Howard K. Moss

Gramsci e l’idea della natura umana

1990

Traduzione a cura di www.countdownnet.info e di http://worldsocialism.blog.excite.it/

Si è scritto molto riguardo alle idee di Gramsci sulla politica e sulla società e gli è stata attribuita una vasta scelta di etichette. Egli ha sofferto sia per esagerata lode sia per ingiusta diffamazione.1 La diversità d’interpretazione scaturisce, almeno parzialmente, dal fatto che i suoi scritti non sviluppano le sue idee in un modo ordinato e definitivo, ma sono, per via delle condizioni in cui furono composti, frammentari e incompleti. La maggior parte dei primi scritti sono brevi pezzi giornalistici prodotti nel fervore di un intenso coinvolgimento politico, dei quali egli stesso disse che “erano scritti alla giornata e dovevano, secondo me, morire dopo la giornata.”2 Il suo successivo lavoro di carattere più filosofico, scritto in prigione in circostanze di profondo tormento fisico e spirituale, riflette, nella sua vastità di disegno ma esecuzione incompiuta, le limitazioni impostegli da quelle condizioni, che comportavano un limitato accesso ai materiali necessari per lo studio e la paura di azioni punitive da parte della censura.

Quando viene interpretato il pensiero di chi scrive in tali condizioni, è necessario che il lettore usi cautela nei giudizi. Una particolare fonte di errore consiste nel formulare giudizi su un autore basati su affermazioni prese isolatamente o su un’incompleta lettura dei testi. Questo tende a frammentare ancor più le sue idee. Per una visione bilanciata della struttura del pensiero di Gramsci, è essenziale una lettura dettagliata di quanto scrisse nel contesto in cui fu scritto.3 Egli stesso indicava la necessità di un tale metodo di studio affermando che la coerenza di qualsiasi visione del mondo “è da ricercare non in ogni singolo scritto o serie di scritti ma nell’intiero sviluppo del lavoro intellettuale vario in cui gli elementi della concezione sono impliciti.”4 Egli insiste sulla necessità della “ricerca del leit-motiv, del ritmo del pensiero in isviluppo”, piuttosto che arrivare a conclusioni da “singole affermazioni casuali” e “aforismi staccati.”5

Un ostacolo ulteriore ad una giusta valutazione del pensiero di Gramsci deriva da un altro fattore che egli indica quando dice che “le interpretazioni del passato, quando del passato stesso si ricercano le deficienze e gli errori . . . non sono ‘storia’ ma politica attuale in nuce.”6 Questa osservazione si rivela di particolare rilevanza nel caso di Gramsci, dal momento che è stato interpretato frequentemente secondo la posizione politica dell’interprete.7  Terreno comune tra gli interpreti di Gramsci, comunque, è di riconoscerlo come marxista e materialista. Sia amici e nemici ideologici sia quelli che reclamano neutralità ideologica sono generalmente d’accordo su questo punto,8 ed è importante rilevare come tutti siano concordi nel sostenere che la visione dell’uomo nel pensiero di Gramsci sia in linea con la teoria marxista, fatto non sorprendente, dal momento che i suoi scritti sembrano contenere molti  fattori espliciti  a  sostegno  di  questa  lettura. 

Perfino  i  suoi  primi  articoli  di  carattere  giornalistico,  che riguardavano eventi contingenti e dunque avevano relativamente poco da dire su temi di carattere ideologico, sembrano parlare forte e chiaro. Quando nel novembre del 1921, per esempio, Gramsci discute sul tema dei leader e della leadership, scrive che il giornale Ordine Nuovo da lui diretto si serve del “metodo marxista” e che Marx è “il più grande libertario apparso nella storia del genere umano.”9

Gli scritti composti in prigione, che danno molto più spazio a queste considerazioni, sembrano puntare nella stessa direzione. In essi Gramsci sostiene, come Marx,10 che la natura umana non è qualcosa di fisso, astratto e immutabile, ma che è “l’insieme dei rapporti sociali che determina una coscienza storicamente definita” e che “questa coscienza solo può indicare ciò che è ‘naturale’ o ‘contro natura’.”11 La natura umana non è, egli afferma, “qualcosa di omogeneo per tutti gli uomini in tutti i tempi,”12 essa cambia e con essa le idee che consolidano la maniera in cui l’essere umano si comporta, in quanto queste idee sono parte della “coscienza storicamente determinata” dell’uomo, e citando F. Engels dice ancora che “gli ‘strumenti intellettuali’ non sono nati dal nulla, non sono innati nell’uomo, ma sono acquisiti, si sono sviluppati e si sviluppano storicamente.”13

Uno dei modi con cui Gramsci evidenzia l’idea che la natura umana è inseparabile dalle idee di una società storicamente determinata (e perciò che l’esistenza è inseparabile dal pensiero) è attraverso il riferimento ad alcune delle grandi invenzioni e scoperte avutesi nella storia. L’elettricità, egli sostiene, è sempre esistita ed è  stata osservata nella sua forma naturale, ma, prima che fosse realmente capita e utilizzata per l’uso sociale, non si può affermare che abbia avuto un significativo effetto sulla consapevolezza e le relazioni umane. Inoltre “bisognerebbe poi mettere in luce che una nuova scoperta che rimane cosa inerte non è un valore: l’‘originalità’ consiste tanto nello ‘scoprire’ quanto nell’’approfondire’ e nello ‘sviluppare’ e nel ’socializzare’, cioè nel trasformarla in elemento di civiltà universale.”14

Questa idea della natura umana come insieme di attività umane, sociali e produttive storicamente determinate e non come qualcosa di fisso ed immutabile è vista da Gramsci come la grande innovazione del marxismo che contrasta con altre concezioni della natura umana che esistevano prima di Marx e continuavano a essere ampiamente sostenute, in particolare la tradizionale visione cattolica dell’uomo come un essere fisso in un eterno e immutabile modello di male e di depravazione a causa del  peccato  originale.15   Egli  menziona  anche  pensatori  contemporanei  come  Ugo  Spirito,  Arnaldo Volpicelli e Benedetto Croce, che non possedevano una concezione cattolica dell’uomo, ma tuttavia “legata alla concezione della ‘natura umana’ identica e senza sviluppo”, che considera gli esseri umani come “fondamentalmente uguali nel regno dello Spirito.”16

Gramsci vedeva chiaramente che ogni teoria politica porta con sé una concezione o almeno delle tacite assunzioni sulla natura umana. La concezione di Gramsci sembra essere chiaramente esposta e dice esplicitamente che gli uomini sono essenzialmente adattabili e flessibili, sono sia plasmati dall’ambiente sia capaci di modificarlo con la loro attività. Non c’è niente, perciò, nel carattere di base dell’uomo che gli impedisca di produrre e gestire il tipo di società libertaria della quale Gramsci stesso vede nel marxismo un sostegno.17 Ma il problema sorge quando Gramsci si sposta dalla visione teorica alla pratica politica. Tra le due sembra esserci una discontinuità.

