Quaderno 9

Nota di lettura

Nazionalismo e Internazionalismo

 

"§ 89 È certo possibile parlare di un’età del Risorgimento, ma allora occorre restringere la prospettiva e mettere al fuoco l’Italia e non l’Europa...

Esiste cioè un’Età del Risorgimento nella storia della penisola italiana, non esiste nella storia dell’Europa e del mondo; in questa corrisponde l’Età della Rivoluzione francese e del liberalismo."

Gramsci è del tutto consapevole che il Risorgimento è un evento storico che ha un valore meramente nazionale non epocale come la Rivoluzione francese (per quanto  si intrecci con molteplici influenze esercitate su di esso da parte di altre nazioni europee).

Sulla base di questa consapevolezza, però, come giustificare l'enorme mole di appunti che egli dedica al Risorgimento?

La risposta è fornita nel § 107:

"Se scrivere storia significa fare storia presente, è grande libro di storia quello che nel presente crea forze in isviluppo più consapevoli di se stesse e quindi più concretamente attive e fattive."

La storia presente con cui Gramsci si confronta  è caratterizzata dal nazionalismo fascista che, rievocando i fasti della Roma imperiale crea un canovaccio interpretativo retorico:

"§104 [2]. Tutto il lavorio di interpretazione del passato italiano e la serie di costruzioni ideologiche e di romanzi storici che ne sono derivati è legato alla «pretesa» di trovare un’unità nazionale, almeno di fatto, in tutto il periodo da Roma ad oggi."

Tale interpretazione ha come conseguenza di identificare nel Fascismo un nuovo Risorgimento in rapporto alla "vittoria mutilata" il cui fine è di portare l'Italia ad un ruolo di grande potenza, che implica un'espansione nazionalistica (retorica e colonialismo compresi).

Al riguardo Gramsci è radicalmente critico:

"§127 Il moto nazionale che condusse all’unificazione dello Stato italiano deve necessariamente sboccare nel nazionalismo e nell’imperialismo nazionalistico e militare? Questo sbocco è anacronistico e antistorico; esso è realmente contro tutte le tradizioni italiane, romane prima, cattoliche poi. Le tradizioni sono cosmopolitiche...

Il nazionalismo è una escrescenza anacronistica nella storia italiana, di gente che ha la testa volta all’indietro come i dannati di Dante. La missione di civiltà del popolo italiano è nella ripresa del cosmopolitismo romano e medioevale, ma nella sua forma più moderna e avanzata."

Questa forma più avanzata è legata, ovviamente, al marxismo e all'alleanza tra i ceti subordinati e i loro intellettuali:

"§127 Il cosmopolitismo italiano non può non diventare internazionalismo. Non il cittadino del mondo, in quanto civis romanus o cattolico, ma in quanto lavoratore e produttore di civiltà.

Perciò si può sostenere che la tradizione italiana dialetticamente si continua nel popolo lavoratore e nei suoi intellettuali, non nel cittadino tradizionale e nell’intellettuale tradizionale. E popolo italiano è quello che «nazionalmente» è più interessato all’internazionalismo. Non solo l’operaio ma il contadino e specialmente il contadino meridionale."

Scritte in un periodo di imperante nazionalismo, queste affermazioni di Gramsci, che implicano una straordinaria fiducia nei ceti subordinati e negli intellettuali che operano per portarli a sviluppare una visione del mondo unitaria, omogenea e affrancata dai particolarismi e dal nazionalismo deteriore, sono sorprendenti, tanto più se si tiene conto che, all'epoca in cui sono state messe sulla carta, la Terza Internazionale, istituita a Mosca nel 1919,  è "degenerata" per effetto dello stalinismo che, in nome del fine supremo di tutelare l'unica rivoluzione comunista sino allo avvenuta, in pratica subordina le esigenze dei partiti comunisti dei vari stati agli interessi nazionali sovietici.

L'Internazionalismo, insomma, è già un sogno: ritenerne depositario il popolo lavoratore italiano (l'operaio, il contadino e in particolare il contadino meridionale) non ha alcun fondamento.

Il carattere utopistico del pensiero gramsciano al riguardo è paradossale data l'insistenza con cui, nei Quaderni, si fa presente di continuo che il carattere differenziale della filosofia marxista è la sua "concretezza", l'analizzare cioè, con i suoi strumenti, il processo reale delle cose, identificare le forze che lo sottendono e organizzarle in maniera da far prevalere quelle capaci di risolverne le contraddizioni.

Nel caso in questione, la famosa formula "pessimismo dell'intelligenza, ottimismo della volontà" sembra rovesciata: il giudizio che Gramsci esprime sull'internazionalismo dei ceti subordinati italiani è radicalmente ottimistico.

Come si spiega questa contraddizione? Nella maniera più semplice. Considerando che, in carcere, Gramsci non ha alcuna possibilità di agire che non si riduca a scrivere i Quaderni e le lettere. È la situazione di impotenza che lo spinge a ricostruire una situazione sociale del tutto inattendibile.

Il suo ritenere le masse operaie e contadine eredi del cosmopolitismo romano e medievale fa il paio con l'affermazione di Marx secondo il quale i proletari sono gli eredi della filosofia classica tedesca.

