Roma-Bari 1991.
71    Cfr. M. A. Raschini, Rosmini, ovvero la filosofia fra illuminismo e tradizionalismo, «Rivista Rosminiana», f. I, gen
naio-marzo 1980, pp. 1-14; Id., Rosmini e l'idea di progresso, Marsilio, Venezia 2000.
72    A. Del Noce, Il problema dell'ateìsmo, cit, p. 78.
73    Ib.