Ciò appare molto chiaramente se consideriamo la sua visione dei possibili cambiamenti politico- sociali e le sue concrete proposte per promuoverli. La sua reputazione è quella di un pensatore politico e attivista rivoluzionario il cui obiettivo è di liberare le classi oppresse dalle catene con le quali la repressiva organizzazione sociale del capitalismo le tiene legate. Eppure un accurato esame di che cosa Gramsci ha da dire intorno alla società che deve sostituire il capitalismo suggerisce che il pensatore abbia poca fiducia nella capacità degli esseri umani di cambiare fondamentalmente la loro "natura", ossia di adattarsi a un nuovo ambiente sociale. La sua principale accusa alla società capitalistica, l’intrinseca ineguaglianza, sembra non trovare soluzione nella nuova società da lui auspicata. Se l’ineguaglianza deriva, come sostiene la teoria marxista, dalla legittimazione dell’esercizio del potere da parte dei pochi sulla moltitudine, allora una società fondata sull’eguaglianza dovrebbe abolire l’autorità di una minoranza. Ma la visione gramsciana del futuro non contiene questa idea, punta invece ad un cambiamento dal potere di una minoranza a quello di un’altra – da quello dei pochi che apertamente agiscono nei loro propri interessi a quello dei pochi che sostengono di agire nell’interesse della maggioranza. Ora, se gli esseri umani sono un prodotto sociale, se sono quelle creature formate in modo flessibile e storico come la teoria marxista sostiene siano, perché dovrebbe essere necessaria una forma qualsiasi di autorità socialmente imposta su di loro? Perché non dovrebbero essere capaci di operare liberamente e collettivamente come maggioranza? In altre parole, perché Gramsci non segue interamente le implicazioni della sua analisi marxista della natura umana? Perché non prescrive la forma di organizzazione sociale fondata sul consenso della maggioranza da essa indicata?

Prima di provare a rispondere a queste domande, sembra utile considerare molto più attentamente la visione gramsciana della società post-rivoluzionaria. L’elemento di maggiore importanza qui è il suo concetto di Stato. La sua analisi della natura e della funzione dello Stato sembra del tutto fedele al marxismo ortodosso. Lo Stato è essenzialmente strumento di repressione, esiste per permettere a una classe di dominarne un’altra o altre. L’esistenza dello Stato, perciò, indica una società divisa in classi in cui non c’è libertà per quelli che sono dominati per via della coercizione che lo Stato gli impone. La soluzione marxista sarebbe data dall’abolizione della società di classe e del dominio di classe, che per definizione significa dall’abolizione dello Stato.18 Ma qual è la soluzione di Gramsci?

Ci sono, è vero, un piccolo numero di osservazioni nei suoi scritti che puntano nella direzione appena indicata. Un articolo scritto all’inizio del 1920 definisce “la società comunista” come l’”Internazionale delle nazioni senza Stato”19 e più tardi dalla prigione Gramsci ribadisce ciò parlando della necessità di un “sistema di principii che affermano come fine dello Stato la sua propria fine, il suo proprio sparire, cioè il riassorbimento della società politica nella società civile.”20 Ancora, poco prima della sua prigionia, si era domandato, rispondendo positivamente, “Siamo noi in grado di riorganizzare la produzione in modo da condurre la società intiera su un nuovo binario che porti alla abolizione delle classi e all’eguaglianza economica?”21

Ma un tale ordinamento non coercitivo senza Stati e senza classi, che la sua idea della natura umana dovrebbe consentire, viene menzionato negli scritti solo fugacemente. La quasi costante e travolgente spinta della sua analisi e delle sue raccomandazioni per l’azione politica e il cambiamento sociale non è a favore dell’eliminazione delle strutture statali e delle divisioni di classe, ma dello stabilirne di nuove, solo qualitativamente differenti da quella esistenti. Il fatto che Gramsci non contempli seriamente la possibilità di un’organizzazione politico-sociale senza Stato risulta chiaro da varie asserzioni dell’idea che la coercizione statale sia essenziale all’esistenza della società umana. Alcune si trovano negli articoli che scrisse immediatamente dopo il colpo di stato bolscevico in Russia nel novembre del 1917. Il sostegno che Gramsci dà a Lenin è totale. Lenin, secondo Gramsci, non ha abolito lo Stato e la coercizione che esso implica e sostiene che aspettarsi che egli faccia questo sarebbe “davvero assurdo, come sarebbe assurdo dar moglie ad un bambino di due anni e aspettarsi un figliolo dopo i nove mesi dalla  cerimonia.”22  

Sembra  un  argomento  poco  coerente,  dal  momento  che  quello  che  sembra “assurdo” non è la seconda parte dell’analogia (“aspettarsi un figliolo dopo i nove mesi”), ma la prima parte (“dar moglie a un bimbo di due anni”) da cui dipende.