Anche i Grandi ogni tanto vaneggiano, ma mai senza costrutto. Per quanto concerne Gramsci, l'intuizione che il nazionalismo è anacronistico, tanto più che l'economia è in via di internazionalizzazione, e che dunque per evitare il dominio del capitale transnazionale sui governi locali, è necessario un soggetto politico che abbia un orizzonte internazionale e una coscienza universale, non è solo fondata, ma avveniristica. Essa, infatti, ha anticipato gli sviluppi della globalizzazione capitalistica che hanno di fatto, se non esautorato, limitato in maniera drastica il potere dei governi nazionali, i quali sono stati costretti a confluire in raggruppamenti (G7, G8, G20) che tentano di mettere a fuoco misure di controllo del libero flusso dei capitali finanziari risultate finora poco efficaci.

Il problema, dunque, è questo: il capitalismo, soprattutto nella sua forma finanziaria, ha una "vocazione" internazionale, messa in luce profeticamente da Marx, mentre la politica e la cultura rimangono vincolate, in una certa misura, ai contesti e agli interessi nazionali.

Qual è il fattore che determina la "vischiosità" delle nazioni, dei governi e delle etnie?

Per rispondere a questo interrogativo, la cosa migliore è adottare una prospettiva antropologica, che arricchisce il marxismo.

Sulla scorta di un libro di F. Remotti (Contro l'identità, Laterza, Bari 2001), la questione può essere posta in questi termini:

La vera realtà - fisica, psicologica, culturale - è un sistema complesso, caotico, che scorre nel tempo, il flusso (F) appunto. La necessità per l'uomo di definire connessioni e alternative che organizzano e danno un ordine alla complessità infinita del reale, e infine di costruire delle identità distinte e differenziate, che si pongono come strutture (S), è una necessità. Legata a cosa? Al fatto che "l'uomo è un animale biologicamente carente. Affidato alle sue sole capacità biologiche, ben difficilmente saprebbe sopravvivere. La sua stessa sopravvivenza fisica - a quanto pare - richiede, e fin da subito, l'intervento della cultura" (p. 12).

La teoria dell'incompletezza biologica dell'uomo - teoria introdotta nelle scienze umane e sociali da A. Gehlen, che non viene però citato nel libro - "si traduce inevitabilmente in un carico vistoso assegnato alla cultura" (p. 13), ma ha un'altra implicazione non meno importante, che riguarda la "natura sociale del pensiero e delle emozioni" (p.13): "buona parte dell'uomo (i suoi pensieri, le sue emozioni, i suoi sentimenti, le sue inclinazioni) viene costruita socialmente… Fin da subito, l'uomo va costruito; fin da subito occorre porre mano alla sua formazione a causa della carenza della sua natura biologica. Ma proprio perché queste costruzioni si verificano in ambienti sociali, variabili nel tempo e nello spazio, esse non possono non avere un carattere locale" (p. 16); "Completando cutulralmente se stesso, l'essere umano non diventa un qualsiasi uomo, bensì un particolare tipo di uomo, culturalmente definito" (p. 17).

In conseguenza della storicità dell'esperienza umana, "l'identità si avvinghia alla particolarità, perché la particolarità è garanzia di coerenza, e la coerenza è un valore tipico dell'identità. Per avereidentità, occorrono infatti la continuità nel tempo, per un verso, e la coerenza sincronica dell'assetto. Quanto più si è particolari, tanto più si hanno garanzie di coerenza e di continuità e dunque un incremento del valore d'insieme dell'identità" (p.21).

Il problema, da questo punto di vista, è la scarsa o assente consapevolezza della particolarità dell'identità: "Se è vero che l'identità - tanto più se è un'identità robusta, solida - non può che fondarsi sulla particolarità, vi è però un rapporto paradossale di non perfetta conciliabilità tra i due termini. La particolarità è condizione dell'identità; ma difficilmente un'identità che intenda affermarsi può ammettere senza remore la propria particolarità" (p. 21). Questa scarsa consapevolezza, determina, sia a livello individuale che collettivo, una tendenza a naturalizzare e ad ideologizzare l'identità, purificandola da tutto ciò che potrebbe ricondurla alla particolarità delle sue condizioni: "Idee, valori, credenze, principi, istituzioni possono essere sottoposti ad un processo di trasformazione: da costumi, caratterizzati sempre da un'inevitabile aspetto di arbitrarietà e di località, da una certa pesantezza e oscurantismo, diventano forme dotate invece di una loro logica e coerenza interna" (p. 24). Sul piano individuale, la "purificazione" dell'identità causa la cristallizzazione della personalità; sul piano collettivo, essa può determinare un irrigidimento ideologico dell'identità che, misconoscendo tutto ciò che è estraneo ad esso, può promuove l'intolleranza.

La coscienza universale propugnata dal marxismo (coscienza di di specie e di una specie la cui storia, differenziando gruppi e sistemi linguistici, cultura e economici ha provocato la rimozione di un destino comune) è un rimedio ottimale contro l'ossessione identitaria, nazionalistica e particolaristica. Il problema è come sia possibili promuoverla e realizzarla su scala planetaria.