Egli prosegue nello stesso articolo specificando che quello che deve succedere e sta succedendo in Russia è l’“abolizione di ogni vecchio istituto giuridico, abolizione di ogni vecchio privilegio, chiamare all’esercizio della sovranità statale tutti gli uomini.” Quindi, lungi dall’abolire lo Stato, esso deve essere rafforzato, anche se su quelle che Gramsci vede come nuove basi. La sua successiva discussione sul bolscevismo va oltre e generalizza l’esperienza russa. Lo scrittore asserisce, in un articolo del maggio del 1919, che “la società non può vivere senza Stato: lo Stato è la società stessa in quanto concreto atto di volontà superiore all’arbitrio individuale, alla fazione, al disordine, alla indisciplina individuale.”23

Due mesi più tardi, in un articolo antianarchico intitolato “Lo stato e il socialismo”, applica questa idea ad una specifica società futura e insiste che “il comunismo non è contro lo ‘Stato’, anzi si oppone implacabilmente ai nemici dello Stato.”24 Adesso, il nuovo tipo di Stato sostenuto, basato sul modello che Gramsci ritiene in sviluppo in Russia, viene chiamato “lo Stato dei Consigli operai e contadini nel quale si incarnerà la dittatura proletaria.”25 Che un tale Stato possa sbarazzarsi dell’esistenza di classi si oppone alla fondamentale idea marxista che la stessa esistenza dello Stato presupponga l’esistenza di classi antagonistiche. L’idea di “dittatura”, inoltre, anche se non intesa nel suo moderno senso totalitario, implica dominio di un gruppo su un altro.

E quest’idea sembra essersi rafforzata nel pensiero di Gramsci quando più tardi asserirà esplicitamente che la società post-rivoluzionaria sarà divisa in classi, “poiché la dittatura del proletariato non è che la forma suprema della lotta di classe proletaria.”26

Gli scritti dalla prigione reiterano questa visione, ma, per ragioni di pratica necessità, usano una maggiore cautela e un tipo di linguaggio più astratto. Le idee riguardo alla classe, lo Stato e la dittatura proletaria sono espresse più filosoficamente nei termini della necessità di guide e guidati, governanti e governati nella condotta degli affari umani. La volontà collettiva dei rivoluzionari è descritta come “un rapporto continuato tra governanti e governati.”27

I Quaderni saranno permeati da questa idea come pure dai termini, spesso ripetuti, “disciplina” e “coercizione”. Questi termini erano già molto presenti negli scritti precedenti al carcere, quando  Gramsci  parlava  della situazione  contemporanea  e della  lotta  immediata  che essa rendeva necessaria, ma nei Quaderni il contenuto filosofico con cui vengono esposti dà loro una più chiara applicazione agli affari umani in generale.

Tutto questo non appare in sintonia con l’analisi esplicita di Gramsci sulla natura umana e solleva seriamente la questione se tale analisi possa essere accettata come la teoria autentica della natura umana che sta alla base delle sue idee e raccomandazioni per un cambiamento politico e sociale. Un pensatore non sempre dichiara esplicitamente quale concezione della natura umana sta alla base delle sue idee politiche, sia perché gli può sembrare scontata sia perché egli stesso può non averla intellettualizzata. Può ugualmente essere che la teoria della natura umana che uno scrittore dichiara non sia quella che emerge da un'analisi del suo pensiero. Dobbiamo considerare questa possibilità nel caso di Gramsci. Ci aiuta il fatto che nei suoi scritti, assieme a ciò che viene esplicitamente dichiarato sulla natura umana, ci sono anche elementi intorno ad  una differente prospettiva, che ci conducono  in un’altra direzione. Questa prospettiva emerge dall’analisi di una serie di passaggi poco considerati che si trovano sparpagliati in varie parti dei suoi scritti, e specialmente nei Quaderni e nelle Lettere dal carcere, una prospettiva della quale lo stesso Gramsci non fa una esplicita professione e che dunque sembra non costituire per lui una vera e propria concezione. Il fatto stesso che questi passaggi non facciano parte di specifiche sezioni del suo lavoro suggerisce che egli stesso non li considerava fondamentali..

La maggior parte di essi si trovano in alcune sue lettere scritte dalla prigione nell’arco di circa sette anni a sua moglie e a sua cognata. Queste lettere contengono commenti sul modo in cui vuole che i propri bambini vengano cresciuti e, per estensione, sul mantenimento e sull’educazione dei bambini in generale. La parola chiave in questi passaggi è “coercizione”. All’idea sostenuta dalla moglie che “nel bambino sia in potenza tutto l’uomo e che occorra aiutarlo a sviluppare ciò che già contiene di latente, senza coercizione, lasciando fare alle forze spontanee della natura e che so io”, egli risponde: “Io invece penso che l’uomo è tutta una formazione storica, ottenuta con la coercizione . . . e solo questo penso: ché altrimenti si cadrebbe in una forma di trascendenza o di immanenza.”28 Il significato di questo passaggio  si trova nell’opposizione tra il punto di  vista di Gramsci e quello della moglie.

Gramsci identifica l’inevitabile coercizione rappresentata dalle condizioni storiche sotto cui l’uomo opera con le attive e coscienti forme di coercizione che gli esseri umani possono usare per provare e forgiare il comportamento di altri. L’applicazione di quest’idea all’educazione dei bambini punta a favore di quello che un critico ha chiamato “un’intelligenza dirigente”, con la chiara implicazione che, se la coercizione non viene usata, si ottiene un comportamento indesiderabile.29  Ciò costituirebbe una visione distintamente antimaterialista in quanto attribuirebbe agli esseri umani tipi di comportamento innati, ossia astorici, ma esso sembra essere il modo di vedere che Gramsci attribuisce alla moglie e che in lei critica.

Se si considera però attentamente la questione, è l’idea di sua moglie, cioè l’idea che i bambini a cui è consentito di interagire con l’ambiente svilupperanno, se quell’ambiente non è oppressivo, forme di comportamento improntate alla cooperazione, che sembra essere materialista, mentre Gramsci adotta la posizione idealista secondo la quale i bambini cresciuti senza coercizione familiare tenderanno naturalmente a comportamenti socialmente indesiderabili. Le implicazioni di ciò per il pensiero di Gramsci sono importanti, perché indicano la ben radicata convinzione nel pensatore che l’uomo, lungi dall’essere una creazione essenzialmente storica, sia un essere inerentemente antisociale le cui tendenze indesiderabili devono essere tenute sotto controllo da un’autorità superiore.

Ulteriori elementi di questo consistente e in gran parte inarticolato pessimismo riguardo alla natura dell’uomo si trovano non soltanto in altri luoghi delle Lettere dal carcere, ma anche in un certo numero di osservazioni di parte dei Quaderni. Qui, in merito ai moderni metodi di educazione, Gramsci si riferisce al bisogno “del vigile ma non appariscente controllo del maestro.”30 Inoltre, sostiene che l’abitudine allo studio non è qualcosa da cui un bambino possa trarre piacere spontaneo, ma che questa abitudine può prodursi solo attraverso l’acquisizione forzata: “è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza ..... si ha a che fare con ragazzetti, ai quali occorre far contrarre certe abitudini di diligenza, di esattezza, di compostezza anche fisica ..... che non si possono acquisire senza una ripetizione meccanica di atti disciplinari e meccanici.” 31 Ciò risulta, sempre secondo l’autore, dal fatto che “l’educazione è una lotta contro gli istinti legati alle funzioni biologiche elementari, una lotta contro la natura, per dominarla e creare l’uomo ‘attuale’ alla sua epoca.”32

Un atteggiamento dello stesso tipo viene illustrato in termini più generali quando Gramsci discute delle opinioni espresse da altri a proposito di leggi e abitudini sociali. Si riferisce, senza  nessun commento diretto ma con un evidente tono di derisione, alle teorie libertarie dello scrittore tedesco Hans Frank, per il quale l’uomo è “infelice e cattivo finché è incatenato dalla legge, dal costume, dalle idee ricevute” e nel quale “l’esame personale si oppone al principio d’autorità, che viene attaccato in tutte le sue forme: dogma religioso, potere monarchico, insegnamento ufficiale, stato militare, legame coniugale, prestigio paterno e, soprattutto, la giustizia che protegge queste istituzioni caduche, che non è  che  coercizione,  compressione,  deformazione  arbitraria  della  natura  umana.”33   

Un  passaggio successivo intitolato “I costumi e la legge” conferma la disapprovazione di Gramsci per questo modo di vedere quando descrive tali punti di vista come “un residuo dello spontaneismo, del razionalismo astratto che si basa su un concetto della ‘natura umana’ astrattamente ottimistico e facilone.”34

Un ulteriore aspetto del pessimismo di Gramsci sulla natura umana è la sua credenza espressa a varie riprese in una fondamentale animalità nell’uomo, contro la quale egli deve perpetuamente lottare. Tutto ciò emerge dalle sue idee sull’educazione (lo abbiamo visto, ad es., alla nota 32), ma è presente anche in altre parti dei suoi scritti. Nei Quaderni, sotto il titolo “ ‘Animalità’ e industrialismo”, si riferisce allo sviluppo industriale come a “una continua lotta contro l’elemento ‘animalità’ dell’uomo, un processo, spesso doloroso e sanguinoso, di soggiogamento degli istinti naturali, cioè animaleschi e
primitivi.”35

Questo stesso concetto si trova anche in una delle lettere che alla fine del 1926 Gramsci spedisce a sua cognata da Ustica, dove fu tenuto prima del processo. Riferendosi ai comuni criminali ivi imprigionati, scrive: “tutto ciò che di elementare sopravvive nell’uomo moderno, rigalleggia irresistibilmente.”36  

Già nel 1917, un suo articolo  aveva riassunto il  suo profondo scetticismo  per quanto riguarda la capacità dell’uomo di migliorare la vita senza metodi coercitivi: “Gli uomini sono pigri, hanno bisogno di organizzarsi, prima esteriormente in corporazioni, in leghe, poi intimamente nel pensiero, nella volontà . . . di una incessante continuità e molteplicità di stimoli esterni.”37

Ciò che tutte queste osservazioni di Gramsci indicano è una teoria della natura umana molto lontana da quella che pretende di sostenere e, forse meno sorprendentemente, molto più in armonia con la natura e il senso delle sue attività e prescrizioni politiche. Questa “tacita” teoria che vede la natura umana non in termini marxisti, come un esclusivo prodotto della storia, ma come caratterizzata da un’inerente tendenza verso forme di comportamento antisociali dimostra una paradossale somiglianza con un’idea che Gramsci molto più esplicitamente rifiuta quando si occupa di religione e cristianesimo con il suo concetto del peccato originale. Qui, ancora, la visione consciamente dichiarata da Gramsci riflette il marxismo ortodosso. Il Cristianesimo è “questa religione, imbastardita e incretinita, ..... questa fede, incapace di sollevare l’animo al disopra d’ogni bassura, ..... questi riti diventati abitudini passive, superstizioni grottesche.”38 Ideologicamente è un “elemento ..... oppiaceo, tendente a mantenere determinati stati d’animo di aspettazione passiva di tipo religioso.” 39 Il suo più grave difetto dal punto di vista del progresso umano è quello di identificare “la causa del male nell’uomo stesso individuo.”40

Mentre Gramsci critica la teoria della storia di Benedetto Croce e ciò che vede come sue opportuniste revisioni di  essa,  elogia  Croce  per  aver  fornito  “il  maggiore  contributo  alla  cultura  mondiale  che abbiano dato gli intellettuali moderni italiani”, cioè l’idea che “l’uomo moderno può e deve vivere senza religione.”41 Si vede perciò come Gramsci, pur rifiutando la religione per la passività da essa incoraggiata e per la concezione dell’uomo che essa preconizza, ossia l’uomo come un essere innatamente incapace di migliorare la società per via della sua propria natura,42 sembra tuttavia adottare una concezione simile nel suo pensiero “secolare”, e questa concezione, pure usata nel  contesto secolare, viene spesso espressa con l’uso di un vocabolario quasi religioso, in particolare col frequente uso, affatto occasionale, della parola “fede”. Non è perciò forse esagerato proporre che la scelta di questo vocabolo molto specifico sia indicativa di un suo radicato attaccamento all’idea che gli uomini abbiano bisogno di osservare e accettare le imposizioni di qualche autorità suprema?

Negli scritti che precedono il carcere, specialmente nel periodo in cui il Fascismo stava ottenendo la supremazia, questa stessa parola viene usata per incoraggiare tutti i sostenitori dell’opposizione comunista a fare causa comune. In un contesto del tipo “noi siamo tranquilli, perché abbiamo una bussola, perché abbiamo una fede ..... la nostra concezione del mondo si sintetizza nella profonda persuasione che il male non riuscirà mai a prevalere”, le implicazioni morali sono chiarissime.43 Lo sono anche quando Gramsci scrive che “nulla è perduto se rimane intatta la coscienza e la fede, se i corpi si arrendono ma non gli animi.”44

La frequente associazione di tale linguaggio con un vocabolario militare è anche indicativa di un’ideologia basata sulla necessità che una massa di uomini segua i pochi che comandano e dia loro un’indiscussa  obbedienza:  “lavorare  per  acquistare  la  simpatia  delle  grandi  masse,  della  parte  più povera della classe operaia che è anche la più numerosa e che darà le più folte e fedeli schiere di soldati alla rivoluzione.”45

Quest’idea, espressa nel linguaggio filosofico dei Quaderni, riveste una più forte suggestività morale: “La volontà reale si traveste in un atto di fede, in una certa razionalità della storia, in una forma empirica e primitiva di finalismo appassionato che appare come un sostituto della predestinazione, della provvidenza, ecc., delle religioni confessionali.”46 Egli cita con approvazione anche la visione di Croce secondo cui “È religione ogni filosofia, cioè ogni concezione del mondo, in quanto è diventata fede, cioè considerata non come attività teorica (di creazione di nuovo pensiero) ma come stimolo all’azione (attività etico-politica concreta, di creazione di una nuova storia).”47

La nozione di un’azione politica di massa come in fondo una forma di “fede” che proviene da una fonte profondamente morale e non razionalizzata serve da ulteriore prova dell’attaccamento di Gramsci alle stesse categorie “religiose”, la cui validità egli nega con argomenti marxisti ma che, in ultima analisi, sembrano stare alla radice del suo modo di vedere la natura e le limitazioni dell’azione politica.

Questo attaccamento può inoltre essere visto come un fattore chiave nello sviluppo dell’idea per cui Gramsci è più famoso, quella di “egemonia”. L’“egemonia” gramsciana vede come principio dinamico del cambiamento sociale la diffusione delle idee di un nuovo gruppo sociale progressista tra le masse attraverso gli “intellettuali” di questo gruppo. Il loro ruolo è di far penetrare quelle idee nella “società civile”, ossia in tutte le istituzioni civili (educazione, cultura, religione, legge, mezzi di comunicazione etc.) di cui è composta. Solo quando questo compito sarà stato attuato e l’unità ideologica tra gli intellettuali e le masse sarà realizzata, esisterà quello che Gramsci chiama il “blocco storico”, e a quel punto i tempi diventeranno maturi per una concreta azione politica.48

Questo processo, secondo Gramsci,  è sempre accaduto nella storia: una nuove classe dominante ha preso e mantenuto il potere solo  nel  momento  in  cui  un  apparato  ideologico  efficace  ha  fatto  fluire  le  sue  idee  attraverso  le
istituzioni della società civile. Il medioevo e l’aristocrazia rinascimentale, per esempio, ebbero la chiesa e il clero come forza egemonizzante, mentre per l’Italia moderna Benedetto Croce è stato individuato come il principale rappresentante dell’egemonia intellettuale dello stato borghese.49 Gli intellettuali di un  gruppo  sociale  progressista  hanno  bisogno  allora  di  vincere  la  battaglia  ideologica  contro  i funzionari intellettuali dell’autorità costituita, il cui scopo è di rafforzare la fedeltà alla società esistente, rappresentandola come naturale e neutrale.

La vecchia egemonia, in altre parole, deve essere sostituita da una nuova egemonia affinché le nuove idee possano essere messe in atto e sia istituito un nuovo ordine sociale.50 Quest’idea, apparentemente, può sembrare comporti implicazioni del tutto democratiche per la futura società: la rivoluzione politico-sociale può essere effettuata solo quando il desiderio di cambiamento sociale si è diffuso nell’intera società. Da questa teoria dell’”egemonia”, però, Gramsci non trae tali implicazioni democratiche. Invece vede il “ceto” degli intellettuali, una volta che avrà fatto il lavoro di diffusione delle idee rivoluzionarie, come un ceto di nuovi capi e fautori di ordine,51 e l’appoggio delle masse a tali idee non sarà basato sulla comprensione intellettuale e su un desiderio di partecipazione democratica, ma sul “consenso spontaneo dato dalle grandi masse della popolazione all’indirizzo impresso alla vita sociale dal gruppo fondamentalmente dominante, consenso che nasce storicamente dal prestigio (e quindi dalla fiducia) derivante al gruppo dominante dalla sua posizione.”52

Gramsci prova ad un certo punto a identificare accettazione emotiva ed entusiasmo tra le masse con la comprensione intellettuale usando la formula “adesione organica in cui il sentimento- passione diventa comprensione e quindi sapere”53, ma nello stesso tempo specifica la necessità di una “preparazione ideologica di lunga lena” e il bisogno di “risvegliare le passioni popolari e renderne possibile la concentrazione e lo scoppio simultaneo.”54

Il fatto è che Gramsci non cessa di essere profondamente influenzato da Lenin, sia dalla teoria politica del leader russo che dalla sua pratica rivoluzionaria. Il concetto di egemonia, considerato da alcuni un rifiuto del leninismo perché enfatizza la penetrazione a lungo termine delle idee tra le masse mentre Lenin era esplicitamente contrario all’idea di aspettare che queste si educassero politicamente,55 si accorda invece molto bene con la nozione leninista che la rivoluzione debba essere condotta e la nuova società quindi governata da una minoranza già politicamente matura,56 e ciò perché per Gramsci la natura umana tende in una direzione antisociale e dunque, non importa quanto siano favorevoli le circostanze, l’essere umano ha bisogno di coercizione per non essere autodistruttivo. Non è sorprendente, perciò, che la nascita di una nuova egemonia porti con sé per Gramsci la necessità di “fede”, di “disciplina” e di “coercizione”, che, tradotto in termini politici, significa un controllo saldo e centralizzato.

Per Gramsci, come per Lenin, la rivoluzione continua ad essere l’inizio di una “Weltanschauung” non il culmine di essa e dunque possiede un significato fondamentalmente idealistico.57

La necessità di una strategia di lunga preparazione ideologica espressa da Gramsci nella teoria dell’egemonia venne fatta propria dopo la sua morte da raggruppamenti e partiti politici di sinistra, che se ne servirono come d’una potente struttura teorica per giustificare attività politiche del tutto pragmatiche.58 La forza di questa struttura è che essa conferisce credenziali democratiche ad aperti obiettivi rivoluzionari, consentendo  allo stesso  tempo ad immediate politiche pragmatiche d’essere eventualmente rappresentate come una diffusione delle idee rivoluzionarie, ossia come “egemoniche”. Ma quanto si trova negli scritti di Gramsci suggerisce che la rivoluzione che egli  immagina non avrebbe caratteristiche democratiche, ossia di eguale partecipazione in termini di comprensione e autorità. La funzione della leadership non è abolita dall’idea gramsciana di egemonia. Il gruppo sociale che ha compiuto il lavoro egemonico continuerà, dopo il cambiamento rivoluzionario, a dare ordini e ad essere obbedito da quelli ai quali li si dà, perché sarà l’unico a possedere la comprensione atta a fare funzionare la società che esso stesso ha concepito. È chiaro, però, che Gramsci non riconosce in questa visione un tipo di società di classe e ciò viene espresso nella sua critica a un articolo del pensatore francese Robert Michels intitolato “Les Partis politiques et la contrainte sociale”. Qui Gramsci critica l’idea di Michels che se i lavoratori si danno nuovi capi, si danno solo nuovi padroni, sostenendo che “l’orchestra non crede che il direttore sia un padrone oligarchico.”59

Questo ci porta infine a considerare la visione di Gramsci di una società post-rivoluzionaria. L’ insistenza sulla “coercizione” come elemento essenziale della sua gestione deriva naturalmente dalla sua idea di come la nuova società deve essere instaurata. Questa idea a sua volta è in armonia con la sua “teoria silenziosa” della natura umana, cioè la teoria che l’uomo sia di natura difettoso e debba per forza essere sottoposto a pressione e coercizione per assicurare il mantenimento dell’ordine sociale.

Se consideriamo questo il fondamento del suo pensiero, le aspirazioni sociali e politiche che ne sorgono sembrano ampiamente coerenti presentando una visione della società e dei cambiamenti sociali che, sia che uno l’accetti come validi o no, ha una salda coerenza intellettuale. Paradossalmente,  l’unico elemento nel suo pensiero che sia significativamente in disaccordo con la teoria della natura umana su cui è basato è l’idea fondamentalmente marxista di un ordinamento sociale che abolisca l’autorità dall’alto insieme con la sua espressione politica, lo Stato. Ma non si tratta di un elemento che ha grande significato per Gramsci. Compare solo di rado nei suoi scritti e questo fatto dimostra la sua marginalità nella più larga visione sociale del pensatore. Lo scopo finale di Gramsci è diverso da quello di Marx in quanto la sua teoria della natura umana è diversa da quella dell’uomo che tuttavia riconosce come suo maestro, quel pensatore che nei Quaderni è “il fondatore della filosofia della prassi”.

Note

  1. “Egli … per la forza del suo ingegno, per la chiarezza e la profondità del suo pensiero politico e sociale, per la vigoria dei suoi scritti supera ogni altro italiano dei tempi nostri”, scrive P. Togliatti, Antonio Gramsci, (Roma, 1977), p. 10, mentre A. L. Buick, “Bordiga and the Idea of Socialism”, Socialist Standard, 78 (1982), 33-34, lo vede come “poco più che uno scribacchino stalinista” (p. 33) e R. Scruton, “Thinkers of the Left: Antonio Gramsci”, The Salisbury Review, n° 6 (Winter 1984), descrive le sue idee come “la vera teoria del fascismo” (p. 21).
  2.   Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio e E. Fubini, terza edizione, Torino, 1972, p. 480.
  3.   L’edizione critica del quarto volume dei Quaderni del carcere curata da V. Gerratana (Torino, 1975) rende facile questo compito. Essa presenta gli scritti durante la prigionia in ordine cronologico a differenza delle altre edizioni che li dividono in argomenti. L’intera edizione critica degli scritti che precedono la prigionia (Scritti, 1913-1926) è pure in corso di elaborazione, con tre degli otto volumi progettati che sono stati pubblicati: Cronache torinesi, 1913-1917 (Torino, 1980), La città futura, 1917-1918 (Torino, 1982) e Il nostro Marx, 1918-1919 (Torino, 1984), tutti curati da S. Caprioglio.
  4.   Quaderni, p. 1840.
  5.   Quaderni,pp.1841-1842. Vedi anche in relazione a ciò p. 1499 (“E’ certo che occorre ristudiare Sorel, per cogliere al di sotto delle incrostazioni parassitarie deposte sul suo pensiero da ammiratori dilettanti e intellettuali, ciò che in esso è più essenziale e permanente”) e p. 1405 (“non è molto ‘scientifico’ o più semplicemente ‘molto serio’ scegliere … tra le opinioni dei propri avversari le meno essenziali e le più occasionali e presumere di aver ‘distrutto tutto’ l’avversario … o di aver distrutto un’ideologia o una dottrina perché si è dimostrata l’insufficienza teorica dei suoi campioni di terzo o quarto ordine. Ancora … bisogna sforzarsi di comprendere ciò che essi realmente hanno voluto dire e non fermarsi maliziosamente ai significati superficiali e immediati delle loro espressioni”).
  6.  Quaderni, p. 1815.
  7.  Si veda G. C. Jocteau, Leggere Gramsci. Guida alle interpretazioni, Milano, 1975. Tra le più recenti “affermazioni” su Gramsci si veda C. Harman, Gramsci Versus Reformism, London, 1983 (“Trotskyista”), R. Simon, Gramsci’s Political Thought. An Introduction, London, 1982 (“Eurocomunista”) e la replica “filosovietica” a quest’ultimo di R. Griffiths, Was Gramsci a Eurocommunist?, Cardiff, 1984.
  8.  Con una certa sorpresa, forse, la critica conservatrice a Gramsci di R. Scruton (vedi nota 1) sostiene che Gramsci usa un “gergo marxista allo scopo di mascherare il suo profondo accordo con una visione conservatrice” (p. 20). Ma anche questa considerazione non impedisce a Scruton di definire Gramsci un pensatore marxista
  9.   Socialismo e fascismo (1921-1922), vol. XI, Opere di Antonio Gramsci, a cura di E. Fubini, quinta edizione, Torino, 1966, p. 382.
  10.   Vedi, ad es., Economic and Philosophical Manuscripts of 1844, vol. III, Collected Works of Marx and Engels, London, 1975, pp. 290-346 e specialmente p. 298 (“proprio come la stessa società produce l’uomo in quanto uomo, così questa è un prodotto dell’uomo. L’attività lavorativa e lo svago, nel loro contenuto e modo d’esistenza, sono sociali”).
  11.   Quaderni, p. 1874.
  12.    Quaderni, p. 1875.
  13.    Quaderni, p. 1421. Si veda la nota del curatore alle pp. 2897 e 2634 per l’inesatta citazione di Engels da parte di Gramsci.
  14.   Quaderni, pp. 744-745. Si vedano anche più in generale pp.1418-20, pp. 1442-45 e pp.1455-59.
  15.   Quaderni, pp. 1598-99 (“La innovazione fondamentale introdotta dalla filosofia della praxis nella scienza della politica e della storia è la dimostrazione che non esiste una astratta ‘natura umana’ fissa e immutabile (concetto che deriva certo dal pensiero religioso e dalla trascendenza) ma che la natura umana è l’insieme dei rapporti sociali storicamente determinati”).
  16. Quaderni, pp. 755-56.
  17.   Si veda, ad es., il passaggio a cui si fa riferimento alla nota 9.
  18.   Si veda, ad es., German Ideology, vol, V, Collected Works, London, 1975, pp. 89-90 (“lo Stato è la forma nella quale gli individui di una classe dominante sostengono i loro comuni interessi” (p. 90)) e Poverty of Philosophy, vol. VI, Collected Works, London 1976, p. 212 (“ La condizione per l’emancipazione della classe operaia è l’abolizione di tutte le classi … non ci sarà più propriamente parlando un potere politico, giacché questo è l’espressione ufficiale dell’antagonismo che caratterizza la società civile”).
  19.  L’Ordine Nuovo (1919-1920), vol. IX, Opere di Antonio Gramsci, a cura di E. Fubini, quinta edizione, Torino, 1972, p. 93.
  20. Quaderni, p. 662.
  21.  La costruzione del partito comunista (1923-1926), vol. XIII, Opere di Antonio Gramsci, a cura di E. Fubini, Torino,1971, p, 346.
  22. La città futura,p. 537.
  23. Sotto la mole (1916-1920), vol. X, Opere di Antonio Gramsci, a cura di E. Fubini, Torino, 1960, p. 476.
  24. L’Ordine Nuovo, p. 379.
  25. L’Ordine Nuovo, p. 28.
  26. La costruzione del partito comunista, p. 260 (21 luglio 1925).
  27. Quaderni, p. 1706. Questa posizione di Gramsci sembra richiamare l’osservazione di Marx secondo la quale “anche politici e rivoluzionari radicali cercano la radice del male non nella natura essenziale dello stato, ma in una specifica forma di stato che vogliono sostituire con una forma differente” (Critical Marginal Notes on the Article “The King of Prussia and Social Reform by a Prussian,” vol. III, Collected Works, p. 198).
  28. Lettere dal carcere, pp.313-314.
  29. F. Rosengarten, “Three Essays on Antonio Gramsci’s Letters from Prison,” Italian Quarterly, n° 97-98 (1984), 7-38 (p. 25), dove il termine “directing intelligence” è usato, vede l’aspetto “coercitivo” della teoria educativa di Gramsci in quanto la considera una integrazione ed estensione delle idee che Marx ha espresso sull’educazione nelle Tesi su Feuerbach.
  30. Quaderni, p. 114. Per altri esempi dalle Lettere dal carcere vedi, per es., lettere 148, 162, 167, 187, 229 e 386.
  31. Quaderni, pp. 1540-1550 (“Osservazioni sulla scuola: per la ricerca del principio educativo”).
  32. Quaderni, p. 114. In questo quadro è interessante anche la discussione di Gramsci sul movimento per la scuola gratuita in Europa (Quaderni, pp. 1183-85). Della nota scuola gratuita di Summerhill, fondata da A. S. Neill (che Gramsci chiama erroneamente E. F. O’Neill), egli dice che “potrebbe essere una scuola di élites o un sistema di ‘doposcuola’ in sostituzione della vita familiare” (pp. 1184-85). Considerazioni dettagliate e diverse da quelle qui esposte delle idee di Gramsci sull’educazione si trovano in M. A. Manacorda, Il principio educativo in Gramsci, Roma, 1970.
  33. Quaderni, p. 287.
  34. Quaderni, p. 774.
  35. Quaderni, p. 2160-64.
  36. Lettere dal carcere, p. 21. Si veda anche il passaggio a cui si riferisce la nota 32. Questo elemento del pensiero di Gramsci ricorda l’idea della “civilizzazione come apparenza esteriore” espressa nella antropologia popolare recente (Robert Ardrey, Konrad Lorenz, Desmond Morris) e romanzata da William Golding in Lord of the Flies.
  37. La città futura, p. 514.
  38. Cronache torinesi, p. 279 (da un articolo scritto in stile gramsciano la cui attribuzione non è dimostrata).
  39. Quaderni, pp. 546-47.
  40. Quaderni, pp. 1344-45.
  41. Lettere dal carcere, p. 466.
  42. Prospettive differenti delle idee di Gramsci sulla religione si trovano in due testi recentemente pubblicati: T. L. Rocca, Gramsci e la religione, Brescia 1981; R. Vico, Una fede senza futuro. Religione e mondo cattolico in Gramsci, Verona, 1982.
  43. Socialismo e fascismo, p. 98.
  44. Socialismo e fascismo, p. 156. Si veda anche L’Ordine Nuovo, pp. 156-57. (“Il partito comunista è, nell’attuale periodo, la sola istituzione che possa seriamente raffrontarsi alle comunità religiose del cristianesimo primitivo … Il fine ineffabile che il cristianesimo poneva ai suoi campioni è, per il suo mistero suggestivo, una giustificazione piena dell’eroismo, della sete di martirio, della santità … Rosa Luxemburg e Carlo Liebknecht son più grandi dei più grandi santi di Cristo”).
  45. Costruzione del partito comunista, pp. 9-10. Si veda anche, ad, es., Socialismo e fascismo, pp. 538-39 (“è un lavoro rivoluzionario quello al quale vi chiama il Partito comunista, è un lavoro che deve essere compiuto e che voi compirete, mobilitando tutte le vostre energie, concentrando tutta la passione e la volontà di cui sono capaci i soldati fedeli e devoti di una grande idea”).
  46. Quaderni, p. 1388.
  47. Quaderni, p. 1217.
  48. Per il concetto di “blocco storico”, per il quale Gramsci si dichiara debitore di Georges Sorel (Quaderni, pp. 1300, 1316, 1321 e la nota del curatore a p. 2632), si vedano in particolare i Quaderni, p. 1211(“momento dell’egemonia e del consenso come forma necessaria del blocco storico concreto”) e pp. 1505-06 (“Se il rapporto tra intellettuali e popolo-nazione, tra dirigenti e diretti, tra governanti e governati, è dato da una adesione organica in cui il sentimento passione diventa comprensione e quindi sapere (non meccanicamente, ma in modo vivente), solo allora il rapporto è di rappresentanza, e avviene lo scambio di elementi individuali tra governati e governanti, tra diretti e dirigenti, cioè si realizza la vita d’insieme che sola è la forza sociale, si crea il ‘blocco storico’ “).
  49. Si vedano le Lettere dal carcere, p. 633 (“L’attività del Croce è una di queste vie e di questi metodi; il suo insegnamento produce forse la maggior quantità di ‘succhi gastrici’ atti all’opera di digestione. Collocata in una prospettiva storica, della storia italiana,, naturalmente, l’operosità del Croce appare come la più potente macchina per ‘conformare’ le forze nuove ai suoi interessi vitali (non solo immediati ma anche futuri) che il gruppo dominante oggi possieda e che io credo apprezzi giustamente, nonostante qualche superficiale apparenza”).
  50. La teoria dell’egemonia ed esempi del suo operare nella storia sono una caratteristica costante dei Quaderni (si vedano in particolare pp. 1508-09, 1513-23, 1566-67 e 2010-34). Sono stati prodotti molti contributi critici sulla teoria gramsciana dell’egemonia che qui non è il caso di elencare e discutere. Una questione ancora dibattuta è se il concetto di egemonia rappresenti la necessità per Gramsci di giustificare la sconfitta del movimento comunista in Italia nel ventesimo secolo o se rappresenti uno spassionato tentativo intellettuale, come sostiene Bedani, “to replace a simplicistic and mechanical view of the relation between economic base and superstructure with a more sophisticated and flexible account of social causation” (“The Long-Term Strategy in Gramsci’s Prison Notebooks,” Quinquereme, 2, 1979, pp. 204-222 (p. 205)).
  51. Si veda, ad es., Quaderni, p. 1511(“Il modo di essere del nuovo intellettuale non può più consistere nell’eloquenza, motrice esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni, ma nel mescolarsi attivamente alla vita pratica,  come costruttore, organizzatore, ‘persuasore permanentemente’ perché non puro oratore – e tuttavia superiore allo spirito astratto matematico; dalla tecnica-lavoro giunge alla tecnica-scienza e alla concezione umanistica storica, senza la quale si rimane ‘specialista’ e non si diventa ’dirigente’ (specialista + politico)”).
  52. Quaderni, p. 1519. Si vedano anche p. 1775 (“Passato e presente”) e p. 191(“Nel sistema egemonico, esiste democrazia tra il gruppo dirigente e i gruppi diretti”).
  53. Quaderni, 1505. In proposito vedi la nota 48.
  54. Quaderni, 1769.
  55. Si veda V. I. Lenin, What Is To Be Done?, vol. V, Collected Works,, Moscow and London, 1961, p. 375 (“The history of all countries shows that the working class, exclusively by its own effort, is able to develop only trade-union consciousness”) e J. Reid, The Days That Shook the World, New York, 1960, p. 415 (“If Socialism can only be realized when the intellectual development of all the people permits it, then we shall not see Socialism for at least 500 years”). Questo ultimo passaggio non appare nel testo in questione nei Collected Works di Lenin.
  56. Mentre nei Quaderni gli intellettuali di un potenziale gruppo dirigente nel passato non sono visti come lo stesso gruppo dirigente ma come suoi “commessi” (p. 1519), gli intellettuali comunisti che diffonderanno le idee rivoluzionarie future sono di gran lunga meno distinguibili dallo stesso futuro gruppo dirigente, il “partito”. Si veda, ad es., p. 1511 (la nota 51) e p. 1523 (“Che tutti i membri di un partito politico debbano essere considerati come intellettuali, ecco un’affermazione che può prestarsi allo scherzo e alla caricatura: pure, se si riflette, niente di più esatto”).
  57. Si veda Quaderni, pp. 881-82, su “Produzione di [nuove] Weltanschauungen”.
  58. Si veda la nota 7 e anche la nostra recensione di The Italian Communist Party. Yesterday, Today and Tomorrow, a cura di S. Serfaty e L. Gray, London, 1981, in Journal of Association of Teachers of Italian, n° 35, , pp. 75-77.
  59. Quaderni, pp. 230-39.